El, cara.
Non sapevo cosa scriverti, davvero. E soprattutto, come farlo.
Sappi che io stessa dubito della
sensatezza delle mie parole.
Sappi che l’ho scritta con freddezza
ed emozione, se esiste una cosa del genere.
Sappi che, al di
là di tutto, ci ho provato, date le premesse che mi sembravano
impossibili.
Spero solo che in qualche strano,
contorto modo, tu trovi il modo di fartela piacere.
In ogni caso, tanti auguri, che la
tua vita sia come il tuo nome, davvero Serena.
Un abbraccio,
S.
Solo per i
tuoi occhi
Stesa sul letto, i polsi che
sfregavano contro la testiera, riusciva a vedere solo lui.
Quei
capelli argentati prima del tempo, quello sguardo dall’intelligenza repentina,
quelle labbra morbide e taglienti…lui.
“Sakura…” si sentì chiamare mentre piano piano le
cose riprendevano ad avere un contorno. Vago, sfuocato.
“Sakura…” ancora, solo il
suo nome.
“K-kabuto”
sussurrò la ragazza con gli occhi ancora pesanti, le palpebre malferme per la
stanchezza e il capo leggermente piegato di lato. Sì, era lui.
Una settimana prima
“Kabuto Yakushi” il giovane medico
sussurra sistemandosi gli occhiali sul naso. Sakura lo scruta attentamente,
mentre lui pare non farle caso, non più di tanto.
E
lei si scopre a pensare che ha degli occhi davvero belli, dietro quelle lenti,
belli e profondi, di un nocciola caldo, non freddi come quelli di…e deve
smettere di pensarlo, deve smettere di pensare a Sasuke:
in fondo è la ragione per la quale ha cambiato ospedale; dopo tutto, è la ragione per la quale ha cambiato vita, forzatamente.
“Haruno, ti sembrerà strano, ma non sono qui per fare
conversazione” la richiama all’ordine il suo supervisore, voltandole le spalle.
“Sì,
certo” mormora lei in risposta, seguendolo con ostentata
disinvoltura.
E
lui si scopre a pensare che ha degli occhi davvero belli, sotto quella frangia,
belli e sorridenti, di un verde vivo, non morti come quelli di…e deve smettere
di pensarlo, deve smettere di pensare a Orochimaru: in fondo è la ragione per la quale ha cambiato
ospedale; dopo tutto, è la ragione per la quale ha cambiato vita, forzatamente.
“Non muoverti” c’era un tono
di urgenza nella voce del ragazzo, come se stesse
dominando una paura, o una passione.
“Che vuoi fare?” le parole faticavano
a uscire dalle labbra carnose della ragazza, troppo pigre
per lasciare il palato, troppo pacate per tanta amarezza.
“Curarti” fu
la risposta secca di lui “O ucciderti, non ho ancora deciso” terminò con
un sorriso monco, scuotendo il capo.
Sakura espirò, trovando
stranamente difficile eseguire quel compito tanto semplice.
“Non muoverti” ripeté Kabuto “Hai ferite ovunque,
finirai per morire dissanguata se ti dimeni”, sussurrò quasi affascinato
da tutto quel sangue, vampirescamente attirato da
quel rosso intenso.
Eppure il suo tocco era
leggero, le sue mani esperte mentre le sfiorava i seni
per stare a sentire il suo cuore che, stranamente, si mise a battere
all’impazzata sentendolo così vicino. Kabuto si
concesse un sorriso.
Sei giorni prima
“Ho
fatto tutto quello che mi aveva chiesto. Ha qualche altro compito per me?”
domanda Sakura sbattendo la cartella medica sulla balaustra della guardiola.
“Il
tuo turno è finito mezz’ora fa, Sakura, puoi fare quello che vuoi del tuo tempo
libero” è serafica la risposta di lui, mentre si passa
una mano tra i capelli argentati, senza staccare gli occhi dalle cartelle
cliniche.
“Il
suo è finito tre ore fa” rimarca Sakura, cercando i suoi occhi, implorando la sua attenzione.
“Posso
fare quello che voglio del mio tempo libero, no?”.
“Ah, Sakura” il ragazzo
sospirò, combattuto. “Che devo fare con te?” domandò
sconsolato.
Lei deglutì, incerta.
Eccitata. Ora la mano di lui si muoveva ritmicamente all’insù, sfiorandole lo sterno, risalendo
lungo la trachea e lisciandole involontariamente una guancia, leggera.
“Sakura, Sakura…” ripeté Kabuto chiudendo gli occhi.
Li chiuse anche lei, come di
riflesso.
“Sai qual è la cosa che mi
fa più arrabbiare?” domandò poi il ragazzo, guardandola ammirato dopo un lungo
sospiro “Che io e te avremmo potuto fare grandi cose,
insieme…”
Cinque giorni prima
“E questa sarebbe la tua idea di divertimento?” una risata
cristallina infrange il silenzio tra loro due, nel caos della festa in pieno
svolgimento.
“È
quello che la gente normale fa per divertirsi” Sakura annuisce, tentando di non
cercare ancora quegli occhi neri tra la folla.
“Lo
sai cosa faccio io, per divertirmi?” domanda lui, un lampo negli occhi e così sicuro di sé.
“Spilli
bamboline vodoo?” chiede lei sarcastica.
Kabuto alza
un sopracciglio mentre si erge in piedi,
incredibilmente attraente. “Vieni con me e lo scoprirai”.
“Sei così intelligente
Sakura…” mormorò il ragazzo toccandole i capelli, facendola
gemere a quel contatto “Sei così bella e intelligente” ripeté chinandosi
a sussurrarle all’orecchio quelle stesse parole. C’era davvero elettricità
nell’aria o era solo lei che la percepiva? C’era davvero un vibrare di
particelle microscopiche o era lei che era spaventata a morte?
“Ti prego…” si trovò a
sussurrare, senza sapere nemmeno lei cosa stesse
implorando.
Ti prego,
slegami?
Ti prego,
guariscimi?
Ti prego,
uccidimi?
Quattro giorni prima
“Ehi
dottore, io ho finito” dichiara la rosa togliendosi il camice.
“Rispetto,
Haruno, siamo al lavoro” la riprende lui, che è il
suo diretto supervisore.
“Ci
vediamo alle cinque, da te?” fa lei sfacciata, addentrandosi sicura nel suo
spazio personale, respirandogli sul collo.
Kabuto
la blocca per il polso: “Piantala”.
“Non
vuoi che nessuno sappia, vero?” ride Sakura, d’un tratto
maliziosa “Indovina un po’, io lo so il tuo segreto…”
“E io il tuo. Alle cinque da me” mormora Kabuto,
e finalmente, le lascia il polso.
Sentì Kabuto
sorriderle vicino al lobo dell’orecchio, lo sentì tracciare con la lingua il
bordo della ferita che ancora le bruciava sulla guancia; si ripeté, da manuale,
che era un disinfettante, si ripeté, da manuale, di stargli lontana. Anche se forse era troppo tardi.
“Si rimarginerà presto” annunciò
lui con tono improvvisamente professionale, per poi avvicinarsi ancora alle
labbra della ragazza, parlare su di esse, mentre dalle
sue uscivano grugniti simili a lamenti, o a sospiri, o a deliri.
“Saremmo stati perfetti
insieme” sospirò lasciandosi andare sulle labbra di lei,
il suo volto maledettamente vicino, il suo alito decisamente invitante. Era stata tutta colpa sua.
Tre giorni prima
“Non
riesco a crederci” sussurra Sakura stringendo il braccio di
lui, sopraffatta dall’emozione mentre strizza le lenzuola candide, da
ospedale. “Sei stato fantastico” mormora sfiorando il volto pallido con gli
occhi chiusi, che ben conosce. Ne traccia i contorni, chiudendo gli occhi e
ripassando le angolature, le deformità, tutto. È ancora, innegabilmente
bellissimo. Ancora di più, se possibile.
“Apri
gli occhi…” sussurra poi alla figura distesa “Apri gli
occhi, amore mio…”.
“Apri gli occhi, Sakura,
voglio che mi guardi” il tono di Kabuto era pacato, eppure non ammetteva obiezioni. Lei obbedì, forzando
la stanchezza che la possedeva, chiedendosi se non fosse
stanco anche lui, oramai.
“Spiegami perché due anime
gemelle come noi non possono stare insieme. Vogliamo
le stesse cose, abbiamo le stesse motivazioni, le
stesse passioni” mormorò Kabuto facendo pressione
sulla sua pelle, circondandola con il suo corpo.
Sakura gemette, sistemandosi
tra le sue braccia.
“Eppure”
continuò lui, lisciandole i capelli “Eppure a te non basta, tu vuoi di più. Che cosa vuoi ancora, eh?”
Due giorni prima
“Sei
qui con me, amore mio, sei qui con me” sussurra stringendolo a sé, beandosi del
suo calore che non avrebbe mai più pensato di sentire, del suo odore che le
riempie le narici, del suo sapore salato e acre.
Il
ragazzo non ha la forza di dimenarsi, la volontà di andare via; è come un
involucro vuoto tra le braccia di chi l’ha desiderato troppo a lungo per
lasciarlo andare dopo tante emozioni.
“Sasuke…” mormora lei prima di baciarlo sulle labbra.
Kabuto continuava a medicarla, mentre percepiva un senso di
stanchezza impadronirsi di lui, intorpidirgli le membra: “Orochimaru
non tornerà, e Sasuke non tornerà,
non ti basta sapere questo? La verità era che loro si bastavano, Sakura. Loro.
Loro, senza di noi” il discorso di Kabuto era tornato
un sussurro sulla sua pelle, una scia di calore sul suo collo e una carezza
delicata tra le sue braccia, intervallata da strette repentine
e lividi non preventivati, martoriazioni tutto
sommato innocenti su quel corpo che aveva provato il dolore dell’anima altrui,
quella nera che brucia, di chi ama e non è riamato.
Il giorno
prima
“È
qui, vero?” Kabuto è fuori di sé, i suoi occhi
impazziti che vagano ovunque.
Sakura
lo guarda con occhi persi, e il sangue amaro in bocca, ovunque.
“Chi?”
sussurra flebile, allo stremo delle forze.
“Non
scherzare con me, puttanella” la minaccia è reale sul
suo corpo, premuto tra quello di lui e la porta.
“Se
ne sono andati” mormora senza fiato la rosa.
“Che vuoi dire, se ne sono andati? E
perché diavolo sanguini, Sakura?”
“Orochimaru…” si fa forza la rosa “Orochimaru ha rivoluto Sasuke, e
per farlo aveva bisogno di sangue…siamo dello stesso gruppo, sai?” sorride
flebilmente, mentre Kabuto la prende tra le braccia.
“L’ha preso e se n’è andato, e mi ha lasciata qui…Kabuto…”
“Ci
penso io, Sakura, ti salvo io…” il ragazzo cambia
d’espressione in un istante, sussurra febbrilmente mentre la poggia sul lettino
e comincia a curarla, la rabbia d’un colpo svanita, una luce nuova nei suoi occhi.
La guardava con una strana
luce negli occhi mentre mormorava: “Dobbiamo imparare
il confine tra ciò che è sano e ciò che non lo è. Mi ripetevano
sempre questo in clinica, lo sai? E il mio limite Sakura…ci ho pensato, potresti essere tu” disse piano, leccandole la
ferita. “Potresti salvarmi come hai salvato il tuo prezioso Sasuke,
che se ne è andato col mio maestro, potremmo ripagarli con la nostra felicità mentre loro
sono chissà dove, solo grazie a noi, potremmo…”.
Potremmo…quante possibilità aveva
pensato Sakura nella sua vita, quanti “se”, quanti “speriamo”…la verità era che
più ti lasciavi andare, più ti lasciavi amare, più le cose sfuggivano dal tuo
controllo…
Non parlava più. D’un tratto, Kabuto non parlava
più.
Sakura annusava avida i suoi
capelli, toccava meravigliata le sue membra e ne
contornava curiosa i muscoli. Kabuto. Fedele,
appassionato, freddo Kabuto.
Era così anche Sasuke: così bello, così determinato, così zelante. E
nessuno dei due lo era per lei, perché per quanto si
sforzasse, per quanto ci provasse con tutta se stessa, Sakura non poteva
dirigere i loro cuori, non poteva volgere i loro sguardi verso il verde dei
suoi occhi, non poteva distoglierli dalle pupille nere di Orochimaru.
Accarezzò dolcemente i
capelli argentati, rimarginò lesta le proprie ferite col chakra
che le aveva passato Kabuto
poco prima, poi lentamente, controvoglia, si alzò, e posatolo sul letto andò nell’altra
stanza per prendere guanti e bisturi.
“Ora di mettersi al lavoro”
sussurrò. E sorridendo, concesse un’ultima occhiata a Sasuke, che la guardava con gli occhi sgranati, le pupille
impazzite e il corpo impotente a qualsiasi movimento. Vivo eppure
immobile. Sembrava avvolto in una specie di ragnatela, una rete fitta di chakra che lo manteneva immobile. Neppure Orochimaru sarebbe riuscito a toglierlo da quella vita inerme,
se anche avesse voluto. La verità era che non c’era stato nessun Orochimaru, solo una povera, piccola impotente Sakura, che
per una volta aveva avuto il coraggio di prendersi ciò che voleva.
“Non mi guardare così, caro,
come se tu non avessi mai detto una piccola bugia!” sorrise Sakura
carezzandogli il volto “Presto sarai in compagnia, amore…E non mi giudicare,
l’ho fatto solo per te…” mormorò “solo per i tuoi occhi”.