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Autore: Mary P_Stark    05/02/2016    4 recensioni
1803. Yorkshire. La guerra infuria, in Europa, e Napoleone Bonaparte non nasconde le sue mire nei confronti della ricca Inghilterra. Christofer Harford, figlio cadetto del Conte Spencer, viene costretto dal padre a maritarsi prima della partenza per la guerra. Le imposizioni non sono mai piaciute al rampollo di casa Spencer, che mal sopporta l'ordine, e finisce con il rendere vittima la dolce e docile Kathleen, sua moglie contro ogni aspettativa. Le privazioni della guerra e la morte prematura del conte Harford richiamano in patria un Christofer distrutto dal dolore, che si ritrova ad affrontare non solo la morte del conte, ma anche una donna che non riconosce essere sua moglie.
Perché la nuova Kathleen è forte, non si piega alle avversità e, soprattutto, sa tenere testa al marito come mai aveva fatto prima della sua partenza. Ma cosa l'ha cambiata tanto?
Christofer è deciso a scoprirlo, così come è deciso a redimersi dalle sue colpe come marito. Ma nubi oscure si addensano all'orizzonte, minando la possibilità dei due coniugi di conoscersi, di instaurare un vero rapporto.
Saprà, Christofer, difendere la moglie da questo pericolo ormai alle porte e, nel suo cuore, potrà trovare spazio anche per l'amore?
Genere: Romantico, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Storico
Capitoli:
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3.
 
 
 
 
 
Trafalgar, 21-X-1805
 
 
 
L’aria era densa, ammorbata da un fumo nero e acre che graffiava la gola e gli occhi.

Tutt’intorno, il rombo dei cannoni si confondeva con le grida degli uomini in battaglia.

Il clangore feroce delle spade feriva le orecchie mentre, cozzando tra loro, dipingevano archi ferali nell’aere ricco di odio.

La battaglia infuriava da ore, niente sembrava in grado di porvi un freno.

Nonostante il potente enclave nemico – formato dalle navi spagnole e francesi riunite assieme –  l’armata britannica reggeva bene il colpo.

L’Ammiraglio Nelson, al mascone di dritta della Victory, la nave che comandava con destrezza e abilità, era alla testa delle due linee di attacco.

Al suo fianco, la Royal Sovereign del Vice-Ammiraglio Collingwood, suo amico di vecchia data e grande esperto di marineria, lo spalleggiava con vigore e abilità.

Sfruttando con abilità un inusuale schema di attacco1, contrario a tutti i canoni della battaglia marittima, Nelson era riuscito a sfondare le linee nemiche.

In quel modo rocambolesco e inedito, era infine riuscito a porre sotto il fuoco dei cannoni britannici entrambe le armate nemiche.

Arpioni vennero perciò lanciati in aria per abbordare le navi e Andrew, fianco a fianco con Christofer, sogghignò all’indirizzo dell’amico.

“A chi arriva per primo al capitano della Belle Mer! Ci stai, Harford?”

“Sei pazzo! Io punterò a farne fuori il più possibile e basta. Non mi interessa il grado delle loro mostrine!” sbuffò l’amico, acquattato dietro l’impavesata di dritta2.

In attesa dell’urlo del capitano, che avrebbe dato loro il via per l’arrembaggio alla nave, Christofer fremeva di impazienza e paura assieme.

Tutt’intorno a loro, caos, urla, sangue e morte.

Willford gridò all’improvviso, sovrastando con la sua voce stentorea il crepitio proveniente dalle imbarcazioni vicine, che stavano già ardendo sotto i loro occhi.

Il cannoneggiamento subito dai brigantini inglesi aveva lasciato il segno, e ora era tempo di abbordare.

Come un sol uomo, i membri della White Star si lanciarono sulle passerelle gettate tra le due navi, dando l’assalto alla fregata francese che avevano preso di mira.

Da quel momento non vi fu più spazio per pensare.

I colpi dei moschetti sibilarono vicino alle orecchie di Chris mentre, con precisione mortale, affondava la sua spada nel petto dei nemici.

Andrew, poco lontano da lui, si avventurò con grazia ferina lungo il ponte, menando fendenti su fendenti, e gridando con ferocia a ogni nuovo assalto.

Il visconte non ebbe il tempo di controllare che, al suo amico, stesse andando tutto bene, poté solo sperare che quello non fosse il suo giorno.

Era già difficile, per non dire impossibile, tenere a bada la sua stessa sorte, figurarsi quella altrui.

Sotto il sole pallido di quel giorno di ottobre, la battaglia perdurò per un tempo indefinito, lasciando dietro di sé corpi morti e sangue rappreso.

Quando infine gli uomini della White Star guadagnarono la sottocoperta, si rallegrarono del bottino che, entro breve, avrebbero ricondotto a bordo.

Sceso per primo lungo le strette e ripide scale di legno che conducevano dabbasso, Chris si volse indietro per controllare che Andrew fosse con lui. 

Nel momento stesso in cui il giovane mise piede sul pagliolo3 di sottocoperta, esclamò allegro: “Il re sarà fiero di noi, amico mio! Guarda quanta bella roba!”

Già sul punto di ridere dell’allegria dell’amico, Christofer ebbe sì e no il tempo di gridare per la sorpresa quando, da babordo4, un colpo di cannone sfondò la fiancata.

Il colpo scaricò tutt’intorno schegge di legno, metallo e tutto ciò che la palla di metallo, scagliata da una nave limitrofa, trovò sul suo cammino.

Atterrando in malo modo a circa cinque iarde dal punto d’impatto, la gamba trafitta da un dolore lancinante, Chris cercò comunque di alzarsi a sedere.

Fu così che scoprì di avere il braccio destro ricoperto di sangue, dolente all’altezza del bicipite.

Controllatolo, trovò una profonda ferita a squarciarne le carni, inferta sicuramente da un oggetto contundente, infrantosi contro di lui a causa del colpo di cannone.

Pur se sanguinante, non sembrò comunque così brutta da doverlo preoccupare.

Quel che, invece, vide sulla sua gamba destra, lo mise subito in allerta.

Un pezzo di legno lungo almeno un piede spuntava dai suoi calzoni, acuminato e feroce come una spada.

Dal muscolo tranciato, giungevano scosse dolorose così forti che, se fosse stato in un’altra situazione, avrebbe urlato a squarciagola per il male.

Guardandosi in fretta attorno, accertandosi di non avere potenziali nemici nei pressi, si rilassò immediatamente quando vide comparire dalla scaletta alcuni dei suoi compagni.

Evidentemente, la nave era in mano loro.

Questo gli permise di concentrarsi sulla ricerca di Andrew che, sicuramente, doveva essere nei paraggi, probabilmente ferito a sua volta.

Di certo, avrebbe avuto una battuta pronta anche per quell’evento, ne era più che sicuro.

I chiari occhi color del ghiaccio di Christofer si misero perciò alla ricerca della sua figura, mentre alcuni marinai lo raggiungevano per conoscerne le condizioni.

Quando infine scorse la chioma biondo scura dell’amico, a poche iarde da lui, si accigliò immediatamente e il panico tornò ad assalirlo.

Qualcosa non andava.

Aiutato da alcuni uomini della White Star a rimettersi in piedi, Christofer ansò spaventato: “Controllate lord Barnes! Presto!”

Completamente addossato a uno dei marinai, il visconte osservò gli uomini che, con competenza, spostarono il materiale che ricopriva il corpo inerme di Andrew.

Scoprire cosa, quelle assi scomposte, avevano nascosto alla sua vista, fu uno shock.

Sgranando gli occhi fin quasi a farsi male, Harford fissò incredulo l’enorme pezzo di legno che, come una freccia, trafiggeva il petto dell’amico, all’altezza del cuore.

Non un alito usciva dalle sue labbra dischiuse, né la parvenza di una scintilla di vita brillava in quegli occhi azzurri, spalancati e vacui.

Arrancando verso di lui dopo aver abbandonato il fianco del marinaio che, fino a quel momento, lo aveva sorretto, Christofer crollò accanto all’amico scuotendolo con forza.

Sapeva quanto inutile fosse quel gesto, ma non riuscì a impedirselo.

Gli occhi inondati di lacrime, il visconte sfiorò con dita tremanti il viso di Andrew, sussurrando il suo nome con tono incredulo.

Al suo fianco, sempre più marinai si assieparono per osservare mestamente il corpo morto del giovane baronetto.

Strette le mani ad artiglio sulla blusa blu macchiata di sangue, Christofer si ripiegò su se stesso, fin quasi a sfiorare il viso di Andrew con i capelli. 

Facendo sobbalzare tutti i presenti, lanciò poi un grido disumano, colmo di tutto il suo dolore, la sua frustrazione, il suo senso di perdita.

Con rabbia sempre maggiore, cominciò a picchiare i pugni sul pagliolo insozzato di sangue, polvere e detriti.

Mentre i marinai lo portavano via perché fosse curato, Christofer continuò a urlare il nome dell’amico sempre più forte, sempre più forte. Ininterrottamente.

Raggiunta finalmente la  coperta della nave ormai conquistata, gridò ormai allo stremo: “Non gettatelo in mare! Non gettatelo in mare!”

Ciò detto, il dolore prese il sopravvento sulla sua volontà di non perdere di vista l’amico e, come una marionetta senza più fili a sostenerla, crollò svenuto tra le braccia dei marinai.

Nel cielo, un albatro lanciò il suo lugubre richiamo.
 
***

Sprazzi di lucidità si alternarono a ore di delirio, mentre sogni di luoghi e persone che non conosceva, o pensava di non conoscere, si alternavano a suoni confusi, voci roche e preoccupate.

Il dolore che lo attanagliava era così forte, così incessante, che anche gridare era ormai divenuto inutile.

La morte sembrava la soluzione migliore, eppure la Falce Nera sembrava non voler giungere, almeno non per lui.

Quale sollievo sarebbe stato!

Nessun problema, nessuna ansia, nessuna responsabilità.

Si sarebbe lasciato trasportare via, lontano da tutto ciò che rappresentava una sofferenza per lui, e avrebbe ritrovato…

“Andrew…” gracchiò senza forze, riaprendo gli occhi, sgranandoli fino al limite consentito.

Una mano si poggiò sul suo torace dolente, impedendogli di muoversi, mentre un volto a lui familiare comparve dinanzi ai suoi occhi, sorridendogli ironico.

“Hai la pellaccia dura, Harford. Ormai pensavamo di averti perso.”

Christofer strizzò gli occhi per un attimo prima di mettere a fuoco quel viso scavato dalla barba incolta e gli occhi neri, che lo stavano fissando con quieta comprensione.

Il dottor Hellisson.

“God… Godfried…” ansò il visconte, la gola riarsa e dolorante.

Subito, il dottore lo sollevò appena per permettergli di ingollare un sorso di acqua mescolata a whisky.

Dopo aver tossito un paio di volte, riuscì ad articolare un’intera frase senza doversi fermare.

“Cos’è successo, dottore?”

Poggiate le mani sui fianchi stretti, l’uomo lo fissò per alcuni attimi, forse indeciso sul da farsi, prima di mormorare spiacente: “Lord Barnes è morto. Non abbiamo potuto fare nulla, per lui.”

La gola si mosse a vuoto, la bocca nuovamente secca.

La saliva non riuscì a scivolare in gola, per chetare il dolore che gli pulsava nella laringe.

Le mani artigliarono la tela ruvida dell’amaca su cui era disteso e, mentre stralci di immagini iniziavano a balenare come spettri nella sua mente, lui rammentò.

Il colpo di cannone, la ferita di Andrew, le sue urla disperate, lo svenimento.

Lappandosi le labbra inutilmente, anche la lingua era screpolata e asciutta, Christofer ansò: “Che ne è stato… di lui?”

Accennando un mezzo sorriso, Hellisson gli spiegò succintamente: “Il mastro d’ascia gli ha preparato una cassa in cui è stato sistemato, in attesa di arrivare a Londra.”

Un sospiro di sollievo fu seguito da una domanda silenziosa, dipinta nei suoi occhi chiari.

Il dottore, accomodatosi su un piccolo treppiede di legno, lo informò su ciò che, durante la sua lunga agonia, Christofer non aveva potuto sapere.

“L’Ammiraglio Nelson è morto per un colpo di moschetto, durante i combattimenti, ma la flotta britannica ha comunque sgominato il nemico e il comandante della marina francese, Villeneuve, è stato catturato. In questo momento, lo stanno conducendo a Londra perché sia incarcerato. Tu hai riportato ferite di diversa entità, e hai avuto la febbre per quattro giorni. Da stamattina, sei sfebbrato. Il braccio destro ha subito una lieve lacerazione al bicipite, ma sta guarendo bene. Ti ho tolto dal torace diverse schegge di legno, e i tagli guariranno perfettamente nel giro di un mesetto. Che mi preoccupa, è la tua gamba destra.”

Christofer lanciò un’occhiata dubbiosa all’indirizzo dell’arto, trovandolo fasciato e steccato per maggiore sicurezza.

Pulsava tremendamente e, a giudicare dalla macchia scura che intravedeva, la medicazione avrebbe dovuto essere sostituita entro breve tempo.

“Ti ho applicato dell’allume di rocca5 per ridurre l’emorragia, dei cataplasmi per evitare infezioni e ho ricucito la ferita meglio che potessi, ma la lacerazione era così importante e profonda che, temo, potresti rimanere zoppo a vita. Con un buon esercizio e tanta pazienza, potresti anche non aver bisogno del bastone, ma sarai sempre un po’ claudicante” gli spiegò il dottore, seguendo la direzione dello sguardo del suo paziente.

Con un ironico sorriso di scherno, Christofer scrollò poi le spalle prima di indicarsi la gola e gracchiare: “La voce?”

“Hai urlato così forte il nome di Andrew, e per così tanto tempo, che hai irrimediabilmente rovinato le tue corde vocali. Ora sono irritate ma, nel giro di un mese o due, dovresti recuperare parte del tuo tono di voce. Scordati di urlare però, perché d’ora in poi non ci riuscirai più” lo mise in guardia Hellisson, ammiccando.

“Ottimo” brontolò lui. “Ne sarà felice mia…”

Non riuscì a terminare la frase.

Il pensiero di Kathleen, e del fratello, gli balenò nella mente come un colpo di moschetto, facendolo rabbrividire di terrore puro.

Avrebbe dovuto essere lui a informarla, lui a sorreggerla, lui a consolarla.

Non aveva idea se sarebbe stato in grado, o meno, di adempiere a quel compito così infelice.

Dio! Dopo il figlio, ora, anche il fratello!

Come avrebbe potuto affrontare tutto questo? Si poteva chiedere tanto, a una donna?

“Non è tutto” lo informò il dottore, accigliandosi leggermente.

“Cioè?” mormorò Christofer, adombrandosi in viso.

“Tuo padre è morto poche settimane fa. Ce ne è giunta notizia ieri. Il re ha disposto che tu sia ricondotto a casa per prendere le redini della tua famiglia, visto che sei l’unico maschio in età matura – e in salute – degli Harford. Mi spiace” sussurrò contrito l’uomo.

Christofer si limitò ad annuire, non sapendo bene come sentirsi.

Sapeva che, bene o male, tutta la nobiltà era a conoscenza della salute cagionevole di Wendell e molti, addirittura, scommettevano su quanto tempo sarebbe sopravvissuto.

Gli sciacalli!

Non faceva specie che Godfried avesse parlato di lui come dell’unico figlio maschio sano, in famiglia.

A quanto pareva, però, Wendell aveva battuto ogni pronostico, sopravvivendo al padre.

Morto. Suo padre era morto.

La testa gli crollò sul misero cuscino di rozza juta e, chiusi un momento gli occhi, cercò di concentrarsi su quella semplice parola. Morto.

Cosa provava? Dolore, afflizione, risentimento, paura?

Niente. Non provava niente.

Il che, forse, era peggio di qualsiasi altro sentimento.

Possibile che la guerra avesse rinsecchito le sue emozioni?

Non lo credeva.

La morte di Andrew serpeggiava dentro di lui, lasciando morsi sanguinanti nella sua anima, e quei colpi di zanna li sentiva tutti. Percepiva un dolore lanciante.

Perciò?

Non c’era dunque spazio, nel suo cuore, per una goccia di dolore per la scomparsa del padre?

Forse no, visto come si erano lasciati, visto come aveva rovinato la sua vita, visto quanto poco – da sempre – era stato compreso da lui.

Quando riaprì gli occhi, erano asciutti e, fissando il dottor Hellisson, mormorò roco: “Il re mi rivuole a casa, eh?”
“Ha pensato che la tua famiglia abbia già subito troppi lutti” commentò atono il dottore.

Come se le altre famiglie non avessero subito la loro stessa sorte.

Ma essere cugini del re, seppure alla lontana, contava ancora qualcosa e, in quel momento, quella scomoda parentela lo stava riportando a casa.

Senza più forze, tornò a chiudere gli occhi. C’era troppo a cui pensare, e non ne aveva ancora la forza.

Il dottore gli diede una pacca sulla spalla, levandosi dal treppiede.

“Riposa. Per arrivare a Londra, mancano ancora alcuni giorni di viaggio. La White Star è parecchio acciaccata, e non viaggia con il suo solito spunto.”

Chris abbozzò un sorriso e, dopo un sospiro, si addormentò.

 
 
 
 
 
 
 
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1.…schema di attacco: faccio riferimento all’attuale ‘strambata’, elson ideò proprio per combattere durante la Battaglia di Trafalgar.
2.Impavesata di dritta: l’impavesata è il parapetto della nave. La dritta è la destra.
3.Pagliolo: piano rimovibile su cui si può camminare. Forma i vari pavimenti di sottocoperta della nave e, all’occorrenza, può essere asportato per portare un maggiore carico nella stiva.
4.Babordo: parte destra della nave.
5.Allume di rocca: o allume di potassio. Minerale utilizzato un tempo come emostatico, serviva cioè a ridurre le emorragie.






Note: So che in questo momento mi odierete ma, ai fini della storia, Andrew aveva questo destino in tutti i possibili finali che ho visto per questa storia. Vi sarà più chiaro tutto quando sarà Myriam a parlare ma, per il momento, abbiate fiducia.
So che il dolore potrà essere grande, come è giusto che sia se vi siete già affezionate al personaggio, ma lo è anche per colei che lo ha creato, e per i personaggi ad esso legati.
Spero di ritrovarvi anche la prossima settimana. A presto!
  
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