Libri > Harry Potter
Segui la storia  |       
Autore: Shurq Elalle    04/02/2016    1 recensioni
Estate 1899.
Albus Silente progetta un grandioso viaggio alla scoperta delle infinite meraviglie del mondo magico insieme all'amico di una vita, Elphias Doge. Ma qualcosa di molto importante e doloroso accadde proprio quell'estate che costringe il giovane Albus a rivedere la sua esistenza e le sue scelte.
E a conoscere il più grande amore e il più grande dolore della sua vita.
-----------------------------------------------------
In questa, come in tutte le fanfiction da me scritte, rimarrò molto ancorata all'opera originaria. È probabile che compaiono scene tratte da uno dei sette libri.
Genere: Angst, Avventura, Guerra | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Aberforth Silente, Albus Silente, Ariana Silente, Bathilda Bath, Gellert Grindelwald | Coppie: Albus/Gellert
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dai Fondatori alla I guerra
Capitoli:
 <<  
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Capitolo due

Menti e libri

 

 

La mia camera era sempre stata il mio rifugio preferito. Le quattro pareti di casa rimanevano intime e rassicuranti permettendomi di concentrarmi meglio su qualunque cosa volessi, in genere delle letture approfondite sull'argomento di mio interessa di quel momento. Aberforth diceva sempre – citando un detto babbano a cui pareva esserci affezionato – che somigliavo ad un topo di biblioteca, sempre chiuso nella sua stanza a rovistare tra le carte in una maniera che «Neppure le capre quando vanno alla ricerca delle foglioline più tenere di un arbusto».
Ma altro non ero abituato a fare: io non ero come i miei fratelli, i quali erano abituati a stare all'aria aperta al contatto con la natura viva. Io avevo sempre trovato la pergamena dei libri e un tetto sulla testa molto più rassicurante. Però, nonostante questo, avrei davvero voluto compiere quel viaggio intorno al mondo insieme ad Elphias. I suoi gufi mi portavano delle missive davvero molto belle in cui egli descriveva le bellissime creature che incontrava e le strepitose magie a cui assisteva. Ed io ero bloccato qua, nella mia stanza senza nulla di davvero stimolante. Era una vita difficile.
Staccai lo sguardo stanco dal volume aperto del mio libro e lanciai uno sguardo oltre la finestra. Dalla mia stanza potevo vedere il giardino sul retro della signora Bath tutto contornato da fiori che mi parevano begonie. Ma quello che quel giorno catturò il mio sguardo non erano quei fiori.
Lui era là. Il ragazzo biondo che aveva fatto visita alla nostra casa la settimana appena trascorsa. I suoi capelli parevano brillare sotto la luce diretta del sole delle undici. Non capivo cosa stesse facendo: pareva che leggesse o che provasse qualcosa, forse un incantesimo. Aveva la bacchetta in mano e il volto serio, da quanto potevo cogliere da quella distanza.
Chissà cosa leggeva.
Chissà cosa voleva fare.
Chissà se si sentiva come me, frustato, solo e sprecato.
Io con i miei fratelli; lui con la sua prozia.
Che destino comune, pensai mentre lo osservai ancora un po'.
Era un ragazzo strano, da quanto ero riuscito a cogliere dall'unica volta in cui ci eravamo visti. Un ragazzo strano, ma dotato di intelligenza. Io amavo l'intelligenza, sapevo coglierla sempre dove alloggiava. E quel ragazzo, Gellert, ne era dotato in abbondanza. Le parole che lui mi aveva detto riguardo alla condizione di Ariana mi ero rimbombate nel cervello per giorni e giorni. E se avesse avuto ragione? E se avessi dovuto dargli ascolto?
Ma bastava sempre ragionarci su, in maniera critica ed intelligente, per bocciare assolutamente qualunque proposta in tal senso. Perché io sapevo dove egli
voleva andare a parare con quei discorsi e l'idea stessa mi faceva paura. Non avrei mai potuto, come erano state le sue parole?, «sovvertire l'ordine del mondo». Sarebbe andato contro i miei principi; non avrei mai dato addito ad una follia come quella...
Nonostante questo, avrei voluto conoscerlo un pochino di più. Chissà perché era qui, chi era, quali erano i suoi interessi, perché la signora Bath aveva voluto presentarmelo. Erano tante piccole domande sciocche, ma, ben presto, affollarono la mia mente.
Ritornai al mio libro e notai che le righe iniziavano a sovrapporsi nella mia testa, completamente offuscate dalle curiose domande che riguardavano la persona di Gellert Grindelwald. Forse era giunto il momento di alzarmi da quella sedia, uscire da quella stanza e dirigermi verso casa Bath per soddisfare la mia curiosità.
Aberforth sarebbe stato fiero di me: per una volta il topo di biblioteca abbandonava la sua tana.
I miei passi risuonavano scricchiolanti sul pratino verde che separava il retro del giardino della mia casa con quello della signora Bath.
Lui era ancora là, coi capelli lucenti al sole e con un'espressione corrucciata, mentre leggeva un libro dalla copertina azzurra che aveva l'aria di non essere tanto
recente.
Con passo tranquillo, mi avvicinai allo steccato che divideva le due proprietà.
Gellert Grindelwald sembrò accorgersi di me perché, in quel momento, alzò un attimo lo sguardo pensoso diretto verso la mia persona.
Mi fissò a lungo e non disse nulla. Lo sguardo ricadde sul suo libro.
Rimasi un po' deluso e decisi di fare io la prima mossa.
«Non è un po' strano trovare un mago nel giardinetto suo retro della casa della prozia» buttai lì.
Che frase sciocca e puramente banale.
Grindewald alzò ancora lo sguardo – stavolta più incuriosito di prima – con le mani che ancora reggevano senza fatica il tomo.
«Io vedo due maghi, su dei giardini sul retro differenti» rispose.
E non aggiunse altro.
Sentii il fastidio montarmi dentro. Certo che era proprio una persona non proprio disponibile. Ma la curiosità su chi fosse e che stesse facendo era davvero tanta.
Decisi di riprovare.
«Un mago che legge un libro in un giardino sul retro, concedimelo, è strano»
Un piccolo schiocco. Gellert Grindelwald chiuse il volume e mi osservò con i suoi occhi verdi.
«Lo conosci?» domandò solamente.
Si avvicinò a me per permettermi di vedere al meglio il titolo del libro. Le lettere dorate sulla copertina blu notte recitavano:”Le fiabe di Beda il Bardo”.
Eccome se le conoscevo: mia madre ci, anzi, mi leggeva sempre qualche fiaba tratta da quel libro. Mio fratello aveva sempre preferito Ghiozza la capra zozza. La mia fiaba preferita era quella che si trovava per ultima in ordine di collocazione: “La storia dei tre fratelli”, a mio parere un capolavoro assoluto.
«Sì» risposi, nonostante la burrasca di parole che avevo in testa. In genere, riuscivo sempre ad esprimermi liberamente, ma in quel momento vi era come qualcosa che mi bloccasse.
«La storia dei tre fratelli mi pare molto interessante» continuò lui, avendo potuto constatare che io non avevo intenzione di aggiungere altro, oltre a quella banale affermazione. «E quando dico interessante, non parlo solamente del suo valore pedagogico, il quale, sì certo ci può stare, ma... se vi fosse qualcosa di più?»
Lo guardai un attimo. Quella sembrava una fantasia direttamente uscita dai miei sogni di bambino, quando mia madre mi leggeva la fiaba prima di andare a dormire. Da piccolo, avevo sempre sperato di poter riunire i Doni ed essere il Padrone della Morte. Avevo sempre visto per me onori e glorie.
«Qualcosa di più?» ripetei «Sarebbe molto bello davvero se esistessero questi... Doni. Ma è solamente una fiaba, Grindelwald»
«Chiamami Gellert, il cognome si utilizza solo in un contesto scolastico» affermò come se stesse parlando del tempo «Perché non potrebbero esistere? Perché non ci potrebbe neppure essere la più remota possibilità?»
Alzai gli occhi al cielo per un momento, per poi rivolgermi a lui con queste parole:«Vi è stato un tempo, da bambino, in cui ho pensato sul serio che questi Doni esistessero davvero. Ma, crescendo, sono giunto alla conclusione che fosse solamente una fiaba con una sua morale, basta. Come potrebbero esserci degli oggetti così prodigiosi senza che il mondo magico ne venga a conoscenza? Dai Gellert, non è proprio possibile...»
«La mia prozia mi disse che eri un ragazzo intelligente, Albus Silente, ma non mi pare che questa intelligenza spicchi così tanto» dichiarò Gellert, provocatorio «Quale persona che reputato intelligente non va oltre i suoi stessi confini e i suoi stessi preconcetti? Perché non puoi anche ammettere che potrebbe anche esserci una minima possibilità che i Doni della Morte esistano davvero?»
«Provami l'esistenza di uno solo di questi, allora» rimbeccai «Io ho creduto davvero tanto ai Doni e alla loro ricerca, così tanto che, ora, non sono più molto disposto a proseguirla. Persi solamente molto tempo allora, come ne perderò tanto anche adesso»
«Quanti anni avevi quando intrapresi la ricerca per la prima volta?»
Non risposi subito, mi vergognavo un po' ad ammetterlo. Ero stato davvero giovane e con mezzi non proprio copiosi per poter svolgere al meglio la ricerca. Ma la delusione di non essere riuscito nel mio compito all'epoca, mi aveva convinto a desistere per tutta la vita. Questo non avevo intenzione di riferirlo a quel biondino spavaldo che aspettava sornione una mia risposta.
«Ero molto giovane» dissi solamente, con un po' di furia che mi bruciava nello stomaco.
Gellert alzò un sopracciglio, con aria di sufficienza.
«Non dovresti mollare perché hai fallito una volta, Albus Silente» disse. Il suo tono era tranquillo in perfetto contrasto con l'espressione saccente che gli si era appena dipinta sul bel volto. «Ma dovresti cercare. Se riuscirò a portarti una sola prova, una sola soltanto, dell'esistenza di almeno uno dei tre Doni, prometti di ripensarci?»
Silenzio.
Non sapevo se accettare o meno: da una parte vi era l'orgoglio ferito di un infante Albus che premeva nel desistere; dall'altra, l'orgoglio bruciante di un giovane, ma adulto Albus che voleva accettare e dimostrare a Gellert che l'infante Albus aveva avuto ragione a suo tempo. Anche se, però, quella era la terza parte che parlava, avrebbe tanto voluto che il biondino trovasse la bacchetta. Avrei potuto dimenticare la mia condizione di fratello maggiore al confino e dedicarmi anima e corpo ad una causa nuova...
«Prometto».
Gellert sorrise. «Abbiamo un accordo.»
Gli strinsi la mano che mi porgeva, sentendo un lieve calore ai lombi.

«Albus sta arrivando»
La voce di mia sorella arrivava dal lato del giardino in cui Aberforth amava rifugiarsi, in genere in compagnia della sua amata capra. Non so cosa facesse quando rimaneva solo con lei, avevo soltanto scoperto che non mi premeva tanto saperlo.
La capra belò quando mi vide e lo interpretai come un saluto. Mio fratello, invece, con le spalle rivolte a me, non mi degno di uno sguardo concentrato com'era ad intrecciare quelli che parevano fili d'erba di un verde squillante. Udii il cigolio di una porta chiudersi in un punto in lontananza oltre le mie spalle.
Gellert Grindelwald doveva essere rientrato dentro la casa.
«Non mi piace» intervenne mio fratello, proprio in quell'istante.
Avevo ben capito a chi alludesse, senza dover occorre alla Legilimanzia, ma decisi, comunque, di far finta di non aver compreso bene.
«Be' cambia tipo di fili da intrecciare.»
«Non mi sto riferendo a questo» rimbeccò agitando impaziente i fili d'erba che teneva fra le dita «Ma di quello là con cui stavi parlando prima.»
«Gellert Grindelwald?»
«Sì, il biondino super bello che abita nella casa della vecchia» Aberforth non era un tipo da mezze misure «Non mi piace tanto»
«Non lo conosci tanto bene per poter affermare...»
«Non tirare fuori la vecchia storia del “non giudicare quel che non si conosce”. Lo sento a pelle, Al, e sai cosa vuol dire quando senti qualcosa a pelle. Tu sei un
maestro in questo, o no?»
Lo ero, o meglio mi ero sempre vantato di esserlo perché erano state davvero rare le volte in cui avevo preso un abbaglio. Per quello non credevo che mio fratello avesse ragione. E poi, lo avevamo frequentato entrambi davvero così poco.
«Non ho intenzione di frequentarlo tanto, se è per questo» mentii. O meglio una parte di me ne era affascinata – anzi, ero affascinato da quel suo lato misterioso – ma l'altra non aveva intenzione di intavolare una lunga e fruttuosa amicizia. Non avrebbe mai potuto sostituire Elphias.
«Me lo auguro» ribatté Aberforth alzando lo sguardo per la prima volta sul mio volto «Perché non sarebbe la prima volta che infrangi una promessa.»
detto questo si alzò e se ne andò, bonariamente seguito dalla sua capra.
Ariana ed io rimanemmo da soli.
«Non deluderlo» disse con una vocina flebile.
Fece un timido sorriso e se ne andò anche lei.
Non avrei più dovuto fare errori nella mia miserabile vita, almeno con loro.

«Esco un po' in giardino con Aberforth» disse mia sorella, mentre si infilava le scarpe.
«Stai attenta a... lo sai.»
«Sto bene» mi disse osservandomi con quegli occhi azzurri così simili ai miei «Non farò nulla di male...»
«Lo so, ma sono gli... altri sai. Ti lascio molto più libera di quanto lo fossi con nostra madre perché...» mi fido di te, avrei voluto dire. Ma quelle parole mi morirono in gola.
Ariana sorrise ed annuì.
«Chiudo?» domandò lei, riferendosi alla porta.
«Sì.»
Quando ella chiuse la porta ed io, automaticamente, mi voltai verso il libro aperto che stavo leggendo, mi resi conto che qualcosa non stava funzionando.
Io ero rimasto coi miei fratelli, per badare a loro, stare con loro, occuparmi della loro salute sia fisica che mentale. Ma davvero stavo adempiendo al mio compito?Ma davvero pensavo a loro tutto il giorno e come essere un bravo fratello maggiore, una brava guida, un bravo supporto?
No.
Il mio libro di Trasfigurazione avanzata ne era la prova cartacea. Continuavo a pensare a me, ai miei interessi, ai miei studi...
Ad altro insomma. Immaginavo già le parole di mia madre, poco entusiaste, ricche di aggettivi volte a portarti alla sola e semplice contrizione, un pizzico di
verità spolverata su un cumulo di prediche.
Qualcosa di sempre poco concludente, insomma.
Il problema era che non era adatto: non ero portato per badare a dei giovani adolescenti, a curarmi della loro istruzione, del loro benessere. Non riuscivo a vedere in loro qualcosa da portare in meglio.
Riuscivo solo a pensare a me stesso, e grazie tante.
Quante volte Aberforth me l'aveva rinfacciato. Ed aveva sempre avuto ragione. Ed io avevo sempre negato. Tenere le apparenze è sempre più importante, almeno per me.
E poi c'era Gellert.
O meglio, tutto ciò che portava con sé: mistero, smania di avventure, curiosità.
E “La Storia dei tre fratelli”.
Prima che lui me lo rammentasse, avevo dimenticato tutta la mia smania per i Doni. Quanto tempo avevo perso appresso a quel sogno, quante notti insonni da bambino persi sotto la luce flebile di una candela e mucchi di fogli di pergamena.
Era stato allora che mio fratello mi aveva soprannominato “topo da biblioteca”.
Mai nomignolo fu più azzeccato.
Ed avevo dimenticato tutto: i Doni, la credenza ch'essi fossero reali, i tre fratelli, la bramosa voglia di tenere in mano uno solo di quei fantastici oggetti...
Fu con sorpresa che mi colsi a fissare incanto la finestra, perso com'ero sulle mie fantasticherie.
Ritornai al tomo di Trasfigurazione con una parte della mente concentrata su infantili sogni di gloria.
Fu qualche ora dopo che sentii un lieve bussare alla mia porta. Riconobbi il tocco di mia sorella.
«Dimmi»
«C'è qualcuno per te, Al»
«Chi?»
«Quel ragazzo biondo, Al»
«Cosa vuole?»
«Ti vuole parlare, Al» rispose «Dice che ha trovato qualcosa, Al. Ha parlato di una scommessa.»
Il mio cuore aumentò i battiti, impunemente.
Di scatto mi alzai, chiusi il libro con uno schiocco ed aprii la porta.
Mia sorella trasalii vedendola aprirsi all'improvviso.
«Torna da Aberforth» le intimai «Ci penso io al signor Grindelwald»
Lei non disse nulla, ma mi precedette sulla rampa di scala ed uscì fuori, diretta da nostro fratello.
Gellert mi aspettava sulla soglia, imperiosamente dritto sulla schiena, con una certa eleganza.
Notai che la mano mi tremava quando aprii la porta; non ne compresi il motivo.
«Cos'hai trovato?» chiesi senza tanti preamboli.
Gellert sfoderò un sorriso obliquo. I suoi occhi erano luminosi, più del solito.
«Godelot, Herevard, Emeric il Maligno...»
«Conosco la storia della magia» sbuffai.
«Bene» disse lui, baldanzoso «Quindi saprai cosa gli accomuna.»
«Erano tutti grandi Maghi Oscuri che sono stati sconfitti od uccisi nel corso della storia...»
«E tutti possessori di una potente bacchetta» mi interruppe lui «Una bacchetta invincibile, Albus Silente.»
«Non credi che io ci abbia già pensato, Gellert?»
«Sì, sì, sì» confermò con fare annoiato osservandosi la punta delle dita «Ma perché non possono essere stati loro i possessori della bacchetta di sambuco? Riflettici
Albus: la Stecca della Morte, la Bacchetta del Destino non è lo stesso nome per definire la solita medesima bacchetta? E se fosse davvero la Bacchetta di Sambuco che stiamo cercando?»
«Questo può valere per la Bacchetta» rilanciai. Volevo fare lo scettico, ma le sue teorie iniziavano a conquistarmi. In effetti, poteva avere ragione: la Bacchetta del Destino, la Stecca della Morte... non era la prima volta nella storia che gli oggetti venivano chiamati con più nomi altrettanto suggestivi. «Ma non per gli altri Doni»
«Lascia perdere gli altri due Doni» rimbeccò lui. Pareva infastidito. «Concentrati sulla Bacchetta, Albus Silente. La Bacchetta: se ho ragione io e la Bacchetta di Sambuco è sempre stata la stessa, passata di mano in mano nella storia, ma con nomi diversi... io so dove posso andare a ripescarla, Albus. So chi sia il proprietario, ma ho bisogno di sapere se tu sia con me.»
Ma gli altri due Doni?, avrei voluto richiedere. Perché rinunciare così alla Pietra della Resurrezione? Sarebbe stato davvero una liberazione averla: io non ero fatto per fare il fratello maggiore responsabile. Avrei fatto ritornare mia madre e fine delle responsabilità. Sarebbe stato così bello, così liberatorio! Avrei potuto fare quel maledetto viaggio intorno al mondo una volta per tutte!
«E gli altri due Doni?» ebbi il coraggio di chiedere.
«Perché ti interessano tanto?» domandò stizzito lui.
Cosa vuoi fare con i Doni, Gellert? Cosa vuoi fare con la Bacchetta di Sambuco, Gellert?
«Mi interessa la Pietra e puoi ben immaginare il perché.»
Un'espressione curiosa, che non avevo avuto modo di notare prima, accese il volto di Grindelwald.
«Sei con me, quindi.»
«Non l'ho detto.»
«Oh sì... perché chiedere della Pietra, altrimenti?»
«Curiosità»
«Non mentirmi, Albus Silente. La Pietra ti interessa eccome, me lo hai fatto capire prima.»
«Cosa vuoi fare con i Doni, Gellert?»Si leccò le labbra con la lingua.
Non rispose.
«Mi fai entrare in casa?»
Solo allora mi resi conto che eravamo ancora sull'uscio.
«Mi risponderai?»
«Dannazione, Albus Silente, sì ti risponderò» disse seccato «È qualcosa che non posso dire... qui fuori.»
Aveva un'aria circospetta, sospettosa come quella che spesso affiorava in mia madre quando portava di tanto in tanto Ariana fuori per farle fare un giro.
Lo feci entrare e si sedette mollemente sulla prima sedia che vide. La sua eleganza non lo abbandonava mai, neppure quando era così bellamente scomposto.
«Ti ricordi cosa ti dissi il giorno che ci presentammo proprio qui?» domandò «Quando parlammo di tua sorella?»
Come potevo scordarmelo. Annuii.
«Si può fare, lo potremo fare» disse solamente, fissandomi in maniera eloquente con i suoi occhi verdi. Sentii un lieve calore lungo il collo e le guance.
«Un mondo per soli maghi dove... dove mia sorella...?»
Lui annuì.
Mi morsi un labbro.
«E vuoi usare i Doni per arrivare allo scopo.»
Alzò un sopracciglio. «Aveva ragione la prozia a dire che eri intelligente» commentò «Vedi Albus, se prenderemo la Bacchetta e, grazie ad essa i due Doni
restanti, potremo... potremo fare grandi cose. Potremo diventare i maghi più potenti, Albus Silente, potremo diventare coloro a capo della più grande rivoluzione del mondo magico. Addio Statuto di Segretezza, addio regole stupide, addio Babbani che possano scoprirci! Che ci scoprano! Noi esistiamo e abbiamo il diritto di essere liberi di esprimere la nostra magia liberamente. Il mondo è anche nostro!»
Lo guardai un attimo per poi distogliere lo sguardo. Il suo ragionamento non faceva una piega e, nel mondo da lui prosperato, io non avrei avuto più alcuna responsabilità perché mia sorella sarebbe stata libera di esprimersi con la sua magia e... i miei genitori sarebbero tornati.
Avrei potuto essere davvero finalmente libero, padrone di un mondo magico a cui avevo contribuito a creare, padrone di essere solamente me stesso: un fratello egoista a cui interessava allargare la sua conoscenza in campo magico.
E nient'altro.
«Sai a chi appartiene la Bacchetta di Sambuco, ora?» domandai.
Il volto di lui si aprì in un mezzo sorriso.
«Appartiene ad un fabbricante di bacchette... Gregorovich, è uno che lavora dalle mie parti, molto bravo.»
«Dovremo lasciare la Gran Bretagna» constatai.
Grindelwald si limitò ad inclinare la testa da un lato a seguito di una breve alzata di sopracciglia, come per dire:”Ovviamente”.
Ero sì un egoista, ma non un irresponsabile. E poi, mantenevo le promesse e avevo promesso di non abbandonarli mai. Sospirai, mentre il mio cervello iniziava a lavorare frenetico.
«Non ti saprei dare una risposta immediata» rivelai «Sai con... loro, sono un po' limitato.»
«Capisco» disse solamente lui.
«La tua idea mi piace tantissimo» cercai di recuperare «Ma io non...»
«Lo so» mi interruppe lui. Socchiuse gli occhi. «Ti do tempo tre giorni per pensare, poi tornerò qui per sapere il responso.»
Non sembrava adirato od infastidito. Semplicemente deluso. O forse rassegnato.
Non saprei.
So solo che, a seguito di quelle parole, annuì e accompagnai la sua uscita oltre la porta con lo sguardo.
Quando egli chiuse la porta alle sue spalle, mi sentii come sprofondare nel terreno.
Lentamente.

Osservai i miei fratelli alla finestra la mattina seguente la discussione con Gellert.
Aberforth aveva un talento naturale nel trattare con Arianna: quando era con lui, lei neppure sembrava ricordarsi della magia che minacciava di sprizzarle in maniera incontrollata. Quella notte, aveva avuto un altro dei suoi attacchi: un boato mi aveva destato dal mio sonno e scoprii che era stata mia sorella in uno dei suoi momenti in cui non sapeva cosa significasse controllare i suoi poteri magici. La stanza era stata illuminata a giorno per qualche secondo da una moltitudine di luci bianche e verdi che scoppiettavano a ritmo.
Ci erano voluti un bel po' di ingegno e di mio talento magico per quietare quel compendio favoloso di magia. Mia sorella aveva tanto di quel potere magico che neppure lei si capacitava tanto di possedere.
Ma per calmarla, era dovuto intervenire Aberforth dove io avevo fallito.
Umanamente parlando, non ero grandioso come quando utilizzavo appieno il mio potenziale magico.
Ed ora ero qui che gli osservavo dalla finestra, mentre riflettevo sul mio futuro. La proposta di Gellert era molto molto allettante, ma come potevo lasciare i miei fratelli da soli? Soprattutto dopo quello che era successo quella notte? Aberforth sapeva anche come calmare Ariana, ma non gli incantesimi che volontariamente scagliava. Per quello... per quello vi era bisogno di uno come me.
Eppure, la soluzione proposta da Gellert Grindelwald era davvero la soluzione giusta: riunire i Doni per permettere ad Ariana di essere libera d'essere se stessa. Dovevo farlo per lei, partire per lei, partire per me e per avere finalmente la mia libertà.
Avrei istituito un mondo in cui io sarei stato libero, i miei fratelli sarebbero stati liberi e grazie tante.
Ma la realtà ripiombò come un macigno quando alle mie orecchie udii la risata di Ariana.
Come potevo realizzare un mondo nuovo se dovevo rimanere costantemente legato a Godric's Hollow?
Dovevo trovare una soluzione, in fretta

Una strana ed accecante luce biancastra avvolgeva il prato verde brillante. Camminavo da diverse ore senza meta e senza nessun motivo. Non capivo dove mi trovassi, mi senti disorientato.
Fu all'improvviso che vidi una figura familiare. Era un ragazzo dai capelli biondi e splendenti ed un'espressione seria dipinta in volto.
«Gellert» diss appena lo riconobbi «Che ci fa qui? Dove siamo...?»
Geller non mi rispose, ma mi intimò di seguirlo.
Camminammo ancora a lungo finché non ci trovammo al limite di un baratro.
«Questo è il mondo che vorrei realizzare, Albus Silente» dichiarò indicando con una mano ciò che vi era nella gola del baratro «Osserva, Albus Silente, e convincetene...»
Ed osservai. Ma quello che vidi non mi convinse, non mi convinse per nulla.
Sotto di noi vi era un immenso villaggio dominato dall'oscurità. I volti delle persone erano tristi, angosciati, terrorizzati. Molti di loro fuggivano come impauriti da qualcosa. E vidi maghi,
tantissimi maghi, utilizzare liberamente la magia, usarla contro i Babbani a volte...

Distolsi lo sguardo perché era davvero troppo. Il fatto fu notato da Gellert che affermò:«Questo è quello che vorrei fare con il tuo aiuto, Albus! Aiuta a trovare la grandezza!»
Non volevo aiutarlo, non volevo aiutarlo ad instaurare un mondo di terrore, sebbene questo comportasse sacrificare la mia libertà e quella dei miei fratelli. Cos'era la nostra libertà di fronte alla vita di milioni di innocenti che sarebbero caduti sotto gli incantesimi di maghi senza scrupoli?«Albus, ti prego» continuò Grindelwald «Non mettere prima gli altri del tuo benessere. Per il bene superiore, Albus Silente, per il bene superiore che noi facciamo tutto questo! Le vite dei Babbani sono nulla, rispetto al bene superiore...!»
E sorrideva. Sorrideva come mai lo avevo visto sorridere. Era un sorriso meraviglioso, splendente, colmo di gioia.
Non esisteva altro che il suo sorriso. Dimenticai le parole, dimenticai il mondo reale che Gellert voleva costruire. C'era solo il suo sorriso, il suo unico splendido sorriso.
Mi svegliai e mi alzai a sedere sul letto, cercando di ricordare ciò che avevo appena sognato. L'unica cosa che mi era rimasta impressa in mente era quel bellissimo, splendente sorriso.
Mi distesi di nuovo e mi rigirai dall'altra parte, con un sorriso stampato in volto.
Forse, non era una cattiva idea accettare la proposta di Gellert...

La porta della casa di Bathilda Bath aveva una curiosa sfumatura di marrone che non avevo mai avuto modo di osservare. Alzai il pugno per bussare ma esitai un attimo.
Ero sicuro di quello che stavo per fare? Ripensai al benessere che il sorriso di Gellert mi aveva lasciato dal risveglio fino a quando... be' fino a quando non ricevetti ciò che mi aveva spinto a recarmi in fretta e furia qua, di fronte alla casa della vecchia storica.
Un uccello tropicale e molto variopinto si era presentato nei pressi della mia finestra quella mattina, dopo che ero rimasto per qualche minuto ad occhi chiusi a bearmi della beatitudine che mi aveva lasciato il sogno. Avevo sentito un tic tic provenire dalla finestra e quello aveva rovinato tutta la magia del mio risveglio.
L'uccello tropicale portava con sé una missiva il cui mittente avevo intuito quale fosse.
Mi alzai dal letto e sfilai la pergamena dalle zampe dell'animale.
L'aprii.

Caro Albus,
Spero che tu stia bene ed anche la tua famiglia. Il mio giro intorno al mondo prosegue alla grande! Sono giunto in Africa e qui mi hanno mostrato molti incantesimi interessanti e moltissime curiosità riguardo la Trasfigurazione umana. A te sarebbe piaciuto davvero tanto! Appena tornerò ti racconterò nel dettaglio i segreti che mi sono stati rivelati.
Alcune cose che mi sono state svelata vanno al di là della mia comprensione, ma sono davvero certo che, se tu fossi stato qua, le avresti capite al volo.
Peccato non sia potuto venire! Capisco, comunque, che la tua famiglia venisse prima.
A presto,

Elphias

 

Come aveva fatto a frequentare una persona simile? Niente tatto, niente comprensione... e poi, quei maghi che avevano mostrato a lui – a lui?! - i loro segreti più profondi sulla Trasfigurazione...
Appallottolai la lettera con tanta veemenza che l'uccello tropicale sussultò. Gli intimai di andare via perché non avrei mai risposto ad una lettera simile. L'uccello pareva terribilmente offeso dalla mia reazione.
Ma non mi importava. Non mi importava più.
Basta Elphias.
Basta giro intorno al mondo.
Basta responsabilità.
Mi vestii di tutta fretta e corsi dirtto alla porta di Gellert.

Ed ora ero qua col pugno sospeso in aria, indeciso. Tutta la furia e la rabbia che prima m avevo invaso, ora stavano lentamente scemando. Fece un respiro profondo.
Dovevo prendere coraggio.
E bussare.

Bussai.

La porta si aprì. Il volto di Gllert spuntò dalla fessura. Era raggiante, o forse era solo la mia immaginazione.
«Accetto» dissi.
Il volto del ragazzo si aprì in un sorriso lasciandomi interdetto per un momento.
«Ad una condizione però»
Il volto divenne corrucciato.
«Verrò alla ricerca della bacchetta la notte, così evito che i miei fratelli possano accorgersi della mia assenza...»
«Ma...»
«Non chiedermi spiegazioni ulteriori, perché non te le darò.»
Gellert sorrise. «In realtà, volevo solo dirti benvenuto a bordo.»
 

 

 

Perdonate la mia lunghissima assenza, davvero. L'università e gli impegni ad essa connessi mi hanno letteralmente fagocitata lasciandomi davvero poco spazio per dedicarmi appieno e come vorrei a questa long a cui tengo davvero tanto.

Per ora, ho intenzione di rimanere molto soft e tranquilla: Albus sta conoscendo Gellert, ancora deve capirlo, inquadrarlo per fidarsi di lui ciecamente. Poi, prometto, che sarò il più spietata possibile.

Suggerimenti ed altro sono ben accetti.

Spero che il capitolo si stato apprezzato e arrivederci al prossimo (aggiornerò presto, davvero lo prometto!)

 

Shurq  

   
 
Leggi le 1 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<  
Torna indietro / Vai alla categoria: Libri > Harry Potter / Vai alla pagina dell'autore: Shurq Elalle