Lo Specchio delle Anime.
Ci si chiede qual è la differenza tra un
leader ed un capo.
Un leader guida, un capo dirige.
[Theodore Roosevelt]
Atto V
Di errori e autorità.
Il dottor Crave, quel giorno,
non sembrava intenzionato a parlare.
Aveva ascoltato tutto il
racconto di Draco, sorridendo qui e lì ogni qualvolta lui avesse fatto
riferimento alla sua collega, ma non si era espresso neppure una volta e
neppure con un semplice grugnito. Semplicemente, Newton Crave si era limitato a
fissare il suo paziente, scribacchiare qualcosa sul suo quadernino ed
accarezzare il suo povero ed apparentemente svenuto gatto.
Quel silenzio stava facendo
innervosire Draco oltre ogni immaginazione. Il desiderio di alzarsi in piedi e
lanciare il libro in testa al dottore era quasi fastidioso, tanto era forte
dentro di lui. Non sborsava certo trenta galeoni alla settimana per osservarlo
farsi i fatti suoi.
Aspettò un minuto, sperando
che parlasse.
Due minuti.
Tre minuti.
Cinque.
Il libro venne sbattuto con
violenza sul tavolo, ma l’uomo si limitò soltanto a lanciargli un’occhiata
esasperata, le sopracciglia inarcate.
«Hai bisogno di qualcosa,
Draco?» gli domandò l’uomo, serafico, tornando ad abbassare gli occhi sui suoi
appunti, il viso nuovamente rilassato. «Sembri alquanto nervoso, oggi, non è da
te» aggiunse, pacato.
Draco non apprezzò
quell’affermazione. Per niente, davvero. La apprezzò così poco da alzarsi in
piedi come una furia ed avviarsi alla porta, intenzionato a non prendere alcun
appuntamento per la settimana successiva. Aveva trascorso anni a farsi spillare
soldi da quel cialtrone e lui stesso aveva ammesso che le condizioni del suo
braccio testimoniassero che non fosse guarito.
Nessuno poteva prendersi gioco di un Malfoy.
La porta dello studio, però,
non si aprì. A prescindere da quanti tentativi stesse facendo, Draco non riuscì
ad abbassare la maniglia neppure di un millimetro, lasciando che l’irritazione
crescesse, crescesse all’infinito, come un fuoco sul punto di mangiargli le
viscere.
«Apra questa dannata porta!»
sbottò alla fine, voltandosi verso il medico e trovandolo con la bacchetta
ancora puntata nella sua direzione. Aveva sigillato la porta per impedirgli di
uscire, il bastardo. «Se non ha intenzione di staccarsi da quegli appunti, per
quale motivo dovrei restare qui a perdere tempo con lei?» chiese alla fine,
stizzito, quando l’altro non accennò a volerlo accontentare. Avrebbe sbattuto
il piede per terra, se non avesse avuto un briciolo d’amore per il suo
orgoglio.
Crave inarcò un sopracciglio,
fissandolo con l’aria più sarcastica che il giovane mago avesse mai visto in
faccia a qualcuno che non fosse un Malfoy.
«E sentiamo…» iniziò il
dottore «dov’è che vorresti andare, una volta lasciato il mio studio? Pensi che
qualcun altro possa aiutarti più di me?» chiese, piegando la testa di lato,
come se si stesse interessando ad una qualche bestiola curiosa.
L’immagine di se stesso con
una coda da pavone fece rabbrividire Malfoy, impedendogli di sputare la
risposta velenosa che aveva sulla punta della lingua. Persa l’occasione,
deglutì e si sforzò di non far fuggire la lunga sequela di imprecazioni che
scorreva nella sua mente.
«Ha detto lei stesso di non
poter fare nulla per me. A questo punto, risparmierò i galeoni e vedrò di
parlare davanti allo specchio. Probabilmente otterrei più reazioni» mugugnò
quindi, risentito, incrociando le braccia al petto per resistere alla
tentazione di cercare la bacchetta nelle tasche.
Ancora una volta, Crave aveva
dimostrato d’essere un passo avanti a lui. Sapeva che presto o tardi la
tentazione di incendiargli lo studio l’avrebbe colto di nuovo, quindi si era
premurato di vietargli la bacchetta a tutti gli incontri.
Bastardo.
«E da quando Draco Malfoy si
preoccupa dei soldi?» chiese il dottore, ironico, sghignazzando nel notare un
vago rossore colorare le orecchie dell’altro mago. Gli impedì di parlare,
quando fece per rispondergli. «Lo so che non è per i galeoni, Malfoy, non sono
un idiota. E, poiché non credo lo sia tu, mi farebbe davvero piacere se ti
sedessi e la smettessi di comportarti da bambino viziato» disse allora, alzando
gli occhi al cielo e mettendo da parte il suo quadernino, mentre il suo
paziente, tornato pallido come un cadavere, si accomodava nuovamente sulla
poltrona.
I due si guardarono, come a
squadrarsi a vicenda.
«Perché ha aspettato che io
provassi ad andarmene, prima di intervenire? Era un test?» domandò Malfoy, gli
occhi ridotti a due lame argentee fra le ciglia. Indicò con un cenno la porta.
«Ha messo del veleno sulla maniglia? Veritaserum che
fa effetto grazie al tatto?» disse allora, sempre più accigliato. «Sul serio, dottore, se sta
ancora tentando di usarmi per i suoi esperimenti…».
Crave sbuffò, stravaccandosi nella poltrona. «Non
voglio avvelenarti, Malfoy. Da come ne parli, sembra quasi che io non faccia
altro che usarti per i miei esperimenti. Quante volte posso averlo fatto? Una o due…»
Malfoy assottigliò di più lo sguardo. «Dieci, dottore».
«Dieci? Davvero?» chiese, con un’espressione fra l’ammirato ed il divertito.
«Significa che le tue reazioni mi sono sembrate affidabili. Comunque non
temere, non ho messo del veleno sulla maniglia. Non ne avrei avuto motivo» lo
tranquillizzò, con un gesto vago della mano.
Malfoy non seppe se
credergli oppure no, ma a quel punto sentì di non avere molta scelta.
«Ebbene? Sono rimasto
per consentirle di fissarmi in silenzio un altro po’?» gli chiese, dopo altri
minuti di calma opprimente. «Faccia il suo lavoro, per Merlino!».
«Cosa vuoi che ti dica,
Draco?» disse il dottore, apparentemente tranquillo. «Mi hai raccontato i fatti
con una dovizia di particolari invidiabile al migliore fra i cantastorie… devi
essere tu a indicarmi da dove vorresti far iniziare la nostra discussione. Se
iniziassi io, probabilmente decideresti di non volerne parlare per pura
ripicca».
Draco avrebbe voluto
negare, ma non seppe cosa dire. Dopotutto, il dottore aveva ragione. Per
questo, si strinse nelle spalle e diede uno sguardo ai libri che lo
circondavano, cercando uno spunto per parlare di qualunque cosa tranne quella
che, davvero, lo stava assillando.
«Sputa il rospo, Malfoy,
si vede lontano un miglio quanto tu stia cercando di evitare un argomento, pur
volendo disperatamente aprirti con me» gli disse il dottore, esasperato. Un
sorrisino gli curvò le labbra. «Naturalmente, nel tuo caso dubito che aprirsi a me possa essere interpretato
alla lettera».
«Dottore!»
Crave rise, elegante
come un felino. «Non scandalizzarti Malfoy, dubito che qualche baldo giovane
non si sia proposto a te, come succede a me ancora oggi. Ai tempi della scuola
era decisamente frequente, ma, dopotutto, ero uno spirito molto libero…» gli
rispose, allegro come una comare impicciona. Il suo sorriso da gatto si fece
più ampio quando vide un leggero colore tornare sulle guance del biondo.
«Lei è una vergogna per
tutta la categoria dei guaritori, lo sa?» ribatté il giovane, mettendo il broncio
quando il dottore rispose con una risata. «Mi faccia una domanda ed io
risponderò sinceramente, lo giuro. Sarebbe inutile girare intorno alla
questione» si arrese alla fine, con un sospiro rassegnato.
Prima ancora che Crave
parlasse, Draco aveva intuito quale sarebbe stata la sua domanda.
«Per quale ragione ti
sei impegnato tanto per salvarla, Draco?».
«Perchè anni fa avrei
dovuto farlo e non ci sono riuscito» ammise lui, tirandosi le parole dalla
bocca come se fossero state incastrate fra i suoi denti. «Perché quel giorno
lei mi ha salvato ed io adesso devo ripagare quel favore».
Il dottore annuì fra sé e sé,
grattandosi distrattamente il mento barbuto. Draco lo vide scribacchiare
qualcosa sul quadernino, ma non gli sembrò intenzionato a chiedere qualcos’altro.
Alla fine, lo vide rilassarsi
contro lo schienale, con un sospiro stanco. «Perché credi che lei ti abbia
salvato la vita, Draco?» gli chiese, accavallando le gambe. «Dopotutto, l’hai
sempre trattata male. Avrebbe potuto lasciarti lì, da solo» spiegò, inarcando
le sopracciglia. Allungò la mano per afferrare il bicchiere di scotch sul
tavolino, così da portarselo alle labbra.
Malfoy si accigliò, confuso.
«Lei non è mai stata crudele, dottore» mormorò, infossandosi di più nella
poltrona. «Non si dimentichi chi era l’idiota, in tutta questa storia»
aggiunse, con un sorriso ironico. «Immagino che avrebbe potuto lasciarmi lì,
così che gli altri mi scoprissero, ma dubito sarebbe stata bene con la sua
coscienza, dopo».
«Ma tu» cominciò Crave, gli
occhi scuri ridotti a due fessure. «Tu
ci saresti riuscito, eppure hai detto che l’hai salvata per ripagare un debito,
nonostante… beh, diciamo il tuo curriculum»
sorrise leggermente, ironico. «Perché proprio lei, Draco? Perché hai sentito di dover pareggiare i conti? I tuoi
genitori si sono addossati molte colpe per proteggerti, eppure insisti a non
volerli incontrare» disse infine, puntando gli occhi sul fondo del bicchiere,
ormai vuoto.
Draco si irrigidì,
improvvisamente sulle spine. «Io non ho alcun problema con mia madre, dottore.
L’ho incontrata non più di tre giorni fa ed intratteniamo una fitta
corrispondenza. Non le permetto di insinuare che io non abbia rispetto per lei»
sbottò, raddrizzandosi sulla poltrona, come se qualcuno avesse trasformato i morbidi
cuscini in spine e frammenti di vetro.
«E tuo padre? Non mi pare che
lui sia mai stato presente agli incontri con la signora Malfoy» ribatté,
pacato, il dottore, appellando con un gesto la bottiglia di Scotch rimasta
nell’angolo per riempirsi il bicchiere. Non accennò ad offrirne un bicchiere al
ragazzo, forse perché consapevole che, se lasciato a se stesso, Draco l’avrebbe
prosciugata nel giro di pochi minuti.
Il giovane strinse i denti,
nervoso. «Per quanto mi riguarda, mio padre ha tirato le cuoia il giorno della
Battaglia di Hogwarts» sibilò, mostrando i denti. «Se vogliamo essere pignoli, mio padre ci ha
tragicamente lasciati il giorno in cui è stato rinchiuso ad Azkaban. L’uomo che ha
accettato la mia nomina a Mangiamorte e che io uccidessi Silente non potrebbe
mai essere considerato un padre degno di questo nome».
Qualcosa – qualcosa di
oscuro, di pericoloso – apparve per un momento negli occhi del dottore e la
difficoltà a scacciarlo fu evidente anche a Draco, che non era mai stato bravo
a leggere e comprendere le persone.
«Un padre, spesso, fa
qualcosa che ritiene sia giusta, sbagliandosi» gli disse semplicemente,
riempiendo ancora una volta il bicchiere fino all’orlo. Sembrava fosse
affascinato dai riflessi che il liquore assumeva, a contatto con la luce del
camino. «Sbagliare non significa non potersi pentire. Io proverei a parlare con
lui, fossi in te» sorrise leggermente, ma senza allegria. «Fare un tentativo
non costa nulla».
Draco assottigliò lo sguardo,
confuso. «Stiamo ancora parlando di mio padre, dottore?» chiese, piegando
leggermente la testa di lato, come se, da quella prospettiva, fosse più
semplice comprenderlo. «Spero non stia usando me per farsi i passare i sensi di
colpa verso suo padre» disse, senza riuscire a trattenere l’ironia. «Isaac
Crave, dico bene? Era un grande guaritore, decisamente più benvoluto di lei»
aggiunse, incrociando le braccia al petto e rilassandosi di nuovo contro lo
schienale.
Il dottore non si lasciò
abbindolare. «Mio padre, che riposi in pace, non ha mai avuto nulla da dirmi,
dopo avermi tanto gentilmente cacciato di casa. Ed io non posso portargli
rancore, so bene di aver meritato tutto» gli rispose, calmo. Poi gli dedicò uno
sguardo intenso. «Non so se sentirmi lusingato o offeso dal fatto che tu non abbia
pensato che potessi essere io il
padre».
Quella era una rivelazione che Draco non si aspettava.
«Mi prende in giro?» chiese,
allibito.
Il dottore sorrise,
malinconico, indicando una fotografia solitaria sulla mensola del camino. Una
ragazza, non avrebbe potuto avere più di sedici anni, sorrideva all’obiettivo, scuotendo la mano in un
saluto allegro. I grandi occhi azzurri certamente non appartenevano al dottore,
ma i capelli scuri e l’espressione esasperata erano esattamente le stesse.
La figlia del dottore.
«Rosemary Crave, la mia unica
figlia» disse l’uomo, senza tuttavia voltarsi a guardare la fotografia. «Quella
foto risale ai tempi della scuola. Ha frequentato il quinto anno, quando c’è
stata la battaglia» spiegò, sfiorano il bicchiere con la punta delle dita.
Una terribile sensazione fece
gelare il petto di Draco, quando il sospetto si insinuò sotto la sua pelle come
tanti, fastidiosi spilli.
Che fosse…
«È morta, dottore?» chiese,
mostrando una delicatezza ed un tatto che non credeva di possedere. Il terrore
di aver raccontato gli errori del suo passato al padre di una delle vittime di
coloro che aveva considerato famiglia
gli impediva di mantenere l’atteggiamento da sbruffone.
Crave espirò dal naso,
bevendo metà del contenuto del bicchiere. «No, non è morta» chiarì, senza
tuttavia mostrarsi abbastanza tranquillo da risollevare il morale di Draco. «In
un certo senso, è sana come un pesce» continuò, sempre con la stessa
espressione. «Fatta eccezione per le occasionali emorragie interne, l’incapacità
di camminare ed il fatto che sia stata usata come cavia da laboratorio per
oltre due mesi. Sono sciocchezze»
sibilò infine, con una smorfia. Le nocche della mano con cui teneva il
bicchiere erano sbiancate, tanto forte era la pressione.
«Cavia da laboratorio?»
chiese il giovane, raddrizzandosi. Provò a
ricordare se i Mangiamorte avessero mai parlato di esperimenti in sua presenza,
ma senza alcun successo. Forse non avrebbe dovuto addossare a suo padre
un’altra colpa. Forse non avrebbe avuto quel dolore sulla coscienza.
«I Mangiamorte stavano
sperimentando nuove pozioni» disse invece in dottore, distruggendo in un
momento ogni sua speranza. «Mi chiesero di aiutarli ed io rifiutai» bevve un
altro sorso di scotch, riempiendo nuovamente il bicchiere. «Ho scoperto cosa le
avevano fatto soltanto dopo mesi, quando l’Ordine della Fenice l’ha salvata. Oltre due mesi senza che io mi rendessi
conto di cosa le avessero fatto. Oltre due mesi senza ricevere notizie, ma io
quasi non me ne resi conto».
In quel momento, Draco
immaginò per quale motivo la questione del perdono e dei padri gli stesse a
cuore. Lui era un padre che doveva
essere perdonato.
«Non poteva sapere che
se la sarebbero presa con lei» provò a rassicurarlo, senza esser certo di avere
buoni risultati. Non era bravo con le persone. «Ha evitato di aiutare degli
assassini, sua figlia non può davvero biasimarla».
Crave emise uno sbuffo
di risata, nonostante sembrasse particolarmente furioso con se stesso. «Mia
figlia non mi odia, Signor Malfoy» lo rassicurò, sarcastico. «Lei non mi
rinfaccia assolutamente nulla, anzi, sembra quasi che la prigionia l’abbia
convinta a volermi ancora più bene».
Draco si accigliò.
«Allora…?».
«Io non mi sono perdonato, Malfoy, e non credo che potrò mai farlo»
sputò infine il dottore, mettendo da parte il bicchiere. «Se potessi tornare
indietro aiuterei i Mangiamorte, anche a costo di resuscitare personalmente
Voldemort» ringhiò, balzando in piedi e fronteggiando, per la prima volta, la
fotografia. «Farei qualunque cosa,
per impedire che la mia Rose possa esser presa di mira. Qualunque cosa, Malfoy, pur di vederla camminare ancora una volta e
per sentirla minacciarmi di dare il mio nome al suo primogenito» esalò, con la
voce improvvisamente tremante.
Draco non alzò lo
sguardo, preoccupato all’idea di cosa avrebbe visto. La cicatrice al braccio
gli faceva abbastanza male senza trovarsi davanti gli occhi di un padre
distrutto dal dolore. «Non si può fare nulla, per lei?» chiese quindi, sperando
di poter aiutare, in un qualsiasi modo. Nonostante non l’avesse mai conosciuta,
la ragazza era comunque la figlia dell’uomo che lo aveva aiutato a superare
quei sei anni. Glielo doveva.
Crave, gli occhi ancora
puntati sulla foto della sorridente figlia, rise senza la minima allegria.
«Sono il miglior guaritore degli ultimi anni, Malfoy, credi che se ci fosse
stato un antidoto io non l’avrei già trovato?» domandò, sarcastico, per poi
passarsi la mano fra i capelli. «Non c’è più nulla che io o chiunque altro
possa fare per Rosemary. Nulla mi consentirà di guardare negli occhi mia figlia
e non provare l’istinto di uccidermi» continuò, la voce ridotta ad un sibilo
carico di odio e ribrezzo per se stesso. «Se ti ho chiesto di parlare con tuo
padre, Malfoy, non è perché credo che tu
abbia bisogno di perdonarlo, ma perché sono certo che lui abbia bisogno di perdonare se
stesso, prima di morire».
Colpito da quelle ultime
parole, Draco strinse i braccioli della poltrona così forte da farsi quasi del
male. «Lei come lo sa? Siamo stati bene attenti a non diffondere la verità
sulle sue condizioni» domandò, nervoso, ripetendosi l’elenco di tutte le
persone che avrebbero potuto davvero tradirli.
«Sono il migliore,
Malfoy, te l’ho detto» gli rispose il dottore, sospirando. «Tua madre si è
subito rivolta a me, quando hanno scoperto la malattia» disse, lanciandogli uno
sguardo in tralice.
Il giovane deglutì,
sforzandosi di far uscire le parole con un tono che non sembrasse troppo
preoccupato o interessato. «E cosa ha scoperto, nella visita?» domandò, con la
voce ridotta a poco più di un sussurro.
Crave sospirò,
dedicandogli un sincero sguardo di commiserazione. «Va’ a parlare con tuo
padre, Draco, concedi almeno a lui di morire con l’anima in pace. Dubito vedrà
l’anno nuovo».
***
«Si rende conto dei danni che
avete causato?».
Ancora una volta, Kinglsley Shacklebolt sbatté il pugno sul tavolo,
trattenendosi dall’urlare soltanto per evitare di far diffondere troppo la
notizia. Aveva gli occhi spalancati in modo quasi anormale, il viso coperto da
tante goccioline di sudore. Hermione non ne era assolutamente certa, ma le
sembrò di poter scorgere l’arteria sul collo pulsare furiosamente.
Il ministro si era infuriato.
«Mi rendo conto, ma…» tentò,
ancora una volta, ritrovandosi interrotta da un altro pugno sulla scrivania.
Quella volta, almeno, non trasalì. «Ministro, mi rendo conto che i danni siano
stati particolarmente gravi, ma se esaminasse il rapporto…» continuò, testarda,
allungando la mano per poter indicare il punto preciso in cui l’uomo avrebbe
potuto trovare la spiegazione dettagliata di ciò che erano stati costretti a
fare pur di portare a casa la Traccia e, soprattutto, la pelle.
«Tu non ti rendi conto, signorina Granger» le sibilò contro l’uomo, con
una smorfia furiosa. «Il Ministro della Magia francese mi alita sul collo, li
avevo avvertiti che ci sarebbero potuti essere problemi, ma non… non questo» aggiunse, furioso. «Hanno
chiesto i danni per quello che avete combinato e il Governo non ha abbastanza
fondi per permettersi queste sciocchezze».
Ad Hermione la parola sciocchezze non piacque affatto.
L’irritazione crebbe dentro di lei come un fiume in piena, riportandole alla
memoria tutto ciò che di orribile aveva visto negli anni di fedele servizio al
Ministero. Ogni sciocchezza, ogni quisquilia che aveva pensato semplicemente di
scordare per amore della pace comune… ricordò tutto.
«Questa è una sciocchezza, Ministro?» sbottò allora, incrociando le
braccia al petto. «Distruggere creature pericolosissime, nascoste fra i
babbani, per recuperare un artefatto di fondamentale importanza ed evitare che Voldemort torni in vita è una sciocchezza?» sibilò ancora, alzandosi
in piedi, l’indice puntato contro il petto dell’uomo. «Vuole sapere una vera sciocchezza, Ministro? I regali
assurdamente costosi fatti ai Capi di Stato stranieri, quelli sono sciocchi!
Oppure le cene di lusso! Oppure le interviste con il Profeta che il Governo finanzia, per coprire un po’
lo schifo generale!» iniziò a sbraitare, sentendo la rabbia infiammarle il
viso. Avrebbe voluto tirar fuori la bacchetta, puntargliela contro e fargli
rimpiangere l’ultima mezzora di rimproveri che era stata costretta a
sopportare. Ma lui era il Ministro, lei non poteva permettersi certe libertà.
«Signorina Granger, queste non
sono questioni che…».
«Non mi dica signorina Granger!» sbottò ancora,
furiosa. «Ci ha dato una missione e noi l’abbiamo portata a termine! Cosa vuole
di più? Stiamo già facendo il lavoro di cui lei
dovrebbe occuparsi, Ministro» sputò l’ultima parola come se fosse stata un
insulto. «Posso accettare che il nostro modo di gestire la situazione non sia
stato dei migliori. Posso accettare l’ammonimento a stare più attenti, la
prossima volta» si fermò un momento, abbassando il dito e sospirando, nel
tentativo di recuperare la calma. «Ma non può accusarci di mandare in
bancarotta il Ministero, Signore. Non siamo noi a dissipare tutto per mantenere
l’illusione che vada tutto bene. Non
siamo noi gli incapaci».
Si rese conto di aver
esagerato un istante troppo tardi, quando notò la rabbia tornare
prepotentemente ad affacciarsi negli occhi scuri dell’uomo, dove un attimo
prima sembrava voler vincere la vergogna.
L’avrebbe fatta arrestare?
Shacklebolt aveva
l’espressione di un lupo affamato cui era stata malamente sottratta la preda.
Puntò il dito contro il rapporto che la giovane gli aveva consegnato quella
mattina, colpendolo più volte. Se avesse usato più forza, avrebbe lasciato un
buco nel legno.
«Ho sbagliato la prima volta
a coprire le spalle a lei ed a Malfoy» le sibilò, mostrando i denti. «Non
sbaglierò più. Il Ministero, da oggi in poi, si limiterà a tirarvi fuori di
prigione, qualora fosse necessario. Si ricordi che tutta la sua carriera
dipende da questa missione, Granger, e che sono io il vero capo della missione» con fare minaccioso, girò intorno
alla scrivania, fronteggiandola. «La prossima volta che mi metterete in
imbarazzo davanti ai Ministeri stranieri, non esisterà bettola del mondo magico
pronta a darle un lavoro» si fermò, ma solo per riprendere fiato. «Quanto a
Malfoy, gli ricordi chi è che gli copre le spalle» aggiunse infatti, indicando
nuovamente i fogli. «Trovate quello Specchio e state bene attenti, se il
Ministero non paga, i responsabili sarete voi».
L’istinto ribelle che
Hermione non sapeva neppure di possedere insorse. «E se non volessimo
continuare la missione?» domandò, impertinente. «Chi altri vorrebbe mandare,
eh? Chi potrebbe avere più esperienza di noi?»
sbottò, forse peccando un po’ di egoismo. «Voldemort è una minaccia ben più
importante della caduta del Governo e mi rifiuto di credere che proprio tu non
te ne renda conto, Kingsley»
disse infine, cercando di ergersi in tutta la sua modesta altezza.
L’uomo non si fece
intimidire, tutt’altro. Il fatto che lei si fosse
presa quella confidenza, come se fossero stati ancora nell’Ordine, doveva
averlo irritato ancora di più.
«Non mancarmi di rispetto,
signorina Granger. Sono io che
impedisco alle autorità babbane di arrivare al tuo
collega» minacciò, lasciando bene intendere che l’attività illecita di Malfoy
fosse, in un certo senso, appesa al filo di un rasoio.
Nonostante l’istinto le
ordinasse di tacere, poiché quella minaccia era sufficiente a mettere a
repentaglio la missione, qualcosa la spinse a ribellarsi ancora.
Nessuno l’avrebbe più sottomessa.
«Beh, questo potrebbe fermare
Malfoy. Senza di me, lui non potrebbe portare a termine un bel niente» ribatté
quindi, l’espressione vincente.
Kingsley sorrise.
«Quanto credi che durerebbe
il tuo amico Potter, se si venisse a sapere dei suoi problemi con l’alcol?» le
disse, le sopracciglia inarcate ed un sorriso di trionfo stampato in viso. Lui sapeva che niente le avrebbe impedito di
aiutare Harry. Sapeva che lei fosse ben
più che consapevole del fatto che l’amico, lasciato a se stesso, non avrebbe
resistito molto.
Con le spalle al muro,
Hermione capitolò.
***
«Beva questo, Miss» con voce
gentile, Daisy le porse una tazza fumante di tè. «Ho messo un bel po’ di
zucchero, è così pallida che sicuramente ne avrà bisogno» aggiunse, dolcemente,
aggirando la scrivania del Ministro per sistemare i documenti sparsi un po’
ovunque.
Dopo averle dato
quell’ultimatum, Shacklebolt era praticamente scappato dal suo ufficio,
abbandonando la giovane strega a tutti i suoi pensieri. Doveva essere
totalmente fuori di sé, altrimenti non avrebbe mai lasciato tutto quel
disordine sulla scrivania. Era stato un Auror, l’ordine era un modo di essere.
Hermione, da quando la porta
si era chiusa violentemente alle sue spalle, si era limitata ad accomodarsi in
una delle sedie davanti alla scrivania. Non era neppure riuscita a sentire
Daisy, prima che le mettesse davanti la tazza.
Doveva ringraziarla, era
stata gentile, nonostante nessuno la stesse obbligando. Di certo il Ministro
non le aveva chiesto di portarle il tè.
«Grazie, Daisy» mormorò,
schiarendosi la voce per eliminare il tremore fastidioso. «Tolgo subito il
disturbo, mi dispiace di non essere andata via immediatamente» si scusò,
imbarazzata, mescolando leggermente il contenuto della tazza. Il colore rosato
del liquido le fece venire i brividi: era la stessa qualità che Dolores Umbridge beveva ad Hogwarts.
Qualcosa di irrazionale, dentro di lei, le urlò di non bere, per evitare di
diventare a sua volta una rospa in rosa.
La giovane assistente
sorrise, tranquilla, senza tuttavia sollevare lo sguardo dai documenti. Il
rapporto che con tanta cura Hermione aveva preparato era quasi totalmente
stropicciato. «Non si preoccupi, Miss Granger, so bene quanto il Ministro possa
spaventare» mormorò in risposta, con tono leggero e tranquillo. Le sue dita
fragili erano velocissime nel rassettare i fogli.
Hermione si sentì punta da
quell’osservazione. «Io non ho paura di lui» disse quindi, accigliata,
raddrizzando le spalle per recuperare un po’ dell’orgoglio che temeva di aver
perso. Era un’eroina di guerra, nessuno avrebbe potuto più spaventarla davvero.
Più o meno.
Daisy sorrise di più,
comprensiva, sollevando un attimo lo sguardo per rassicurare l’altra strega.
«Naturalmente, Miss» mormorò, pacata. «Intendevo dire che so bene quanto il
Ministro possa perdere le staffe, quando qualcuno gli fa notare i suoi errori»
strinse per un momento le labbra dipinte di rosa chiaro, indicando una delle
finestre – magia, naturalmente, si trovavano sottoterra – alle sue spalle. Il
vetro dell’infisso in questione era leggermente diverso dagli altri, come se
fosse stato sostituito da poco. «Almeno questa volta non è stato violento».
Hermione si accigliò di più,
cercando di far conciliare l’immagine del Kingsley
che lei aveva conosciuto durante la guerra con quella del Ministro Shacklebolt,
sommerso da critiche, debiti ed incapace di reagire con calma.
Non ci riuscì.
«Daisy, ti ha mai fatto del
male?» domandò all’improvviso la più giovane, colta da un orribile dubbio.
Aveva detto di averlo visto nei suoi momenti peggiori, aveva detto che spesso
era stato violento. Possibile che la sua follia fosse arrivata a quel punto? «Non preoccuparti, puoi
dirmelo…» aggiunse, temendo che la bionda avesse paura ad aprirsi a causa delle
possibili ritorsioni.
Il suo sguardo sconvolto fu
sufficiente a dissipare tutte le preoccupazioni di Hermione.
«Oh, no, Miss! Il Ministro è
sempre molto gentile con me» assicurò Daisy, portandosi una mano a coprire le
labbra. La sorpresa nel suo sguardo era genuina, fortunatamente. Hermione
dubitava che stesse mentendo: dopotutto, scovare i bugiardi era il suo lavoro.
«È molto suscettibile, ma di solito si sfoga lanciando cose contro il muro e si
interrompe sempre quando si accorge di me» le spiegò ancora l’assistente. «Una
volta, per paura di avermi spaventata troppo, mi ha dato dei giorni di riposo
ed ha mandato dei fiori con un biglietto di scuse».
Ecco – pensò Hermione – quello era un comportamento degno del Kingsley Shacklebolt che aveva conosciuto.
Sollevata, la strega più
giovane annuì. «D’accordo, Daisy, scusa se ti sono sembrata inopportuna» le
disse, con un sorriso, sorseggiando il suo tè. La dolcezza la colpì allo
stomaco come un pugno. «Mi rendo conto che il Ministro sia molto stressato,
volevo essere certa che fossi al sicuro».
Daisy sorrise, ma qualcosa di
oscuro, di triste, le annebbiò lo sguardo solitamente limpido. «Non si
preoccupi, Miss, con il Ministro io sono perfettamente
al sicuro» la rassicurò, mettendo a posto anche l’ultimo foglio. Intrecciò le
dita, guardandosi intorno con aria leggermente imbarazzata. «Quindi avete
trovato la prima Traccia, giusto?» chiese alla fine, mascherando malamente una
certa curiosità.
Hermione si accigliò,
osservandola con vaga curiosità. «Ci hai per caso spiati, Daisy?» le domandò
infatti, preoccupandosi leggermente di aver fatto sapere a tutto il Ministero
che ci fossero dissapori fra lei ed il Ministro.
La giovane assistente
arrossì, sbrigandosi a negare. «Oh, no! Certo, che no, Miss… ma tutti i
documenti per il Ministro passano prima da me… ho letto qualcosa della sua
relazione e ne sono rimasta affascinata. È stata davvero molto intelligente e
coraggiosa, Miss» spiegò, imbarazzata, abbassando lo sguardo sul plico di fogli
che ancora aveva davanti. «Ha davvero un sangue freddo invidiabile».
A quel punto, fu Hermione ad
arrossire. «Oh… scusami ancora, è naturale che tu controlli i documenti» disse,
scuotendo il capo, con un sorriso imbarazzato. «Ti ringrazio, ma più che
coraggiosa sono stata umana. In certi
casi, l’istinto di sopravvivenza ha la meglio» spiegò, con un sorriso di
circostanza, finendo di sorseggiare il tè ormai tiepido. «Dovevamo prendere
quella Traccia, non avevamo scelta. Ho solo fatto il mio dovere».
Daisy annuì, con uno sguardo
perso in pensieri troppo gravi e troppo cupi per un viso dolce e fresco come il
suo. La sensazione di oppressione che Hermione provava in sua compagnia si fece
ancora più insopportabile del solito.
«Quindi dovete andare in
Germania, adesso?» chiese allora l’assistente, prendendo la tazza vuota che
Hermione teneva ancora fra le mani, dopo averle chiesto con un cenno se avesse
finito. «Non mi sembra ci siano state vere indicazioni geografiche, come
saprete dove cercare?».
«Quello che lo specchio ha
mostrato è stata la fiaba di Biancaneve» rispose Hermione, pratica. Notando lo
sguardo confuso della strega e rammentando il suo essere purosangue, sorrise.
«È una fiaba babbana che parla di una ragazza vittima della sua matrigna strega
che possedeva uno specchio magico» spiegò. «Immagino che quello specchio sia
proprio ciò che cerchiamo noi e che i Fratelli Grimm
abbiano trascritto qualcosa a cui devono aver assistito personalmente. Mi sono
ricordata di una ricerca di alcuni studiosi di Cambridge* e della loro
convinzione che la fiaba di Biancaneve si sia tenuta nelle foreste intorno il
loro luogo natale, così…» si strinse nelle spalle, trattenendosi a stento dal
complimentarsi con se stessa. Era stata davvero geniale a fare quel
collegamento.
Daisy si accigliò. «E qual è
il loro luogo natale?» chiese, apparendo sinceramente curiosa.
«Hanau,
nel nord dell’Assia».
»Marnie’s Corner
Bentrovati e bentornati, cari amici di EFP!
Avrei dovuto aggiornare direttamente lunedì, ma ho preferito anticipare. Ho
praticamente scritto un capitolo in poco più di quarantotto ore e, per me, è
davvero una conquista. Dopo aver finito gli esami ed aver ripreso un po’ di
fiato – avrei potuto iniziare a scrivere già sabato e, forse, postare in tempo,
ma ero davvero troppo sconvolta. Ho avuto bisogno di tempo per me, ma sono
tornata!
Grazie a chiunque mi abbia tenuto nei suoi pensieri, la settimana scorsa.
Punti importanti:
» I miei titoli stanno diventando banali,
me ne rendo conto. Perdonatemi, mi sto ancora riprendendo.
» Ta-daaaaan,
il dottor Crave è tornato con il botto! Il rapimento di sua figlia non è stato
notato da Draco ed Hermione perché, naturalmente, erano via da Hogwarts in quel
periodo. Draco, oltretutto, non sapeva nulla di quel reparto di ricerca dei Mangiamorte, perché,
naturalmente, i pezzi grossi non si
fidavano dei Malfoy. E ne avevano tutte le ragioni.
» Ho esagerato con Kingsley?
Mi dispiace, ma vi assicuro che tutto
ha un senso.
» Daisy è tornata ed ha tranquillizzato Hermione,
almeno in parte. Un capitolo di ritorni, non vi pare?
» * Non esiste alcuna ricerca degli studiosi
di Cambridge, ovviamente. Diciamo che ho dovuto lavorare un po’ di fantasia.
Mi sembra giusto, a questo punto, ricordare due fra i migliori scrittori al
mondo, entrambi fondamentali per la mia formazione culturale ed entrambi
scomparsi di recente. Sto parlando di Harper Lee –
autrice de “Il buio oltre la siepe” – e di Umberto Eco, autore di così tante
opere da richiedere un capitolo intero. Questo 2016 sta facendo una strage.
Grazie infinite a tutti coloro che hanno
commentato, i vostri pareri sono il cibo della mia ispirazione, senza di voi
non so neppure se avrei avuto il coraggio di pubblicare ancora. Grazie,
davvero.
Grazie ancora a chiunque leggerà, ci
becchiamo lunedì (o più avanti!) prossimo,
-Marnie