Anime & Manga > Rocky Joe
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Autore: innominetuo    28/02/2016    11 recensioni
Joe Yabuki ritorna sui suoi passi, dopo un anno di dolore e di rimpianto. La morte di Tooru Rikishi lo ha segnato profondamente. Ma il ring lo sta aspettando ormai da tempo.
E non solo il ring.
…Se le cose fossero andate in un modo un po’ diverso, rispetto alla versione ufficiale?
Storia di pugilato, di amore, di onore: può essere letta e compresa anche se non si conosce il fandom e quindi considerata alla stregua di un'originale.
°°°°§*§°°°°
Questi personaggi non mi appartengono: dichiaro di aver redatto la seguente long fic nel rispetto dei diritti di autore e della proprietà intellettuale, senza scopo di lucro alcuno, in onore ad Asao Takamori ed a Tetsuya Chiba.
Si dichiara che tutte le immagini quivi presenti sono mero frutto di ricerca su Google e che quindi non debba intendersi il compimento di nessuna violazione del copyright.
Si dichiara, altresì, che qualsivoglia riferimento a nomi/cognomi, fatti e luoghi, laddove corrispondenti a realtà, sono puro frutto del Caso.
LCS innominetuo
Genere: Drammatico, Romantico, Sportivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Lime, Missing Moments, What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Bianche Ceneri'
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"Le Hawaii non sono uno stato mentale, ma uno stato di grazia*"


Honolulu, qualche ora dopo…

Per tutto il resto della giornata non era riuscito a toglierselo dalla mente: quello stramaledetto poster continuava a ballargli davanti agli occhi e Joe non riusciva a capacitarsi il motivo del comportamento irrispettoso e menefreghista di Mendoza, laddove questi era invece lodato universalmente come gentiluomo e come persona corretta. Ripassava mentalmente il breve discorsetto che intendeva fargli a tu per tu, non appena fosse riuscito ad incontrarlo.

Avrebbe voluto parlare con Yoko dell’intera faccenda, anche per chiederle di ricontattare nuovamente Harry Robert, per sapere se ci fossero delle novità su Carlos, ormai disperso da mesi: l’aveva sentita, per l’ultima volta, giusto la sera prima della partenza, dato che lo aveva contattato lei stessa da New York, ove Yoko, giorni addietro gli aveva detto, tra un bacio e l’altro, che sarebbe dovuta andare “per concludere un paio di affari per il club”, senz’altro specificare. Ma senza un recapito telefonico gli era impossibile rintracciarla, foss’anche solo per sentire la sua voce, che già gli mancava terribilmente…

Joe non poteva sapere che in realtà Yoko non si trovasse affatto a New York ma proprio alle Hawaii, per incontrarsi con Mendoza e con il suo staff: la ragazza aveva infatti organizzato tutto al meglio per fargli una romantica sorpresa, complice pure la splendida cornice esotica di Honolulu.

Dopo essersi concesso un paio di tuffi nella piscina dell’hotel mentre Tange si era recato alla hall per fare un paio di telefonate internazionali, si era quindi diretto, nel tardo pomeriggio, alla palestra ospite per sciogliere un po’ i muscoli e per esercitarsi nelle sventole, dato che si sarebbe misurato con Pinan Sarawaku solo di lì a cinque sere: alla fine, il suo incontro era slittato in avanti di un paio di giorni, dato che gli organizzatori hawaiani avevano insistito perché si tenesse prima il match di Josè Mendoza con Sam Iaukea, sicuramente di maggior richiamo per il pubblico.

Il Maui Boxing si trovava molto vicino al loro hotel: non era di certo grande come il Konaka Club, ove era ospitato Mendoza, ma era dignitoso ed efficiente, molto ben equipaggiato di tutte le più moderne attrezzature. Come Joe e il suo coach fecero il loro ingresso, vennero calorosamente accolti dal rubicondo direttore della palestra e da una mezza dozzina di nuove promesse della boxe hawaiana: Joe ebbe un sorriso di incoraggiamento per un paio di ragazzini che gli chiesero l’autografo e di posare insieme per delle foto-ricordo, cui si prestò volentieri. Poi si diresse allo spogliatoio per potersi cambiare.

Dopo aver preso gli ultimi accordi con `Eleu Maui per la scaletta di allenamento da seguire fino alla data del match di Joe, Danpei accarezzò con aria sognante le corde del ring nuovo smagliante, posto proprio al centro della palestra: ecco quale nuovo progetto ora gli stava a cuore, oltre al benessere di Joe. “Presto avremo anche noi una palestra così: piccola ma modernissima e dotata di tutto punto. Ho sentito poco fa al telefono il capo cantiere: mi ha detto che persino qualche abitante del quartiere va tutti i giorni a dare una mano ai muratori! Se continuano a questo ritmo, quando saremo tornati a casa avranno quasi finito!” disse, dando voce ai suoi pensieri e con gli occhi umidi, osservando Joe che si stava allacciando il caschetto protettivo.

“Ottimo. Solo che mi sa che almeno per i primi tempi io continuerò a dormire nella nostra vecchia baracca, come al solito.” precisò lui.

“Ma perché? Lo sai che al primo piano ci saranno i dormitori… dotati di cucina e di bellissime sale da bagno!” esclamò Tange, visibilmente perplesso. A volte faceva davvero fatica a capirlo, quel benedetto figliolo!

Saltando al di là delle corde con un agile balzo, Joe, sotto gli sguardi ammirati dei ragazzi della palestra, si concesse il lusso di impiegare qualche minuto a sciogliere i muscoli con il gioco di gambe e con un po’ di shadowboxing, prima di replicare a Danpei. “Semplice: quella baracca di legno tenuta su con quattro chiodi, rattoppata alla bell’e meglio e che si allaga quando piove, è la prima vera casa che ho avuto in vita mia. Nessuna potrà mai sostituirla.”

“Joe…” Tange gli si avvicinò, dandogli un buffetto sulla guancia. “Cominciamo, su, non siamo qui per cazzeggiare.” concluse in tono rude, per ricacciare indietro le lacrime dispettose. Abbaiò quindi un ordine ad un giovane peso medio per far sì che, finalmente, iniziasse l’allenamento in sparring partner.

°°°°°°

Nel frattempo, a Waikiki Beach…

“Ma come, Yoko, non ti metti al sole? Se te ne rimani sotto l’ombrellone non riuscirai mai ad abbronzarti…”

Shirley Mendoza, che si apprestava a raccogliere sul bagnasciuga delle conchiglie colorate insieme alla sua primogenita osservava un po’ perplessa la sua nuova amica, che era rimasta all’ombra seduta sul lettino insieme ai tre bimbi più piccini che le si erano stretti intorno, per sfogliare con loro un bel libro illustrato sui cavalli, dato che il piccolo Russell ne andava pazzo. La moglie del campione mondiale poteva già esibire una tintarella dorata che si accordava meravigliosamente al biondo della sua chioma ed al vezzoso bikini rosso, mentre il semplice costume intero nero indossato dalla signorina di Tokyo ne faceva risaltare la pelle madreperlacea.

Yoko sorrise dolcemente alla giovane americana. “Sai… da noi in Giappone le donne non amano molto abbronzarsi. Abbiamo un vecchio detto: ‘iro no shiroi wa shichinan kakusu’.”**

“Eh?” trasecolò Shirley sgranando gli occhioni verdi, non capendoci un’acca.

Yoko rise, seguita in coro dai bambini, che da subito avevano trovato simpatica e dolce quella ragazza così carina e sorridente, dalla voce musicale. “Hai ragione, scusa… in giapponese vuole dire: ‘la pelle bianca copre sette difetti’. Quindi è meglio se me ne rimango all’ombra!” scherzò.

“Sì certo, come se tu li avessi, i ‘sette difetti’… sciocchina!” replicò Shirley, scuotendo la testa e richiamando a gran voce la sua figliola che, zitta zitta, si era già un po’ troppo addentrata in acqua: meglio non scherzarci, con l’oceano!

Yoko respirò a pieni polmoni la brezza che veniva dal mare, così lieve e gentile che pareva volesse accarezzarla.

Sospirò di soddisfazione, distendendosi sul lettino e stiracchiandosi, senza però perdere mai di vista i tre bambini che si erano appena messi a giocare con le formine e la sabbia, mentre l’amica continuava nella sua ricerca di conchiglie insieme alla piccola Amber. Le trattative con il procuratore di Mendoza si erano felicemente concluse giusto il giorno prima, con un contratto blindato che avrebbe fatto gongolare di soddisfazione il buon vecchio Fujita-san, ed ora poteva finalmente godersi una meritata vacanza a Honolulu.

Waikiki Beach era la spiaggia più grande ed estesa che mai avesse potuto immaginare: un’enorme distesa di soffice sabbia roseo-dorata che si perdeva a vista d’occhio, snodandosi in lunghezza per chilometri e chilometri, costeggiata da slanciati palmeti e da cespugli di fiori di ibiscus dai mille colori. L’aroma salmastro dell’oceano era, a tratti, smorzato dal dolcissimo profumo dei fiori di frangipane, i cui numerosi arbusti facevano capolino un po’ ovunque. Yoko aveva raccolto un fiorellino roseo poco prima di scendere dall’hotel in spiaggia per raggiungere Shirley e i bambini, con cui aveva preso appuntamento: ne accarezzava in punta di dita i petali di velluto, ed ogni tanto lo portava alle nari, per aspirarne ad occhi chiusi l’intenso profumo fruttato.

Erano trascorsi solo pochi giorni dalla sua partenza da Tokyo, ma Joe le mancava già terribilmente.

Sorrise tra sé e sé, osservando il sole che, lentamente, moriva nel mare, alla morbida luce del vespro.

°°°°°°°

Non appena rientrò in camera sentì nell’aria un profumo delicato: si accorse che sul tavolo faceva bella mostra di sé un mazzolino di fiori bianchi e gialli. Pur non essendo particolarmente amante dei fiori, non resistette alla tentazione di aspirarne la dolcissima fragranza.

Aloha…” sentì sussurrare.

Joe si voltò, stupito: gli sembrava di vivere in uno stato di soffuso dormiveglia. I suoi occhi incontrarono quelli di Yoko che, avvolta in una lunga e semplice camicia da notte di raso blu scuro era appena uscita dalla sala dal bagno, avanzando lentamente verso di lui, i candidi piedi scalzi che spiccavano sul parquet color tanè. Senza dire nulla, Joe la sollevò leggermente tra le braccia, affondando il viso nel collo della giovane, per aspirarne il tenue profumo.

Aloha a te…” mormorò, la voce rotta dall’emozione che lo faceva tremare fino alle viscere.

Era sempre bello ritrovarsi, riconoscersi, ricongiungersi.

Ogni volta era come se fosse sempre la prima, unica e preziosa, irripetibile. I loro corpi conoscevano una saggezza tutta speciale e sapevano muoversi insieme come in una lenta, dolcissima danza. Era ancora più bello, poi, rimanersene teneramente allacciati, cuore su cuore, labbra su labbra, respiro su respiro, intrecciando le loro dita insieme, in un unico nodo... 

“E così… mi hai regalato questa bellissima sorpresa… eri qui invece che a New York. Ma come hai fatto ad entrare in camera mia? Hai chiesto la complicità di quel vecchio matto, vero?” chiosò Joe, con falso fare corrucciato e tenendola stretta a sé. Yoko si limitò a sorridere. “E meno male che starebbe sempre a predicarmi la… come la chiama lui? ‘Temperanza prima di un incontro, per non disperdere energie preziose’, per poi allearsi con te a mia insaputa?” scherzò, senza smettere di accarezzare i capelli di Yoko.

“Beh, il tuo match si terrà solo tra qualche giorno… abbiamo ancora un po’ di tempo: non credi?” Yoko gli catturò il labbro inferiore con le sue, mordicchiandolo delicatamente e dandogli lenti e lievi baci.

Joe non resistette: si arrese al dolce tepore del corpo di lei.

Ancora una volta…

°°°°°°°

Alle prime luci dell’alba, Joe si mosse leggermente nel letto, brontolando nel dormiveglia chissà cosa.

D’istinto, allungò il braccio per cercare il morbido corpo della sua donna, sentendo però solo il tenue tepore delle lenzuola, che emanavano un delicato sentore di camelia. Aperti gli occhi, seppur a fatica, vide che il letto era vuoto. “Yoko, accidenti…” farfugliò, tra il confuso e il deluso. Sbirciò la sveglia sul comodino, svegliandosi finalmente del tutto: “Porca miseria! Mendoza! A quest’ora sarà già in palestra ad allenarsi!”

Neanche mezzora dopo si era già catapultato fuori dall’albergo, con Tange che gli trotterellava alle calcagna. Al Konaka Club non si stupirono troppo di rivedere “quel matto di un muso giallo”, come lo avevano soprannominato, stavolta accompagnato dal suo trafelato coach.

“Buondì! Eccomi di ritorno!” salutò Joe, con un sorrisetto sottile “Mr. Mendoza…?”

Come il Mar Rosso si aprì per far passare Mosè col Popolo Eletto, ecco che tutti gli astanti della palestra si scostarono per far passare il loro illustre ospite.

Con passo tranquillo ed elastico, José Mendoza si parò davanti a Joe, sovrastandolo non solo con la sua statura ma anche con la sua innegabile aura di superiorità. Seppur in semplice tuta da ginnastica, il messicano sapeva essere elegante e signorile come nel più impeccabile degli smoking. Gli intensi occhi blu di Josè fissarono Joe, mentre le belle labbra del campione pronunziarono un pacato saluto.

“Ho saputo che mi ha cercato, Mr. Yabuki. Mi scuso se ieri non mi ha trovato, ma ero già andato via. Mi dica in cosa posso aiutarLa.” gli domandò, in un inglese dalla pronunzia perfetta.

Ora, se c’era una cosa che Joe non apprezzava molto era l’essere trattato in modo gentile ed educato, sì, ma freddo ed affettato: alle belle maniere usate per mera etichetta preferiva modi magari meno forbiti, ma almeno più schietti. E questo boxeur con modi da aristocratico lo faceva innervosire sempre più.

Parecchio di più.

“Innanzitutto, buongiorno. Mi scuso con Vostra Maestà per il disturbo,” esordì Joe, con fare sarcastico, cosa che fece inarcare il sopracciglio del suo interlocutore, che non gradì affatto, mentre il povero Tange diventava di tutti i colori dell’arcobaleno e desideroso solo di sprofondare “ma avevo urgenza di un chiarimento…”

“Mi dica.”

“La accontento subito.” bofonchiò Joe, allontanandosi di qualche agile passo. “Che cosa significa questo?” chiese, picchiettando leggermente sulla locandina oggetto della sua indignazione. Josè la osservò per qualche istante, per poi tornare a fissare il ragazzo giapponese tanto poco cordiale con lui.

“Sorry, ma non capisco la domanda.” osservò, in tono asciutto.

“Come sarebbe, che non capisce? È sordo, pazzo o semplicemente stupido?” replicò l’altro, più tagliente di un rasoio.

“Joe, ti prego… basta! Ora stai esagerando!” Tange cercò di trattenerlo a forza - mentre quell’altro si dibatteva imprecando a più non posso - dato che sapeva benissimo che la bomba stesse per brillare… conosceva sin troppo bene, quel mulo ostinato! “Mr. Mendoza, La prego, lo scusi! Non sa quello che dice, dev’essere il jet-boh o come cavolo si dice…!”

Nessuno degli astanti si mise a ridere per il buffo strafalcione di quel povero vecchio allenatore, sconvolto dal folle comportamento del proprio atleta.

C’era davvero assai poco, infatti, da riderci su.

Josè socchiuse gli occhi, come per meglio mettere a fuoco il suo focoso ospite, che pareva quasi avvolto in una luce rossastra, tanto era il livore che emanava. “Credo di aver inteso. Lei pensa che quel manifesto sia un mio dispetto nei confronti di Carlos Rivera, giusto?” domandò, con voce piana e cacciandosi le mani in tasca, come per smorzare l’atmosfera divenuta sin troppo mefitica con un atteggiamento assertivo.

“Ha detto bene: io penso che questo gesto sia antisportivo e da emeriti stronzi. Carlos adesso è un povero derelitto… ha perso la memoria e da mesi non se ne sa più nulla, da quando è scappato dalla clinica psichiatrica! Ed è ridotto così dopo il suo incontro con il campione del mondo!” urlò Joe, dopo essersi finalmente divincolato dalla morsa delle braccia di Tange per puntargli il dito contro e quasi sputandoglielo fuori, il tanto decantato titolo.

Mendoza però non lo fece. Non pensò, infatti, di replicare a sua volta che se il Re senza Corona era caduto sotto i suoi pugni dopo appena pochi secondi e già al primo round, ciò era stato dovuto ad un certo match di Capodanno tenutosi a Tokyo. Decise di evitare sterili ripicche: non era da lui, infatti, comportarsi in modo incivile. “Mi dispiace se Lei pensa questo: mi creda, non era mia intenzione creare simili problemi. Al mio arrivo in questa palestra feci poco caso a quella locandina” disse, additando alla stessa “che, in effetti è solo questo: la locandina di un vecchio incontro di boxe. Quanto a Mr. Rivera mi auguro che presto le cose si risolvano per lui nel modo migliore. Ed ora, se mi vuole scusare, vorrei poter continuare con il mio allenamento, dato che domani sera dovrei disputare un incontro. Buona giornata.” concluse girando sui tacchi, con un leggero cenno di saluto rivolto a Joe e a Danpei.

“Mendoza, aspetti! Aspetti un attimo, porca miseria, non ho ancora finito di parlare con Lei!”

Tutto accadde in una manciata di secondi. Joe si scagliò come una scheggia contro Mendoza per bloccarlo, ma non fece neppure in tempo ad afferrargli la spalla, che ricevette sulla gota destra un gancio talmente rapido da non aver neppure fatto in tempo a vederselo scattare contro, il braccio sinistro di Josè. Il soffitto divenne un tutt’uno con il pavimento della palestra.

Joe non fece neppure in tempo a sentire dolore: semplicemente, stramazzò a terra senza far rumore.

________________________________________

Spigolature dell’Autrice:


*Citazione di Paul Theroux.

**(色の白いは七難隠す) Paese che vai… usanza che trovi! In Giappone l’abbronzatura è out, per le donne giapponesi la pelle chiara è un pregio da preservare a tutti costi. Per questo anche nelle nostre città possiamo vedere, nei mesi caldi, deliziose turiste del Sol Levante armate di ombrellini a mo’ di parasole (come facevano le dame occidentali nell’Ottocento…). Il mercato della cosmesi giapponese fattura milioni di yen con i prodotti di bellezza cd. bihaku (“sbiancanti”), contenenti soprattutto gli alpha-idrossiacidi per il peeling della pelle. (Fonte Wikipedia)

Ecco qui per voi un assaggio di Honolulu:

fiore di ibiscus:
ibiscus

fiori di frangipane:
frangipane-fiore-NG2
Waikiki Beach:    
waikiki-beach

Ok: chi salta sull’aereo con me?


°°°°°°°°°

Ritroverete "L’Angolo del boxeur" al prossimo capitolo, con una duplice sfida pugilistica! Il sogno hawaiano continua!

Besos,

i.
  
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