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Autore: xingchan    27/02/2016    3 recensioni
"Con il sangue ghiacciato nelle vene, Gregor lanciò un urlo disumano che si propagò per tutta la zona circostante, mentre lasciata cadere la bottiglia questa andò a schiantarsi rumorosamente contro il selciato. [...] Doveva essersi fermato a squadrarlo, perché il suo volto diventò ancora più freddo, i suoi occhi ancora più vicini. Non sapeva quale sentimento prevalesse in lui durante quel momento - era rabbia? Paura? Sicuramente qualcosa di indefinibilmente terribile -, senza dubbio non poteva definirsi in grado di fare ciò che si era prefisso. [...] E rimase a fissarlo, con la stessa intensità con cui l’espressione di infido trionfo del personaggio fissava lui."
(Scritta per l'evento "OC in prestito" indetto da Laylath)
Genere: Angst, Introspettivo, Mistero | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Nuovo personaggio
Note: AU | Avvertimenti: Contenuti forti
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I personaggi di Gregor Breda e di Henry Hevans

- anche se quest’ultimo c’è e non c’è xD - appartengono

a Laylath (http://www.efpfanfic.net/viewuser.php?uid=170978)

e appaiono nelle fiction AU 

“Un anno per crescere” (http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=2315759&i=1)

e “Walks of life” (http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=2783522&i=1). r

 

 

 

 

 

 

Nightmare before the end

 

 

 

 

Aveva bevuto così tante bottiglie di alcolici in vita sua da capire che quel paio di dita di rhum oscillante nel fondo della bottiglia non era che una sola, misera sorsata.

Irritato, Gregor si umettò pensosamente le labbra prima di decidere se buttare giù o meno quel sorso. Era già ubriaco fradicio, e sarebbe stato uno spreco bere ancora quando poteva conservare quelle ultime gocce per il giorno dopo. Ma l’odore pungente del liquore era troppo allettante per ignorarlo.

Controllò per la terza volta le tasche nella vana ricerca di monete per procurarsi altro alcool, come se da un momento all’altro avesse trovato denaro sufficiente per un boccale di qualsiasi cosa, finché si fermò all’improvviso, ridendo di se stesso e di quell’assurda idea.

Forse stava diventando matto, di quei matti che tutti escludono e dimenticano, di quei matti che contraggono una qualche strana malattia che ingiallisce la pelle, che diventano vulnerabili come neonati e febbricitanti come femmine. Perché di una cosa era certo: era malato, molto probabilmente a causa del vizio di alzare il gomito anche dopo averlo fatto per ore intere.

Alzò gli occhi con le sclere così ingiallite da sembrare marce, ino all’inverosimile, per rendendosi conto di essere circondato da una fitta nebbia. Sentì l’umidità penetrargli sotto gli abiti ormai irrimediabilmente laceri, che penzolavano dal suo corpo visibilmente dimagrito, e si strinse le braccia attorno per provare ad attenuare la sofferenza che il contatto freddo con l’aria gli provocava, perdendosi a fissare la pelle delle mani. Della carnagione olivastra che ostentava da giovane rimaneva soltanto una cadenza giallognola che segnalava un avanzato stato di ittero.

Però non era quella la sua preoccupazione principale. Il freddo della notte gli intirizziva le membra nonostante il calore del liquore, ed avrebbe dovuto muoversi per cercare un riparo dal gelo intenso, invece di stare a fissare stranito la sua pelle. Ma non c’erano case né edifici nelle vicinanze: la nebbia mostrava soltanto l’estremità di un ponte illuminato dalla luce fioca di un lampione, l’unica via percorribile nel raggio di visibilità concessogli. Deciso ad andare avanti, si aggrappò pesantemente all’estremità del parapetto per cominciare ad attraversare il ponte, e riuscì a trascinarsi con fatica solo per pochi istanti, perché dovette fermarsi di colpo.

Un ripugnante senso di nausea lo colse proprio in quel momento, finché non si ritrovò a ritrarre un conato di vomito premendosi una manica sulle labbra screpolate. Ma dovette dar sfogo al bisogno di rigurgitare. Non si curò del fatto che qualcuno avrebbe potuto vederlo o sentirlo, tanto meno gli interessava sapere se ci fosse qualcuno nelle vicinanze. Non aveva senso occuparsi dell’impressione altrui proprio ora dal momento che in tutta la sua vita se n’era sempre disinteressato. E poi era buio, doveva essere notte fonda, o perlomeno dovevano essere le undici passate, e nessuno a quell’ora era ancora in giro eccetto lui.

Ecco che però arrivava un uomo. Gregor non poteva distinguerne che il profilo a causa della nebbia che s’infittiva sempre di più, ma era senza dubbio un uomo, e doveva essere ben vestito, perché a giudicare dalla sagoma gli abiti non gli penzolavano molli dal corpo come i suoi stracci; poteva giurare che indossasse un cappello. Si avvicinava a passo spedito, senza tentennamenti; e più si avvicinava più Gregor sentiva che quell’uomo non avrebbe dovuto essere lì, in mezzo alla nebbia e nel cuore della notte - o della sera.

Prese a tremare convulsamente senza sapere per quale motivo, e per la testa gli passò l’idea di avere la febbre. Avrebbe dovuto allontanarsi dall’ombra di quell’uomo: ma non sapeva perché, non c’era un perché.

Idiota, pensò, che vai farneticando? Proprio tu hai paura di un uomo che non conosci? Che mai potrebbe farti?

Ma la sensazione che quell’uomo avrebbe potuto aver voglia di ucciderlo non se ne andava, benché poi non avesse trovato granché da rubare. Al contrario, da un signore così ben vestito un povero diavolo come Gregor ci avrebbe ricavato una piccola fortuna.

Gli occhi di Gregor d’un tratto brillarono di un’intensa luce omicida. Si leccò le labbra secche ancora una volta, lasciando che gli istinti primordiali di ogni uomo fluissero nelle sue vene e scorressero liberi con il suo sangue. La bottiglia che aveva in mano sarebbe stata sufficiente per tramortire un uomo, ma raccolse le forze residue per strangolarlo. Se fosse stato riconosciuto proprio da quell’uomo, non avrebbe potuto evitare la prigione, e non gli andava dato che durante quegli anni aveva sempre fatto attenzione a non avere problemi con la legge.

L’ombra era ormai poco distante: ora se ne udivano i passi ticchettare appena sul selciato del ponte. Gregor provò ad alzarsi, ghignando: quell’ometto avrebbe trovato una sorpresa ad attenderlo.

Fece per nascondersi dietro il parapetto ma le gambe lo tradirono, faticando a reggersi; cadde in ginocchio, e credette davvero di essere sul punto di cedere, di essere sul punto di addormentarsi e di morire; e non poteva, non adesso che poteva dedicarsi ad un assalimento in piena regola, come le risse dei cari vecchi tempi. Ma il suo corpo stremato dall’affaticamento e dalla malattia non era dello stesso avviso della sua volontà. Gregor prese un respiro, ma si tramutò ben presto in un violento accesso di tosse. Una nuova ondata di nausea accompagnata dal sapore acre della bile gli invase la bocca, ma tutto ciò che espulse fu una forte eruttazione.

Soddisfatto di non aver vomitato un’altra volta, Gregor sentì però l’imponente ed opprimente presenza davanti a sé. A terra, ne vide l’ombra che lo sovrastava come un gigante avrebbe potuto fare con un bambino, ed ebbe lo strano desiderio di guardare la sua faccia: immaginava un signorotto di mezza età con i baffi e l’aria impettita ed allo stesso tempo bonaria che spesso Gregor giudicava perfino stupida.

Infine, lo vide. Vide i suoi occhi: gelidi, famelici, avidi della sua carne. Poteva distinguerne la vaga familiarità pur senza avere la completa visuale del suo volto, Gregor in cuor suo pregava affinché non si mostrasse del tutto. Ma contro ogni sua previsione, l’uomo sollevò il cappello che portava sfoggiando un sorriso velatamente malvagio, e solo allora Gregor si rese conto di chi fosse.

Tu!”

Quella visione non fece altro che sconvolgere la sua mente già eccitata. Un vuoto si aprì sotto di sé e rabbrividì, proprio come se uno spettro - proprio lui, che pensava ad uno spettro! Lui che non aveva mai dato credito alle credenze popolari - gli avesse perforato l’anima. Ma quel ragazzo era proprio lì, davanti a lui, e lo stava fissando con malsana bramosia, come un leone fissa la preda migliore che gli sia capitata in tutta la sua vita. Con il sangue ghiacciato nelle vene, Gregor lanciò un urlo disumano che si propagò per tutta la zona circostante, mentre lasciata cadere la bottiglia questa andò a schiantarsi rumorosamente contro il selciato. Strabuzzò gli occhi imprecando contro se stesso per il troppo alcool ingerito, ma una volta rimesso a fuoco non vedeva altro che lui. Doveva essersi fermato a squadrarlo, perché il suo volto diventò ancora più freddo, i suoi occhi ancora più vicini. Non sapeva quale sentimento prevalesse in lui durante quel momento - era rabbia? Paura? Sicuramente qualcosa di indefinibilmente terribile -, senza dubbio non poteva definirsi in grado di fare ciò che si era prefisso. Le forze mancavano, non ce n’erano neanche per scostare lo sguardo da lui, come avrebbe potuto aggredirlo? E rimase a fissarlo, con la stessa intensità con cui l’espressione di infido trionfo del personaggio fissava lui.

Di tutti i volti che avevano affollato la sua vita fino a quel momento, uno solo si affacciava costantemente con prepotenza e con fredda risoluzione da quando era stato cacciato dal paese in cui si era sposato per finire con quell’esistenza vagabonda inflitta come castigo ma accolta come liberazione: quella di colui che lo aveva cercato per metterlo alla berlina, che aveva pensato solo ed unicamente a quella sgualdrina di sua sorella.

Henry Hevans, il fautore della sua condizione attuale, il ragazzaccio che aveva condannato un uomo alla cattività di un matrimonio indesiderato, ad una responsabilità che Gregor non sentiva come propria. Henry Hevans era l’essere più idiotamente attaccato alla sorellina e nello stesso tempo più subdolo che lui avesse mai incontrato. Lo aveva trascinato nella prigione più fredda e più ipocrita che un uomo potesse sopportare, ed aveva scaricato tutta la responsabilità di quel che era successo a lui, trattando sua sorella come una povera vittima delle circostanze.

“Sì, sono io.”

Henry Hevans non aveva mosso un singolo muscolo del viso mentre queste parole dettate dal timbro della sua voce emergevano nella mente di Gregor. Come aveva fatto a parlare se aveva tenuto la bocca chiusa? E perché era lì, davanti a lui, quando avrebbe dovuto essere morto? Forse perché era un’allucinazione. Le allucinazioni non corrispondono alla realtà, e Gregor non era disposto a pensare che quella fosse una cosa reale, non quando l’uomo in questione era morto tempo prima. Se l’avesse toccato, era sicuro che non sarebbe stato più tangibile di un individuo vero e proprio. Ma lo vedeva chiaramente, ancora incredibilmente giovane, mentre erano passati anni dal loro ultimo incontro.

“Tu sei morto!” urlò in preda all’angoscia più nera.

“Sono venuto per te.”

Gregor non capiva. Cosa voleva da lui?

“Sono venuto a prenderti per portarti via.”

La paura della morte si appropriò della mente confusa di Gregor. Henry non lo aveva detto a chiare lettere, ma cosa poteva volere un uomo tornato dalla morte da lui?

Sentì l’ira montargli in corpo e, ritrovato un briciolo di coraggio, lo impiegò sputando a terra. “Non vengo con te!”

“Opponi resistenza? Sappi che non ti è concesso farlo.” Henry cominciò a ridere - una risata profonda e malsana - della sua paura di morire. “Dovrai rendere conto delle vite che hai rovinato. Quella di mia sorella, tua moglie. E dei miei nipoti.”

Gregor si ribellò mentalmente al pensiero sfocato di quella che un tempo fu sua moglie. Si ribellò al ricordo stesso di quel matrimonio prodotto della voglia legittima di scopare una donna. Una donna alla sua prima esperienza sessuale che si era data al primo venuto. Suo fratello non era lì con lei, quella sera. Doveva vederla quando gli si era avvicinata con lo stesso atteggiamento di una prostituta, in cerca di sesso tanto quanto lui. Laura - era strano, ora, pensare al suo nome - non si era opposta affatto. Opposta. La parola lo fece ridere così forzatamente che tossì. Schiacciò i vetri della bottiglia sotto la suola consumata delle scarpe, sfogando così tutta la rabbia della sua condizione. Poi rivolse lo sguardo nuovamente al suo evanescente interlocutore, guardandolo con rabbia crescente.

“Che ne sai tu di quel che ho passato?” chiese l’uomo al ragazzo.

Nessuno gli aveva mai chiesto come si sentisse lui, sposato ad una perfetta estranea e privato della sua libertà. Un leone in gabbia, che si dimena come un ossesso per uscire dalla prigione che era quel paesello troppo tranquillo perfino per un insetto.

Eppure, quell’angolo fastidioso della sua mente non poteva fare a meno di pensare che avrebbe potuto essere padrone di se stesso fin dall’inizio. Avrebbe potuto allontanarsi da quella ragazzina rossa quando ne aveva l’occasione invece di sfruttarla a suo piacimento, e non avrebbe avuto neanche fra i piedi quel suo odioso fratello che lo aveva sempre guardato con imperiosità e disprezzo, dando la sua colpevolezza per scontata.

“Tua sorella non si meritava nient’altro che soffrire!” gridò ancora Gregor, sorreggendosi gattoni per la fatica. Ansimava così tanto che gli vennero forti capogiri.

“Tu cosa meriti, invece? Sei solo un animale, che per soddisfarsi scopa la prima donna che gli capita a tiro, non curandosi se era effettivamente una puttana o solo una ragazza.”

Se in altri tempi non si sarebbe minimamente pentito al suono di accuse così pesanti, ora queste assumevano una cadenza sinistra, come se le parole sussurrate nella mente dalla sua stessa voce provenissero direttamente dall’idiota davanti a lui.

“No. Idiota. Non chiamarmi così. Guarda te stesso, prima.”

Un altro sussulto gli scosse il corpo, sconquassandogli l’anima. Per un attimo ebbe l’impressione di mancare a se stesso, ma subito sembrò riprendersi. Il volto di Henry si deformò in una dura smorfia derisoria, come se sapesse che nonostante la pellaccia dura, stava per arrendersi.

“Sei al capolinea, Gregor” e in quell’istante Gregor gemette. Erano anni che nessuno lo chiamava per nome. “E non ti resta che morire. Non farai male a nessuno, una volta morto. Neanche a Laura e ai suoi figli.”

L’istinto di ritornare di nascosto al paese e farla pagare a tutti fece la propria comparsa proprio nel momento in cui sentì di essere preso per i capelli da Henry.

“Sei impotente e debole,” disse Henry “non potrai mai più esercitare l’orribile influenza che avevi su Henry, tanto meno l’indifferenza pregna d’odio ingiustificato per Heymans.”

Heymans. Aveva fatto di tutto per togliersi dalla testa quel ragazzino impertinente, e adesso quel coglione gli stava servendo il ricordo di quello che neanche reputava come figlio suo come se avesse concepito l’uomo più bravo del mondo. Rise. Non si sarebbe affatto stupito se la sua cara mogliettina avesse fatto sesso con qualcun altro nel frattempo. Era questa la frase che ripeteva a se stesso per espellere l’idea che quel rammollito sempre aggrappato alle sottane della madre fosse davvero figlio suo. Ma bastava guardarlo per appurare il legame di sangue che li univa, accompagnato dall’evidente impronta degli Hevans; e la volta in cui lo sfidò apertamente schierandosi contro di lui, Gregor aveva letto nei suoi occhi la stessa ira che molto probabilmente si poteva leggere in faccia a lui quando teneva in scacco quella che aveva dovuto accettare suo malgrado come famiglia.

Era così, era vero. Quel bastardo era davvero suo figlio, e non poteva sopportarlo.

Per un attimo saettò nella mente il pensiero di averlo ancora davanti a sé, pronto a ricevere un colpo da parte del padre per fargliela pagare, ma ecco che la presa di Henry sui suoi capelli si rafforzò finché Gregor sentì mancare le forze ancora una volta. Henry voleva punirlo anche per quel silenzioso proposito, e - gli costava ammetterlo - era lui fra i due ad avere il pieno controllo.

“No,” disse Gregor con un ghigno, guardando dritto in faccia al suo interlocutore “non mi pento di niente, stupido ipocrita.”

Fu un attimo. Una feroce pugnalata all’altezza del fegato gli mozzò il respiro. Alzò gli occhi su Henry, e si rese conto che era stato lui a procurargliela, ma Henry non aveva nessun’arma con sé. Non capiva. Dopo alcuni secondi di amara sorpresa, dalla bocca di Gregor fuoriuscì un getto di sangue, mentre percepiva la vista farsi debole, come tutto il resto del corpo. I capelli furono rilasciati con una delicatezza che non si aspettava, e nell’istante di forte meraviglia si accasciò al suolo, L’immagine di Henry scomparve; Gregor però poteva ancora distinguerne il suono della voce propagarsi per la nebbia della notte.

“Sei morto, Gregor. Ora non farai del male a nessun altro.”

 

 

 

 

 

 

 

NDA

 

Quante idee mi erano venute per questa corsa all’OC di Laylath, e quanti personaggi avrei voluto trattare! Ma la mia prima scelta è ricaduta proprio su Gregor Breda, eh sì, proprio perché Laylath è a conoscenza dell’immenso amore che provo per questo OC! *prende Gregor e lo pesta a sangue*

La componente mistery è uscita fuori da sola, non so come. Volevo soltanto che Gregor morisse fra le più atroci sofferenze, ma sarebbe stata molto sterile come scena, almeno secondo me. Così ho creato questa figura allucinatoria di Henry - l’ammooooorreeeehh mio! - che la testa di Gregor in preda ai fumi dell’alcool produce prima di morire.

Mi era sembrato giusto che Gregor si ponesse davanti ai suoi errori - senza però mancare di dargli delle possibilità di giustificarsi, sebbene fosse inutile - e di “confrontarsi” con quella coscienza pura e semplice che aveva sempre messo in un angolo e che ora ha dovuto tirare fuori per un momento, il più duro e difficile.

La ff di Laylath dice che Gregor muore per cirrosi epatica, perciò la “pugnalata” è soltanto frutto della mente di Gregor.

Grazie mille a Laylath che dopo mesi e mesi di assenza, mi ha fatta tornare in questo fandom in veste di autrice. :*

 

   
 
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