A qualche metro da lui,
la donna gli dava ancora le spalle.
»Kaori, tu sei la mia sola famiglia. La sola famiglia
alla quale io tengo...« Lo sforzo che Ryo aveva fatto
per pronunciare quelle poche parole, allo stesso modo così innocue, traspariva
dal tono roco e cavernoso della sua voce. Avrebbe potuto fermarsi lì. Ma, senza
riflettere, la sua lingua lo tradì, confessando una verità che teneva da troppo
tempo nascosta. »...La sola a cui appartengo.«
Un soffio al limite della confessione vergognosa... Un prezzo esorbitante da
pagare per quelle quattro parole.
Una rinuncia. Un tradimento. Una liberazione.
Kaori si voltò immediatamente, sicura di avere sentito bene, ma incerta quanto
al significato di una simile frase... e si immerse ancora una volta nell’oscuro
abisso degli occhi di Ryo... Impenetrabile, profondo, senza limite.
Che differenza c’era rispetto a prima? Che messaggio c’era da cercare di
decifrare? Perché era così duro fare un passo avanti?
Un tacito scambio che può dire tutto... o niente...
Come se il cuore utilizzasse gli occhi per osare quello che la voce bandiva.
Ma Ryo non poteva, indipendentemente dalla sua necessità.
Le sorrise in modo strano.
»Sai bene, Kaori, come sono.«
La donna rimase interdetta. Incapace di scegliere una maniera adeguata di
reagire. Combattuta tra il desiderio di comprenderlo e, di conseguenza
perdonarlo, e quello di andare oltre.
La ragione sarebbe stata di accettare... e dunque di cedere. Ma dopo tanti
dolori, dubbi, angosce e incomprensioni, lei non desiderava più fare dei
compromessi. La razionalità perdeva la sua importanza.
Istintivamente, rifiutava la facilità. Appassionata, innamorata, ma ugualmente
in malafede, violenta e irascibile, lei si ribellava alla possibilità di
calmare le cose tra di loro. Anche se sapeva perfettamente quanto era costato a
Ryo pronunciare quella semplice frase. Anche se, in questo istante, condivideva
la stessa difficoltà ad esprimersi. Arrendersi ora, avrebbe significato
rimandare a più tardi un’esplosione che avrebbe fatto ancora più male ad
entrambi... Comunque non riusciva ad immaginare un solo istante come provare
più grande tormento di quello subito in quella strada.
»Si, so come sei, Ryo... ma dimmelo, ancora, una volta, provaci.«
»Io sono colui che ti porterà, un giorno o l’altro, l’infelicità...«
Kaori alzò gli occhi al cielo, poi gli riposò su si lui, esasperata.
»Ahhhh... Sempre lo stesso ritornello!«
»La stessa verità. Fingere di non vederla non la farà sparire!«
L’uomo tacque un momento. Non capiva cosa lo spingesse a cercare di convincerla
ancora a rinunciare a loro.
Da solo in quel porto, aveva ammesso il suo bisogno viscerale di lei, d’essere
accanto a lei, di averla. Era tornato per confessarlo davanti a lei, per farla
finita con questo stupido gioco che non portava da nessuna parte. E adesso,
tuttavia, continuava a presentare degli argomenti per farla andare via... E
tutto questo era più forte di lui.
Con il legame tra di loro che si rafforzava di secondo in secondo, l’idea di
farla allontanare da lui, così dolorosa precedentemente, così stupida neanche
un’ora fa, ridiventava più forte, più sensata.
Lui riprese, serio...
»Ci tieni così tanto a morire Kaori?«
Vedendola chiudere gli occhi e serrare la mascella, lui seppe che ancora una
volta stava facendo marcia indietro.
»No, io non voglio morire. Se ho imparato una cosa con te, questa è il prezzo
della vita...«
»Eppure, un giorno o l’altro, io non riuscirò a salvarti. Un tizio più giovane,
più rapido o più semplicemente uno con più fortuna... o peggio uno più folle...
E io sarò impotente... La tua vita si spegnerà tra le mie mani... Tu morirai.«
»O sarai tu, a morire.« Nessun isterismo nel tono di voce che adoperò la donna.
Lo stesso modo distaccato di nascondere il suo turbamento, la stessa sensata
riflessione.
»Si, io forse... Ma io...« Lui sorrise in tralice. »Io... questo è il prezzo da
pagare per la mia vita...«
La donna inarcò un sopraciglio, ma non replicò niente alla sua risposta.
»Insomma, tu preferisci farmi andare via... Respingermi, distruggermi,
dimenticarmi... E più comodo, no? Preferisci morire per me oggi, scomparendo
dalla mia vita! Che logica è, spiegamelo.«
»La logica di un assassino... Non dimenticare, ciò che sono, sempre...«
»La logica di un imbecille e di un vigliacco...«
»E allora? Tu confondi ogni cosa... Io non ti ho mai detto di essere
coraggioso. Preferisco saperti in vita... anche se sono un vigliacco, anche
lontano da me. Forse questo mi farà andare avanti...«
»Andare avanti per cosa?« La donna si avvicinò a lui e lo stupì con la sua
domanda. »Non è ancora chiaro?«
»Cosa?«
»Sono morta lontano da te.«
»Non dire questo...«
»Il mio cuore non batterà più...«
»Certo che sì. Io ti parlo di respirare, vedere una nuova alba, sentire un
nuovo profumo, ridere nuovamente ad una stupida barzelletta, cantare una nuova
canzone...«
»Io ti parlo di tempo senza ragione, giorni che si susseguono uno dopo l’altro
nel grigiore dell’indomani senza speranza, senza risate. Io ti parlo del dubbio
incessante del “Se avessi osato parlare”. Io ti parlo di pensieri
ossessionanti: “Dove sei?” “Sei ancora vivo?” “Cosa stai guardando in questo
momento”, “Hai così freddo quanto me?”«
L’uomo tacque. Non aveva niente da rispondere a questo. Lui parlava della vita
biologica. Lei parlava della vita dell’anima. Lui combatteva quando invece
voleva lasciarsi vincere. Lei era più forte di lui. Ora lo sapeva
perfettamente. Aveva solo tre parole da dire, un gesto da fare e lei lo avrebbe
perdonato. O per lo meno avrebbe fatto come se... gli avesse creduto...
La donna davanti a lui aveva gli occhi brillanti di una fiamma che non poteva
estinguersi. Di una fiamma che lo riscaldava e lo bruciava nello stesso atto.
Ma non sapeva cosa dire. Di fronte a lei, la sua indecisione riappariva.
»Quanto tempo, Ryo?«
»Quanto tempo cosa?«
»Quanto tempo prima che io muoia a causa di uno dei tuoi nemici?«
Una domanda diretta, senza false apparenze.
»Non lo so. 10 anni, 1 anno, 1 mese... domani forse... «Le ultime parole erano
fatte per riscuoterla, forse spaventarla... semplicemente sfidarla, vedere
quello che avrebbe risposto. Per essere cattivo anche. Volontariamente brusco e
provocatore.
Kaori diventò rossa e voltò la testa.
»Allora... allora mi resta ancora un giorno... E’ sufficiente...«
»Sufficiente per cosa?«
»Per avere un po’ meno rimpianti quanto me ne andrò...«
»Lontano da me, non ne avrai nessuno...«
»Lontano da te, ne avrò migliaia...«
Lui sapeva perfettamente di dover dire qualcosa... che l’istante preciso in cui
tutto poteva risolversi era arrivato... Che la svolta era precisamente lì... né
prima, né dopo. Quello che avrebbe detto gli avrebbe segnati entrambi per
sempre.
Le loro mezze-ammissioni gli erano costate fatica, ma non valevano niente se le
due persone non fossero state in grado di esprimere realmente quello che
avevano nel profondo dei loro cuori...
Kaori aspettava... aspettava che lui si decidesse finalmente... E lui non ci
riusciva.... La sua indecisione stava scegliendo per lui... Il suo silenzio
sarebbe stato come un diniego. E lui non poteva permetterlo.
Serrò i pugni. Effettivamente, lei sapeva. Lei sapeva il dolore di far soffrire
una persona che ci ama, il bisogno di proteggersi, le necessità evidenti e
viscerali che lo spingevano ad allontanarla. E malgrado tutto, lei perdonava.
Senza che lui avesse dovuto scusarsi veramente.
C’è l’aveva di nuovo con se stesso di infliggerle tutto questo, di essere
incapace di riconoscere che aveva mentito e di aprire il suo cuore alla sola
persona che lo meritava. Se Kaori perdonava, non abbandonava.
Il suo dolore si stava sfumando di fronte a quello dell’uomo. Lui aveva
mentito, ora non poteva più nasconderselo. Anche le ragioni delle sue menzogne
erano diventate evidenti. Ma, lei non voleva più rivivere delle conversazioni
simili, e allora doveva raggiungerlo, doveva penetrare sotto quell’armatura con
la forza, fare a pezzi quell’ indifferenza, quello sguardo freddo.
»Tu non sei Dio, Ryo...«
»Lo so bene Kaori... Ma non è giusto...«
»Cosa?«
Lui non voleva dirlo.
Abbassò la testa per sfuggire alla muta preghiera che lei gli rivolgeva.
Strinse talmente forte i pugni che le unghie cominciarono a lasciare il segno
sul palmo della mano. Se l’avesse detto, lei sarebbe rimasta. Non avrebbe mai
più potuto mandarla via, l’avrebbe incatenata a lui. La condannava per sempre.
Come aveva potuto lasciarsi rinchiudere in questa conversazione? C’era ancora
una via d’uscita che gli evitasse di doverlo dire?
La voce di Kaori si alzò nell’aria, debole come una supplica.
»Dillo.«
Lui la guardò negli occhi. Avrebbe voluto perdersi nel suo sguardo... ma non ci
riusciva. Accanto all’amore che la donna gli comunicava, vedeva anche il dolore
e la morte.
Contrasse la mascella involontariamente.
Ma Kaori voleva sentirlo. Per cancellare le ferite, quelle parole erano
necessarie.
Più debolmente, di nuovo, lei riprese.
»Dillo...«
»Ti amo.«
Provò una sensazione di nausea. Dirle questo ora era ancora più ignobile di
tutto quello che aveva potuto fare prima. Peggio di proporle di andare a letto
con lui. Peggio di mandarla via.
La donna indietreggiò di un passo, come se fosse stata colpita violentemente.
Il suo sguardo si fece ancora più triste.
»Bugiardo.«
»Ma cosa vuoi Kaori? Ti ho detto quello che volevi sentire, veramente questa
volta! Che posso fare di più?«
»Io voglio che tu lo pensi. Ho bisogno che tu abbia bisogno di me. Voglio
sentire il tuo respiro accanto a me. Sogno che tu sogni di me. Voglio che tu
ritorni da me... Che malgrado le sirene, che malgrado la follia che ci
circonda, io possa avere fiducia in te... voglio essere sicura che tu
ritornerai da me...«
»Non credi di chiedere un po’ troppo? «
Lei chiuse gli occhi e respirò profondamente. Senza riaprire gli occhi,
rispose:
»No, chiedo solo il minimo se voglio che tu sopravviva.«
Lui rimase interdetto. Lei voleva per lui, quello che lui voleva per lei.
Semplicemente, non avevano lo stesso modo di risolvere il loro dilemma. Lui
aveva scelto di sacrificare il suo amore. Lei aveva scelto di servirsene per
diventare più forte.
Ma se il modo dell’uomo poteva, doveva anche, realizzarsi da solo, quello di
Kaori necessitava di essere in due.
»Sopravvivere... Che strana parola nella tua bocca... Non è sopravvivere quello
che voglio per te...«
Ancora una frase a doppio senso... Di quale sopravvivenza parlava? Della sua
(di Ryo) per lei? O di quella di Kaori, lontano da lui?
»Allora cosa vuoi per me?«
La domanda lo destabilizzò più di quanto avrebbe creduto... Aveva sperato di
aver trovato una risposta a questa domanda in quel porto. Ma, ora che era Kaori
a porla, questa prendeva tutto un altro senso. Un senso che l’uomo non
desiderava davvero approfondire... Decise di cavarsela con una battuta.
»Non hai detto che non devo decidere per te?«
Chiaramente, Kaori non apprezzò questa schivata.
»Di che cosa hai paura?«
»Io, il grande City Hunter? Di niente, vediamo... forse di non poter soddisfare
tutto quelle donne...«
In altre circostanze, la libellula sarebbe senza dubbio arrivata a girare
attorno ad una Kaori ammutolita dal fatto che lui potesse tirare fuori questa
stupidaggine in un momento così serio.
Gli occhi vitrei, la donna era concentrata sulla ricerca di quella verità. Non
la vedeva più. La sua aria spavalda le nascondeva qualcosa, lo sapeva.
»Non hai paura di morire... questo è sicuro... Stupido, ma sicuro... Di non
esistere? Possibile!... Non hai paura della solitudine... o per lo meno tu sei
capace di continuare restando solo... Non hai paura di perdermi, né di farmi
soffrire, dato che l’hai già fatto...«
Se non fosse stata assorta dalla convalidazione delle sue ipotesi, Kaori
avrebbe potuto vedere un’ombra fugace attraversare il viso di Ryo mentre
pronunciava quelle ultime parole.
Riprendendosi da queste possibilità, la donna si concentrò sulla persona che le
stava di fronte e lo guardò dritto negli occhi.
»Di che cosa hai paura, Ryo Saeba? «
Il silenzio fu la sola risposta.
Ebbe improvvisamente paura di questa mancanza di risposta che suonava come una
sentenza, e non osò crescere oltre il suo vantaggio, ma non lo lasciò con gli
occhi.
Lui sostenne il suo sguardo, sempre silenzioso.
Ciononostante, vinta dal mutismo del suo socio, ebbe un balzo di orgoglio ed
una vaga comprensione che lui doveva parlare... altrimenti tutto questo sarebbe
servito soltanto a farsi del male, senza comunque avanzare.
»Hai paura di avere bisogno di qualcuno... o che qualcuno abbia bisogno di te?«
La donna sorrise di fronte l’incongruenza del pensiero seguente.
»Hai paura di volere qualcuno al punto di comprometterne la sua... no... la tua
sicurezza?«
Credeva di riuscire a farlo reagire. Ma niente. Lui continuava a guardarla...
come se fosse sordo... o come se acconsentisse silenziosamente...
E Kaori ebbe paura... improvvisamente sconvolta e in collera.
»Di che cosa hai paura?« ripeté. »Di provare delle emozioni?... D’essere
semplicemente umano?... Ma cosa ti resta se non accetti semplicemente di
vivere?... di lasciarti qualche volta sommergere da dei sentimenti più forti di
te?... Tutto questo ci succede... Così... senza preavviso... Impariamo
solamente a conviverci...«
Lui si decise finalmente a dire qualcosa.
»Come vuoi che qualcuno che non ha mai conosciuto l’amore di una madre, di una
famiglia possa solamente conoscere questo sentimento?«
Lei volse la testa, sentendo sempre il suo sguardo su di lei.
»Vigliacco! Non ha niente a che vedere... Questo non basta! E’ come se tu
dicessi che non sai respirare... Questo sentimento che spazza via ogni cosa,
anche la ragione, con quel subbuglio allo stomaco che non si può più
controllare... Che si desidererebbe veder sparire e che ci logora senza sapere
se è reciproco, senza che si osi parlarne... Tormentatore e allo stesso tempo
così liberatore... Nessuno può conoscerlo prima di averlo vissuto... No, tutte
queste sono solamente delle stupidaggini che ti facilitano la vita...«
»...«
»Hai voluto bene a Kaibara... Hai voluto bene a Kenny... Hai voluto bene a mio
fratello...«
»Guarda i risultati...«
Non aveva potuto nascondere una punta di amarezza nelle sue parole. E non
sfuggì a Kaori che riportò il suo sguardo sull’uomo.
Tese la mano sana ma fermò il suo gesto quando si accorse che lui non si
muoveva. Capì allora che questa era una nuova prova per lui... parlare di
queste persone che gli avevano insegnato tanto, parlare del suo passato.
»Tu non sei colpevole.«
Era la sola cosa di cui lei era persuasa, senza aver bisogno né di spiegazioni,
né di giustificazioni.
Rifiutava di lasciarlo solo con il senso di colpa del sopravvissuto.
Lo sguardo perso nel vuoto, l’uomo borbottò a questa affermazione.
»Certo che non sono colpevole,« ironizzò. »Il loro lavoro, come il mio,
significava morte. “Vittime del proprio destino”. E’ così che si dice, no?«
»Quello che hanno fatto, tutti, è stato con cognizione di causa.«
Ryo posò uno sguardo duro su Kaori. Anche se era riuscito ad ammettere molte
cose, ce n’erano ancora di troppo difficili.
Il suo tono si fece brusco quando replicò:
»Non ho bisogno di pietà.«
Il barlume di rabbia si ravvivò improvvisamente negli occhi della donna. Ma era
una rabbia talmente diversa dalla precedente.
Non c’è l’aveva con lui per il male che le aveva fatto, ma per il male che si
stava facendo da solo.
»Io non ti accordo nessuna pietà Ryo. Della compassione tutt’al più se tu
l’accetti. Semplicemente una condivisione.«
Sentendo quelle parole, il viso dell’uomo si addolcì. Lei gli offriva l’umanità
alla quale lui aspirava, senza disprezzo, senza condiscendenza. Lei lo
accettava per quello che era.
Lui sorrise tristemente.
»I fantasmi sono difficili da convincere, sai.«
La donna si rese conto che sarebbero rimaste sempre delle zone d’ombra nella
sua vita, nel suo passato. Forse sarebbero riuscito a portarle progressivamente
alla luce. Forse no. Però, in un certo senso, non era questa la cosa più
importante.
Lei chiuse gli occhi per un breve istante.
»Hai liberato Kaibara, hai salvato Sonia, mi hai protetto.«
Lui rispose sarcasticamente:
»Sono il bel cavaliere sul cavallo bianco!«
»No, non sei sicuramente questo. Non contarci proprio!«
»Guarda che dovresti confortarmi a questo punto...«
»Insomma smettila di cercare di svignartela Ryo... La conversazione sta
diventando troppo seria per te?«
»Lo è dall’inizio, Kaori...«
Kaori tacque.
Avevano parlato certo, ma niente era progredito. Alcune cose tuttavia erano
state dette.... ricostruendo poco a poco la loro fiducia reciproca... Ma questo
non bastava... Bastava per perdonare, ma non bastava per continuare a formare
City Hunter... e cosa peggiore, non bastava per sperare ancora.
»Io sono come sono... Te l’ho già detto...«
»Allora le cose non cambieranno...«
Lui sorrise...
»Sono già cambiate... Dal momento in cui sei piombata nella mia vita...«
»Ma tu hai finito per escludermi...«