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Autore: Raykha    09/02/2016    1 recensioni
Sherlock, dopo aver fatto nuovamente imbestialire John, tenta di elaborare i suoi sentimenti per il buon dottore (e il fatto di avere sentimenti in generale) con un piccolo aiuto. L'ho scritta dopo aver visto il mini episodio "Many happy returns" ed è la mia prima storia in assoluto, siate clementi ;)
Genere: Fluff, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Watson, Quasi tutti, Sherlock Holmes
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Sherlock aprì gli occhi. Si trovava di nuovo a casa, di John non c'erano tracce. Nell'angolo della cucina, china sul microscopio, Sherlock scorse una figura a lui familiare, che non indossava altro se non il cappotto del detective. "Entra pure, Sherlock" disse La Donna.

"Sei Irene Adler, o solo uno spirito con le sue sembianze?"

"Avvicinati, e vieni a conoscermi - disse con un leggero tono divertito – io sono lo spirito del tuo Presente. Hai mai visto un altro come me prima? Sei mai andato a passeggio con i miei fratelli maggiori?" lo Spirito-Irene lo guardava con lo stesso sguardo enigmatico della vera Irene.

E proprio come succedeva con la vera Irene, Sherlock non riusciva a dedurre nulla da quello Spirito.

"Io... non credo, no. Hai molti fratelli, Spirito?" lo Spirito si mise a ridere "Più di duemila" disse poi. Sherlock era ancora un po'triste, non smetteva di pensare a John. "Spirito, conducimi dove vuoi."

Irene rise ancora più forte, e gli porse la mano, che Sherlock prese. Irene, o meglio lo Spirito, si sporse verso il microscopio e fece uno strano gesto con la mano. Il microscopio sul tavolo della cucina si alzò in aria, volteggiando davanti al volto di Sherlock, e le lenti divennero gigantesche, fino a costituire una specie di enorme schermo che mostrava una panoramica aerea di Londra. "Affascinante" In un altro momento Sherlock avrebbe pensato a come tutto ciò potesse essere reale, e tuttavia potenzialmente utile, ma ora era solo rapito dalla bellezza che lo spirito gli mostrava. Londra, la sua magnifica Londra. "Il mio dovere è mostrarti il Presente, Sherlock, e ora ti mostrerò cosa significa provare qualcosa." "Io non provo niente." replicò il consulente, scettico.

"Sherlock – disse dolcemente lo spirito – non sapere quello che si prova, è diverso dal non provare niente." Il detective ammutolì, capendo che non era il momento delle obiezioni.

Lo schermo mostrò un pub nel centro di Londra, e Sherlock lo riconobbe perché John lo aveva menzionato spesso come uno dei preferiti di Lestrade. Infatti sullo schermo apparvero una dozzina di agenti di New Scotland Yard, che festeggiavano la chiusura di un caso, compresi Donovan, Anderson, e Lestrade.

Videro Greg proporre un brindisi, alzando il bicchiere: "Allora, da dove comincio? Intanto, vorrei brindare alla salute di tutti voi. Siete una grande squadra – Sherlock sbuffò, ma Irene gli diede una gomitata – e sono fiero di essere il vostro capo, e di lavorare con voi. Ma vorrei brindare a un uomo che non è qui. Ragazzi, brindiamo a Sherlock Holmes. Certo, non è l'uomo più simpatico della terra, né il più facile con cui avere a che fare. Ma nonostante tutto, sono contento di averlo conosciuto, perché mi spinge a essere migliore, a lavorare più sodo, e perché mi ha insegnato che non è importante l'apparenza, ma ciò che si nasconde in profondità. Sherlock Holmes è un grand'uomo, e un giorno, se saremo molto, molto fortunati, sarà anche un brav'uomo. A Sherlock!" Seguirono grida e tintinnare di bicchieri. "Greg..." disse Sherlock, un po' sorpreso e un po' lusingato.

"Allora te lo ricordi il suo nome!" lo schernì lo Spirito-Irene. Il detective non rispose.

L'immagine sullo schermo cambiò, e Sherlock si ritrovò a guardare l'obitorio del Bart's. Sherlock sorrise vedendo Molly intenta a compilare una serie di moduli. Lo schermo mostrò al detective tutte le volte che Molly gli aveva fatto un favore sorridendo, come era arrossita quando le aveva fatto un complimento, e come Molly si preoccupasse per lui, quando non riusciva a venire a capo di un problema, e allora lei cercava in tutti i modi di farlo sorridere. Sherlock doveva ammettere che era contento di sapere che Molly stava bene e aveva qualcuno accanto che la rendesse felice (ed era ovvio che avesse qualcuno nella sua vita, insomma, si vedeva dalle mani della ragazza!). Lo schermo mostrò poi Sherlock, intento a pedinare uno dei precedenti flirt di Molly per assicurarsi che non fosse un poco di buono. Sherlock si ricordò che quella volta John, sorpreso, gli aveva detto che aveva fatto una cosa molto carina. All'epoca Sherlock non ci aveva dato molto peso, ma ora...

Fu il turno poi della signora Hudson, e Sherlock la vide mentre ripeteva "Sono la sua padrona di casa, non la sua governante" ma nonostante tutto stava di nuovo preparando thè e biscotti, per assicurarsi che Sherlock avesse qualcosa da mangiare, come faceva sempre. La vide stendere una coperta su di lui, che si era di nuovo addormentato sul divano (dopo aver discusso con John) e rabbrividiva. "Oh, Sherlock caro, se solo sapessi quanto lui tiene a te..." sussurrò la donna prima di uscire dal loro appartamento.

Sherlock era quasi commosso, non immaginava di essere circondato da tanto affetto, né pensava di meritarlo, considerando come lui trattava loro. Ma mancava ancora qualcuno.

"Spirito..." iniziò Sherlock, ma fu interrotto. "Oh, non ti preoccupare – disse lo spirito con uno strano sorriso, che a Sherlock ricordò moltissimo Irene – ho tenuto il meglio per il gran finale!".

Un unico nome occupava la mente (e il cuore) di Sherlock. John.

Una serie di scene comparvero sullo schermo, mentre una lacrima rigava la guancia di Sherlock. Vide John che andava a fare la spesa e gli preparava il thè, anche dopo che lui lo aveva fatto imbestialire, John che gli portava qualcosa da mangiare così che non dovesse alzarsi dalla sua amata poltrona, con un sorriso così dolce da sciogliere anche il cuore più solitario, vide John che si prendeva cura di lui ogni volta che si cacciava in qualche guaio e si feriva, anche se lui si lamentava come un bambino. Vide John che lo ascoltava attentamente ogni volta che suonava il violino, complimentandosi con lui; il detective notò come a John brillassero gli occhi, mentre lui suonava un pezzo che gli piaceva particolarmente. Vide quella volta in cui John aveva letto un'articolo su di loro, chiedendosi irritato cosa i giornalisti intendessero dire con un commento così ambiguo; al detective non sfuggì però il sorrisetto che incurvò le labbra del suo coinquilino mentre rileggeva quella frase.Vide John elogiare ogni sua brillante deduzione, e seguirlo ovunque senza battere ciglio, perché pur sapendo quanto potesse essere rischioso, John di lui si fidava completamente.

E infine, gli fu presentata una scena che il detective giudicò bizzarra: John, insieme a Lestrade, in un pub. Non era strano che fossero insieme, sapeva che uscivano spesso perché erano diventati ottimi amici, ma era strano quello che stavano facendo. John piangeva, e singhiozzando provava a dire qualcosa, e Lestrade gli teneva una mano sulla spalla, senza dire nulla. Prima che Sherlock parlasse, lo Spirito-Irene gli fece segno di stare zitto e ascoltare. Il vociare ovattato del pub e i singhiozzi di John riempirono il silenzio della cucina del 221B.

"John, dai, parlami" disse dolcemente Greg.

"Io... - iniziò John – io credo di... di essere... Ehm..."

"Innamorato di Sherlock?"

"Io non sono gay!" rispose John, quasi in automatico. Era forse la milionesima volta che lo ripeteva a qualcuno che insinuava che loro due fossero una coppia. Ma John non suonava più così convinto.

"John - iniziò cauto l'ispettore - io credo sinceramente che l'amore sia una cosa molto strana. Ti sconvolge, e può cambiare le carte in tavola in modi che fino a un attimo prima non avremo ritenuto possibili. Non ci sono regole. Non lo puoi prevedere... O controllare."

Sherlock vide John pensare intensamente, poi sul suo volto si dipinse una gioia inimmaginabile.

"Hai ragione, Greg. Io sono innamorato di Sherlock Holmes." John disse tutto questo senza esitazione, come ne se andasse fiero (cosa che a Sherlock provocò le farfalle nello stomaco), ma un attimo dopo la gioia scomparve dal suo volto, sostituita da un'emozione molto più negativa. Paura?

"Oh, no, ma questo è un disastro Greg! Io... Io non posso farglielo capire, la nostra amicizia sarebbe rovinata. Dopotutto "I sentimenti sono solo un difetto chimico, John", questo mi risponderebbe. - e lo disse imitando perfettamente il suo atteggiamento - Lui è... sposato con il suo lavoro. E anche se non lo fosse, non mi guarderebbe mai in quel modo. Non posso dirgli niente, o fargli capire niente, perderei la sua amicizia. E preferisco averlo solo come amico, che non averlo affatto nella mia vita." John si coprì il volto con le mani.

"Mi dispiace tanto, John, se posso fare qualcosa..."

"C'è una cosa che potresti fare, Greg. Potresti ospitarmi per la notte? Non posso tornare là."

"No, no John – urlò allora Sherlock, distrutto dallo sguardo triste di John – oh, John, mi dispiace..." Lo Spirito-Irene guardò Sherlock, e gli disse: "Cosa credevi? Che sarebbe rimasto qui a subire la tua indifferenza nei suoi confronti?"

Lo schermo cambiò ancora e mostrò a Sherlock tutte le volte in cui aveva fatto arrabbiare John per niente, tutte le volte che non lo aveva ringraziato dopo averlo disturbato semplicemente per chiedergli una penna, tutte le volte che lo aveva definito un idiota, e infine lo schermo mostrò John che gli diceva che stava uscendo, per la festa del suo compleanno, ma ovviamente Sherlock non ascoltava. Al detective si spezzò il cuore nel vedere lo sguardo avvilito di John. Sentì John sussurrare, uscendo "Stupido io a credere di essere diverso dagli altri, ai tuoi occhi".

"Oh, Spirito, ti prego, io posso cambiare. Non lo farò soffrire mai più, lo giuro. Ti prego, dimmi che non l'ho perduto per sempre. Dimmi che non se ne andrà. Sarei perduto senza... il mio blogger."

"All'angolo del camino, io vedo una poltrona vuota. E la camera di sopra, rimasta senza proprietario. Se queste ombre non muteranno, John se ne andrà per sempre."

L'imagine di John si materializzò d'un tratto nel loro salotto, e Sherlock lo vide, seduto sulla sua poltrona, seduto al posto che gli apparteneva, a casa sua. A casa loro. Sherlock tentò di correre verso di lui, chiamandolo, ma qualcosa lo bloccò e lo fece cadere a terra. Era una grossa palla di acciaio, pesantissima, legata al suo piede, come quella che aveva visto cingere la caviglia dello spirito di Mycroft, ma più grande. Più pesante. Sherlock urlava, si dimenava, chiamava John disperatamente, ma non riusciva a muoversi di un millimetro, e John sembrava non sentirlo.
In un attimo, tutto fu buio.

   
 
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