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Autore: BluePhantomhive    13/02/2016    2 recensioni
[Consiglio a tutti coloro che leggono tale storia di ascoltare la canzone Magnet dei Vocaloid (RinLen's Version) che mi ha ispirata. O almeno leggete la traduzione ;)]
Josephina e Carlos... Fin dal loro primo incontro non si sono mai piaciuti. Due caratteri completamente opposti. Lei bella e irraggiungibile, un carattere che la porta ad eccellere in tutto quello che fa. Lui misterioso e travolgente... Nessuno riesce a resistere ai suoi magnetici occhi color smeraldo. Sebbene non volesse, Josephina ne resta subito ammaliata, ma non sa cosa l'aspetta. Lui la travolgerà in un amore passionale, cosa a cui, nonostante tanti tentativi, Josephina non saprà restistere.
POSSIBILE CAMBIAMENTO DEL RATING!
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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Capitolo 19
 
La pioggia. Cadeva incessantemente e batteva sui vetri della Porsche color caramello nuova di zecca di un ragazzo, parcheggiata vicino al campus di Oxford. Il ragazzo, che mangiava un sandwich, guardava incantato il cortile della famosa università, sotto l’incessante ticchettio dell’acqua. Era in attesa di una persona, anche se il suo era più un desiderio incessante di vederla. Ogni giorno per due settimane non aveva fatto altro che andare lì con il cuore colmo di speranza, ma non era stato mai ripagato. Per cinque anni aveva covato il desiderio di tornare a Londra, di tornare da lei e amarla come dovrebbe e avrebbe dovuto fare tempo prima. Suo padre, per colpa di uno stupido incidente, lo aveva costretto a tornare a Madrid e non aveva potuto passare gli ultimi anni di liceo con Josephina. Si era diplomato con suo cugino, ma non era la stessa cosa. Aveva pure iniziato la facoltà di legge, ma l’aveva mollata all’insaputa dei genitori per tornare nella città che lui chiamava casa. Ma non era tornato solo per poter stare di nuovo con Josephina.  Voleva dimostrare al padre che sapeva cavarsela da solo. Non aveva bisogno di frequentare una facoltà che non gli piaceva per aver un lavoro e vivere con i soldi di suo nonno. Voleva iniziare una nuova vita e, finalmente, dopo 5 anni era riuscito ad avere abbastanza soldi per partire e lasciarsi suo padre alle spalle. La sua vecchia casa era stata venduta l’anno successivo all’incidente, quindi dovette prenotare una stanza in un piccolo hotel a basso costo, ma era solo una sistemazione temporanea, almeno fino a quando non avrebbe trovato un lavoro e un appartamento, mentre la macchina era un regalo di suo zio Jorge, l’unico che sapeva insieme a Pablo dove fosse scappato.
Finì il suo sandwich e prese il cellulare, quando vide una ragazza dal vestito rosso e lunghi capelli castani. Immediatamente, gettò il cellulare sul sedile accanto al suo, aprì lo sportello e si precipitò da lei. La pioggia gli bagnava il volto e i capelli, ma lui era concentrato a correrle incontro.
-Juss!- la chiamava a gran voce, ma lei non si voltò. La richiamò una seconda volta, questa volta con il suo nome per intero, però non si fermò. A quel punto corse di più, con il sorriso dipinto sul viso, pronto a stringerla a sé e sentire di nuovo il suo profumo. La prese per il polso, ma quando la vide il sorriso scomparve dal suo volto. Non era lei.
La ragazza lo guardò allibita, mentre lui mollava la presa dal suo braccio.
-Scusami, credevo fossi una mia amica.- disse e se ne andò, tornando alla macchina ed era più che sicuro che l’attesa sarebbe finita e che sarebbe finalmente riuscito a vederla.
 
La mattina successiva il cielo era limpido e il sole splendeva, cacciando via quelle nuvole cariche di pioggia. Non sembrava minimamente che per quasi un mese la pioggia avesse tormentato le giornate londinesi. Gli alberi era fioriti, contenti della splendida giornata, e finalmente si poteva sentire il cinguettio degli uccellini. Era arrivata, dopo tanto tempo, una bella giornata, ma per Josephina Bauer era un giorno come gli altri. Si svegliò presto, preparò la colazione a Sophie, che aveva appena iniziato le superiori, e visto che aveva un po’ di tempo ripassò per l’esame imminente. In quei cinque la sua vita si era evoluta, ma non nella maniera che si aspettava. Si era diplomata, come da sua aspettativa, con il massimo dei voti e aveva ricevuto una lettere di raccomandazione dal preside stesso che le aveva permesso di accedere ad Oxford. Avrebbe tanto voluto frequentare la facoltà di scienze della comunicazione, ma sua madre aveva ben altri progetti e lei non aveva fatto altro che accontentarsi e mandare giù il dispiacere per quel sogno infranto. Si era iscritta alla facoltà di economia, tutto questo solo per poi prendere in mano l’azienda che una volta era di suo padre. Però doveva ammettere che quella scelta non era poi così inutile. Aveva scoperto una passione nascosta per il management e la finanza e non poteva certo dire che sua madre aveva fatto una scelta sbagliata. Nonostante ciò, sentiva che qualcosa in lei non andava. Sapeva che in lei c’era qualcosa che le mancava. Forse il senso di libertà? Forse non era appagata da tutto quello che stava vivendo, anche se non era poi così male come aveva pensato. A volte si metteva di fronte allo specchio e guardava il suo riflesso. Sembrava un’altra persona. Persino il suo sorriso sembrava costruito… Falso. Forse lei stessa era falsa. Pur di accontentare sua madre, era arrivata fino a questo punto? Come sempre si gettò alle spalle i suoi dubbi mattutini, dicendosi che erano solo paranoie e convincendosi che un giorno avrebbe trovato la sua strada da sola. Si diede un ultimo ritocco, salutò Sophie e uscì nel vialetto dove la stava aspettando un Toyota Yaris blu scuro nuova di zecca. Non appena varcò la soglia della porta, il finestrino posteriore si abbassò e Sarah tirò fuori la testa.
-Muoviti che siamo in ritardo! Il piccolo fisico mi sta assillando da stamattina. Lui e il suo fottuto esame.- urlò con la sua solita allegria.
Josephina rise e salì in macchina, dove potè assistere alla consueta litigata mattutina dei due fratelli.
-Qual è l’argomento di stamattina?- chiese la ragazza a Luke, seduto sul sedile anteriore.
I capelli biondi erano più folti, ma aveva cambiato il suo look. Era più curato, ricercato, visto che frequentava la facoltà di veterinaria. Si girò e mostrò i sorridenti occhi verdi.
-Una stupida brioche al cioccolato.-
Lucas ingranò la prima e partì.
-Non era una semplice brioche! Era una di quelle fatte in casa dalla nonna! Le aveva fatto solo per me, ma quell’ingordo se l’è mangiate tutte!- ribattè Sarah che, si avvicinò al sedile del guidatore e, con la bocca vicino all’orecchio del fratello, continuò. –Ti finiranno tutte sui fianchi e si faranno i rotolini di ciccia. Mica vuoi essere il fidanzato ciccione di Nicole?-
-Uh… Nicole! Nicole, non andare via! Non è grasso! E’ solo tanto amore! Mi metterò a dieta se vuoi!- incominciò a prenderlo in giro Luke.
Lucas divenne completamente rosso per la rabbia.
-Non è vero! Inoltre Nicole non si è messa con me per il mio aspetto, bensì per il mio cervello. Tra noi non c’è quel tipo di rapporto.-
-Allora lo ammetti che sei ciccione!- esclamò Luke, che ricevette un pugno sulla spalla dall’amico.
-Sarà… Ma ogni volta che entra Mr. Bello Schianto sbava come una matta, fantasticando una notte di passione con lui. Fratellino, non la soddisfi abbastanza!-
Josephina si voltò verso l’amica e gli fece un sorrisino malizioso, che Sarah ricambiò. Lei frequentava Storia antica, per poi diventare un’archeologa, ma a malincuore aveva lasciato karate a causa dei troppi impegni universitari. Josephina, però, sapeva benissimo chi fosse “Mr. Bello Schianto”. Da due anni ormai era arrivato un nuovo docente di storia dell’arte, corso non obbligatorio ma che Sarah doveva seguire per ottenere dei crediti extra, e proprio lì potè conoscere il Professor Elliot Williams, alias Mr. Bello Schianto. Inizialmente erano solo un semplice insegnante e alunna, ma dopo un po’, sono diventata molto di più e solo lei conosceva il segreto di Sarah. Se lo avesse scoperto Lucas o qualcuno dell’università, sarebbe scoppiato il finimondo.
La mattinata passò tranquilla e abbastanza allegra, le lezioni passarono veloci. Per Josephina non poteva esserci giornata migliore e nulla avrebbe potuto rovinargli quella settimana così perfetta. Angela era partita insieme Ethan per l’Irlanda ad organizzare il suo matrimonio e sua madre e Adam erano andati con  lei. Sarebbero tornati nel fine settimana. Erano così felici per la loro bambina che si sposava, ma specialmente con un ragazzo con una brillante carriera nella polizia e con dei genitori straricchi. Almeno Angela se ne sarebbe andata in Irlanda con molta probabilità e lei poteva stare tranquilla fino alla sua laura, alla quale mancava pochissimo. L’unica cosa che la turbava era il fatto che, se avrebbe avuto un figlio prima di lei, specialmente maschio, avrebbe intascato l’eredità che spetta a lei e a Sophie di diritto. Ma in quel caso, avrebbe fatto un test del DNA e avrebbe dimostrato che Angela non è mai stata figlia di Denny Bauer.
La pausa pranzo doveva passarla con alcune sue compagne di corso, tra cui Sarah e la fidanzata di Lucas, Nicole. Volevano pranzare al nuovo ristorante che si era aperto da poco in centro. Josephina si poteva ritenere felice. Aveva della amiche, una vita sociale, senza dove sacrificare troppo tempo allo studio. Non avrebbe mai pensato che qualcosa avrebbe potuto minare quella felicità che difficilmente si era conquistata con il tempo. Uscirono dagli edifici principali dell’università e attraversarono il cortile, dirette verso il parcheggio, quando l’attenzione di Megan, una delle compagne di Josephina, venne catturata da una Porsche color caramello.
-Ma è una meraviglia!- esclamò e tutte le ragazze guardarono nella sua stessa direzione e immediatamente cambiarono rotta, dirette verso l’auto, curiose di scoprire di chi fosse.
Josephina non appena la vide rimase a bocca aperta e si ricordò di quella volta che conobbe lo zio di Carlos e Pablo, il cugino, quando dovevano riportare Carlos in Spagna su richiesta del nonno. Quella volta però era tornato… Erano passati cinque anni e lui non si era mai fatto vivo, in più la sua casa era stata venduta ad una coppia gentile con due bambini piccoli. Nemmeno uno straccio di telefonata o di messaggio. Avrebbe dato tutto pur di sapere come stava, ma si era rassegnata. Carlos si era fatto una nuova vita in Spagna e non pensava più a lei, quindi anche lei doveva andare avanti per la sua strada e faticosamente ci era riuscita. Si convinse, quindi, che non poteva essere sua, però c’era qualcosa che non andava. Aveva uno strano nodo alla gola, come se stesse per succedere qualcosa. Sentì l’urgente bisogno di sciacquarsi il viso.
-Ragazze, mentre ammirate la Porsche, io vado un attimo in bagno. Torno subito.-
-Ti accompagno?- fece Sarah, ma la ragazza scosse la testa e sorrise, quasi correndo verso l’edificio. Per qualche strano motivo, Josephina aveva paura di scoprire chi fosse il proprietario dell’auto. Il suo istinto non la smetteva di urlare il nome di Carlos. Era così insistente che le tempie incominciarono a pulsarle. Disperata si gettò un po’ di acqua fresca in viso, fece un respiro profondo e tornò sui suoi passi. Stava quasi per attraversare il corridoio principale, diretta a grandi passi verso il cortile, quando ricevette un messaggio da sua sorella Sophie.
“Vado a mangiare da un’amica! Torno stasera per cena. Vuoi qualcosa in particolare, così te lo preparo <3”
Era così dolce. Cercava in ogni modo di aiutarla e Josephina non sapeva come ringraziarla. Rispose che non si doveva preoccupare e che avrebbe preparato lei la cena, però non notò che un ragazzo con un giubbotto di pelle marrone le tagliò la strada facendola cadere.
-Scusami! Non ti avevo vista.- fece il ragazzo, porgendole la mano per aiutarla ad alzarsi, ma Josephina rifiutò il suo aiuto, raccolse il telefono e si rialzò, aggiustandosi i capelli.
Quando alzò lo sguardo non potè credere ai suoi occhi. Carlos era di fronte a lei, i suoi occhi verdi erano lì a guardarla, splendidi come sempre. Il suo cuore perse un battito. Non poteva essere tornato… Non proprio quando lei aveva finalmente trovato un equilibrio. Non aveva riconosciuto nemmeno la sua voce, anzi, a guardarlo meglio era cambiato tantissimo. Era diventato un uomo, non era più il ragazzo di un tempo. Persino i suoi occhi sembravano diversi.
-Ciao, Juss…- disse lui fiocamente, abbozzando un sorriso timido. Non era mai stato così prima d’ora.
-Non puoi essere ritornato… Non dopo cinque anni!- esclamò Josephina, superandolo e scuotendo la testa incredula.
Carlos si voltò e incominciò a seguirla. Aveva immaginato in tanti modi il loro primo incontro dopo tutti quegli anni, ma non in quel modo. Gli piaceva pensare che Josephina sarebbe corsa tra le sue braccia e avrebbe potuto riassaporare di nuovo le sue labbra. Questa volta sarebbe andata meglio, pensava. E lui avrebbe fatto di tutto per farlo accadere. Nessuno avrebbe potuto portargliela via. Peccato che non era iniziato con il piede giusto.
-Invece sono tornato! E ti prometto che non me andrò via!- fece, cercando di tenere il passo della ragazza, che non accennava a rallentare.
Infastidito dal suo atteggiamento, la prese per il polso e la girò verso di lui, guardandola negli occhi, in quegli occhi sinceri e orgogliosi che aveva sognato per cinque anni.
-Che cosa vuoi da me?- grugnì la ragazza, liberandosi dalla sua presa.
La sua domanda lo colpì a bruciapelo. Non si aspettava una reazione simile.
-Volevo rivederti. Non ci vediamo da cinque anni. Credevo che saresti stata, non dico felice, ma almeno sorpresa di vedermi.-
Josephina, con le mani che le tremavano, si sistemò una ciocca di capelli dietro l’orecchio e incrociò le braccia al petto, abbassando lo sguardo. Era troppo nervosa. Doveva smetterla di tremare.
-Perché proprio adesso? Non ti fai sentire, nemmeno un messaggio o una mail. E’ normale che reagisca così. Ora se non ti spiace, torno dalle mie amiche.- rispose e fece per voltarsi, ma Carlos la fermò di nuovo prendendola per le spalle.
-Hai ragione, dovevo almeno farmi sentire ogni tanto. Voglio farmi perdonare. Che ne dici se pranziamo insieme?-
Josephina si trattenne dal non ridere.
-Speri che un pranzo risolva tutto? In più non posso. Mi vedo con le mie amiche che mi stanno aspettando.-
-Allora possiamo cenare quando sei libera.- ribattè Carlos abbozzando un sorriso.
-Carlos…-
Come era bello sentirla pronunciare il suo nome, ma dal tono in cui l’aveva detto capì che non stava per dire nulla di buono.
-Dammi almeno una chance. Una sola cena.-
Josephina scosse la testa.
-Mi dispiace, ma non posso. Non sono più la ragazza che conoscevi cinque anni. Sono diversa ora. La ragazza di un tempo ti avrebbe aspettato. Ho una mia vita e tu non ne fai parte.-
Questa volta Carlos non la fermò. La lasciò andare via, incredulo delle parole che aveva appena sentito, e pensò davvero che Josephina era cambiata. Quelle parole lo ferirono, ma era certo che lei non le pensava sul serio. Dentro di lei, in qualche parte del suo cuore non l’aveva dimenticato. Lei era ancora innamorata di lui, doveva solo far riemergere quei sentimenti che per cinque anni aveva tenuto sepolto in angolo.
 
Dopo il pranzo, Josephina tornò di corsa a casa. Aveva il cuore in subbuglio, la bocca secca e le mani le tremavano terribilmente. Non credeva che rivedere Carlos avrebbe scatenato una reazione simile. Non aveva mai provato una sensazione simile. Non sapeva nemmeno come definirla precisamente. Paura? Ansia? Qualunque cosa fosse, Carlos non doveva tornare. Doveva rimanere a Madrid. Nel  primo anno aveva così sofferto per la sua assenza e il solo pensiero che accanto a lei ci fosse casa sua, aveva alimentato in lei la speranza che sarebbe tornato. Una speranza che venne distrutta poco dopo con la vendita di quella stessa casa. Aspettò inutilmente un suo messaggio o una sua telefonata, ma anche il totale silenzio aveva contribuito a farle aprire gli occhi e a smettere di sognare ad occhi aperti. Si era convinta, non con tanta facilità, che Carlos si era lasciato tutto alle spalle e anche lei doveva farlo. Doveva andare avanti. Ora che lo aveva fatto, Carlos non poteva tornare e riportare tutto come prima. Non glielo avrebbe permesso.
Per scacciare l’ansia e tranquillizzarsi, si fece una doccia calda. Forse con quel loro incontro disastroso, davvero Carlos l’avrebbe lasciata in pace. Oppure avrebbe dovuto dargli una possibilità? Carlos avrebbe avuto il modo di spiegarle il motivo di tutto quel silenzio e perché solo ora era potuto tornare. Alla sola idea, Josephina scosse la testa.
Dare una possibilità a Carlos è come dargli il permesso di ritornare nella sua vita, e lei non voleva una cosa del genere. Lui faceva parte del passato. Uscì dal bagno e notò che c’era un messaggio in segreteria. Sophie l’aveva avvisata che avrebbe cenato dall’amica perché non erano riuscita a finire i compiti.
Dato che sarebbe stata sola, pensò di chiamare Sarah e passare la serata con lei, visto che erano a mala pena le sette. Forse così si sarebbe svagata un po’ e non avrebbe più pensato a Carlos. Non sapeva se dirlo alla sua migliore amica oppure tenerlo per sé. Sarah sapeva quanto lei avesse sofferto, quindi c’era la probabilità che lei lo avrebbe cercato e riempito di botte. Ma era anche vero che avrebbe capito che qualcosa non andava e l’avrebbe bombardata di domande, fino a quando non avrebbe ottenuto ciò che voleva sapere. Sentì suonare il campanello mentre si stava mettendo le scarpe.
Scese le scale e prima di aprire la porta di casa, si guardò allo specchio. Erano passati 10 anni dalla morte del padre. Era cresciuta ed era diventata una donna. Non era più la bambina ingenua di un tempo. Era incredibile come il tempo cambiasse le persone. Nel giro di un anno aveva perso suo padre e aveva conosciuto l’amore. Quei tempi, ormai, erano lontani e poteva vedere suo padre solo in fotografia e nei suoi ricordi. Ripensare a lui la commosse fino al punto di sentire le lacrime agli occhi. Asciugò l’unica lacrima che era scivolata giù e sforzandosi di sorridere, mentre si dirigeva verso la porta.
Quando l’aprì, però, quel falso sorriso scomparve. Carlos era di fronte a lei. I suoi occhi verdi la guardavano dalla testa ai piedi, mentre le sue labbra abbozzavano un sorriso.
-Posso entrare?- fece, ma Josephina non gli rispose. Si limitò a chiudergli la porta in faccia, ma lui mise il piede tra essa e lo stipite, bloccandone la chiusura.
La ragazza si allontanò dalla porta, mentre Carlos entrava in casa e chiudeva la porta alle sue spalle.
-Mi pare di averti già detto che non ti voglio più nella mi vita.- disse lei mettendosi le mani sui fianchi. Immediatamente si pentì  di aver optato per un vestito aderente color cipria, con tanto di scollatura.
-Voglio solo parlarti. Non ho alcuna intenzione di violentarti.- ironizzò Carlos, ma la battuta irritò solo di più  Josephina.
-Io non voglio parlare con te.-
-Solo cinque minuti.-
Josephina si voltò, dandogli le spalle.
-Ho già detto che non ho alcuna voglia di ascoltarti. Va via da casa mia!-
Seguì un imbarazzante silenzio. Carlos avrebbe tanto voluto accontentarla, ma non poteva. Non dopo aver atteso cinque anni. Davvero voleva solo parlare, dirle quanto le fosse mancata, di quanto avesse pensato a lei. Sapeva che lei sarebbe cambiata, però doveva provarci. Voleva dirglielo. Se poi lo avrebbe respinto e gli avrebbe detto, guardandolo negli occhi, che non lo voleva più nella sua vita se ne sarebbe fatto una ragione. Ma almeno ci doveva provare. Si avvicinò a lei, che gli volgeva ancora le spalle. Le sfiorò il braccio e la spalla e potè sentirla sussultare. Sorrise.
-Sicura di volermi andare via.-
Josephina annuì, ma lui si avvicinò ancora un po’, appoggiando la fronte sulla testa. Annusò a pieni polmoni il suo profumo. Sapevano di vaniglia, proprio come lo ricordava. Risentire il suo odore lo fece sentire in pace. Chiuse gli occhi e avvicinò le labbra all’orecchio.
-In questi cinque anni non ho fatto altro che immaginare il giorno in cui sarei tornato. Stare a Madrid, lontano da Londra e da te, è stato un vero inferno. Ogni mio pensiero era rivolto a te… Volevo sapere come stavi, che cosa facevi, però non avevo il coraggio di chiamarti per qualche strano motivo. Ogni volta che prendevo il telefono, quei cinque minuti liberi, andava a finire che mi bloccavo.-
Si allontanò quel tanto per permettere a Josephina di voltarsi. Ora si guardavano negli occhi.
-Mi dispiace.-
-Non mi importa delle tue scuse.-
Carlos alzò le spalle.
-Non capisco perché sei così arrabbiata con me.-
Josephina abbassò lo sguardo. La sua era solo  una sorta di autodifesa.
-Perché cerchi di allontanarmi?- chiese lui, sfiorandole la mano e stringendola nella sua.
-Non puoi capire.- si limitò a dire la ragazza.
-Cosa? Prova a spiegarmelo.-
-Sei stato via per cinque anni. Io sono andata avanti. Non puoi venire qui e reclamarmi come se fossi un’oggetto. Non sono più tua.-
Per un attimo, gli occhi di Carlos indugiarono sulle sue labbra rosee. La voglia di baciarla lo stava logorando. Josephina invece si sentiva le guance in fiamme e aveva il fiato corto. La sua presenza la faceva sentire strana. Il cuore le batteva così forte da farle male. Era davvero che l’aveva dimenticato? No, non l’aveva dimenticato.
Carlos sorrise.
-Ne sei sicura?- disse, quasi come se l’avesse letta nel pensiero. Anche se sembrava più maturo, non aveva il suo sguardo e il suo sorriso malizioso.
L’attirò a sé, annullando quella poca distanza che separava i loro corpi. La sua mano le accarezzò la schiena e Josephina si sentì pervadere da un brivido. Lui incominciò a baciarle la base del collo, assaporando la sua pelle. Gli era mancato così tanto il sapore della sua pelle, il suo tepore, il suo respiro che diventava sempre più accelerato ad ogni suo bacio e sentirla pronunciare il suo nome. Era così bello riaverla tra le braccia. Josephina cercò di divincolarsi, ma lui la strinse di più a sé, continuando a baciarle il collo e le guance. Lei chiuse gli occhi, si arrese a ciò che stava succedendo e all’onda di sentimenti che li travolse e immediatamente le loro labbra si incontrarono. Le mani di Carlos scivolarono lungo i fianchi, mentre Josephina appoggiò le mani sul suo petto e con un gesto gli tolse il giubbotto di pelle. E mentre la ragazza, con un calcio, si toglieva le scarpe, Carlos si tolse la camicia, seguendo il giubbino sul pavimento. Josephina si alzò sulle punte dei piedi, cingendogli il collo con le braccia, mentre lui, con le dita, cercava la cerniera del vestito. Non appena tirò giù la lampo, il vestito scivolò giù. La prese in braccio, gli cinse i fianchi con le gambe e lui, quasi senza staccare le labbra dalle sue, la condusse al piano di sopra.
Quando furono nella sua camera, la adagiò dolcemente sul letto e allora la guardò negli occhi.
-Mi sei mancato.- disse Josephina, rossa in volto.
-Anche tu mi sei mancata. Talmente tanto da farmi male.-
Tornò a baciarla, ma questa volta in maniera più dolce e assaporò ogni attimo. Essere di nuovo l’uno tra le braccia dell’altro, essere di nuovo insieme, essere una cosa sola era come un sogno. Avrebbero voluto fermare quell’istante. Era come se quei cinque anni non ci fossero mai stati. Non c’erano più i problemi, la Spagna, genitori che non ti comprendevano… C’erano solo loro due. Nient’altro.
 
Il risveglio, la mattina successiva, fu estremamente dolce. Il sole entrava tiepido dalla finestra e si poteva sentire il cinguettio degli uccellini. Dopo tanta pioggia, il sole era tornato a risplendere su tutta Londra, così come nella vita di Carlos. Era praticamente sveglio dall’alba e non riusciva a smettere di guardare Josephina. Lei dormiva beatamente accanto a lui, la testa appoggiata sul suo petto. I raggi del sole le accarezzavano la pelle nuda dandole l’aspetto di un angelo e Carlos non riusciva a smetterla di guardarla. Era più bella di come la ricordava e, se avesse potuto, l’avrebbe guardata per l’eternità. Come aveva fatto a sopportare tale lontananza per tutti quegli anni? Carlos, però, era convinto che le cose sarebbero andate bene ed ora potevano essere ciò che prima non erano riusciti ad essere. Le accarezzò i capelli, le diede un bacio sulla fronte e guardò l’orologio sul comodino. Segnava le otto e mezzo. Lentamente si alzò dal letto e si fece una doccia.
Dopo essersi rivestito e risistemò il salone, dove i due avevano lasciato gran parte dei loro vestiti. Posò il suo giubbotto di pelle sulla poltrona e si stava per dirigere verso la cucina, con l’intenzione di preparare la colazione a Josephina, quando sentì bussare il campanello. Inizialmente era indeciso se aprire o meno, così lanciò un’occhiata verso il piano di sopra, per vedere se la ragazza si era svegliata, ma quando il campanello suonò per la seconda volta si diresse verso la porta.
Quando l’aprì vide un ragazzo dai capelli biondi, gli occhi scuri nascosti dietro un paio di occhiali. Indossava un paio di pantaloni beige, una camicia blu notte e in una mano aveva due bicchieri di caffè e nell’altra un sacchetto con dentro dei muffin. Quando sentì la porta aprirsi, il ragazzo mostrò un sorriso gentile. Si squadrarono per un po’.
-Chi sei?- chiese Carlos, sorpreso. Pensava fosse Sarah, ma non si aspettava di certo un ragazzo.
Lui rise.
-In realtà questa cosa dovrei chiederla io.-
Lo spagnolo mise le mani nelle tasche e spostò il peso da un piede all’altro.
-Sono Carlos, un amico di vecchia data di Josephina. Tu?-
Avrebbe voluto dire che era il suo ragazzo, ma per ora era meglio tenerselo per sé.
-Non mi ha mai parlato di un amico spagnolo. Io, comunque, sono Andrew. Il suo fidanzato.-
   
 
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