Premessa. Questa storia si ispira al prompt “Rory/Prim – ‘Hope is a four-letter
word’, Counting Stars dei One
Republic) lasciatomi da TalkingCricket. La prima
parte è ambientata a una settimana di distanza dall’incidente in miniera che ha
ucciso Mr. Hawthorne e Mr. Everdeen. La seconda parte
è un missing moment di Catching
Fire ed è ambientata il giorno dopo la fustigazione
di Gale.
Hope is a Four Letter Word.
Rory affondò fino al naso dentro la vecchia sciarpa di
Gale e si infilò il cappuccio. A scuola d’inverno faceva sempre freddo, ma mai
quanto in quel periodo. Il ragazzino, tuttavia, non era certo che quella
sensazione dovuta al calo di temperatura. Era da una settimana – dalla notte
più brutta di sempre, per essere precisi – che si sentiva strano, come se
avesse inghiottito un intero blocco di ghiaccio. Aveva freddo in continuazione
– freddo dentro il petto – e non riusciva a scaldarsi.
Tirò su col naso e
aggrottò le sopracciglia con fare scontroso, per spaventare le lacrime che
sembravano voler scendere dai suoi occhi.
Non poteva piangere,
non lì dove potevano vederlo tutti. Non importava se erano trascorsi solo sette
giorni dalla notte più brutta di sempre e suo papà gli mancava più che
mai. Aveva quasi otto anni, ormai, non era più un moccioso e si sarebbe
vergognato a morte se qualcuno l’avesse sentito singhiozzare. E poi doveva dare
il buon esempio a Vick, che di anni non ne aveva ancora sei e piangeva tutte le
sere prima di addormentarsi. E doveva essere forte per la mamma, che lavorava
tantissimo per comprare il pane, il latte e le medicine per Vick. Così tanto
che non aveva neanche più il tempo di abbracciare il cuscino di papà per
annusare il suo odore, come faceva i primi giorni.
Anche Rory l’aveva
fatto qualche volta, ma sempre di nascosto. L’odore di papà era un po’ forte,
ma gli piaceva: sapeva di uno tosto, con i muscoli ma anche sveglio.
Già, suo papà per
lui era sempre stato una specie di supereroe… Eppure adesso non c’era più.
Rory strizzò con
forza gli occhi e scosse la testa, come a voler scacciare quei pensieri tristi.
Sembrava più arrabbiato che mai mentre attraversava il corridoio delle terze
per raggiungere la sua classe. La collera, tuttavia, non gli impedì di sentire
il pianto che proveniva dall’aula di fianco alla sua.
Il ragazzino si
fermò di scatto e cercò di assumere lo sguardo cauto e attento che aveva visto
tante volte sul volto di Gale quando erano a caccia.
La maggior parte dei
suoi coetanei stava trascorrendo l’intervallo in cortile e per questo tutte le
classi erano vuote, eppure qualcuno doveva essere rimasto dentro.
Qualcuno che non
aveva affatto voglia di giocare a campana o a rincorrersi. Qualcuno – una
femmina, decise Rory ascoltandone il pianto – triste e arrabbiato tanto quanto
lui.
Sbirciò oltre la
porta socchiusa dell’aula di fianco alla sua. Individuò subito la proprietaria
di quei lamenti sconsolati e quando la riconobbe gli occhi ricominciarono a
bruciargli per la voglia di piangere. Era una bambina pallida e minuta, con
lunghi capelli biondi raccolti in due trecce un po’ sfatte. Non poteva vederle
il volto, perché la ragazzina stava piangendo sul banco con la testa fra le
braccia, ma Rory era certo di conoscerla.
L’aveva vista qualche
giorno dopo la notte più brutta di sempre, al funerale del suo papà. Era
una bambina carina e l’aveva già vista altre volte – a scuola e in giro per il
Distretto, sempre assieme alla madre o alla sorella – ma non l’aveva mai vista
piangere prima di quel giorno. Anzi, era una di quelle bambine che ti
sorridevano sempre, anche se magari avevi il naso sporco di moccio o qualche
insetto disgustoso su una spalla.
A Rory, che odiava
vedere le persone piangere, si strinse lo stomaco nel vedere quella ragazzina
sola e così triste. Così si fece coraggio e, un po’ rosso in viso, la raggiunse.
La bambina trasalì
quando se lo trovò di fianco: neanche lei sembrava poi così contenta di
piangere di fronte agli altri.
Rory si frugò nelle
tasche con fare imbarazzato, non sapendo bene cosa dire. Di solito quando i
suoi fratelli erano tristi cercava di farli ridere con qualche buffonata, ma
non era sicuro che quel genere di cose fossero adatte a far smettere di
piangere una femmina.
Insomma, non è che
lui se ne intendesse molto di bambine. I suoi fratelli erano tutti e due maschi
e snobbava sempre le sue compagne di classe per paura che gli attaccassero i
pidocchi. O, peggio ancora, che cercassero di baciarlo.
Ma quella bambina
lì, quella con le trecce, non sembrava il tipo da avere i pidocchi. Inoltre,
vederla triste lo faceva sentire come se qualcuno gli stesse stritolando lo
stomaco.
Così si guardò
attorno alla ricerca di qualcosa da dire. Notò che la ragazzina aveva chinato
lo sguardo, stringendosi a una bambola di pezza dall’aria sciupata, ma tutto
sommato pulita.
“Anche mia sorella
ha una bambola” azzardò improvvisamente, trattenendo a stento una smorfia.
Certo, voleva farla sorridere, ma se fossero stati costretti a parlare di cose
da femmine per l’intera ricreazione si sarebbe annoiato a morte. “Cioè,
non so ancora se avrò una sorella o un fratello, però mio papà è convinto…” si
interruppe, mordendosi il labbro. Una lacrima solcò una guancia della bambina,
e Rory dovette sforzarsi molto per non imitarla. Gli occhi gli bruciavano
sempre di più. “… Era convinto che è femmina. Così, mamma ha fatto una bambola
di lana… Se poi è maschio, se vuoi, te la regalo” aggiunse, azzardando un
sorriso.
La bimba scosse appena la testa e chinò lo sguardo, sfregando la guancia umida
contro la testolina della bambola.
Rory arrossì.
“Beh, in effetti non è una bambola molto carina…” si affrettò ad aggiungere,
sentendosi ogni secondo più stupido. E se l’avesse sentito qualche suo compagno
di classe? O, peggio ancora, se l’avesse sentito Gale? Che figura ci avrebbe
fatto? Doveva proprio mettersi a parlare di bambole? “… Insomma, la tua è più
bella. Anche se non è che ci capisco molto di bambole…”
Le sue guance
diventavano ogni secondo più rosse. Avrebbe tanto voluto darsi un pugno, o
meglio, ficcarsi un pugno in bocca per stare zitto.
La bambina, però,
non sembrava infastidita dalle sue parole. Un debole sorriso le aveva
arricciato le labbra e aveva smesso di nascondersi dietro la sua bambola.
Adesso lo stava guardando con fare attento, i grandi occhi azzurri ancora
umidi, ma non più così tristi.
“Grazie” mormorò con
gratitudine infine, accarezzando la testa del giocattolo. Lo porse poi a Rory
che, d’istinto, scattò all’indietro: sembrava terrorizzato.
“No no, tienila pure
tu…” si affrettò a dire, ficcandosi le mani in tasca. Ormai il rossore gli
aveva infiammato anche le orecchie. “… Sai, è che noi maschi siamo allergici
alle bambole…”
La bambina scoppiò a
ridere. Rory abbozzò un mezzo sorriso compiaciuto, nel ricambiare il suo
sguardo: c’era riuscito, alla fine, a farla smettere di piangere.
“Si chiama Hope” dichiarò a quel punto la piccola, accarezzando i capelli
della bambola. “Significa speranza.” Il suo sguardo tornò a inombrarsi,
quando aggiunse le parole successive. “L’ha scelto il mio papà.”
Chinò lo sguardo e
si strinse al giocattolo, incominciando a cullarlo.
Rory tamburellò con
le dita contro il banco, come faceva sempre quando era nervoso.
“H-O-P-E” scandì poi, annuendo compiaciuto. “Ha quattro lettere! Sai, a noi
Hawthorne piacciono le cose da quattro lettere, perché i nostri nomi sono tutti
così” spiegò, mettendosi a braccia conserte. Quel discorso sembrò incuriosire
la ragazzina, che tornò a ricambiare il suo sguardo. “Quindi mi piace anche la
tua bambola” annunciò, facendole il segno della vittoria.
Se ne pentì subito,
tuttavia, e arrossì di nuovo quando si rese conto dell’assurdità che aveva
detto.
“Insomma, questo non
vuol dire che ci voglio giocare o cose così… Le bambole sono roba da femmine e
io poi sono allergico, te l'ho detto. Dicevo solo…”
Ma non ebbe bisogno di completare la frase: la bambina era di nuovo scoppiata a
ridere. Aveva una risata simpatica, si disse Rory mentre l’osservava asciugarsi
le lacrime con un fazzoletto. E quando sorrideva era perfino… Massì, carina. Insomma, non era proprio bella… Lui non
avrebbe mai detto che una femmina era bella – tranne sua madre, lei sì che
era bellissima! – però carina sì.
“Come ti
chiami?” domandò infine la ragazzina, sorridendogli anche con gli occhi.
Rory gonfiò un po’
il petto e tornò a incrociare le braccia.
“Sono Rory Hawthorne”
rispose poi, con fare orgoglioso. “R-O-R-Y. Quattro lettere, hai visto?”
Il sorriso della
bambina si fece più largo.
“Io sono Prim” rivelò, facendo un’ultima carezza alla bambola, prima
di adagiarla sul banco: ormai non le serviva più. “P-R-I-M.”
Questa volta fu il
viso di Rory ad illuminarsi.
“Piacere di
conoscerti, Prim-di-quattro-lettere.”
Quel pomeriggio,
Rory scoprì che il numero quattro era davvero fortunato per gli Hawthorne,
proprio come diceva il signor Hawthorne. Forse non sarebbe mai riuscito a fargli
dimenticare la notte più brutta di sempre. E non gli avrebbe nemmeno
restituito suo papà.
Eppure, quel mattino
gli aveva portato qualcos’altro.
Quel mattino, il
numero quattro gli aveva trovato un’amica.
***
“Andrà tutto bene, Rory.”
La voce di Prim era decisa e rassicurante, priva di alcuna esitazione.
Non era tremula o spaventata come quella della Prim
di sette anni, la bambina con le trecce che aveva conosciuto un mattino a
scuola. E non era nemmeno la voce timida della ragazzina a cui aveva imparato a
voler bene col tempo, crescendole a fianco – così come suo fratello aveva fatto
con Katniss.
“Come fai a esserne
sicura?” sbottò il ragazzo, lasciandosi cadere sulla sedia. “Mio fratello è
mezzo moribondo sul tavolo della tua cucina, l’hanno riempito di frustate!”
“Si riprenderà
presto, ne sono certa” replicò ancora Primrose, stringendogli una spalla.
“L’hai visto da te: questa mattina ha già cercato di alzarsi. Vedrai che presto
potrà perfino tornare in miniera.”
Rory scosse la testa con fare incredulo. Gli veniva difficile lasciarsi cullare
dalle rassicurazioni di Prim. Fino all’anno
precedente era stato lui a doverla sostenere, guardando gli Hunger
Games con lei, curandole la paura con la sua presenza.
Era lui che le aveva
tenuto la mano durante la loro prima Mietitura e anche il giorno precedente e i
successivi, ogni volta che la sua amica incominciava a piangere.
Ma qualcosa era
cambiato nel corso degli ultimi mesi. Primrose non era più la bambina fragile
che aveva conosciuto quasi cinque anni prima a scuola. Non era più quella
ragazzina così pallida e delicata che aveva timore a toccare per
paura di romperla, di sporcarla di carbone.
Si era irrobustita e non solo fisicamente. Adesso sembrava lei, quella forte: non più Katniss o Gale e nemmeno lui. Era lei.
“Che c’è?” domandò Prim, rivolgendogli un’occhiata interrogativa.
“Eh?”
Rory aggrottò le
sopracciglia con fare perplesso.
“Mi stai guardando
in modo strano.”
Il ragazzino si
strinse nelle spalle.
“È solo che sei
diversa, ultimamente” ammise, tamburellando con le dita sullo schienale della
sedia.
Prim continuò a
osservarlo con sguardo confuso.
“Diversa in positivo
oppure…”
“In positivo.
Positivissimo!” si affrettò ad aggiungere il ragazzo.
Arrossì, quando si
accorse della foga con cui aveva parlato. Notò che anche le guance di Prim si erano fatte più rosse.
Era bella, quando
arrossiva: non solo carina come quando era piccola, ma proprio bella, come sua
madre. Come una donna.
“Stiamo
crescendo...” azzardò infine Prim, indirizzando
un’occhiata pensierosa al suo letto: lì, con la testa appoggiata al cuscino,
sedeva una vecchia bambola di pezza. “Credo sia quello.”
“Non è solo quello”
ammise ancora Rory, scuotendo la testa. “È come… come se avessi meno paura”
proseguì, distogliendo lo sguardo. “Meno paura di quanta ne abbia io. E non
sono sicuro che questa cosa mi piaccia.”
Lo sguardo di Prim si addolcì tutto a un tratto. Sfiorò appena i capelli
di Rory con fare materno, prima di allontanarsi da lui.
“Non è vero che
adesso ho meno paura di te…” rivelò poi, avvicinandosi al letto. “Quella c’è
sempre. Però, adesso, sento anche qualcos’altro.”
Si sedette sul
materasso e raccolse la bambola di pezza. La cullò per qualche istante, nello
stesso modo in cui Rory l’aveva vista fare molte volte quando erano piccoli.
“Dagli ultimi Hunger Games qualcosa è cambiato” mormorò infine la ragazzina,
mentre Rory prendeva posto di fianco a lei. Aveva lo sguardo distante, adesso:
come se stesse riflettendo su qualcosa di importante. Qualcosa da grandi.
“Che cosa vedi?” si
sorprese a domandarle l’amico, osservandola con attenzione.
Le labbra di Prim si incresparono lievemente, a formare un sorriso.
“Una parola da
quattro lettere” rivelò, appoggiandogli in grembo la bambola. Solo in quel
momento Rory la riconobbe: era la stessa che li aveva fatti conoscere da
bambini, la stessa che aveva tenuto a compagnia a Prim
le volte in cui aveva avuto paura di perdere Katniss.
Era Hope.
“Speranza.”
Note Finali.
Le ultime
frasi del dialogo fra Rory e Prim (“Dagli ultimi Hunger Games qualcosa è cambiato” “Che cosa vedi?”
“Speranza”. Sono tratte (anche se un po’ riadattate) da un dialogo Katniss/Prim in uno dei trailer di Catching
Fire.
Questa
storia mi era stata promptata più o meno un anno fa,
ma niente, mi mancavano tantissimo Rory e Prim. Come
nella maggior parte delle altre
storie che ho scritto su questa coppia (specialmente E.Y.E.S. O.P.E.N.)
Rory menziona la sua fissazione per il numero 4 che ha ereditato da babbo
Hawthorne.