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Autore: Bluelectra    29/02/2016    9 recensioni
Sequel de "IlDestinoNonÈUnaCatenaMaUnVolo".
Dal Caos primordiale, in cui nessuna forma di vita poteva essere ospitata, nacquero le stelle. E solo grazie alla loro luce e al loro calore fu possibile concepire la vita.
Il Caos dentro di sé, i dolori a stento sopportabili, le peggiori cose della vita possono essere trasformate in gocce di splendore, in stelle in grado di illuminare la notte più buia e riportare a casa i dispersi.
Ritornano dopo quattro anni Angelique, Albus, James, Scorpius e tutti gli altri.
Dal Cap.16:
“Avanti Gigì, ora devi iniziare a comportarti in modo carino. Insomma deve essere almeno possibile il fatto che tu sia attratta da me!” ribatté James sporgendosi oltre il tavolino che condividevano.
Angie fece lo stesso, avvicinandosi a lui fino ad avere il suo viso molto vicino.
“E che cosa dovrei fare?” chiese sorridendo in modo delizioso.
“Beh per esempio potresti darmi un bacio, ci sono giusto quattro o cinque ragazzine che ci stanno guardando proprio adesso…” mormorò lui continuando a fissarla con i suoi occhi magnetici.
“Oppure potrei darti un pugno sul naso.” propose Angelique inclinando il capo.
“Oh Gigì, ma questo non è per nulla carino.”
“Io lo troverei adorabile!”
Genere: Commedia, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Albus Severus Potter, Famiglia Weasley, James Sirius Potter, Nuovo personaggio, Scorpius Malfoy
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nuova generazione
Capitoli:
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Cap.21 Colpevoli e assolti

Cap.21 Colpevoli e assolti.

“È tutta colpa della Luna.
Quando si avvicina troppo alla terra fa impazzire tutti.”

W. Shakespeare

 

Svegliarsi e inspirare come prima cosa l’odore di Benji era un’esperienza al di sopra delle sue capacità di sopportazione.

Motivo per cui quando socchiuse gli occhi e vide l’uomo disteso accanto a lei, il volto abbandonato contro i cuscini e i capelli arruffati, emise un sospiro a metà tra l’incredulità e la frustrazione, per tutta la bellezza che le si mostrava in modo così semplice di prima mattina.

La pelle olivastra, che contrastava contro la sua bianca nell’abbraccio confuso del sonno, emanava un calore tale che durante la notte si era scoperti di tutte le coltri, tranne che di un lenzuolo. Benji anche da addormentato rimarcava la sua possessività trattenendola contro di sé con un braccio attorno alla vita e intrecciando le gambe alle sue.

Un sorriso affiorò sulle sue labbra al pensiero della notte precedente, di come l’avesse sorpreso presentandosi alla sua porta nel cuore della notte senza alcun preavviso, dell’espressione confusa sui suoi tratti mascolini e forti, del bacio irruente e brusco, eccessivamente emozionato, con cui l’aveva inchiodata subito dopo alla sopracitata porta, delle sue mani che avevano strappato i bottoni della camicia per spogliarla più in fretta e di tutto quello che era seguito…

Il respiro successivo fu così brusco e rumoroso che Benjamin spalancò gli occhi e le puntò addosso due fanali di un colore giallo paglierino, troppo vigili e vispi per appartenere a qualcuno che si fosse appena svegliato.

“Da quanto sei sveglio?” sussurrò Lucy guardandolo mezza divertita e mezza indispettita.

“Abbastanza da sentirti sospirare per me. Due volte.” mormorò lui traendola più vicina a sé e facendo aderire i loro petti.

Un fiotto di rossore si propagò sulle guance scarne di Lucy per le sensazioni scatenate del contatto con i riccioli scuri dell’uomo contro il seno.

“Adoro quando succede questo…” disse ancora Benji sfiorandola sulla gota con un indice.

L’impertinente Leda però, che si lasciava vincere solo dai suoi gesti e mai dalle sue parole, insorse contro l’infingardo portatore di fossette. Una sua gamba scivolò sinuosa in mezzo a quelle di lui e si mosse piano contro il turgore che vi trovò.

“Oh, anche io…” sussurrò lei spiazzandolo.

Fece scendere una mano dal torace verso l’addome, disegnando sulla pelle bruna delicati disegni che si spingevano sempre più in basso, con casualità e lentezza, gustandosi ogni centimetro di epidermide bruciante sotto il palmo, ogni respiro più approfondito, ogni sfumatura che passava negli occhi di lui.

Non si erano mai svegliati insieme come quella mattina; anche negli incontri a notte inoltrata se si assopiva erroneamente Benji la ridestava, con garbo e delicatezza, per farla ritornare al castello sempre mezza frastornata e trasognata, per non suscitare eccesivi sospetti nelle sue velenose compagne di dormitorio.

Eppure quella volta si erano concessi il rischio e il piacere indescrivibile di dormire l’uno accanto all’altra, perché sapevano di averne bisogno prima della separazione forzata dettata dalle vacanze di Natale.

Non aveva mai provato la gioia intima e inconfessabile di allungare una mano tra le coperte e trovarvi proprio lui, che immediatamente l’avvinghiava a sé, ricercando le esigue curve del suo corpo e adattandovisi perfettamente anche nel sogno.

Non aveva mai potuto comprendere quanto ristoratore e soddisfacente fosse il sonno insieme, fino a che non aveva visto come prima cosa Benji e ogni angolo della stanza aveva perso la propria luce, perché questa si era condensata negli occhi felini di lui. Gli occhi di oro fuso, ricchi di schegge marroni, le avevano scavato dentro anche in quegli istanti, ricercando qualcosa che lei non riusciva a comprendere forse, qualcosa che tutte le volte sembrava sfuggire anche a lui.

La sua mano scese ancora e con molta più sicurezza delle prime volte accarezzò, strinse, indugiò dove la pelle era più liscia e tesa dal desiderio, si mosse assecondando le oscillazioni delle sue anche. Le dita ricercarono i punti più sensibili, suscitando respiri profondi e affannosi, facendogli chiudere le mani in spasmi sui suoi fianchi.

E vederlo inclinare il capo verso di lei con alla ricerca spontanea delle sue labbra, spiarlo mentre un piacere che era proprio lei a procurargli gli annebbiava lo sguardo, rendendolo torbido e insondabile, sentirlo su di sé era incredibilmente bello.

Era un distillato di bellezza, che lei doveva rubare a piene mani, di cui doveva riempirsi il cuore prima di affrontare ore, giorni, due settimane di lotta contro la sé stessa del passato.

Prima di tornare in una casa che non era la sua casa.

Aveva bisogno di lui e voleva prendersi tutto.

Benjamin tentò di sottrarsi dalle sue mani per ricominciare a condurre il gioco, come forse gli sembrava doveroso, ma i palmi di Lucy lo lasciarono solo per posarsi entrambi sul suo petto e inchiodarlo al materasso.

Si mise a cavalcioni sopra di lui con una mossa rapida e si concesse di imprimersi a fuoco nelle retine quello che vide: gli occhi accesi, le labbra dischiuse e lo stupore impresso in ogni suo tratto marcato, per l’iniziativa e l’audacia dei suoi gesti.

“Ragazzina, il tuo treno…” sussurrò roco Benji mentre il viso della ragazza si abbassava sul suo petto.

Lucy disegnò con le labbra i contorni e i rilievi della sua pelle, mordicchiando la lieve infossatura dello sterno tra i due pettorali, baciando il costato e gustando ogni singolo frammento del fremito che averlo in proprio potere le scatenava.

“C’è ancora tempo, Richardson.” Gli soffiò sull’ombelico, per sentirlo inspirare bruscamente quando i suoi seni lo sfiorarono proprio dove tutto il suo sangue sembrava essersi fermato.

“Ma c’è già il sole…” mugolò lui con scarsa convinzione.

Le mani di Lucy risalirono l’interno coscia dell’uomo e si avvicinarono al centro, mentre le labbra si spostavano nello stesso punto, lente ed estenuanti.

“Non è vero, è solo la luna.” Mormorò un attimo prima di accoglierlo tra le proprie labbra.

E poi delle tuonate poderose si abbatterono sulla porta della stanza, così forti da far tremare il legno e da far credere che qualcuno volesse abbatterla.

Il rumore violento e improvviso spaventò a tal punto Lucy, del tutto immersa nella propria opera di seduzione, che la ragazza urlò e scattò a sedere immediatamente, dimenticandosi di essere sul bordo del letto.

Fu così che ruzzolò per terra, con le gambe aggrovigliate nel lenzuolo e prese una testata contro il pavimento, solo parzialmente attutita dal tappeto.

Benji si esibì in una sequela di bestemmie così colorite e fantasiose, che avrebbero impressionato anche Satana in persona, e Lucy scoppiò a ridere per l’assurdità della situazione. Le chiese con tono ansioso se stesse bene, ma non ottenne altra risposta se non il suono della sua risata.

“Che c’è dannazione?” urlò Benjamin con tono feroce, mentre si districava a sua volta dalle coperte sparse sul letto e scendeva per aiutare Lucy a rimettersi in piedi, la quale però sembrava più occupata a rotolarsi dalle risate che non a riprendere una postura normale.

“Capo vi abbiamo preparato la colazione!” esclamò una voce profonda che istintivamente Lucy riconduceva alla figura del Guercio. Lucy a questo punto iniziò quasi a ululare per l’ilarità.

Le mani di Benji si fermarono sul suo corpo con un fremito e gli occhi si chiusero. Il suo petto si gonfiò in un respiro molto profondo e subito dopo ne scaturì una litania di parolacce irripetibili. Poi con uno strattone rabbioso liberò le sue gambe dal lenzuolo, scattò in piedi e afferrò la vestaglia e la bacchetta sulla poltrona.

Quando si fiondò fuori dalla stanza urlando come un pazzo e lanciando Schiantesimi dovunque, Lucy pensò tra le lacrime per le eccessive risate che quegli istanti sarebbero stati il ricordo luminoso che avrebbe portato con sé nel tragitto verso Londra.

Un rumore di stoviglie che franavano a terra attirò la sua attenzione.

“Ma capo! C’era anche il panettone italiano…”

“AAAAARGH!”

Pensò che Benji e quello che aveva portato nella sua vita erano ciò che rendeva straordinario un risveglio prenatalizio normalmente malinconico.

Pensò a tutte le volte che sentiva i suoi occhi su di sé, prima ancora di vederli, e sapeva che la stava osservando come se volesse metterle a nudo l’anima, a quando riusciva a sorprenderlo e le emozioni di Benji si manifestavano in reazioni brusche ed imprevedibili. Quasi non si accorse che le risate le si erano spente in gola, sostituite da respiri calmi e profondi.

Si mise a sedere, appoggiando la schiena al comodino e coprendosi col lenzuolo bianco.

Si sentiva felice come non le era mai successo in vita sua. Il pensiero dell’uomo che ancora sbraitava come un pescivendolo nel corridoio le apriva una voragine nel petto che sembrava volersi inghiottire qualsiasi altro sentimento.

Che cosa accadeva?

Che cos’era quel groviglio in gola che le ostruiva il respiro e che allo stesso tempo la faceva sentire leggera?

Benjamin rientrò sbattendo la porta, con uno sguardo furibondo e i capelli neri sparati in ogni direzione, il tutto condito da un generoso sbaffo di marmellata di fragole sulla guancia che gli dava un’aria belligerante comica.

Eppure quando i loro occhi si incrociarono qualcosa mutò in lui, la postura delle spalle si rilassò immediatamente, le iridi si addolcirono e la bocca si distese in un sorriso semplice, famigliare e avvolgente come una coperta calda. E Lucy notò le fossette un po’ irriverenti, proprio sotto lo sbaffo di marmellata, un tratto quasi fanciullesco che addolciva la mascella forte.

Quelle fossette le diedero la risposta che le spezzò il respiro nei polmoni.

“Come ti senti Lucy?” le chiese Benji avvicinandosi.

Uno schifo perché sono innamorata di te.

Due parole. Bastavano due parole per liberarsi di quella costrizione che le rendeva il cuore una morsa di spine.

Avanti Leda, diglielo!

“Lucy?” la chiamò lui accucciandosi e prendendole una guancia contro la propria mano chiusa a coppa.

Ti amo.

Ti amo col pomolo del comodino conficcato nella schiena, ti amo con la testa che pulsa per il bernoccolo, ti amo nuda davanti a te, ti amo col cuore che sta scoppiando, ti amo come non dovrei, mai e poi mai, perché non va bene amare qualcuno così se si vuole sperare di salvarsi.

Due parole, solo due parole…

“Sto bene.” rispose con voce rauca distogliendo lo sguardo.

Benji la prese in braccio e la depositò dolcemente sul letto, mentre le lasciava un bacio lieve sulle labbra.

Ti amo e non te lo dirò.

L’aspettava un Natale di merda.

***

Svegliarsi dopo sole due ore di sonno era una violenza fisica da annoverarsi tra i peggiori crimini contro l’umanità.

Eppure svegliarsi grazie ai baci di chi aveva condiviso quelle esigue ore di sonno abbracciati sotto una coperta, per non morire assiderati in un’aula in disuso, era meraviglioso.

Ma varcare la soglia della coscienza significava anche ricordarsi perché avesse dormito così poco e così male, e farsi sommergere ancora dalla valanga di complicazioni e problemi che col presente le sarebbero franati addosso.

Il ballo, James, Derek, il compromesso con sé stessa, la notte che diventava giorno al suono dei loro chiarimenti e delle spiegazioni doverose, Charlotte la sorella indifesa che Derek voleva disperatamente salvare, Celia e le controffensive a stento immaginabili che avrebbe attuato, mandare Caliel a casa per avvertire che non sarebbe tornata, ricevere minacce di morte da TUTTI i parenti che non l’avrebbero rivista fino a giungo, compresa Roxanne, chiedere il permesso alla Blackthorn per raggiungere Villa Malfoy a Capodanno….

Un verso inarticolato, ma chiaramente disperato, irruppe dalle labbra di Angelique, mentre la ragazza cercava rifugio nelle braccia che poteva finalmente stringere senza sensi di colpa.

Il calore che per quel brevissimo sonno l’aveva accompagnata le intorpidì le braccia e tutto lo sterno, lasciandole ancora la vaghissima speranza di riaddormentarsi e affrontare dopo mille anni tutti quei problemi.

“Angie, sveglia.” Le sussurrò la voce di Derek in un mormorio lento e dolce.

Il secondo suono inarticolato si fece sentire, questa volta molto simile ad un grugnito.

“No!” protestò la bionda nascondendo il viso tra il collo e la spalla di Derek, lì dove il suo profumo freddo sembrava annidarsi con maggiore insistenza.

Inspirò a fondo e una lieve morsa si propagò allo stomaco e al ventre, nonostante lo stato comatoso.

“Angelique dobbiamo alzarci.” Ribadì più fermamente lui.

La Dursley sospirò affranta. Non c’era proprio modo di nascondersi dal mondo ancora per un po’!

Così si mise a sedere e stirò le braccia indolenzite da quel giaciglio improvvisato. Sbirciò da sopra la spalla il giovane che ancora restava sdraiato sul fianco e che la stava osservando a sua volta, mentre tra le dita teneva intrappolata una ciocca di capelli lisci per la lozione che Martha vi aveva steso. Aveva l’aspetto assonnato, le ombre scure sotto gli occhi sembravano rendere ancora più ombrose le iridi nere, ma il sorriso, il suo sorriso… Il modo in cui le sorrideva per averla trovata accanto a sé appena sveglio, era qualcosa che le faceva tremare le vene dei polsi per l’emozione.

Con un movimento fulmineo si voltò e agguantò la cravatta di Derek. L’espressione beatamente rilassata che fino a poco prima aveva pervaso i suoi lineamenti, si spense per lasciare spazio ad una perplessa. Angelique strattonò con energia la seta grigia e si portò il volto del giovane a pochi centimetri dal proprio. Lo stupore fu così improvviso e inspiegabile che il Grifondoro si lasciò sbatacchiare come un burattino, limitandosi a osservarla allibito.

“Se mi stai mentendo, ti ammazzo. Poi ti eviro. E poi ti ammazzo ancora.” Gli sibilò gelida, occhi negli occhi, dando un ennesimo scossone alla cravatta e al collo del giovane, per poi lasciarlo all’improvviso.

Subito dopo le parole minacciose un sorriso radioso si aprì sulle labbra di Derek e lui la osservò intenerito.

“Com’è che i Serpeverde misurano l’affetto in base alla gravità delle minacce di morte pronunciate?!” chiese posando una mano sulla nuca di Angelique.

 “Noi misuriamo tutto in termini di minacce e ricatti.” Sussurrò lei afferrandolo nuovamente per la cravatta. “Imparalo presto Schatten e forse riuscirai a sopravvivere.” E se lo portò sulle labbra.

Fu un bacio sorridente, in cui entrambi si deliziarono di quel gioco delle parti che sembrava appartenere ad altri, per loro due troppo abituati alla gravità e alle tragedie per potersi intrattenere con simili facezie.

Fu forse troppo breve, perché sapevano che il mondo attendeva sulla soglia di quella stanza che li aveva rubati alla realtà per qualche ora, per concedere loro di parlare a cuore aperto.

Mentre si rialzavano e Derek faceva evanescere la coperta, Angie ebbe per un istate un tremito al pensiero di che cosa realmente avrebbero affrontato nei giorni e nei mesi successivi.

Le voci di corridoio, le occhiatacce mal celate, i bisbigli a cui far fronte ogni singolo giorno, la condanna di un famiglia che non lo avrebbe seguito nella ricerca della propria felicità, un padre che probabilmente avrebbe anche fatto di peggio…

Derek la osservò in silenzio, leggendole in volto probabilmente il turbamento e le si avvicinò di nuovo. Posò entrambe le mani ai lati del suo volto e la fissò.

“Non aver paura.” Le mormorò avvicinando il volto e strofinando il naso contro il suo.

Se mi scegli ora, Angelique, avremo contro il mondo intero, ma saremo insieme…

E qualcosa negli occhi neri che la guardavano con fiducia e speranza le diede la forza come la sera precedente di affrontare quella sensazione di abisso che sentiva attorno a sé.

***

Svegliarsi con la testa pesante un quintale e un dolore penetrante come un chiodo dentro di essa non era esattamente il massimo.

Martha biascicò un’imprecazione in irlandese tirandosi a sedere contro la parete gelida dello sgabuzzino, rischiarato appena dal una finestrella minuscola.

Anche lo stomaco non era messo benissimo, a giudicare dallo spasmo in cui si chiuse per quel movimento. Si portò una mano alle tempie dove sembrava che il dolore fosse particolarmente insistente e se le massaggiò cautamente per evitare di peggiorare la situazione, già drammatica di per sé.

Un grugnito proveniente da un fagotto di coperte non lontano da lei la indusse a rivolgere lo sguardo sul suo “compagno di avventura”. Sembrava che quel metro e novanta di muscoli e capelli disordinati dormisse ancora alla grossa.

Chissà perché sei ore prima era parso a entrambi un’eccellente idea fermarsi a dormire in quel posto che puzzava di chiuso ed era pericolosamente vicino alla Sala Grande. Ah già era il whisky che parlava in quel momento!

Il semplice vederlo, anche se ancora incosciente e quindi non troppo pericoloso, le fece venire l’inspiegabile desiderio di prenderlo a pedate per le verità che le aveva estorto nel momento di debolezza e sotto la spinta di una dose generosa di ottimo liquore. Così lo fece.

Allungò il piede oltre il materasso, che lui aveva trasfigurato cavallerescamente nel delirio dell’ubriachezza, e, nonostante ogni sforzo fisico le costasse una fitta più forte alla testa, con una spinta decisa lo colpì agli stinchi.

Un uggiolio di dolore uscì dalle sue labbra e subito dopo un paio di occhi gonfi di sonno la guardarono confusi.

“Datti una mossa Potter! Dobbiamo andarcene… Sempre che non sia già troppo tardi.” Abbaiò all’indirizzo del giovane e cercò un appiglio per alzarsi, dato che lo stomaco e la testa poco collaborativi la rendevano particolarmente mal ferma.

James Potter strinse gli occhi a due fessure e le rivolse un epiteto poco lusinghiero.

Martha come risposta gli tirò via tutte le coperte in un colpo solo.

“O’Quinn… L’essere così acida di prima mattina è dovuto alla tua perenne astinenza o è una cosa naturale?” domandò lui sedendosi e osservandola con un misto di odio e ammirazione.

Lei gli rivolse un’occhiata gelida e col cipiglio più severo che quel viso le ispirava gli si rivolse:

“Mi aspetto il massimo riserbo da te, Potter. Una sola parola sbagliata e le conseguenze non ti piaceranno per nulla, credimi.”

James si strofinò gli occhi indolente e poi, alzandosi con molta più prestanza di lei, le sorrise in modo furbesco, che le ricordava moltissimo quello di Elena.

“Ah, allora è tutta naturale questa ostilità!” esclamò passandosi una mano tra i capelli impossibili.

Martha rivolse un’occhiata esasperata al soffitto e poi si avvicinò alla porta dello sgabuzzino, accostandovi l’orecchio, per sentire se c’era gente lì attorno. Non le venne restituito alcunché di sospetto, nemmeno il solito rumore di stoviglie che proveniva dalla Sala Grande durante la colazione, quindi doveva essere relativamente presto.

“Non avrei mai scommesso che un corpicino fragile come il tuo potesse contenere un barile di whisky!” commentò poi lui riservandole uno sguardo di sentito rispetto.

Il Prefetto di Serpeverde fermò la mano che si era posata sulla maniglia e osservò Potter da sopra la spalla. Quel ragazzo la infastidiva. Sempre, a prescindere da che cosa dicesse o facesse.

Soprattutto se la testa aveva deciso di esplodere ininterrottamente.

Tuttavia anche nelle ore che avevano preceduto l’infausto avvento della testa dolorante, stando a contatto con lui, si era fatta strada in lei una curiosa sensazione. Un’energia positiva che riusciva a percepire nonostante la natura avversione per quel broccolo...

Martha si riscosse, anche grazie al crampo allo stomaco che la colpì, e con un gesto misurato aprì la porta. Sbirciò fuori con circospezione e vedendo la via libera l’aprì del tutto.

“Senti Potter, facciamo che prima esco io e dopo cinque minuti esci tu?” chiese uscendo nel piccolo atrio.

“Non possiamo fare un Incantesimo di Disillusione e ce ne andiamo entrambi?” ribatté lui seguendola e prendendo la bacchetta dalla tasca della giacca.

“Sono al quinto anno Potter, non abbiamo ancora fatto gli Incantesimi di Disillusione! In più, anche se lo sapessi fare, non ho con me la bacchetta!” ribatté Martha piccata. Effettivamente andarsene in giro per il castello fino ai sotterranei con un vestito da sera non era il miglior modo per passare inosservata…

“Oh capisco. Beh, in ogni caso anche se uscissimo a distanza, tutti quelli che sono a far colazione ora noterebbero una certa rossa fuggire verso i sotterranei vestita esattamente come era ieri sera… Direi che la tua reputazione ormai è andata!” e le sorrise calorosamente, come a darle il benvenuto nella cerchia speciale di persone di malaffare.

Martha si massaggiò lentamente le tempie per alleviare le fitte costanti che da lì si propagavano, incrementate dalla presenza di Potter.

“E tu che sei tanto bravo a trasfigurare le cose non potresti invece darmi una mano, facendo diventare questa cosa…” e prese tra le mani la leggera gonna di colori pastello. “Una divisa scolastica?”

“Non credo proprio.” Rispose baldanzoso Potter.

“Eccellente. Perfetto. Così quando avrai bisogno del mio aiuto saprò esattamente come ripagarti!” esclamò Martha rivolgendogli tutto il proprio disprezzo in una sola occhiata.

“E quando mai io avrò bisogno del tuo aiuto?” chiese lui avviandosi verso le Scale.

A quel punto un sorriso si fece largo sulle labbra della O’Quinn e anche lei mosse alcuni passi per raggiungerlo.

“Per esempio quando Angelique capirà che Schatten è quanto di più sbagliato esista per lei e lo lascerà.” Disse con tono casuale godendosi l’effetto assicurato delle sue parole.

Potter infatti si bloccò di colpo e le piantò in viso due occhi allucinati, a metà tra lo stravolto e l’incredulo.

“Stai usando i tuoi poteri di veggente?” le chiese assottigliando lo sguardo.

Il cuore di Martha aumentò i propri battiti per la sorpresa e le sue mani si contrassero in pugni stretti, conficcando le unghie nei palmi.

“E tu come diavolo…”

“C’ero anch’io O’Quinn, quella volta in corridoio.” Mormorò il ragazzo improvvisamente serio, abbassando lo sguardo verso le proprie scarpe.

Passarono alcuni istanti in silenzio, in cui la tensione sembrò alleviarsi un minimo.

“Comunque no, Potter, niente chiaroveggenza. Sto solo usando i miei poteri di amica.” Rispose lei con tono leggermente imbarazzato.

Lui alzò immediatamente gli occhi e la osservò con uno sguardo talmente indifeso che Martha ebbe il dubbio di aver infierito sulle sue ferite aperte. Poi ovviamente ci ripensò e si convinse che era stato inevitabile per ottenere la sua collaborazione.

James alzò la bacchetta su di lei e Martha fece un mezzo passo indietro allarmata, ma dal sorriso soddisfatto che spuntò sulle labbra di Potter per quel suo gesto, comprese che l’avrebbe aiutata.

Qualche secondo dopo infatti del suo vestito etereo lilla non c’era più traccia, al suo posto indossava una divisa scolastica grigio scuro, in cui campeggiavano sui bordi i colori di…

“Grifondoro, Potter? Grifondoro? Davvero?!” strepitò guardandolo in cagnesco.

“Oh scusa è la forza dell’abitudine!” rispose lui stringendosi nelle spalle.

Martha strinse le labbra e sentì la testa dolerle ancor di più per la frustrazione di non poterlo prendere nuovamente a pedate. Voltò lo sguardo pronta a tornarsene di gran carriera a Serpeverde, quando i suoi occhi incrociarono qualcosa che la congelò sul posto.

Una ragazza con abiti babbani, evidentemente già pronta per tornare a casa con l’Espresso, li stava fissando in cima alla scala con gli occhi fuori dalle orbita. Quando anche James la vide, quella arrossì furiosamente e se la diede a gambe dentro la Sala Grande.

“Oh no! Quella è Alexis Qualcosa… Siamo rovinati.” Mugugnò disperato mettendosi una mano tra i capelli.

“E questo che cosa vorrebbe dire?” domandò allarmata.

“Che entro dieci secondi l’intera scuola saprà che io e te siamo stati insieme stanotte.”

Martha si portò una mano alla fronte e massaggiò delicatamente.

Cazzo che mal di testa!

*** 

Non c’era proprio nulla da fare, per quanto ci provasse, per quanto strenuamente tentasse di vedere i lati positivi di quella situazione, per lui svegliarsi restava una tragedia.

Svegliarsi agli impietosi orari di Hogwarts per la precisione.

In fondo Albus era convinto che se solo in Inghilterra avessero adottato un po’ più di elasticità d’orari, un vaghissimo sentore di mediterraneità, la sua vita sarebbe stata sicuramente mille volte migliore. Almeno nell’arco di quella catastrofica fase identificabile come la mattina.

Nemmeno la prospettiva di un ritorno a casa, quindi del calore famigliare e dei succulenti banchetti natalizi, poteva lenire la pena della sveglia mattutina.

Se in più si aggiungeva un paio d’ore passate a cercare di convincere la sua adorata cugina Rose, testarda come un mulo, a dirgli che cosa era accaduto senza successo, il tutto veniva condito da toni di disperazione pesanti.

E questo era il motivo per cui lui, Albus Severus Potter, passava almeno un’ora dal risveglio in religioso silenzio, per evitare di aggredire verbalmente e non chiunque. Per quello in fondo c’era sempre la Principessa di Ghiaccio.

Un momento…

“Dov’è Angie?” grugnì rivolto a Malfoy.

Scorpius aggrottò la fronte e osservò accigliato il proprio orologio.

“Caspita! Solo quaranta minuti… Stai diventando grande Albus.” si complimentò col consueto ghigno insolente il biondo.

Albus si limitò a osservarlo con gli occhi ridotti a due fessure, sia per darsi una parvenza di minacciosità sia perché infondo era ancora troppo presto per aprirli del tutto.

Scorpius inarcò un sopracciglio platinato e lo guardò con sufficienza.

“Non ne ho idea. Martha tu sai dov’è?” chiese voltandosi verso la ragazza.

Martha sobbalzò vistosamente e con la bocca stretta in una posa di rigidità eccessiva domandò a propria volta:

“Chi?”

“Ma come chi?! Angelique! Non l’hai incrociata in dormitorio ieri?” chiese Scorpius.

Martha raddrizzò istantaneamente le spalle e con delicatezza posò la tazzina di tè sul piattino.

“No.”

Elena seduta di fronte a lei sogghignò con evidente divertimento.

“Eh già, non s’è visto nessuno!” commentò tutta allegra Nana.

Martha le diede un calcio sotto al tavolo, per nulla dissimulato né da una parte né dall’altra, visto il gemito di dolore che si udì chiaramente.

Albus seguì quella serie apparentemente sconclusionata di espressioni sentendo, nonostante la confusione interiore in cui ancora versava, che le ragazze avevano qualcosa di strano… Quindi automaticamente iniziò a preoccuparsi.

“Mi state dicendo che non vi siete domandate che fine abbia fatto ieri sera?” esclamò sconcertato rivolto più a Martha che non a Nana, perché era ovvio quale delle due fosse più responsabile.

La rossa si voltò con uno scatto verso di lui e lo fulminò con un’occhiata insolitamente gelida.

“Perché scusa tu ieri sera ti sei preoccupato di capire che fine avesse fatto?”

“Beh… Io stavo… Avevo un altro… Cioè sono andato da…”

“Sì sì, sei andato da Rose. Credo che tutti noi sappiamo quanto ti stia a cuore la salute di tua cugina!” sbottò Martha prendendo una generosa sorsata di tè e voltando ostentatamente lo sguardo dall’altra parte della Sala.

Albus boccheggiò un paio di secondi colpito dall’aggressività della ragazza.

“Perché te la prendi tanto con me?” esclamò sinceramente stupito.

Martha si voltò ancora verso di lui ma questa volta con lentezza estrema. I suoi occhi color cioccolato erano infuocati di rabbia e le sue labbra, normalmente così delicate e rilassate, strette in una linea dura.

“Perché sei un merluzzo bollito Potter.” esclamò Nana sorridendogli da sopra la vasca di porridge che era la sua ciotola.

Albus si strofinò frustrato gli occhi. Quelle maledette femmine! Quando si mettevano in testa di farla pagare a lui per crimini ancora ignoti lo mandavano davvero fuori dai gangheri!

“Ah, comunque Angelique è sana e salva. Sembrerebbe anche piuttosto felice…” commentò Elena.

“Come…” iniziò il ragazzo ma venne interrotto precocemente.

“È appena entrata!” un sibilo al vetriolo da parte di Martha.

Lui si voltò verso la rossa, ma, prima che potesse protestare o farle notare che non era decisamente il caso di trattarlo in quel modo, qualcosa lo bloccò. Notò nell’espressione così rigida e contenuta una nota profondamente stonata, una vaga sensazione che gli suggeriva insistentemente che la ragazza non stesse bene, che quella rabbia e ostilità non erano altro che maschere, calate sul viso per non lasciare trapelare qualcosa di molto più grosso.

Qualcosa si mosse in lui, simile all’istinto di protezione, ma molto più vivido… Il bisogno di stringerla a sé per sanare quel dolore sottile che riusciva a leggerle in viso attraverso i suoi tentativi di apparire indistruttibile.

Martha…

“Buongiorno!” trillò Angie schiantandosi contro la panca accanto a lei.

Aveva un’espressione particolarmente radiosa, nonostante le vistose occhiaie scure, e i capelli lisci racchiusi in una coda alta, che faceva risaltare il taglio a mandorla degli occhi.

“Perché non hai il mantello? Tra poco dobbiamo partire.” disse Albus sentendo la fronte corrugarsi.

“Io non parto.” esclamò Angelique afferrando un toast dal vassoio e dandogli un grosso morso.

Albus spalancò la bocca e qualcosa nello scorrere dei suoi pensieri si inceppò.

“Che cosa significa che NON PARTI?” quasi urlò Albus.

Angelique si allungò verso Scorpius e gli prese il polso sinistro voltando verso di sé il quadrante dell’orologio.

“Ah ecco perché, non è ancora passata un’ora…” mormorò la ragazza sorridendo. Scorpius annuì solennemente.

Albus si prese la testa tra le mani prossimo all’implosione.

“Oh avanti Al non fare così!” disse Angie elargendogli una carezza sui capelli privi di alcun senso come sempre. “Ho deciso di fermarmi al castello per le vacanze. Non temete ho chiesto il permesso alla Blackthorn di raggiungere Malfoy Manor la sera di capodanno.”

“Si può sapere perché non vuoi stare con la tua famiglia a Natale? Sai quanto ci rimarrà male Estelle?”  sbottò Albus continuando a non capire.

Il sorriso di Angie si incrinò visibilmente al nome della sorellina, ma la ragazza si strinse nelle spalle e rispose:

“Lo so che Estelle sarà delusa, solo che non ho potuto fare altrimenti… Derek ha lasciato Celia ieri sera. Noi beh… Stiamo insieme ora. Abbiamo colto l’occasione per passare un po’ di tempo da soli.”

Un silenzio innaturale scese nel piccolo gruppo di Serpeverde e Angelique si guardò attorno cercando un segno di vita da parte di qualcuno dei suoi amici.

“Oh… Congratulazioni!” se ne uscì dopo qualche secondo Goyle con un’espressione in viso che doveva essere incoraggiante, secondo lui, ma che risultò un po’ sinistra.

“Grazie Octavius!” esclamò Angelique stupita.

“Ah.” sputò Elena guardando incupita l’interno della sua tazza.

Albus invece evitò di proferire verbo perché se solo avesse aperto bocca Angelique probabilmente lo avrebbe schiantato.

Non ci poteva credere, non ci voleva credere! Quello smidollato, manipolatore, bugiardo, quell’escremento di troll e la sua amica, Angie… Che catastrofe!

Non era possibile che per una volta un piano di Angelique fosse andato a segno! Ma poi perché proprio quello? Perché Schatten?

“Non avete nulla da dire?” chiese dopo un altro minuto di silenzio imbarazzante la Dursley.

Oh, non hai nemmeno idea di quante cose che vorrei dire… pensò Albus mordendosi la lingua per evitare di dirlo davvero.

“Che cosa vorresti che ti dicessimo Angie?” mormorò Martha con un tono esausto.

“Che ne so?! Che siete contenti?! Che non lo sopportate?! Qualunque cosa, purché non restiate in questo maledetto silenzio!” sbottò Angie guardandoli uno ad uno.

Albus sospirò pesantemente e si preparò a spiegare con tutta la delicatezza di cui disponeva in quel frangete il perché nessuno di loro, ad esclusione di Octavius, non era particolarmente entusiasta di quelle notizie.

“Angelique… Come potremmo dirti che siamo contenti di sapere che stai col ragazzo che ti ha fatta stare male per mesi, che non ha mai avuto il coraggio di prendere una posizione per non perderti, che è stato disposto a tenerti nell’ombra umiliandoti?! Come potremmo invece impedirti di essere felice voltandoti le spalle? Hai fatto una scelta e noi tutti speriamo che sia quella giusta.” piccola pausa per riprendere fiato e poi nuovamente alla carica:

“Noi siamo tuoi amici, non devi avere la nostra approvazione, d’altra parte non è che te ne importi molto dell’approvazione di chicchessia. Io spero solo che non ti faccia più soffrire, ma mi astengo dal giudicare.”

Bertram Barrach era un soggetto schivo e poco appariscente in quel gruppo di scoppiati, ma era certo che quando parlava i suoi interventi non passavano di certo in sordina.

Berty faceva la differenza!

Gli occhi verdi di Angelique non avevano lasciato per un solo istante quelli del Prefetto. Erano specchi in cui si riflettevano le sue emozioni, prima tra tutte la delusione per l’impatto con la realtà.

Angie annuì compostamente e si versò del caffè fumante nella tazza evitando di guardare lui. Martha accanto a lei le cinse le spalle con un braccio.

“Se sei convinta che questo sia il tuo bene, allora noi siamo con te.” disse con dolcezza la rossa.

Angie abbozzò un sorriso e annuì ancora.

“Sapete, ho sentito una cosa assurda mentre venivo qui!” disse Angelique dopo qualche istante.

“E cioè?” chiese Scorpius.

“C’erano un paio di ragazze Corvonero che stavano raccontando una storia su James e te, Martha!” esclamò la bionda dando uno sguardo all’amica.

Albus vide una mano di Martha tremare impercettibilmente e poi venir nascosta sotto il tavolo.

“Dicevano che qualcuno ha visto Martha uscire da un aula vuota insieme a Potter e scambiarsi un bacio mozzafiato! Vi immaginate una storia più…” ma la sua voce si spense mentre i suoi occhi osservavano il viso di Martha sbiancare.

“Martha…?”

Forse in quel momento scattò il termine dell’ora necessaria al risveglio. O più semplicemente gli elementi accumulatisi nel corso della colazione furono sufficienti a far capire persino ad un merluzzo bollito come lui che cosa era successo.

Lo sconcerto e lo stupore di tutti e sei si manifestò in un silenzio assordante, in cui Albus sentiva ancora più forti e martellanti i colpi del cuore contro il costato.

Martha e James…

Il nervosismo di lei, la battuta di Elena, il tremore della sua mano, l’incapacità di sostenere lo sguardo di Angie, i suoi occhi rabbiosi e tristi allo stesso tempo.

“Eri tu la ragazza…” il sussurro di Angelique era rivolto più a se stessa che non a Martha.

La bionda scattò in piedi e in un lampo iniziò a marciare verso il tavolo di Grifondoro.

“Angelique torna qui!” esclamò Martha alzandosi a sua volta, ma quando vide che l’amica aveva ormai raggiunto James e gli intimava di alzarsi e seguirla, si ributtò a sedere prendendosi la testa tra le mani. E mettendo i gomiti sul tavolo. Doveva proprio essere distrutta.

Albus dal canto suo sentiva solo un enorme vuoto, una sorta di vorace buco che gli stava rubando il fiato, che gli opprimeva le ossa e lo rendeva debole.

Il pensiero di suo fratello avvinghiato a Martha, delle mani di lui che solcavano i confini proibiti del suo corpo, che la baciava e che magari anche…

“Non sapevo che fosse il tuo tipo…” commentò Scorpius con un garbo e tanta spensieratezza che Albus l’avrebbe voluto prendere a testate.

“Devo risponderti?!” il tono secco di Martha lo riscosse.

“Quindi hai passato la notte con mio fratello?” chiese e a stento riconobbe la propria voce, dura e rabbiosa.

Martha smise all’istante di sostenere la testa e riacquistò il portamento regale e fiero che sempre la contraddistingueva.

“Se anche così fosse, ti riguarderebbe in qualche modo?” proferì lei guardandolo fisso con tale intensità che un fiotto di calore salì al volto del giovane.

“Certo che mi riguarda!” esclamò lui senza nemmeno pensarci.

“E per quale motivo?”

“Perché è mio fratello e tu… Beh tu…”

“Io che cosa?”

“Sei mia amica!”

Non si erano nemmeno accorti di aver quasi urlato e di essersi sporti uno verso l’altra. Così Al si ritrovò a fissare il viso di Martha, così simile a quello di una bambola di porcellana, cereo e fragile, vicino, vicinissimo.

E nell’inconsapevole sentimento che lo stava investendo in quell’istante, in quella rabbia smodata e nella tortura che gli straziava le viscere al pensiero di Martha e James , provò l’istinto irrefrenabile di annullare quella distanza esigua. Provò il desiderio bruciante di prenderle il viso tra la mani e baciarla fino a perdere il respiro.

Giusto perché era una sua amica, ovvio.

“Ah, certo.” sussurrò Martha. I suoi occhi grandi color cioccolato si riempirono in un istante di lacrime trasparenti e continuò a fissarlo mentre con un gesto elegante si alzava da tavola.

“Scusatemi.” disse per poi andarsene con passo spedito e altero verso l’uscita della Sala Grande.

Albus sbatté infuriato la tazza del caffè sul tavolo.

Il peggior risveglio che si ricordasse a memoria d’uomo.

***

L’avrebbe seguita dovunque . Avrebbe ascoltato quei passi da generale vibrargli nella cassa toracica per giorni e giorni. Avrebbe continuato a ricercare la scia quasi inconsistente del suo profumo tra la folla. Si sarebbe fatto carico della rabbia che in quel momento le scorreva nelle vene, aiutandola a sfogarla su di lui, con lui. Avrebbe giocato con quelle ciocche lisce, sperimentando quale consistenza serica i fili dorati gli avrebbero lasciato tra le dita.

Avrebbe fatto questo e mille altri minuscoli altari a lei, se solo- quante volte standole accanto aveva dovuto pronunciare quelle parole, se solo- ogni brandello del suo cuore non fosse appartenuto ad un indegno. Tra le cui braccia, tra l’altro, l’aveva gettata lui stesso.

Ma in quella mano piccola, dalle dita sottili e le unghie curate, che si stringeva con insolita forza attorno al suo gomito percepiva un qualcosa di sbagliato… Forse perché non c’era alcun senso nel fatto che lui grande e grosso si facesse trascinare da lei? Forse perché il fatto che lei si stesse premurando di trascinarlo come un sacco di patate lontano dalla Sala Grande aveva qualcosa di insolito? Forse perché non si sarebbe mai aspettato di sentire ancora le sue mani su di sé? Come la sera precedente quando lo aveva abbracciato con abbandono e disperazione…

“Che cosa diamine avevi in testa?” ruggì Gigì voltandosi finalmente a guardarlo negli occhi furibonda.

James aggrottò la fronte sinceramente stupito.

“Io non credo…” tentò  di dire ma Angelique lo aggredì un’altra volta.

“TU! Tu eri seriamente convinto di poter trattare la mia amica come se fosse una delle tue sciacquette? Tu pensavi che ti avrei lasciato USARE Martha? Sei… Sei… Incredibilmente scemo!!!” gli urlò in faccia brandendogli contro l’indice.

Lei era arrabbiata con lui.

LEI era arrabbiata CON LUI? Doveva essere uno scherzo di pessimo gusto.

Suo malgrado una risata tetra gli irruppe dalle labbra e la lasciò sfogare tutta, destabilizzandola tanto da farle abbassare il dito minaccioso.

“Se stai davvero pensando queste cose, sei ridicola.” disse infine cercando di smorzare la rabbia che sentiva montare dentro.

“Ah io sarei ridicola? Dio sei impossibile! Ho pensato per tutto questo tempo che fossi diverso, che fossi molto migliore di come ti sforzassi di far credere a tutti. E tu che fai? Cerchi di portarti a letto Martha?! La mia amica! Che cosa…”

A quel punto però, dopo averla sentita proferire quelle parole, così scontate e giudicanti, così automatiche per la Principessa di Ghiaccio, gli argini della sopportazione si ruppero dentro di lui.

Avanzò all’improvviso, interrompendola nel suo sproloquio, e la costrinse ad arretrare fino al muro alle sue spalle. La bloccò lì, sbattendo un pugno contro la parete e sentendo la pelle lacerarsi, un bruciore intenso che gli prese tutto il lato della mano.

Angelique sgranò gli occhi e si ammutolì.

“Come ti permetti Dursley? Come ti permetti di parlare a me in questo modo, quando avrai passato la notte avvinghiata a uno che solo ieri dichiarava il proprio amore ad un’altra? Come ti permetti di giudicare una tua amica senza nemmeno darle il tempo di parlare? Sei così fredda, così arida… Sei così egoista che non ti rendi nemmeno conto di tutto il male che fai!”

“Sei così cieca e sorda a chiunque non sia il tuo ego ipertrofico, che non capisci quanto anche tutti gli alti che ti stanno attorno stiano soffrendo. Cresci una buona volta, Angelique. E impara a non giudicare come se avessi tu sola il dono della conoscenza.”

Gigì aprì la bocca per ribattere ma James alzò una mano.

“Risparmia il fiato. Non mi interessa.” disse con tutta la freddezza che riuscì a imprimere nella voce.

Gli occhi verdi si ingrandirono ancora di più, mentre le palpebre sbattevano con frequenza. Era semplicemente incredula che al mondo potesse esistere qualcuno in grado di rimetterla al suo posto. Beh lui era talmente saturo che per una volta aveva ritenuto opportuno esprimere il proprio parere.

“Ma…”

“Ho detto che non mi interessa!” sibilò avvicinando il volto al suo, ma quando la leggera fragranza di fiori gli solleticò il naso, si allontanò con uno scatto da lei.

Non aveva alcuna intenzione di addolcire quell’istante. Non voleva che nessuna delle cose che amava di lei inquinasse il momento di rabbia sublime che si stava ritagliando in quella storia dove Angelique si era presa la propria vittoria senza guardare in faccia nessuno. Non voleva più ridursi ad una tale prostrazione.

Vide il labbro inferiore di lei tremare leggermente prima che i denti vi affondassero dentro. Poi chinò il capo, distogliendo lo sguardo, e la coda di capelli biondi scivolò oltre la spalla.

James prese dalla tasca interna della giacca il pacchetto rettangolare che serbava per lei da giorni e lo depose con un gesto secco sul davanzale della finestra alle sue spalle.

“Buon Natale.” scandì prima di voltarsi e lasciarla da sola.

Lei non rispose e i suoi occhi scovarono il pacchetto spalancandosi.

Mentre i suoi passi si susseguivano rapidi e cadenzati nel corridoio pieno di quadri, la rabbia se ne andò e venne sostituita da un senso di leggerezza molto cupo.

Un allegria di naufragi, se avesse dovuto definirla. Una sorta di sollievo in una catastrofe umana, una scintilla di luce nelle ore che lo avevano distrutto dalla sera prima.

Non aveva più né la forza né alcuna voglia di farsi distruggere da lei… Anche se era la tortura più desiderata della sua esistenza.

Con quella scenata Angelique aveva distrutto in lui l’ultimo baluardo di speranza e fermezza. Gigì… che prima gli aveva distorto l’immagine di lei che aveva custodito per anni dentro di sé, che gli si era opposta, che poi gli si era svelata, che aveva condiviso con lui giorni di quotidianità e che alla fine aveva affondato la lama nel fianco scoperto.

Ma lui l’aveva sempre saputo. Aveva capito fin dalla prima volta che le loro lingue biforcute si era scontrate che lei avrebbe fatto di tutto per schiacciarlo.

“La maggior parte dei serpenti preferisce stritolare le sue vittime, non avvelenarle!”

Persino da poco più che bambina sapeva come ferire meglio.

E lei, la sua personale vipera, aveva avvolto le spire attorno al suo cuore e aveva stretto tanto da non lasciargli altra scelta ora che liberarsi di lei.

Doveva lasciarla andare, per l’elementare fatto che lei non era sua.

James prese un profondo respiro mentre usciva nel cortile innevato.

Lasciarla andare… Ma come? Come cavarsi dagli occhi le sue spalle scoperte dal vestito candido come quello di una sposa? Come si facevano a cancellare gli anni passati a cercarla tra gli altri studenti nel corridoio al cambio dell’ora? Come si poteva strappare dall’anima i momenti incantevoli che avevano accompagnato l’amaro calice della sua indifferenza?

Sentì una mano fredda e minuta scivolare nella sua e un capo posarsi contro il suo braccio.

Riconobbe la presenza di Dominique senza nemmeno chinare il capo per osservarla. Lei e quel suo maledetto piano, lei e quell’istinto infallibile da donna Weasley che l’aveva condotta da lui senza nemmeno bisogno che lui le dicesse nulla.

La sua più grande amica…

“Mi dispiace Jimmy.” mormorò lei dandogli un bacio sulla spalla.

“Come si fa Dom?” sussurrò cercando di scacciare il fastidioso pizzicare agli occhi.

“Si ricomincia un giorno alla volta.”

Strinse più forte la sua mano nella propria e si lasciò confortare dalla sua presenza ancora per un poco.

In data 24 dicembre 2022 James Sirius Potter dichiarava a sé stesso e al mondo intero di aver appena lasciato andare Angelique Joy Girard Dursley. E quindi di essersi appena strappato il cuore dal petto per chiuderlo in un sgabuzzino in attesa di tempi migliori.

Buon Natale a tutti quanti!

***

“Angie!” la voce di Martha le giunse come se si trovasse sott’acqua.

Angelique strinse ancor di più nella destra gli eleganti guanti color caffelatte che James le aveva regalato. La pelle morbidissima si modellò nel palmo docile e uno dei bottoncini della fila che ornava il dorso le si conficcò nella pelle.

Vide i boccoli ramati entrare nel suo campo visivo in modo curioso, come se l’immagine tutt’attorno fosse inconsistente. Quasi non si accorse di essere scivolata a sedere nel corridoio.

“Angelique…” la chiamò ancora l’amica e sentì che le prendeva le spalle tra le mani.

Era tutto ovattato. Sensazioni fisiche, odori, suoni, emozioni… Soprattutto emozioni.

Le aveva regalato dei guanti perché non si rovinasse le mani al freddo… Perché potesse continuare a suonare senza problemi. Aveva scelto un regalo per lei nella bottega del signor Galloway e non aveva nemmeno fatto in tempo a ringraziarlo.

Davvero Jessy la vedeva in quel modo? Davvero lo aveva esacerbato al punto da indurlo a cambiare il suo animo luminoso in quella pozza a tinte fosche in cui era affondata poco prima?

“Angie, non è successo nulla tra me e James! Ieri sera Al mi ha mollato in mezzo alla Sala Grande e ho incrociato Potter per caso. Beh… Mi ha offerto da bere e stavo così male che persino bere con lui mi è parsa una buona idea! E poi abbiamo dormito in quello stanzino polveroso e gelido… Angie non ha fatto nulla! Abbiamo solo parlato un po’ e dormito nella stessa stanza…” Martha parlava a velocità raddoppiata e gesticolava, in preda all’agitazione, accucciata davanti a lei.

Angie chiuse gli occhi e si portò le mani al viso.

Aveva ragione James… Aveva ragione su tutto. Non aveva nemmeno pensato alla sua amica, non aveva preso in considerazione l’idea che si fosse sentita tanto sola e smarrita da cercare sostegno in James, che era così bravo ad aiutare alleggerendo la situazione. Quanto avevano sofferto anche i suoi amici senza che lei riuscisse a mettere da parte la propria sofferenza per sostenerli come loro aveva sempre fatto?

Egoista. Fredda. Arida…

Gli aveva rivolto delle parole tremendamente sciocche, presuntuose e sgarbate, perché il pensiero che l’avesse usata per arrivare a Martha le aveva completamente annebbiato il cervello. Perché il pensiero di Martha e lui le aveva oscurato il pensiero.

“Ho combinato un casino Martha…” borbottò scoprendo il viso e guardando con dispiacere l’amica.

Gli occhi color cioccolato della O’Quinn si spalancarono a tal punto che Angie ebbe la sensazione di potervisi specchiare.

“Oh…” mormorò l’altra mettendosi una mano davanti alle labbra.

Fu quasi un sollievo che Martha avesse capito senza bisogno di spiegazioni. Anche perché nello stato in cui si ritrovava parlare era difficile come sollevare macigni. L’amica le fece una carezza sui capelli leggera come una piuma.

Il senso di colpa e il dispiacere per la sua cecità le bruciavano nel petto come una manciata di spilli conficcati nello stomaco. Era solo colpa sua.

Desiderava con tutta sé stessa chiedere scusa a James per tutto, per ogni stupida accusa, per essere stata lei a tradire la sua fiducia e non il contrario…

“Devo trovarlo!” esclamò rialzandosi prontamente. 

Forse non aveva ancora preso la carrozza, forse era ancora in tempo…

“Non farlo Angie.” disse Martha trattenendola gentilmente per il braccio.

Angelique la osservò stranita.

“Lascialo stare per un po’. Credo… Credo che abbia bisogno di stare da solo.” continuò l’altra con un sguardo indecifrabile e la lasciò andare.

Fredda, arida, egoista…

Non voleva essere così. Andare a cercare James, per obbligarlo a sentire le sue scuse, per giustificarsi rientrava esattamente nel comportamento di qualcuno che non si fosse curato di nessun altro a parte sé. Di qualcuno che avesse tentato come primissima cosa di alleviare i propri sensi di colpa scaricando sugli altri.

Non aveva idea di che cosa Jessy potesse aver rivelato a Martha per indurla a parlare in quel modo, però avrebbe accettato la necessità di James di restare lontano e di odiarla per un po’.

“Va bene.” sussurrò e si voltò per tornare in Sala Grande, con  guanti ancora stretti nella mano.

La rossa l’affiancò e le camminò accanto fino a che non arrivarono vicine alla Sala Grande.

Nel breve tragitto, che all’andata aveva percorso come una furia, non parlarono per nulla, distratte ognuna dai propri pensieri; anche se Angie si sentiva pungere dalla curiosità di sapere che cosa sapesse Martha su James.

“Allora ci vedremo a Capodanno?” chiese l’altra oltrepassando l’immensa porta che dava sulla sala dei pasti comuni.

“Sì, arriverò con la Metropolvere dall’ufficio della…”

“DURSLEY!”

Un urlo belluino, di una voce resa irriconoscibile dalla rabbia, fece voltare entrambe le ragazze verso la rampa di scale, che proprio in quell’istante si era stabilizzata verso l’atrio della Sala d’Ingresso.

Angelique avrebbe alzato gli occhi al cielo e imprecato come uno scaricatore se non fosse stata impegnata ad osservare inorridita quella cosa che le marciava contro come una Banshee impazzita.

Aveva i capelli in disordine, un maglione nero largo che le scendeva su una spalla, il mascara completamente sbavato sotto gli occhi e l’espressione più apertamente minacciosa che in sette anni le si fosse mai vista in volto.

“Oh cielo…” mormorò Martha.

Quella cosa era Celia Danes, in tutto il suo piangente e struggente splendore.

E dietro di lei, a parecchi metri di distanza, una testa bionda come l’oro zecchino inseguiva inorridita la scena, mentre le gambe sottostanti a quella splendida testa correvano a perdifiato per raggiungerle.

Angie vide che Celia impugnava nella destra una bacchetta scura e affusolata, così per ogni evenienza slacciò la propria che restava sempre nella manica e si preparò.

L’altra ragazza tuttavia non levò l’arma contro di lei, si limitò ad arrivarle a pochi centimetri dal viso e scrutarla con odio attraverso lo sguardo da cerbiatta.

Comprese che la bacchetta era stata utilizzata contro Schatten, da qui si spiegava la lontananza tra i due ormai ex. Già perché quello che correva scarmigliato e che forse zoppicava anche un po’ era il suo ragazzo.

“E quindi se tu la sua puttana, eh?” sputò fuori l’altra osservandola disgustata.

Angelique inclinò il capo verso la spalla e la scrutò con freddezza.

“Per certi versi si potrebbe dire esattamente l’opposto…” le rispose tranquilla, riferendosi alla ferma intenzione che Derek aveva sempre manifestato di non superare determinati limiti con lei.

La fronte rosea di Celia si corrugò in preda alla confusione, ma durò pochi secondi.

“Tu non hai idea di che cosa IO possa fare.” strepitò Celia, completamente incurante di Martha che la osservava con tanto d’occhi. “Non lo avrai mai!”

“Curioso, pensavo fosse già successo. Ma forse possiamo aspettare che Derek ci dia il suo parere.” ribatté Angie indicando col mento il ragazzo che ormai le stava raggiungendo.

“Non mi interessa che cosa lui dica! Io e lui siamo destinati da quando eravamo bambini! Mio padre…”

“Non mi importa un fico secco del tuo grasso e spocchioso padre!” la interruppe Angelique perdendo la calma. “Se l’unico modo che hai per ottenere qualcosa è andare a piagnucolare da lui, sei ancora più patetica di quanto non credessi.”

“Oh no, non è l’unico.” mormorò scuotendo appena la testa la mora. “Posso anche scrivere una lunga lettera a Kurt Schatten per raccontargli di che genere di compagnie si sia scelto suo figlio. Voglio proprio vedere come farà a sopravvivere Derek quando suo padre gli taglierà i viveri.”

“Come puoi volere una cosa del genere per qualcuno che ami?”  chiese sconvolta Angie.

“Perché lui è MIO!” urlò l’altra.

Derek giunse in quel momento e afferrò per un gomito Celia, strattonandola verso di sé.

“Smettila Celia. Ne abbiamo parlato…”

“No tu hai parlato! A me non hai dato alternative… Anzi mi hai tradita con questa insignificante sgualdrina!”

“Non ti permettere di dire queste cose di lei.” le sibilò lui scuotendola per il braccio. “Io e te abbiamo chiuso Celia. Te l’ho già detto ieri sera, non ti ricordi?”

“Ma io pensavo che avessi bisogno di… Che ne so… Di distrarti per una notte! Tu non puoi lasciarmi Derek. Altrimenti scriverò a tuo padre!”

“Ti risparmio la fatica. L’ho già fatto.” disse Derek e la lasciò andare.

Angelique assistette sconcertata a quello scambio di battute. E pensare che nell’immaginario comune erano le Serpi ad avere un’indole subdola e manipolatrice… Come poteva Celia dire quelle cose? Anche obnubilata dal dolore come poteva augurare tanto dolore a qualcuno a cui aveva voluto bene, che aveva perfino amato?

“Dio ma questi Grifondoro non riescono proprio a smettere di urlare?!” sentì bisbigliare Martha e con la coda dell’occhio la vide massaggiarsi lentamente le tempie. Evidentemente i suoi sintomi post-sbornia non erano ancora cessati del tutto.

Nel frattempo Celia non aveva smesso di guardare con occhi di fuoco Derek.

“Ti concedo tre giorni, Maximilian. Dopo di che stroncherò questa tua sciocca avventura come avrei dovuto fare fin dall’inizio.” disse con un tono gelido. Angie pensò che l’uso del primo nome del ragazzo fosse un chiaro riferimento al padre di lui, l’unico che lo chiamava così.

“Non cambierò idea.”

“Lo vedremo.” sibilò lei e con un’ultima occhiata tremenda a lei se ne andò.

Angie cercò gli occhi neri del ragazzo che stavano invece osservando il soffitto. La tensione in tutto il corpo ancora ben visibile.

“Beh direi che è andata bene!” esclamò ad un certo punto con tanto sarcasmo che Angie non riuscì a reprimere il sorriso che le premeva sulle labbra. Lui rispose con un sorriso vagamente ansioso ma sincero.

Il ragazzo spalancò le braccia e lei vi si tuffò. Molto meglio.

“Quando avete finito di limonare ditemi dove posso trovare un’aspirina.” grugnì Martha con la mano bianca e affusolata appoggiata sulla fronte.

E Angie racchiusa nell’abbraccio caldo di menta e spezie lasciò che una risata sfogasse il nervosismo lasciatole dall’incontro con Celia.

Avrebbe trovato il modo di chiedere scusa a James, prima o poi.

Avrebbe avuto il coraggio di affrontare la rabbia e la delusione della sua famiglia per averli abbandonati a Natale.

Avrebbe scovato da qualche parte dentro di sé la forza di aiutare Derek a opporsi a suo padre.

In quel momento però si godette solo l’istante di pace immensa che lo stare tra le braccia di chi si ama concede durante la tempesta.

 

 

Note dell’autrice:

Miei carissimi lettori, ho finalmente trovato la forza di portare a termine questo capitolo, ovviamente in tempi che sono assimilabili ad ere geologiche.

Non credo che ci sia molto da aggiungere se non che scrivere di questi giovani così innamorati, così dispersivi e così confusi fa più male a me che a voi, fidatevi.

Vorrei ringraziarvi come sempre per la pazienza e la costanza che avete nei confronti di questa storia e della sua autrice. Significate davvero tanto.

Un GRAZIE IMMENSO e UNICO a chi lo scorso tragico capitolo ha recensito: cassidri, leo99, emalwaysreal, cescapadfoot, dreamcatcher05, Cinthia988, ChihiroUchiha, tony_tropcold, chuxie, PaolaBaggins, StrangerGirl, carpethisdiem_ e FleurDa.

A tutti colori che sono arrivati fin qui un grande abbraccio.

Tanti baci.

Bluelectra.

 

  
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