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Autore: Marne    20/02/2016    3 recensioni
Il Mondo Magico è sconvolto da una lunga serie di scandali. Il Governo Shacklebolt, nato come faro di speranza, è sull'orlo di un precipizio fatto di menzogne, intrighi e spie. Il Bambino Sopravvissuto non riesce a dormire, le Forze del Male continuano a tramare fra le ombre delle anime che hanno rubato.
Uno specchio è ciò che impedisce al caos di rovinare sulla terra. Uno specchio divide la realtà dalla follia.
Hermione Granger, giovane Inquisitore del Ministero, è costretta a lavorare con Draco Malfoy, uno dei maggiori esperti di antichi artefatti magici.
Una serie di avventure nel cuore del vecchio Continente li porterà a scontrarsi con i demoni del passato, mentre la minaccia di un Ritorno aleggia su tutta la Comunità Magica.
Genere: Avventura, Mistero, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Draco Malfoy, Harry Potter, Hermione Granger, Mangiamorte | Coppie: Draco/Hermione, Harry/Ginny
Note: AU, OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dopo la II guerra magica/Pace
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Mirror Universe'
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Il dottor Crave, quel giorno, non sembrava intenzionato a parlare

Lo Specchio delle Anime.

 

 

Ci si chiede qual è la differenza tra un leader ed un capo.

Un leader guida, un capo dirige.

[Theodore Roosevelt]

        

        

Atto V

Di errori e autorità.

 

 

Il dottor Crave, quel giorno, non sembrava intenzionato a parlare.

Aveva ascoltato tutto il racconto di Draco, sorridendo qui e lì ogni qualvolta lui avesse fatto riferimento alla sua collega, ma non si era espresso neppure una volta e neppure con un semplice grugnito. Semplicemente, Newton Crave si era limitato a fissare il suo paziente, scribacchiare qualcosa sul suo quadernino ed accarezzare il suo povero ed apparentemente svenuto gatto.

Quel silenzio stava facendo innervosire Draco oltre ogni immaginazione. Il desiderio di alzarsi in piedi e lanciare il libro in testa al dottore era quasi fastidioso, tanto era forte dentro di lui. Non sborsava certo trenta galeoni alla settimana per osservarlo farsi i fatti suoi.

Aspettò un minuto, sperando che parlasse.

Due minuti.

Tre minuti.

Cinque.

Il libro venne sbattuto con violenza sul tavolo, ma l’uomo si limitò soltanto a lanciargli un’occhiata esasperata, le sopracciglia inarcate.

«Hai bisogno di qualcosa, Draco?» gli domandò l’uomo, serafico, tornando ad abbassare gli occhi sui suoi appunti, il viso nuovamente rilassato. «Sembri alquanto nervoso, oggi, non è da te» aggiunse, pacato.

Draco non apprezzò quell’affermazione. Per niente, davvero. La apprezzò così poco da alzarsi in piedi come una furia ed avviarsi alla porta, intenzionato a non prendere alcun appuntamento per la settimana successiva. Aveva trascorso anni a farsi spillare soldi da quel cialtrone e lui stesso aveva ammesso che le condizioni del suo braccio testimoniassero che non fosse guarito.

Nessuno poteva prendersi gioco di un Malfoy.

La porta dello studio, però, non si aprì. A prescindere da quanti tentativi stesse facendo, Draco non riuscì ad abbassare la maniglia neppure di un millimetro, lasciando che l’irritazione crescesse, crescesse all’infinito, come un fuoco sul punto di mangiargli le viscere.

«Apra questa dannata porta!» sbottò alla fine, voltandosi verso il medico e trovandolo con la bacchetta ancora puntata nella sua direzione. Aveva sigillato la porta per impedirgli di uscire, il bastardo. «Se non ha intenzione di staccarsi da quegli appunti, per quale motivo dovrei restare qui a perdere tempo con lei?» chiese alla fine, stizzito, quando l’altro non accennò a volerlo accontentare. Avrebbe sbattuto il piede per terra, se non avesse avuto un briciolo d’amore per il suo orgoglio.

Crave inarcò un sopracciglio, fissandolo con l’aria più sarcastica che il giovane mago avesse mai visto in faccia a qualcuno che non fosse un Malfoy.

«E sentiamo…» iniziò il dottore «dov’è che vorresti andare, una volta lasciato il mio studio? Pensi che qualcun altro possa aiutarti più di me?» chiese, piegando la testa di lato, come se si stesse interessando ad una qualche bestiola curiosa.

L’immagine di se stesso con una coda da pavone fece rabbrividire Malfoy, impedendogli di sputare la risposta velenosa che aveva sulla punta della lingua. Persa l’occasione, deglutì e si sforzò di non far fuggire la lunga sequela di imprecazioni che scorreva nella sua mente.

«Ha detto lei stesso di non poter fare nulla per me. A questo punto, risparmierò i galeoni e vedrò di parlare davanti allo specchio. Probabilmente otterrei più reazioni» mugugnò quindi, risentito, incrociando le braccia al petto per resistere alla tentazione di cercare la bacchetta nelle tasche.

Ancora una volta, Crave aveva dimostrato d’essere un passo avanti a lui. Sapeva che presto o tardi la tentazione di incendiargli lo studio l’avrebbe colto di nuovo, quindi si era premurato di vietargli la bacchetta a tutti gli incontri.

Bastardo.

«E da quando Draco Malfoy si preoccupa dei soldi?» chiese il dottore, ironico, sghignazzando nel notare un vago rossore colorare le orecchie dell’altro mago. Gli impedì di parlare, quando fece per rispondergli. «Lo so che non è per i galeoni, Malfoy, non sono un idiota. E, poiché non credo lo sia tu, mi farebbe davvero piacere se ti sedessi e la smettessi di comportarti da bambino viziato» disse allora, alzando gli occhi al cielo e mettendo da parte il suo quadernino, mentre il suo paziente, tornato pallido come un cadavere, si accomodava nuovamente sulla poltrona.

I due si guardarono, come a squadrarsi a vicenda.

«Perché ha aspettato che io provassi ad andarmene, prima di intervenire? Era un test?» domandò Malfoy, gli occhi ridotti a due lame argentee fra le ciglia. Indicò con un cenno la porta. «Ha messo del veleno sulla maniglia? Veritaserum che fa effetto grazie al tatto?» disse allora, sempre più accigliato. «Sul serio, dottore, se sta ancora tentando di usarmi per i suoi esperimenti…».

Crave sbuffò, stravaccandosi nella poltrona. «Non voglio avvelenarti, Malfoy. Da come ne parli, sembra quasi che io non faccia altro che usarti per i miei esperimenti. Quante volte posso averlo fatto? Una o due…»

Malfoy assottigliò di più lo sguardo. «Dieci, dottore».

«Dieci? Davvero?» chiese, con un’espressione fra l’ammirato ed il divertito. «Significa che le tue reazioni mi sono sembrate affidabili. Comunque non temere, non ho messo del veleno sulla maniglia. Non ne avrei avuto motivo» lo tranquillizzò, con un gesto vago della mano.

Malfoy non seppe se credergli oppure no, ma a quel punto sentì di non avere molta scelta.

«Ebbene? Sono rimasto per consentirle di fissarmi in silenzio un altro po’?» gli chiese, dopo altri minuti di calma opprimente. «Faccia il suo lavoro, per Merlino!».

«Cosa vuoi che ti dica, Draco?» disse il dottore, apparentemente tranquillo. «Mi hai raccontato i fatti con una dovizia di particolari invidiabile al migliore fra i cantastorie… devi essere tu a indicarmi da dove vorresti far iniziare la nostra discussione. Se iniziassi io, probabilmente decideresti di non volerne parlare per pura ripicca».

Draco avrebbe voluto negare, ma non seppe cosa dire. Dopotutto, il dottore aveva ragione. Per questo, si strinse nelle spalle e diede uno sguardo ai libri che lo circondavano, cercando uno spunto per parlare di qualunque cosa tranne quella che, davvero, lo stava assillando.

«Sputa il rospo, Malfoy, si vede lontano un miglio quanto tu stia cercando di evitare un argomento, pur volendo disperatamente aprirti con me» gli disse il dottore, esasperato. Un sorrisino gli curvò le labbra. «Naturalmente, nel tuo caso dubito che aprirsi a me possa essere interpretato alla lettera».

«Dottore!»

Crave rise, elegante come un felino. «Non scandalizzarti Malfoy, dubito che qualche baldo giovane non si sia proposto a te, come succede a me ancora oggi. Ai tempi della scuola era decisamente frequente, ma, dopotutto, ero uno spirito molto libero…» gli rispose, allegro come una comare impicciona. Il suo sorriso da gatto si fece più ampio quando vide un leggero colore tornare sulle guance del biondo.

«Lei è una vergogna per tutta la categoria dei guaritori, lo sa?» ribatté il giovane, mettendo il broncio quando il dottore rispose con una risata. «Mi faccia una domanda ed io risponderò sinceramente, lo giuro. Sarebbe inutile girare intorno alla questione» si arrese alla fine, con un sospiro rassegnato.

Prima ancora che Crave parlasse, Draco aveva intuito quale sarebbe stata la sua domanda.

«Per quale ragione ti sei impegnato tanto per salvarla, Draco?».

«Perchè anni fa avrei dovuto farlo e non ci sono riuscito» ammise lui, tirandosi le parole dalla bocca come se fossero state incastrate fra i suoi denti. «Perché quel giorno lei mi ha salvato ed io adesso devo ripagare quel favore».

Il dottore annuì fra sé e sé, grattandosi distrattamente il mento barbuto. Draco lo vide scribacchiare qualcosa sul quadernino, ma non gli sembrò intenzionato a chiedere qualcos’altro.

Alla fine, lo vide rilassarsi contro lo schienale, con un sospiro stanco. «Perché credi che lei ti abbia salvato la vita, Draco?» gli chiese, accavallando le gambe. «Dopotutto, l’hai sempre trattata male. Avrebbe potuto lasciarti lì, da solo» spiegò, inarcando le sopracciglia. Allungò la mano per afferrare il bicchiere di scotch sul tavolino, così da portarselo alle labbra.

Malfoy si accigliò, confuso. «Lei non è mai stata crudele, dottore» mormorò, infossandosi di più nella poltrona. «Non si dimentichi chi era l’idiota, in tutta questa storia» aggiunse, con un sorriso ironico. «Immagino che avrebbe potuto lasciarmi lì, così che gli altri mi scoprissero, ma dubito sarebbe stata bene con la sua coscienza, dopo».

«Ma tu» cominciò Crave, gli occhi scuri ridotti a due fessure. «Tu ci saresti riuscito, eppure hai detto che l’hai salvata per ripagare un debito, nonostante… beh, diciamo il tuo curriculum» sorrise leggermente, ironico. «Perché proprio lei, Draco? Perché hai sentito di dover pareggiare i conti? I tuoi genitori si sono addossati molte colpe per proteggerti, eppure insisti a non volerli incontrare» disse infine, puntando gli occhi sul fondo del bicchiere, ormai vuoto.

Draco si irrigidì, improvvisamente sulle spine. «Io non ho alcun problema con mia madre, dottore. L’ho incontrata non più di tre giorni fa ed intratteniamo una fitta corrispondenza. Non le permetto di insinuare che io non abbia rispetto per lei» sbottò, raddrizzandosi sulla poltrona, come se qualcuno avesse trasformato i morbidi cuscini in spine e frammenti di vetro.

«E tuo padre? Non mi pare che lui sia mai stato presente agli incontri con la signora Malfoy» ribatté, pacato, il dottore, appellando con un gesto la bottiglia di Scotch rimasta nell’angolo per riempirsi il bicchiere. Non accennò ad offrirne un bicchiere al ragazzo, forse perché consapevole che, se lasciato a se stesso, Draco l’avrebbe prosciugata nel giro di pochi minuti.

Il giovane strinse i denti, nervoso. «Per quanto mi riguarda, mio padre ha tirato le cuoia il giorno della Battaglia di Hogwarts» sibilò, mostrando i denti. «Se vogliamo essere pignoli, mio padre ci ha tragicamente lasciati il giorno in cui è stato rinchiuso ad Azkaban. L’uomo che ha accettato la mia nomina a Mangiamorte e che io uccidessi Silente non potrebbe mai essere considerato un padre degno di questo nome».

Qualcosa – qualcosa di oscuro, di pericoloso – apparve per un momento negli occhi del dottore e la difficoltà a scacciarlo fu evidente anche a Draco, che non era mai stato bravo a leggere e comprendere le persone.

«Un padre, spesso, fa qualcosa che ritiene sia giusta, sbagliandosi» gli disse semplicemente, riempiendo ancora una volta il bicchiere fino all’orlo. Sembrava fosse affascinato dai riflessi che il liquore assumeva, a contatto con la luce del camino. «Sbagliare non significa non potersi pentire. Io proverei a parlare con lui, fossi in te» sorrise leggermente, ma senza allegria. «Fare un tentativo non costa nulla».

Draco assottigliò lo sguardo, confuso. «Stiamo ancora parlando di mio padre, dottore?» chiese, piegando leggermente la testa di lato, come se, da quella prospettiva, fosse più semplice comprenderlo. «Spero non stia usando me per farsi i passare i sensi di colpa verso suo padre» disse, senza riuscire a trattenere l’ironia. «Isaac Crave, dico bene? Era un grande guaritore, decisamente più benvoluto di lei» aggiunse, incrociando le braccia al petto e rilassandosi di nuovo contro lo schienale.

Il dottore non si lasciò abbindolare. «Mio padre, che riposi in pace, non ha mai avuto nulla da dirmi, dopo avermi tanto gentilmente cacciato di casa. Ed io non posso portargli rancore, so bene di aver meritato tutto» gli rispose, calmo. Poi gli dedicò uno sguardo intenso. «Non so se sentirmi lusingato o offeso dal fatto che tu non abbia pensato che potessi essere io il padre».

Quella era una rivelazione che Draco non si aspettava.

«Mi prende in giro?» chiese, allibito.

Il dottore sorrise, malinconico, indicando una fotografia solitaria sulla mensola del camino. Una ragazza, non avrebbe potuto avere più di sedici anni, sorrideva all’obiettivo, scuotendo la mano in un saluto allegro. I grandi occhi azzurri certamente non appartenevano al dottore, ma i capelli scuri e l’espressione esasperata erano esattamente le stesse.

La figlia del dottore.

«Rosemary Crave, la mia unica figlia» disse l’uomo, senza tuttavia voltarsi a guardare la fotografia. «Quella foto risale ai tempi della scuola. Ha frequentato il quinto anno, quando c’è stata la battaglia» spiegò, sfiorano il bicchiere con la punta delle dita.

Una terribile sensazione fece gelare il petto di Draco, quando il sospetto si insinuò sotto la sua pelle come tanti, fastidiosi spilli.

Che fosse…

«È morta, dottore?» chiese, mostrando una delicatezza ed un tatto che non credeva di possedere. Il terrore di aver raccontato gli errori del suo passato al padre di una delle vittime di coloro che aveva considerato famiglia gli impediva di mantenere l’atteggiamento da sbruffone.

Crave espirò dal naso, bevendo metà del contenuto del bicchiere. «No, non è morta» chiarì, senza tuttavia mostrarsi abbastanza tranquillo da risollevare il morale di Draco. «In un certo senso, è sana come un pesce» continuò, sempre con la stessa espressione. «Fatta eccezione per le occasionali emorragie interne, l’incapacità di camminare ed il fatto che sia stata usata come cavia da laboratorio per oltre due mesi. Sono sciocchezze» sibilò infine, con una smorfia. Le nocche della mano con cui teneva il bicchiere erano sbiancate, tanto forte era la pressione.

«Cavia da laboratorio?» chiese il giovane, raddrizzandosi. Provò a ricordare se i Mangiamorte avessero mai parlato di esperimenti in sua presenza, ma senza alcun successo. Forse non avrebbe dovuto addossare a suo padre un’altra colpa. Forse non avrebbe avuto quel dolore sulla coscienza.

«I Mangiamorte stavano sperimentando nuove pozioni» disse invece in dottore, distruggendo in un momento ogni sua speranza. «Mi chiesero di aiutarli ed io rifiutai» bevve un altro sorso di scotch, riempiendo nuovamente il bicchiere. «Ho scoperto cosa le avevano fatto soltanto dopo mesi, quando l’Ordine della Fenice l’ha salvata. Oltre due mesi senza che io mi rendessi conto di cosa le avessero fatto. Oltre due mesi senza ricevere notizie, ma io quasi non me ne resi conto».

In quel momento, Draco immaginò per quale motivo la questione del perdono e dei padri gli stesse a cuore. Lui era un padre che doveva essere perdonato.

«Non poteva sapere che se la sarebbero presa con lei» provò a rassicurarlo, senza esser certo di avere buoni risultati. Non era bravo con le persone. «Ha evitato di aiutare degli assassini, sua figlia non può davvero biasimarla».

Crave emise uno sbuffo di risata, nonostante sembrasse particolarmente furioso con se stesso. «Mia figlia non mi odia, Signor Malfoy» lo rassicurò, sarcastico. «Lei non mi rinfaccia assolutamente nulla, anzi, sembra quasi che la prigionia l’abbia convinta a volermi ancora più bene».

Draco si accigliò. «Allora…?».

«Io non mi sono perdonato, Malfoy, e non credo che potrò mai farlo» sputò infine il dottore, mettendo da parte il bicchiere. «Se potessi tornare indietro aiuterei i Mangiamorte, anche a costo di resuscitare personalmente Voldemort» ringhiò, balzando in piedi e fronteggiando, per la prima volta, la fotografia. «Farei qualunque cosa, per impedire che la mia Rose possa esser presa di mira. Qualunque cosa, Malfoy, pur di vederla camminare ancora una volta e per sentirla minacciarmi di dare il mio nome al suo primogenito» esalò, con la voce improvvisamente tremante.

Draco non alzò lo sguardo, preoccupato all’idea di cosa avrebbe visto. La cicatrice al braccio gli faceva abbastanza male senza trovarsi davanti gli occhi di un padre distrutto dal dolore. «Non si può fare nulla, per lei?» chiese quindi, sperando di poter aiutare, in un qualsiasi modo. Nonostante non l’avesse mai conosciuta, la ragazza era comunque la figlia dell’uomo che lo aveva aiutato a superare quei sei anni. Glielo doveva.

Crave, gli occhi ancora puntati sulla foto della sorridente figlia, rise senza la minima allegria. «Sono il miglior guaritore degli ultimi anni, Malfoy, credi che se ci fosse stato un antidoto io non l’avrei già trovato?» domandò, sarcastico, per poi passarsi la mano fra i capelli. «Non c’è più nulla che io o chiunque altro possa fare per Rosemary. Nulla mi consentirà di guardare negli occhi mia figlia e non provare l’istinto di uccidermi» continuò, la voce ridotta ad un sibilo carico di odio e ribrezzo per se stesso. «Se ti ho chiesto di parlare con tuo padre, Malfoy, non è perché credo che tu abbia bisogno di perdonarlo, ma perché sono certo che lui abbia bisogno di perdonare se stesso, prima di morire».

Colpito da quelle ultime parole, Draco strinse i braccioli della poltrona così forte da farsi quasi del male. «Lei come lo sa? Siamo stati bene attenti a non diffondere la verità sulle sue condizioni» domandò, nervoso, ripetendosi l’elenco di tutte le persone che avrebbero potuto davvero tradirli.

«Sono il migliore, Malfoy, te l’ho detto» gli rispose il dottore, sospirando. «Tua madre si è subito rivolta a me, quando hanno scoperto la malattia» disse, lanciandogli uno sguardo in tralice.

Il giovane deglutì, sforzandosi di far uscire le parole con un tono che non sembrasse troppo preoccupato o interessato. «E cosa ha scoperto, nella visita?» domandò, con la voce ridotta a poco più di un sussurro.

Crave sospirò, dedicandogli un sincero sguardo di commiserazione. «Va’ a parlare con tuo padre, Draco, concedi almeno a lui di morire con l’anima in pace. Dubito vedrà l’anno nuovo».

 

***

 

«Si rende conto dei danni che avete causato?».

Ancora una volta, Kinglsley Shacklebolt sbatté il pugno sul tavolo, trattenendosi dall’urlare soltanto per evitare di far diffondere troppo la notizia. Aveva gli occhi spalancati in modo quasi anormale, il viso coperto da tante goccioline di sudore. Hermione non ne era assolutamente certa, ma le sembrò di poter scorgere l’arteria sul collo pulsare furiosamente.

Il ministro si era infuriato.

«Mi rendo conto, ma…» tentò, ancora una volta, ritrovandosi interrotta da un altro pugno sulla scrivania. Quella volta, almeno, non trasalì. «Ministro, mi rendo conto che i danni siano stati particolarmente gravi, ma se esaminasse il rapporto…» continuò, testarda, allungando la mano per poter indicare il punto preciso in cui l’uomo avrebbe potuto trovare la spiegazione dettagliata di ciò che erano stati costretti a fare pur di portare a casa la Traccia e, soprattutto, la pelle.

«Tu non ti rendi conto, signorina Granger» le sibilò contro l’uomo, con una smorfia furiosa. «Il Ministro della Magia francese mi alita sul collo, li avevo avvertiti che ci sarebbero potuti essere problemi, ma non… non questo» aggiunse, furioso. «Hanno chiesto i danni per quello che avete combinato e il Governo non ha abbastanza fondi per permettersi queste sciocchezze».

Ad Hermione la parola sciocchezze non piacque affatto. L’irritazione crebbe dentro di lei come un fiume in piena, riportandole alla memoria tutto ciò che di orribile aveva visto negli anni di fedele servizio al Ministero. Ogni sciocchezza, ogni quisquilia che aveva pensato semplicemente di scordare per amore della pace comune… ricordò tutto.

«Questa è una sciocchezza, Ministro?» sbottò allora, incrociando le braccia al petto. «Distruggere creature pericolosissime, nascoste fra i babbani, per recuperare un artefatto di fondamentale importanza ed evitare che Voldemort torni in vita è una sciocchezza?» sibilò ancora, alzandosi in piedi, l’indice puntato contro il petto dell’uomo. «Vuole sapere una vera sciocchezza, Ministro? I regali assurdamente costosi fatti ai Capi di Stato stranieri, quelli sono sciocchi! Oppure le cene di lusso! Oppure le interviste con il Profeta che il Governo finanzia, per coprire un po’ lo schifo generale!» iniziò a sbraitare, sentendo la rabbia infiammarle il viso. Avrebbe voluto tirar fuori la bacchetta, puntargliela contro e fargli rimpiangere l’ultima mezzora di rimproveri che era stata costretta a sopportare. Ma lui era il Ministro, lei non poteva permettersi certe libertà.

«Signorina Granger, queste non sono questioni che…».

«Non mi dica signorina Granger!» sbottò ancora, furiosa. «Ci ha dato una missione e noi l’abbiamo portata a termine! Cosa vuole di più? Stiamo già facendo il lavoro di cui lei dovrebbe occuparsi, Ministro» sputò l’ultima parola come se fosse stata un insulto. «Posso accettare che il nostro modo di gestire la situazione non sia stato dei migliori. Posso accettare l’ammonimento a stare più attenti, la prossima volta» si fermò un momento, abbassando il dito e sospirando, nel tentativo di recuperare la calma. «Ma non può accusarci di mandare in bancarotta il Ministero, Signore. Non siamo noi a dissipare tutto per mantenere l’illusione che vada tutto bene. Non siamo noi gli incapaci».

Si rese conto di aver esagerato un istante troppo tardi, quando notò la rabbia tornare prepotentemente ad affacciarsi negli occhi scuri dell’uomo, dove un attimo prima sembrava voler vincere la vergogna.

L’avrebbe fatta arrestare?

Shacklebolt aveva l’espressione di un lupo affamato cui era stata malamente sottratta la preda. Puntò il dito contro il rapporto che la giovane gli aveva consegnato quella mattina, colpendolo più volte. Se avesse usato più forza, avrebbe lasciato un buco nel legno.

«Ho sbagliato la prima volta a coprire le spalle a lei ed a Malfoy» le sibilò, mostrando i denti. «Non sbaglierò più. Il Ministero, da oggi in poi, si limiterà a tirarvi fuori di prigione, qualora fosse necessario. Si ricordi che tutta la sua carriera dipende da questa missione, Granger, e che sono io il vero capo della missione» con fare minaccioso, girò intorno alla scrivania, fronteggiandola. «La prossima volta che mi metterete in imbarazzo davanti ai Ministeri stranieri, non esisterà bettola del mondo magico pronta a darle un lavoro» si fermò, ma solo per riprendere fiato. «Quanto a Malfoy, gli ricordi chi è che gli copre le spalle» aggiunse infatti, indicando nuovamente i fogli. «Trovate quello Specchio e state bene attenti, se il Ministero non paga, i responsabili sarete voi».

L’istinto ribelle che Hermione non sapeva neppure di possedere insorse. «E se non volessimo continuare la missione?» domandò, impertinente. «Chi altri vorrebbe mandare, eh? Chi potrebbe avere più esperienza di noi?» sbottò, forse peccando un po’ di egoismo. «Voldemort è una minaccia ben più importante della caduta del Governo e mi rifiuto di credere che proprio tu non te ne renda conto, Kingsley» disse infine, cercando di ergersi in tutta la sua modesta altezza.

L’uomo non si fece intimidire, tutt’altro. Il fatto che lei si fosse presa quella confidenza, come se fossero stati ancora nell’Ordine, doveva averlo irritato ancora di più.

«Non mancarmi di rispetto, signorina Granger. Sono io che impedisco alle autorità babbane di arrivare al tuo collega» minacciò, lasciando bene intendere che l’attività illecita di Malfoy fosse, in un certo senso, appesa al filo di un rasoio.

Nonostante l’istinto le ordinasse di tacere, poiché quella minaccia era sufficiente a mettere a repentaglio la missione, qualcosa la spinse a ribellarsi ancora.

Nessuno l’avrebbe più sottomessa.

«Beh, questo potrebbe fermare Malfoy. Senza di me, lui non potrebbe portare a termine un bel niente» ribatté quindi, l’espressione vincente.

Kingsley sorrise.

«Quanto credi che durerebbe il tuo amico Potter, se si venisse a sapere dei suoi problemi con l’alcol?» le disse, le sopracciglia inarcate ed un sorriso di trionfo stampato in viso. Lui sapeva che niente le avrebbe impedito di aiutare Harry. Sapeva che lei  fosse ben più che consapevole del fatto che l’amico, lasciato a se stesso, non avrebbe resistito molto.

Con le spalle al muro, Hermione capitolò.

 

***

 

«Beva questo, Miss» con voce gentile, Daisy le porse una tazza fumante di tè. «Ho messo un bel po’ di zucchero, è così pallida che sicuramente ne avrà bisogno» aggiunse, dolcemente, aggirando la scrivania del Ministro per sistemare i documenti sparsi un po’ ovunque.

Dopo averle dato quell’ultimatum, Shacklebolt era praticamente scappato dal suo ufficio, abbandonando la giovane strega a tutti i suoi pensieri. Doveva essere totalmente fuori di sé, altrimenti non avrebbe mai lasciato tutto quel disordine sulla scrivania. Era stato un Auror, l’ordine era un modo di essere.

Hermione, da quando la porta si era chiusa violentemente alle sue spalle, si era limitata ad accomodarsi in una delle sedie davanti alla scrivania. Non era neppure riuscita a sentire Daisy, prima che le mettesse davanti la tazza.

Doveva ringraziarla, era stata gentile, nonostante nessuno la stesse obbligando. Di certo il Ministro non le aveva chiesto di portarle il tè.

«Grazie, Daisy» mormorò, schiarendosi la voce per eliminare il tremore fastidioso. «Tolgo subito il disturbo, mi dispiace di non essere andata via immediatamente» si scusò, imbarazzata, mescolando leggermente il contenuto della tazza. Il colore rosato del liquido le fece venire i brividi: era la stessa qualità che Dolores Umbridge beveva ad Hogwarts. Qualcosa di irrazionale, dentro di lei, le urlò di non bere, per evitare di diventare a sua volta una rospa in rosa.

La giovane assistente sorrise, tranquilla, senza tuttavia sollevare lo sguardo dai documenti. Il rapporto che con tanta cura Hermione aveva preparato era quasi totalmente stropicciato. «Non si preoccupi, Miss Granger, so bene quanto il Ministro possa spaventare» mormorò in risposta, con tono leggero e tranquillo. Le sue dita fragili erano velocissime nel rassettare i fogli.

Hermione si sentì punta da quell’osservazione. «Io non ho paura di lui» disse quindi, accigliata, raddrizzando le spalle per recuperare un po’ dell’orgoglio che temeva di aver perso. Era un’eroina di guerra, nessuno avrebbe potuto più spaventarla davvero.

Più o meno.

Daisy sorrise di più, comprensiva, sollevando un attimo lo sguardo per rassicurare l’altra strega. «Naturalmente, Miss» mormorò, pacata. «Intendevo dire che so bene quanto il Ministro possa perdere le staffe, quando qualcuno gli fa notare i suoi errori» strinse per un momento le labbra dipinte di rosa chiaro, indicando una delle finestre – magia, naturalmente, si trovavano sottoterra – alle sue spalle. Il vetro dell’infisso in questione era leggermente diverso dagli altri, come se fosse stato sostituito da poco. «Almeno questa volta non è stato violento».

Hermione si accigliò di più, cercando di far conciliare l’immagine del Kingsley che lei aveva conosciuto durante la guerra con quella del Ministro Shacklebolt, sommerso da critiche, debiti ed incapace di reagire con calma.

Non ci riuscì.

«Daisy, ti ha mai fatto del male?» domandò all’improvviso la più giovane, colta da un orribile dubbio. Aveva detto di averlo visto nei suoi momenti peggiori, aveva detto che spesso era stato violento. Possibile che la sua follia fosse arrivata a quel punto? «Non preoccuparti, puoi dirmelo…» aggiunse, temendo che la bionda avesse paura ad aprirsi a causa delle possibili ritorsioni.

Il suo sguardo sconvolto fu sufficiente a dissipare tutte le preoccupazioni di Hermione.

«Oh, no, Miss! Il Ministro è sempre molto gentile con me» assicurò Daisy, portandosi una mano a coprire le labbra. La sorpresa nel suo sguardo era genuina, fortunatamente. Hermione dubitava che stesse mentendo: dopotutto, scovare i bugiardi era il suo lavoro. «È molto suscettibile, ma di solito si sfoga lanciando cose contro il muro e si interrompe sempre quando si accorge di me» le spiegò ancora l’assistente. «Una volta, per paura di avermi spaventata troppo, mi ha dato dei giorni di riposo ed ha mandato dei fiori con un biglietto di scuse».

Ecco – pensò Hermione – quello era un comportamento degno del Kingsley Shacklebolt che aveva conosciuto.

Sollevata, la strega più giovane annuì. «D’accordo, Daisy, scusa se ti sono sembrata inopportuna» le disse, con un sorriso, sorseggiando il suo tè. La dolcezza la colpì allo stomaco come un pugno. «Mi rendo conto che il Ministro sia molto stressato, volevo essere certa che fossi al sicuro».

Daisy sorrise, ma qualcosa di oscuro, di triste, le annebbiò lo sguardo solitamente limpido. «Non si preoccupi, Miss, con il Ministro io sono perfettamente al sicuro» la rassicurò, mettendo a posto anche l’ultimo foglio. Intrecciò le dita, guardandosi intorno con aria leggermente imbarazzata. «Quindi avete trovato la prima Traccia, giusto?» chiese alla fine, mascherando malamente una certa curiosità.

Hermione si accigliò, osservandola con vaga curiosità. «Ci hai per caso spiati, Daisy?» le domandò infatti, preoccupandosi leggermente di aver fatto sapere a tutto il Ministero che ci fossero dissapori fra lei ed il Ministro.

La giovane assistente arrossì, sbrigandosi a negare. «Oh, no! Certo, che no, Miss… ma tutti i documenti per il Ministro passano prima da me… ho letto qualcosa della sua relazione e ne sono rimasta affascinata. È stata davvero molto intelligente e coraggiosa, Miss» spiegò, imbarazzata, abbassando lo sguardo sul plico di fogli che ancora aveva davanti. «Ha davvero un sangue freddo invidiabile».

A quel punto, fu Hermione ad arrossire. «Oh… scusami ancora, è naturale che tu controlli i documenti» disse, scuotendo il capo, con un sorriso imbarazzato. «Ti ringrazio, ma più che coraggiosa sono stata umana. In certi casi, l’istinto di sopravvivenza ha la meglio» spiegò, con un sorriso di circostanza, finendo di sorseggiare il tè ormai tiepido. «Dovevamo prendere quella Traccia, non avevamo scelta. Ho solo fatto il mio dovere».

Daisy annuì, con uno sguardo perso in pensieri troppo gravi e troppo cupi per un viso dolce e fresco come il suo. La sensazione di oppressione che Hermione provava in sua compagnia si fece ancora più insopportabile del solito.

«Quindi dovete andare in Germania, adesso?» chiese allora l’assistente, prendendo la tazza vuota che Hermione teneva ancora fra le mani, dopo averle chiesto con un cenno se avesse finito. «Non mi sembra ci siano state vere indicazioni geografiche, come saprete dove cercare?».

«Quello che lo specchio ha mostrato è stata la fiaba di Biancaneve» rispose Hermione, pratica. Notando lo sguardo confuso della strega e rammentando il suo essere purosangue, sorrise. «È una fiaba babbana che parla di una ragazza vittima della sua matrigna strega che possedeva uno specchio magico» spiegò. «Immagino che quello specchio sia proprio ciò che cerchiamo noi e che i Fratelli Grimm abbiano trascritto qualcosa a cui devono aver assistito personalmente. Mi sono ricordata di una ricerca di alcuni studiosi di Cambridge* e della loro convinzione che la fiaba di Biancaneve si sia tenuta nelle foreste intorno il loro luogo natale, così…» si strinse nelle spalle, trattenendosi a stento dal complimentarsi con se stessa. Era stata davvero geniale a fare quel collegamento.

Daisy si accigliò. «E qual è il loro luogo natale?» chiese, apparendo sinceramente curiosa.

«Hanau, nel nord dell’Assia».

 

 

 

»Marnie’s Corner

 

Bentrovati e bentornati, cari amici di EFP!

 

Avrei dovuto aggiornare direttamente lunedì, ma ho preferito anticipare. Ho praticamente scritto un capitolo in poco più di quarantotto ore e, per me, è davvero una conquista. Dopo aver finito gli esami ed aver ripreso un po’ di fiato – avrei potuto iniziare a scrivere già sabato e, forse, postare in tempo, ma ero davvero troppo sconvolta. Ho avuto bisogno di tempo per me, ma sono tornata!

Grazie a chiunque mi abbia tenuto nei suoi pensieri, la settimana scorsa.

 

Punti importanti:

» I miei titoli stanno diventando banali, me ne rendo conto. Perdonatemi, mi sto ancora riprendendo.

» Ta-daaaaan, il dottor Crave è tornato con il botto! Il rapimento di sua figlia non è stato notato da Draco ed Hermione perché, naturalmente, erano via da Hogwarts in quel periodo. Draco, oltretutto, non sapeva nulla di quel reparto di ricerca dei Mangiamorte, perché, naturalmente, i pezzi grossi non si fidavano dei Malfoy. E ne avevano tutte le ragioni.

» Ho esagerato con Kingsley? Mi dispiace, ma vi assicuro che tutto ha un senso.

» Daisy è tornata ed ha tranquillizzato Hermione, almeno in parte. Un capitolo di ritorni, non vi pare?

» * Non esiste alcuna ricerca degli studiosi di Cambridge, ovviamente. Diciamo che ho dovuto lavorare un po’ di fantasia.

 

Mi sembra giusto, a questo punto, ricordare due fra i migliori scrittori al mondo, entrambi fondamentali per la mia formazione culturale ed entrambi scomparsi di recente. Sto parlando di Harper Lee – autrice de “Il buio oltre la siepe” – e di Umberto Eco, autore di così tante opere da richiedere un capitolo intero. Questo 2016 sta facendo una strage.  

 

Grazie infinite a tutti coloro che hanno commentato, i vostri pareri sono il cibo della mia ispirazione, senza di voi non so neppure se avrei avuto il coraggio di pubblicare ancora. Grazie, davvero.

 

Grazie ancora a chiunque leggerà, ci becchiamo lunedì (o più avanti!) prossimo,

-Marnie

   
 
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