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Autore: poison spring    12/02/2016    17 recensioni
Prendete la figlia del Salvatore del Mondo Magico, appioppatele una cuginetta a cui fare da baby sitter e mettetela sulla strada di una folle impresa suicida alla ricerca di fortuna e gloria. Datele una migliore amica con l'intelligenza della madre, l'astuzia del padre e il carattere della nonna paterna. Datele un ex ragazzo inopportuno, un mistero o due da risolvere e un paio di fratelli da schiantare.
Agitate, non mescolate e spruzzate tutto con un bel po' di Malfoy, Lucas Malfoy.
NG Post Bellezza del Demonio. [Lucas Malfoy/Lily Luna Potter]
[I personaggi di Lucas Altair Malfoy, Lyra Joanne Narcissa Malfoy non sono presenti nella Saga della Rowling per motivi più che ovvi e sono da considerarsi di proprietà dell'autrice]
Lyra sorrise. «Sei stata grande, li hai zittiti tutti».
«Non mi si avvicinerà nessuno per il resto dell’anno, ma ne è valsa la pena. Non credo di essermi mai sentita tanto bene».
Lyra le strizzò l’occhio e la prese sottobraccio. «È genetico. Non puoi farci niente».
«Stai ancora parlando del fattore Potter?»
«E di che altro?» rise Lyra, trascinandola su per le scale.
Genere: Avventura, Mistero, Suspence | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Albus Severus Potter, Famiglia Malfoy, Famiglia Potter, Lily Luna Potter, Nuovo personaggio | Coppie: Draco/Hermione, Harry/Ginny
Note: Lemon, What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Da Epilogo alternativo
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Il ciclo della Bellezza'
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XI


Il canto della sirena


I was scared, I was scared

Tired and under-prepared

But I'll wait for it.


- Coldplay, In my place -



Acceso di blu, il fuoco del bruciatore divampò riscaldando l’acqua nel calderone. Lily si asciugò la fronte tergendola dal sudore e diede un’occhiata alla sua pergamena.

Radice di mandragora, per la buona sorte.

Si sfilò dal collo il cordoncino di cuoio che custodiva sul suo petto il regalo di Lucas e posò la mandragora essiccata - e silenziosa, per fortuna - sul tagliere. Colpì con la punta della bacchetta il manico perlaceo del coltello e la lama si inclinò, obbediente, rilucendo sotto il sole. Seguendo i suoi movimenti iniziò a tagliare, rondelle così sottili che si arricciavano su se stesse cadendo morbide sul legno.

«Perennis» mormorò Lily distogliendo l’attenzione dal coltello per afferrare gli altri ingredienti.

Artiglio del diavolo, contro il dolore.

Spezzettò gli uncini nel mortaio e cominciò a pestare. I suoi spettatori si schermavano gli occhi con le mani e seguivano attenti, Maggie si era aggiudicata un posto in prima fila e stringeva con fervore una sciarpa di Ravenclaw che qualcuno le aveva prestato; si accorse che Lily la stava guardando e la agitò, facendo sventolare l’aquila di bronzo.

Uno sbuffo di vapore salì dalla pignatta con un sibilo. Lily agguantò il tagliere e gettò la mandragora affettata nell’acqua bollente; stessa sorte toccò alla polvere nel mortaio, mentre il coltello si conficcava nel legno del banco, perforandolo da parte a parte.

«Oh, merda». Rigirò la mistura, rabbrividendo. Un momento di ritardo e la lama le si sarebbe conficcata nel palmo. Il tavolo scricchiolò, segno che l’effetto dell’incanto Continuum non si era ancora esaurito, ma sembrò reggere, trattenendo il pugnale. Dal baule, Lily afferrò la fiala che conteneva l’estratto di polline Aureo, sperando di aver visto giusto: non aveva idea di cosa sarebbe successo se il contenuto non fosse stato ciò che lei sperava ardentemente.

Posò l’ampolla sul tavolo, le dita le tremavano così forte ed erano così sudate che per un momento pensò che l’avrebbe fatta cadere. Quando udì il tintinnio del vetro contro il filo metallico del supporto chiuse gli occhi e attese che la morsa allo stomaco si allentasse, permettendole di proseguire. Minuscoli punti esplosero come stelle danzanti nel buio cielo dei suoi occhi chiusi, mentre lei ricominciava a respirare.

Se solo si fosse sbagliata, il prezzo sarebbe stato così alto che solo pensarlo le trasformava le gambe in un unico blocco di roccia insensibile.

«Forza» si intimò, offrendo al vento il viso surriscaldato dal vapore. Uno stridio acuto e sinistro le fece eco e nel guardare il cielo si accorse della presenza di tre sagome, nere contro il sole pallido di novembre. Grandi ali spiegate, librate sulle correnti ascensionali, che piegavano girando in tondo, accompagnando il loro volo con urla agghiaccianti.

L’altra parte del mito di Prometeo.

Le aquile arpia, coi loro becchi aguzzi, pronti a divorarle l’anima.

Come rispondendo a un richiamo silente, uno dei rapaci scese in picchiata. Lily afferrò il calderone di riserva e lo sostituì a quello che stava usando. Prese dal baule una fiala piena di polvere urticante e un barattolo di pece e mescolò rapidamente, ottenendo una poltiglia appiccicosa. Con cautela la cosparse di semi di Fiordifiamma: il fuoco divampò istantaneamente, sfiorandole le ciglia. Riparò il volto nell’incavo del gomito per non respirarne i vapori, che l’avrebbero fatta vomitare sangue per giorni, si abbassò sotto il tavolo e puntò la bacchetta contro il calderone.

«Relascio!»

Un turbinio di scintille esplose scagliando la pignatta in fiamme verso l’aquila, che scartò di lato, stridendo. L’ala destra annerita dal fumo sbatteva freneticamente nel tentativo di riprendere quota e aggiustare la traiettoria della caduta. Lily cercò fra la folla quasi ipnotizzata uno sguardo familiare. Non vide suo padre, ma Lyra si era alzata in piedi e si era tirata la sciarpa davanti alla bocca. Sollevò verso di lei il pugno col pollice alzato.

Stai andando bene, Pottergirl.

Il rapace sfiorò con gli artigli l’erba del campo e spalancò il becco, emettendo un verso selvaggio quando il calderone lo urtò sulla schiena, infiammandogli le penne erettili del capo. I suoi occhi gialli si spalancarono, ricolmi di terrore; l’animale si rivoltò sulla schiena cercando di spegnere il fuoco, ma la pece gli si era appiccicata addosso. Inarcandosi, emise un grido così sofferente che Lily uscì dal suo nascondiglio, allarmata.

Lance tese il bastone per fermarla. «Signorina, l’aquila non è affar tuo! Hai solo trentacinque minuti!»

«La spenga! Morirà! Volevo solo spaventarla…»

Il Capitano le rivolse uno sguardo impassibile. «Torna al tuo tavolo e finisci quello che stavi facendo!»

L’aquila si contorse e nello sforzo rotolò di lato avvicinandosi al bordo della piscina piena di liquido corrosivo. Se si fosse agitata ancora sarebbe caduta giù.

«Impedimenta!» Il battito delle grandi ali del rapace rallentò, mentre Lily fissava sgomenta il suo punteggio sul tabellone passare da cinquecento a quattrocentonovanta. Deglutì e strizzando gli occhi puntò nuovamente la bacchetta, facendo scaturire un getto d’acqua che estinse l’incendio.

Quattrocentottanta.

L’aquila si abbandonò sul terreno erboso, il petto piumato si gonfiò liberando un verso più docile, quasi un tubare stanco. Lily si asciugò il volto, pulendolo dalla fuliggine e tornò al suo posto, ignorando il pubblico che applaudiva.

Rimise la sua pozione sul fuoco e versò nel composto un po’ di estratto di polline.

Tre gocce, fiamma bassa. Cinque minuti, cinque giri in senso antiorario.

Ribaltò la clessidra e mescolò.


***


Non aveva controllato la fiamma.

Il contatore segnava quindici minuti, non c’era tempo per rifare la pozione da capo. Il profumo che saliva dal calderone era un sentore dolcissimo e inebriante di fiori e vino di mele. Usando un mestolo, Lily ne versò un poco in una ciotola che mise da parte, tolse il calderone dal fuoco e spense il bruciatore. Infine, levò gli occhi al cielo, dove due sagome cruciformi solcavano l’aria indisturbate.

La sua unica speranza era quella di aver conservato il calore abbastanza costante da concludere correttamente la cottura. Controllò il fondo di ghisa, sospirando di sollievo nell’accorgersi che non c’erano incrostazioni, e vuotò la pozione in un calice di vetro, filtrandola con un setaccio a maglie sottili.

Alle sue spalle, Weyland batté i tacchi e si spostò per lasciare il posto ad un altro militare. Le ombre delle loro gambe si sovrapposero per un momento prima di distanziarsi, poi passi leggeri frusciarono fra l’erba e Lily li udì allontanarsi in direzione degli spogliatoi. Si voltò a guardare e del cadetto scorse solo la nuca; nel punto dov’era stato fino a qualche momento prima, c’era Lucas, che la guardava.

Le bastò un accenno dei suoi occhi sfolgoranti puntati sull’indicatore del tempo. Rapidamente gli diede le spalle e tornò al lavoro. Adesso aveva tutti gli occhi addosso, e nulla l’avrebbe tolta dai guai, se una sola delle sue mosse non fosse risultata quella giusta.

Tornò a guardare il cielo.

Sereno variabile, traffico intenso di rapaci, niente miracoli all’orizzonte.

«Mus». Dalla punta della bacchetta un alone lattiginoso si riversò su uno dei cucchiai di legno, turbinando in tondo. Non appena la luce divenne più fioca, un topolino marrone dai piccoli occhi vispi si drizzò in piedi e corse verso il bordo del tavolo. «Vieni qui, tu». Gli porse la ciotola con la pozione; il piccolo roditore vi immerse la zampina e poi la leccò.

Risatine di consenso si levarono dagli spalti. Lily lo osservò zampettare per qualche istante e poi lo sollevò fra le mani. «Vieni. Facciamo un bagno». Tremando si avvicinò al bordo del bacino artificiale, oltrepassò l’aquila ferita e posò il topolino sulla riva. «Spero tanto che tu sappia nuotare».

Lo spinse delicatamente oltre il ciglio e lo guardò affondare, inghiottito dal liquido brunastro che si richiudeva sopra di esso.

Per trenta secondi, nessuno fiatò.

Poi una coda sottilissima infranse la superficie densa e calma del bacino, piccole orecchie tonde emersero, perfettamente pulite, e il topolino nuotò placidamente fino a raggiungere di nuovo la terraferma. Si scosse, alzando il muso: la sua pelliccia emanava una delicata luminescenza, visibile anche da lontano. Avvicinandosi, Lily, sospirò di sollievo.

«Accio calice!» urlò, fra gli applausi scroscianti del pubblico. Bevve la pozione in un sorso, un sapore di miele mai provato le scivolò dalla bocca nella gola, scaldandole lo stomaco. Immerse le gambe, gettandole oltre la sporgenza, palpebre serrate e pugni stretti.

Il suo cuore batteva forte e il contatore segnava sette minuti.


***


Riaprì gli occhi e fu come respirare melassa, polmoni chiusi e oppressi dalla tensione che raddensava l’aria, un battito sordo e doloroso nella parte sinistra del petto. Il rombo indifferente del sangue nelle orecchie, il vento che gli asciugava il sudore dalla fronte: Lucas registrò quei dettagli come elementi di contorno, l’unico rumore dominante era lo sciabordio del sangue dell’Idra che riempiva la fossa, quasi arricciandosi contro le ginocchia di Lily.

La vide avanzare a braccia larghe, ondeggiando come una barca in mezzo a una tempesta, circondata da un alone chiarissimo, più intenso di quello che aveva emanato la pelliccia del topo prima che si ritrasformasse in un utensile da cucina.

«Ha cotto troppo in fretta». Il Capitano scosse la testa, occhieggiando i rimasugli di pozione nella ciotola. Glieli indicò e Lucas non poté che annuire.

«Non ha abbastanza tempo» ribadì Lance.

Lily raggiunse la base dell’isoletta e i boccioli di Fiordifiamma che ondeggiavano dormienti si sollevarono minacciosi, pronti a sputare fuoco. Un getto violento si sprigionò dalla corolla più sporgente e la spinse indietro, facendola gemere e barcollare. Lucas si trattenne dal fare un passo avanti.

Non lasciare la postazione.

Lance gli rivolse un cenno di intesa. «Se ce ne sarà bisogno interverremo. Per adesso…»

Avrebbe dovuto lasciare che se la cavasse da sola. Nulla di ciò che aveva potuto fare per lei era in grado di combattere o vincere al suo posto; quella scontata considerazione lo assalì inchiodandogli i piedi al suolo e il cuore a una preghiera altrettanto banale.

Non voglio che tu ti faccia male.

«Se continua così si farà male. Pozione o non pozione, anche se supera questa prova…»

Lucas sollevò un sopracciglio e Lance tacque.

Lily urlò, spinta all’indietro da un getto respingente delle corolle di Fiordifiamma, e incespicò, suscitando le proteste del pubblico. Dagli spalti si alzò un grido che Lucas avrebbe riconosciuto ovunque. «Le aquile! Attenta alle aquile!»

Spinti da quella raccomandazione, in molti sollevarono gli occhi al cielo per guardare i rapaci che scendevano insieme lentamente, girando in tondo. Lucas invece guardò sua sorella, che stringeva le mani di una Slytherin dai capelli neri, gli occhi fissi sulle ombre dei rapaci proiettate sulla densa massa liquida e scura che circondava l’isoletta.

Lily si parava la testa coi gomiti. Il fuoco non la bruciava, ma viluppi di vegetazione foltissima le sbarravano la strada, impedendole di aprirsi un varco con le mani.

«Se usa un incantesimo lacerante il suo punteggio scenderà ancora». Lance gli afferrò il braccio e strinse finché Lucas non si voltò. «Forse dovremmo intervenire prima che finisca il tempo. Se si rompe qualche osso quando l’effetto della pozione svanisce, suo padre ci farà saltare tutti quanti. E l’opinione pubblica sarà addosso al Ministro senza che noi ci possiamo fare niente. Guarda lassù, Sergente» disse, indicandogli la tribuna riservata alla stampa, dove Rita Skeeter sorrideva, battendo le mani ad ogni salto che Lily faceva, come se stesse assistendo ai volteggi di una prima ballerina.

Grinzose e sottili, quelle dita ingioiellate si arcuavano nell’atto dell’applauso somigliando ad artigli protesi in attesa di una carcassa da depredare.

Se solo avesse potuto spezzarle una per una e fargliele ingoiare.

Lucas prese fiato. «Malefica puttana».

Il Capitano rise. «Se la cava benino, la piccola Potter» commentò, osservando Lily che trovava un appiglio per salire. Il bagliore che emanava diminuiva velocemente di intensità, pochi secondi e sarebbe diventato nulla più che un pallido alone. «Ma se cade adesso…»

«Non lo farà».

Certe volte gli pareva che lei potesse udire anche quello che lui non diceva. Poggiati i piedi sul suolo, Lily si voltò come se avesse percepito quei pensieri e gli sorrise coraggiosamente, sguainando la bacchetta che aveva infilato nella manica perché non si danneggiasse a contatto col liquido corrosivo. «Accio pugnale!»

La lama si piantò nel fusto di una delle piante di Fiordifiamma, che si staccò di netto dalla radice, sgorgando fuoco e lava. Lily gettò all’indietro la testa snudando il collo e afferrò il viticcio dalla parte del gambo e lo fece roteare, lanciandolo in alto, verso le aquile, che si ritrassero, spaventate. Un applauso assordante la accompagnò, mentre scavalcava il recinto del braciere e vi gettava il viticcio in fiamme.

Il contatore segnava un minuto e non accennava a fermarsi.

«Perché non si accende?» Tagliò un altro ramo e lo unì al primo e così via fino all’ultimo disponibile, senza che la torcia prendesse fuoco. «Accidenti! Cosa sto sbagliando?»

Lucas guardò verso l’alto le sagome delle aquile calare contro il sole.

Cinquanta, quarantanove, quarantotto.

«Accenditi!» Lily afferrò il fascio di Fiordifiamma e lo lanciò verso l’alto, parandosi dai colpi dei rapaci che la attaccavano, ora che il fuoco non li disturbava più. Una fontana rossastra e ardente si sprigionò dalle corolle descrivendo nell’aria decine di parabole discendenti, inghiottite dai vapori prodotti dal sangue dell’Idra che, surriscaldato da tutto quel fuoco, stava cominciando a ribollire.

Quarantadue, quarantuno, quaranta.

Lance si appoggiò al bastone, prossimo allo scatto in avanti. «Se continua così farà un bel volo».

«Se così dovesse andare, non arriverà a toccare terra».

«La prenderai prima tu, Sergente?» gli chiese il Capitano, sollevando il mento. «Tu e quella ragazza…»

Lucas si voltò bruscamente. «No, signore. Non può accadere».

Trentaquattro, trentatré, trentadue.

Guarda in alto, Lilou.

E inaspettatamente, quel filo sottile di comunicazione lontana e muta sembrò funzionare. Lily alzò al cielo gli occhi verdissimi e capì.

«Il sole! Il fuoco di Prometeo è il sole! Aquafors!» Puntò la bacchetta contro la brocca dell’acqua sul tavolo, il cui contenuto si sollevò roteando in aria come una sfera elastica e schizzò verso di lei, posizionandosi sopra il braciere. Un getto di scintille azzurre la investì e la circondò ed esaurendosi lasciò spazio a una lente di vetro convessa.

Venti, diciannove, diciotto.

Il Capitano respirò profondamente. «Perché no? Ha il naturale talento per i guai che attira tanto quelli del tuo stampo». C’era persino dell’ammirazione in quel commento che si sforzava di essere neutrale. Lucas scosse la testa, stringendo le labbra. Non riusciva a staccarle gli occhi di dosso.

Una folata improvvisa d’aria calda le aveva sciolto la treccia trasformandola in turbine che era esso stesso una fiammata selvaggia. Lei, pelle bianca e gote scarlatte, scandì un ultimo incantesimo, la sua voce si spanse come un’eco disperata fra le gradinate raccolte in religioso silenzio.

Nove, otto, sette.

«È troppo giovane».

Quattro, tre, due.

Il fuoco divampò senza preavviso e il contatore si fermò quando mancava un secondo alla fine del tempo. Scrosci di applausi accompagnarono la prima fiammata, ondate asincrone di entusiasmo, una dopo l’altra, si unirono mentre il pubblico si alzava in piedi per acclamarla. Lily alzò il pugno chiuso, senza avvedersi del turbine d’ali grigie che si aprivano e si chiudevano sopra la sua testa. Agli occhi di Lucas, tutto si muoveva con una lentezza estenuante. Intuì ciò che sarebbe accaduto con la consapevolezza impotente di chi assiste a una caduta da altezze da capogiro, lo stomaco trafitto dalle fredde lame della paura.

Nient’altro che una meccanica successione di fotogrammi che congelavano un istante. Una piuma leggera che le volava davanti al volto, lei che alzava gli occhi per guardare, artigli robusti che si chiudevano attorno al suo polso trascinandola verso l’alto.

E le sue gambe che scalciavano l’aria, sopra il fuoco acceso.

Lance imprecò. «Weyland, qui! Le scope! Andatele dietro!»


***


«Mettimi giù!»

Stridendo l’aquila planò verso il basso, piegando verso sinistra. I piedi di Lily sfiorarono i rami più bassi di una quercia con un sinistro fruscio, che la indusse a raccogliere le ginocchia per non essere sballottata ulteriormente qua e là. I capelli sciolti le vorticavano attorno alla faccia: cercò di spostarli con la mano sinistra, per toglierseli dagli occhi.

Sentì d’un tratto le suole delle proprie scarpe poggiare su qualcosa di solido e si accorse di avere entrambe le braccia libere. Un fragoroso frullare di piume le sfiorò la testa mentre si abbassava, poi il rapace che l’aveva trasportata fin lì si aggrappò con gli artigli al ramo di un albero di fronte a lei e, aprendo le ali un’ultima volta, emise un grido soddisfatto.

«Bene, ora siamo pari» ruggì Lily, appoggiando la schiena alla parete rocciosa dietro di sé. Si asciugò il viso sudato e sporco, lordandosi le mani di cenere. L’aquila girò la testa, come per osservarla meglio. «Non sono cibo, sai. Faresti meglio a starmi lontana, vedi questa? È una bacchetta magica» disse, puntandogliela contro. «Puoi farti molto male, se ti avvicini».

Uno sbuffo, un altro verso basso e pacato.

«Perché sto parlando con te, poi, è una cosa che…»

Il rapace abbassò il capo maestoso, protendendolo verso di lei. Sebbene il suo primo istinto fosse stato quello di ritrarsi, Lily si sporse invece, per capire cosa stesse facendo. Una zaffata di bruciato la investì catalizzando la sua attenzione. «Oh, ma sei tu!» esclamò. In risposta, ottenne un frullare d’ali che fece volar via piume strinate dal fuoco.

«Ti ho salvato le penne, il minimo che potessi fare era non rapirmi. Non sei molto carina».

L’aquila rialzò la testa. Come se avesse percepito il rimprovero si ritrasse e spalancò il becco, producendo un fischio acuto. Arricciò le piume della gola, gonfiandosi, e poi si lanciò verso il basso, volando via.

Lily rimase a bocca aperta. «Accidenti» mormorò poco dopo, battendosi le mani sulle cosce.

Si arrampicò sullo spuntone di roccia più in alto, per lanciare il segnale di soccorso. Oltre le fronde dei primi alberi che celavano alla vista il folto della foresta, le acque del Lago Nero scintillavano come uno specchio impolverato di un velo di bruma. Chiusa fra tronchi di conifere vecchissime, la valle dei Centauri si stendeva in una vasta macchia ombrosa, oltre la parete di roccia forata che conduceva alle gallerie dei ragni.

La nebbia era quasi scomparsa.

Zio Neville doveva essere riuscito a debellare l’infestazione della pianta che aveva confinato gli studenti di Hogwarts tenendoli ben lontani dalle ombrose spiagge dove erano ormeggiate le barche. Lily spinse lo sguardo verso il pontile, ricoperto di una fitta vegetazione verdastra, un tappeto di liane dall’aspetto scivoloso.

«Che cosa bizzarra».

Saltò giù, aggrappandosi a una specie di liana che sembrava protendersi dal nulla serpeggiando fra le fronde di un elce, e appoggiò il piede destro al tronco, aggirandolo per appoggiarsi su uno dei rami più robusti. Un rumore di zoccoli come numerosi tamburi echeggiava dal cuore della Foresta Proibita, il sole già basso sull’orizzonte proiettava sui sentieri ombre lunghe e fitte. Lily si chinò per usare l’incavo quasi piatto dell’albero come una scaletta, cercando un appiglio lungo il fusto, una sporgenza bassa che le permettesse di aggrapparsi.

Incappò in un’altra liana, che le avvolse il braccio in una stretta delicata e altrettanto cautamente sembrò srotolarsi verso il terreno per permetterle di raggiungerlo. Posando i piedi al suolo, Lily tirò un sospiro di sollievo. Era abbastanza vicina al castello da raggiungerlo da sola, senza aspettare i soccorsi, inoltre…

… la nebbia era quasi scomparsa, e nessuno aveva detto niente.

Le bastò un passo per capire di non essere al sicuro come credeva. Sbucando nella stradina oltre le felci e i tronchi marci abbattuti dal temporale si trovò quasi avviluppata in groviglio di viticci fittissimi e appiccicosi. Boccioli di un rosso sfumato d’arancio tappezzavano i tronchi che affiancavano il sentiero, un odore di frutta marcia e caglio la inondò facendole reclinare la testa di lato, come se avesse appena ricevuto uno schiaffo. Lily si tappò il naso con la mano e cominciò a camminare più in fretta per allontanarsi.

«Oh, no» gemette, svoltato l’angolo.

Dietro la curva che apriva sulla riva sud, dove avrebbe incrociato la sterrata che l’avrebbe condotta dritta alla casa del custode, un fitto di fiori già sbocciati le sbarrava il passo. La brezza tenue che saliva dal lago ne smuoveva i petali, grandi quanto la sua mano, facendoli ondeggiare. Era un moto così dolorosamente incantevole che per un attimo Lily desiderò toccare quella trappola di velluto. Allungò esitante una mano, chiudendo gli occhi, stordita dal profumo nauseante che aleggiava nell’aria fredda della sera.

Era lo stesso odore che doveva infestare i bordelli, essenze da due soldi e sudore stantio.

Allusioni e desideri coltivati in stanze buie, segreti conservati come petali di rose, a marcire dentro scatole sepolte nei recessi di una memoria da non riesumare mai.

Un bacio sulla bocca, legato a un sasso in fondo a un pozzo.

Il canto della Sirena.

«Togliti da lì!»


***


In my place, in my place,

were lines that I couldn’t change

and I was lost, yeah.


Quando la maledizione di Lucas le saettò sopra la testa, Lily si abbassò, riparandosi coi gomiti. Violentissimo, l’incanto lacerante si abbatté sul groviglio di liane staccando di netto i fiori, che caddero mollemente nelle pozzanghere.

«Non muoverti!»

Annuì senza parlare. Fischi feroci come di proiettili sparati a velocità incredibile la assediavano chiudendola in un cerchio immaginario. Afferrò la bacchetta che teneva alla cintola e senza alzarsi né fiatare cercò di farsi scudo evocando una parete di roccia. Lucas si chinò accanto a lei, il suo braccio saldo le scivolò attorno ai fianchi.

«Ti spiace se approfitto del tuo riparo?»

«Fa’ pure» ribatté facendogli spazio. «Cosa sono quei cosi che volano?»

«Spine. Non credo ti farebbe piacere fare la loro conoscenza».

Quasi a fargli da sottofondo, uno degli spuntoni si infranse sulla pietra, scheggiandola. Lily incassò la testa nelle spalle. «Quindi è questa la pericolosa infestazione del Lago?»

«Oh, sì. Ma è migliorata, sai. Non c’è quasi più nebbia, le spine si vedono. Devi solo stare attenta a non avvicinarti troppo ai fiori, il profumo che emanano può ipnotizzare la più furba delle streghe». Le rivolse un sorriso a metà, senza girarsi del tutto verso di lei. «La settimana scorsa due dei ragazzi si sono persi, di notte. Recuperarli è stato un bel problema».

«Non so perché, non faccio fatica a crederlo».

Lucas rise. «Già. Per fortuna tu eri abbastanza vicina».

«È colpa di quella stupida aquila».

«Se non fosse stato per Skree, te la saresti vista piuttosto brutta. Dovresti essergli più grata».

«Skree?»

«Già. Gli hai salvato la vita, immagino volesse ricambiare. Sono animali molto intelligenti. Quando ha visto che stavi per essere buttata giù dalle sue sorelle ti ha presa… Beh, è il caso di dire che ti ha presa al volo». Il tono della sua voce perse impeto e si ammorbidì, somigliando di più a una carezza. «Dovrò dire ai suoi addestratori di dargli una razione extra di cibo» disse, sollevandosi per controllare la situazione.

Lily si aggrappò alla sua spalla e lo sentì contrarsi leggermente. Una lieve pressione sul suo polso la lasciò per un momento priva di voce. Sollevò lo sguardo per incontrare quello di lui. «Che succede?» sussurrò.

«Forse dovremmo cambiare strada, allungheremo un po’ ma arriveremo prima che faccia buio. Comunque, da questa parte non si passa». Coi denti si sfilò il guanto, e, non appena ebbe liberata la mano, le premette sul labbro col pollice. «Ti sei graffiata qui» mormorò, mentre lei chiudeva gli occhi.

«Sono stati i rami. Hai messo tu le fiale nei bauli?»

«Tu cosa ne pensi?»

Quella domanda le sfiorò le ciglia abbassate, soffiandole via dal volto un ciuffo di capelli. Lucas la tirò in piedi, aiutandola a ripararsi dietro il tronco spesso di una quercia.

Ciò che il profumo ingannevole delle trappole fiorite aveva offerto alla sua mente spossata, nient’altro che cadere per lasciarsi raccogliere da quelle braccia.

«Penso di sì».

Gli posò la mano sul petto e lo sentì trasalire di nuovo, vibrare sotto le sue dita come un cavo d’acciaio tirato fra due massi in bilico sull’orlo di un precipizio. La stretta attorno ai suoi fianchi aveva smesso di essere rassicurante, era una morsa tesa che premeva sulla sua schiena, propagandosi ai lombi.

Indecente.

Lucas allentò la presa, scostandosi appena da lei.

«Non è esatto, no». Fu un commento cortese, tuttavia, accompagnato dal tocco leggero della sua mano che dal mento scendeva lungo il collo. «Hai indovinato il mandante, ma hai sbagliato l’esecutore. E questo, di fronte a una commissione disciplinare, potrebbe salvare il mio grado, perché bisognerebbe prima provare che, chiunque abbia fatto scivolare quelle tre fiale identiche nei forzieri, l’abbia fatto su mio espresso ordine. E questo significherebbe trovarlo». La indusse a sollevare il mento che lei aveva abbassato per rifugiarsi fra i lembi morbidi del suo colletto. «Non pensi anche tu?»

«Ci sono molti modi per rintracciare l’autore di un incantesimo» obiettò lei, voltando lo sguardo verso le acque calme del Lago. «Per esempio la sua bacchetta. Immagino che i bauli fossero sigillati. Chiunque li abbia aperti deve aver fatto un bel po’ di tentativi».

«Non tutti hanno bisogno di una bacchetta per fare magie». Le allontanò i capelli dalla fronte, vi immerse le dita per qualche istante, rivolgendole un’occhiata guardinga. «Sei arrabbiata?»

«Avrei potuto cavarmela anche da sola».

Lucas sorrise. «L’hai fatto. Tu hai preso il fiore, tu hai fatto la pozione. Hai soltanto approfittato di un ingrediente come un altro. Un ingrediente che avevate tutti. E così» aggiunse, inclinando il capo verso destra, «abbiamo sistemato anche la regolarità. Non hai imbrogliato, se è questo che ti preoccupa. Comunque, è meglio andare». Le afferrò la mano e scostando le frasche le indicò una via semi nascosta, che conduceva verso il centro della Foresta. «Tra poco ci staranno tutti addosso. Non so tu, ma io non ho alcuna voglia di rientrare con la scorta. Preferirei godermi la passeggiata».

Lily annuì. «Pensi che mio padre mi stia cercando?» domandò, lasciando che fosse lui a fare strada.

«È più probabile che stia cercando di convincere il vostro Preside a radere al suolo la foresta per trovarti più in fretta». Lucas si voltò verso di lei, ombroso. «Sta’ attenta qui» le raccomandò, indicando un fitto intrico di vegetazione sopra le loro teste. «Devi saltare, ma non troppo in alto».

«Allora sarà più un problema per te che per me» ribatté lei, con una smorfia, ma nel flettersi si rese conto di aver dimenticato qualcosa che lui probabilmente aveva messo in conto. Il corsetto rinforzato le premeva sul ventre, mettendola in difficoltà. Spiccò un balzo incerto e sporco e atterrò rotolando sul fianco, cercando di minimizzare l’impatto, mentre lui superava la spaccatura con una falcata.

«Stai bene?»

«Sì» replicò lei alzandosi. «Andiamo. Il sole è tramontato, se non ci sbrighiamo rimarremo al buio».

Riprese a camminare, premendosi la mano sullo stomaco. L’orlo rigido del busto doveva averla ferita. Sperò che lui non se ne accorgesse, o avrebbe rallentato per permetterle di stargli dietro. Avanzarono fino a raggiungere una radura isolata, circondata da cespugli bassi e ciuffi di felci. Lo sterrato lì era più asciutto, la terra sotto i piedi più solida. Quello che sembrava un edificio votivo costruito in marmo bianco era completamente ricoperto di liane rampicanti e di fiori rossastri irti di spine.

«Cos’è questo posto?»

Lucas scosse la testa. «Sembra un santuario. C’è scritto qualcosa sulla porta, ma non riesco a leggere. Troppe foglie» sospirò, indicandole. «Comunque siamo sulla strada giusta. Vedi le torri?»

Lily ansimò. «Sì. Quanto manca?» chiese, abbandonandosi contro una colonna spezzata per riprendere fiato.

«Mezz’ora di cammino. Sei sicura di stare bene?»

Annuì senza parlare, ma prima che potesse rimettersi diritta lui l’aveva già raggiunta, strappandola quasi al sostegno del marmo. Le affondò le dita nelle braccia e lei rabbrividì. «È troppo stretto, vero? Il busto. Potevi dirmelo». Un rimprovero soffice le percorse la pelle nuda, dalla mandibola al collo, mentre Lucas le posava le mani sulle scapole.

«Non è niente» cercò di protestare, ma la voce le uscì così flebile da vanificare il suo intento.

«Continui a premerti sul fianco, ma non dici una parola. Tutto quest’orgoglio è troppo per una ragazzina. Finirà per soffocarti».

«Non sono una ragazzina». Le scottavano le guance e chiuse gli occhi per impedirsi di soccombere alla stanchezza che le pesava sul cuore. Respirare stava diventando doloroso come dopo una lunga immersione, la pressione le schiantava il petto e l’aria che le entrava nei polmoni sembrava fatta di spilli minuscoli e acuminati.

Lo sentì armeggiare coi lacci e cercò di allontanare le sue braccia con uno schiaffo, ma lui, più lesto, le bloccò entrambi i polsi, piegandoglieli dietro la schiena.

«Oh, sì, lo sei». Premeva la fronte contro la sua e così la punta del naso, il petto, il ventre. Tentare di divincolarsi l’avrebbe esposta alla sua mercé e d’altra parte non era poi così sicura di volersi staccare.

Neppure lui lo sembrava.

Ciò che lo tradiva, che li tradiva entrambi, forse, erano l’ondeggiare lento sulle ginocchia, le scosse dei muscoli tesi, i sospiri lenti.

Indizi di una trappola mai disinnescata, in cui si dibattevano insieme senza ragione apparente.

Se non quella di non allontanarsi.

La stretta divenne una carezza, dal punto delicato dove il riverbero del battito del suo cuore fluiva violento verso l’incavo dei gomiti, fino alle spalle e al centro della schiena. Improvvisamente, Lily si accorse di essere in grado di prendere fiato: il corsetto si spostò verso il basso, mentre Lucas la sollevava agganciandola sotto le braccia.

«Intendi spogliarmi?»

Lo vide scuotere la testa. Tuttavia un luccichio cupo gli danzava negli occhi, mentre le premeva il palmo contro la colonna vertebrale, salendo verso la nuca. «Temo di dover dire di no». La linea ferma fra le sue sopracciglia si distese e sulla sua bocca apparve un sorriso sfacciato. «Ma non significa che non mi dispiaccia». La sosteneva in modo che lei non toccasse la terra coi piedi, ma quando gli allacciò le gambe dietro la schiena lo sentì barcollare, e non perché gli pesasse troppo. «Non farlo» disse, ma non la lasciò andare e la sua voce vibrò.

Tutte le crepe nel suo sguardo di marmo.

«No?» Non si era neppure avveduta di potersi muovere e quando se ne accorse gli allacciò al collo le braccia, sfiorandogli i capelli con le mani che fino a poco prima avrebbe voluto usare per strappagli a forza di schiaffi sulla bocca le scuse che le doveva.

Risposte che lui non le avrebbe dato se non schivando la banalità delle parole.

Forse afferrare quei riccioli che sentiva sotto le dita e tirare l’avrebbe soddisfatta.

Quello, o i morsi dei suoi denti sulle labbra e un ginocchio su cui poggiarsi, per non trascinarlo a terra con sé.




Sono malata e posto random.

Quindi mi sento autorizzata a dirvi che se non mi arrivano una marea di recensioni sciopero ad oltranza. Oltretutto ci tengo a farvi sapere che il prossimo è un capitolo molto importante e che sto faticando a dargli un’impronta che mi piaccia. Quindi incoraggiatemi o vi mestolo.


Alle solite, note, citazioni, etimo e nomenclatura:


Aquafors e Mus sono entrambe formule di mia creazione, sebbene sull’impronta di J. K. Rowling. Aquafors viene da aqua (lt. acqua) e dalla radice for di fero (fers, tuli, latum, ferre: portare). Mus (lt. mus, muris: topo)

La Mandragora era effettivamente creduta un talismano per la buona sorte, l’artiglio del diavolo viene tutt’ora usato in preparazioni erboristiche per applicazione locale (unguenti, pomate) che hanno effetti analgesici e antiflogistici.

Siccome so che qualcuno salterà su a prendersela con Lucas, vi fermo prima. Ci sono dei motivi per cui dice quello che dice, ma non vi dirò quali, per adesso. Però ci sono, fidatevi.


Grazie come sempre a chi partecipa e recensisce, anche perché sono recensioni davvero belle e piene di entusiasmo.

Torno a rantolare, soffrendo. Se volete, mi trovate QUI


   
 
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