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Autore: Chupacabra19    02/03/2016    1 recensioni
Kendra, una semplice ragazza, vittima anch'essa del nuovo mondo infetto. In queste pagine virtuali leggerete la sua storia, il suo passato, i suoi incontri, ciò che il destino le ha riservato dopo l'epidemia. Questa è la mia prima ff dedicata alla serie twd e segue parte della trama originaria, partendo dalla drammatica situazione della terza stagione.
[Dal capitolo 5] : Mentre Rick, ancora in preda al terrore, poggiava il viso fra i capelli del ragazzo, questo aveva gli occhi fissi su di me. Tornai in piedi lentamente, sperando che quella commovente scena terminasse. D'un tratto, bruciore. Una terribile fitta mi travolse. Un dolore acuto, straziante. D'impulso, mi irrigidii. La lima precipitò al suolo. Abbassai lo sguardo, per capire da dove provenisse tale sofferenza. Un dardo. Un dardo dalle alette verdi conficcato nel fianco. D'improvviso, mi sentii fiacca, debole. La vista mi abbandonò e tutto si fece scuro.
Genere: Avventura, Drammatico, Horror | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Daryl Dixon, Il Governatore, Nuovo personaggio, Rick Grimes, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate, Violenza
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Capitolo 34 : Tormenta


Il sole oramai primeggiava su di noi alto in cielo. Il motore si spense e i nostri corpi si mossero a formare una fila. Scendevamo uno alla volta, piano come se non volessimo crederci, come se avessimo paura di vedere dove eravamo arrivati, dove avremmo vissuto, forse. Un enorme cancello si innalzava di fronte a noi, spesso e ben saldo, arricchito da qualche macchia di ruggine. Da quel profondo e agghiacciante silenzio, emersero dei suoni lontani, delle voci. Risate. Quelle erano risate di bambini. Rick si guardò indietro, osservando ognuno di noi. Il suo volto non era corrucciato come al solito, ma disteso. I suoi occhi blu erano più profondi del normale. Egli credeva, finalmente credeva in questo posto. Aaron si avvicinò al cancello, chiamando qualcuno di nome Nicholas. Non appena questo apparve dietro alle sbarre di metallo, un opossum corse in mezzo alle nostre gambe. Daryl scoccò un dardo, abbattendolo all'istante. La guardia aprì il cancello, scrutandoci perplesso. Doveva essere strano vedere gente come noi. Ai loro occhi saremmo sembrati pazzi selvaggi senza regole. L'arciere afferrò l'animale per la coda, facendolo dondolare. Incrociò lo sguardo del tizio.

-Abbiamo portato la cena. – disse.

Sorrisi a Nicholas, sforzandomi di sembrare tranquilla. In realtà, ero terribilmente agitata. Temevo di non superare il test, che dopo poco tempo ci avrebbero ributtati in strada. Speravo con tutta me stessa che i soggetti più altalenanti si comportassero bene, quali Daryl ed Abraham. Aaron ci fece segno di seguirlo ed entrammo nella comunità, silenziosi come felini. Ci guardavamo attorno intenzionati a cogliere ogni minuzioso particolare, come se tutto ciò ci fosse utile. Il cancello si chiuse alla nostre spalle. Eravamo in trappola, nel loro territorio. Pregavo soltanto che il mio istinto avesse ragione.

-Prima di proseguire, dovete consegnare le armi. Se volete restare.. – informò Nicholas.

Rick obiettò subito. Stavolta non avrei messo bocca sulle decisioni dello sceriffo, a meno che non fossero state del tutto sbagliate od avventate. Non volevo più mostrarmi ostile nei confronti del gruppo. Non avrei ostacolato nessuno.

-Non sappiamo se vogliamo restare.

Aaron comprese la situazione e rassicurò il suo amico. Questo non parve molto convinto, ma comunque non insistette.

-Prima facciamoli parlare con Deanna. – disse ad Aaron.

Egli annuì.

-Chi è Deanna? – domandai curiosa.

-Colei che sa tutto quello che potreste voler sapere su questo posto. – mi rispose Aaron – Rick, che ne diresti di andare per primo?

Lo sceriffo si voltò per capire le nostre intenzioni, se ci andava bene o meno la cosa. Poi si concentrò su qualcosa di lontano, qualcosa alle spalle di Sasha. Fece il suo nome ed ella roteò su se stessa abbracciando il fucile. Mirò ed abbatté un vagante vicino al camper.

-Menomale che siamo arrivati noi. – proferì Rick, avanzando.

Come primo approccio non eravamo molto amichevoli, ma speravo che i componenti di questa comunità lo potessero comprendere ed accettare. Sarebbe stato molto difficile ambientarsi. Nicholas accompagnò Rick dalla donna ed Aaron ci mostrò due villette, una di fianco all'altra. Il vialetto privato, l'erba curata, l'intonaco perfetto. Sembravano appena uscite da un catalogo. Era come se questo pezzo di mondo non fosse mai stato contaminato dalla distruzione che andava divampando. Oltretutto, mi ricordavano casa.

-Queste sono vostre, dentro c'è tutto il necessario. Organizzatevi come meglio credete. – parlò come un agente immobiliare – Date pure un'occhiata, coraggio.

Nicholas sarebbe tornato a prendere uno di noi. Deanna aveva espresso il volere di volerci conoscere uno per uno. Michonne e Maggie si guardarono entusiaste e furono le prime a varcare la soglia. Tutti le seguirono, dividendosi casualmente fra le due strutture. Rimanemmo fuori soltanto io e Daryl, col naso all'insù di fronte a quel cartongesso. Egli stringeva ancora la bestia per la coda.

-Riesci a crederci?

-Non lo so. – sbuffò – La cosa mi puzza.


Diedi un'occhiata veloce al quartiere. Era così luminoso, colorato, vivo. I fiori addobbavano i vialetti, gli alberi erano colmi di frutti. Le finestre non avevano un bricio di polvere. Una signora stava addirittura portando a spasso il cane.

-Sai, qua l'unica cosa che puzza siamo noi.

Entrai nella casa sulla sinistra. Fu uno shock. Le stanze erano perfettamente arredate, lussuose e pulite. Non vedevo roba del genere da anni. Non riuscivo a capacitarmene. La cucina era immensa, con un frigorifero a doppia anta e il dispenser del ghiaccio. Dal rubinetto gocciolava dell'acqua trasparente, potabile. Sulle pareti vi erano quadretti, cornici vuote che avremmo dovuto riempire noi con i nostri ricordi, e vari dipinti. Insomma, non mancava assolutamente nulla. Qualsiasi cosa avessi potuto immaginare, anche la più banale, lì già c'era. Salii le scale curiosa di vedere il resto. Le camere erano di un confort indescrivibile. Cuscini, lenzuola e coperte morbide e profumate. Questo era il paradiso. Corsi in bagno, desiderosa di osservare la doccia. Da questo vi uscì Michonne con in mano uno spazzolino. Si lavava i denti energicamente, come per cancellare mesi di astinenza. Avendo la bocca piena di schiuma, mi indicò con un dito il lavandino. Su di esso vi erano varie confezioni con le più svariate tipologie di spazzolino. Lei sorrideva, facendo colare un poco di dentifricio sulla canotta. Ma non le importava, i suoi occhi erano così brillanti, era felice. Era davvero felice. Aprii una scatola a caso, ritrovandomi con uno spazzolino bianco e viola con setole sia blu che azzurre, di dimensioni differenti. Ci spalmai più dentifricio del necessario ed iniziai a sfregarlo sui denti, percependo quella freschezza data dal fluoro e dalla menta. Ridevamo guardandoci allo specchio, sembravamo due bambine alle prese con un pigiama party. Poi, Carl chiamò Michonne a gran voce, sventolando qualcosa di carta fra le mani. Sputò nel lavandino e lo raggiunse in una camera ricavata dal sottotetto. Probabilmente quella sarebbe diventata la sua stanza. Ero sicura che avesse trovato qualche bel fumetto. Mi sciacquai le labbra e rimisi il tappo allo spazzolino. Aprii la finestra del bagno e mi affacciai all'esterno. La vista era mozzafiato. Tante casette una accanto all'altra. Tante famiglie al sicuro. Spazi verdi, una chiesa, mura e torrette di guardia. Non mancava davvero nulla. Vidi una donna parecchio in carne avvicinarsi alla nostra casa, con un carrello grosso carico di armi. Aaron le andò in contro. Probabilmente era l'ora di consegnare il nostro equipaggiamento. Speravano che avendo osservato il posto, potessimo avere più fiducia in loro. Presi la pistola fra le mani. Avrebbe fatto uno strano effetto non averla più al mia fianco. Mi ero completamente dimenticata come si vivesse prima. Nessuna cintura con borselli per i proiettili, nessuna fodera, nessuno zaino colmo di armamenti. Corsi giù per le scale ed uscii sul vialetto, riaggregandomi al gruppo. La donna indicò il carrello, facendoci segno di riponervi le armi.

-Non preoccupatevi, queste restano comunque le vostre armi. Le potete prendere quando volete, ma ora non servono. Le porto solamente al nostro magazzino.

Aaron ci fece segno di ascoltarla.

-Lei è l'addetta al magazzino. Abbiamo ogni genere di rifornimento, armi, coperte, cibo. Segna ogni cosa che viene aggiunta e rimossa.

Volevo aspettare che qualcuno facesse la prima mossa, ma a quanto pareva nessuno sembrava effettivamente convinto della cosa. Mi liberai dello zaino e lo privai dell'equipaggiamento, tra cui il fucile di Drake. Posizionai tutto su quella specie ti tavolino con rotelle, indietreggiando poi con un falso sorrisetto, come se la cosa non mi infastidisse affatto. In realtà, quasi odiavo sentirmi così leggera. Non mi ero mai resa conto di quanta sicurezza mi trasmettessero quelle armi. Il solo pensiero di averle in vita, mi trasformavano in una donna coraggiosa pronta a tutto. Ora come ora, invece, mi sentivo spogliata della mia sicurezza. Dopo di me, anche Michonne vi adagiò la katana. Al contrario però, ella sembrava davvero soddisfatta. L'ultima a lasciare il fucile d'assalto fu Carol, recitando la parte della donna debole ed incapace con le armi. Si sfilò con fatica il fucile dalle spalle, facendo sembrare l'oggetto più pesante di quanto fosse. La donna del magazzino non riuscì a trattenere un sorriso. Le faceva pena. Carol era già entrata nella parte della casalinga perfetta, aveva già pensato a cosa dire e fare per guadagnarsi la fiducia dei residenti. Era così dannatamente subdola e furba.

-Forse avrebbe dovuto portarla qualcun altro. – disse la donna, andandosene con le nostre armi.

Aaron si passò una mano fra i capelli. Era un po' imbarazzato, non sapeva come relazionarsi a noi, data la delicatezza della situazione.


-Esplorate, date un'occhiata in giro. Ispezionate insomma. Sono sicuro che sarà tutto di vostro gradimento.

Maggie e Glenn si presero per mano e si incamminarono per la stradina principale, osservando le varie case e strutture presenti. Michonne, invece, tornò in casa. Si sarebbe fatta una doccia. Carol si strinse nella spolverina che aveva sulle spalle e finse di camminare a casaccio, ma sapevo che stava ripercorrendo la stessa strada della donna addetta al magazzino. Daryl si sedette a terra accanto alla staccionata, intento a girarsi l'opossum fra le mani. Il gruppo di Abraham invece tornò dentro, con l'intenzione di attendere il proprio turno con Deanna. Mi guardai un poco attorno, dubbiosa sul da farsi. Quand'ecco che Aaron si avvicinò.

-Piaciuta la casa?

-E me lo domandi pure? – scherzai – Questi posto è davvero fantastico, Aaron. Sono felice per voi.

-Dovresti esserlo anche per te stessa. D'ora in avanti vivrai qui. – commentò.

-Beh si, immagino di sì. Ma devi capire che siete stati lontani da tutto, non avete dovuto affrontare niente di ciò che è capitato a noi, o semplicemente di ciò che c'è là fuori. – parlai guardando i cancelli – Credo voi siate le persone più fortunate di questa terra.

Rise un poco, guardandomi serio. Sapeva quanto avessi ragione, ma era difficile da immaginare quante atrocità avessero scansato.

-Comunque, grazie.

Posò una mano sulla mia spalla, sorridendomi.

-Non devi ringraziarmi.

-Eccome se devo. – insistetti – Grazie per aver creduto in noi, per averci portato nella tua comunità. Non vi deluderemo.

Daryl sputò a terra. Sottolineando quanto odiasse queste smancerie. Vidi Aaron assumere una strana smorfia e salutarmi, indietreggiando con un finto sorriso. Mi voltai sconfortata e scorsi Daryl scuoiare l'animale. Lo aveva aperto in due e ne stava estraendo le viscere, cibandosi di quelle. Le mani, la bocca, erano zuppe di sangue.

-Che c'è? – biascicò, sentendosi osservato.

-Ti sembra il modo? – domandai perplessa – Dovremmo fargli buona impressione. Non tutte le persone qua sanno come si vive là fuori, non puoi cibarti come un animale qua davanti a tutti.

Ignorò le mie parole, masticando qualche altro boccone.

-Non mi frega proprio un bel niente. – borbottò – E di certo non voglio sprecarlo.

Sbuffai.

-Almeno fatti una doccia dopo. 

-E perché dovrei? – domandò, impegnato nell'affondare le dita nel ventre dell'opossum.

Mi abbassai, piegandomi in avanti per creare un contatto visivo con quei suoi occhi taglienti.

-Hanno il sapone, hanno l'acqua calda. Hanno un fottuto cesso con la carta igienica. Ti è chiaro o devo spiegartelo meglio? – dissi franca – E poi, vorrai presentarti in condizioni accettabili, spero.

-E per cosa? – brontolò fulminandomi – Per fare bella impressione a quella donna? Credi che me ne fotta qualcosa?

Strappò con forza altre viscere, addentandole con foga. Non capivo se fosse solamente nervoso od incazzato per qualche motivo preciso.

-Se non vuoi farlo per te, fallo almeno per noi. Per Judith, Carl. – dissi con sconforto – Me.

Egli mi squadrò con la coda dell'occhio e non aggiunse altro, limitandosi a leccare le dita insanguinate. Gli diedi le spalle e mi incamminai per il vialetto, osservandomi intorno. Non incrociai persone, tutti erano nelle proprie case a scrutarci da dietro le tende. Dovevamo avere un aspetto selvaggio. Non mi spiacque però la cosa, preferivo camminare indisturbata, esaminare il luogo senza essere sopraffatta da persone, domande e richieste di spiegazioni. Preferivo gironzolare nel silenzio.
Mi ritrovai di fronte alla parete del muro di lamiere che ci separava dall'esterno. Vi adagiai l'orecchio e non udii nessun particolare suono. Più avanti scorsi una postazione di guardia vuota. Salii sulle scale ed osservai la natura a noi attorno. Il sole illuminava il circondario, dando nutrimento alle piante e surriscaldando l'asfalto della strada, creando quei tipici giochi ottici. Un vagante si trascinava in lontananza sulle proprie gambe, barcollando con le fauci aperte. Sembrava debole, affamato. Mi chiesi se davvero mai nessuno di quegli esseri sarebbe riuscito ad invaderci. Era davvero così sicura Alexandria? Speravo che il colloquio fra Deanna e Rick andasse a buon fine. Lo sceriffo aveva bisogno di fidarsi nuovamente delle persone, sarebbe stato un percorso lungo e faticoso, ma sapevo che ne sarebbe prima o poi uscito vincitore. Rimasi lì immobile a fissare quel putrido arrancare senza meta, osservandolo con sguardo vuoto ed impassibile, tanto che sobbalzai all'udire una voce alle mie spalle.

-Non dirmi che già ti mancano.

Mi voltai all'istante, sconvolta del fatto che non avessi sentito nessuno avvicinarsi. Un ragazzo alto, moro, un accenno di barba abbozzata. Un fucile da cecchino fra le mani ed un sorriso sfavillante. Era l'addetto alla postazione. Mi scansai come se volessi lasciargli il posto, ma egli mi tese la mano.

-Io sono Spencer. Te devi far parte del nuovo gruppo di cui mi ha parlato Aaron. – disse, prima guadandomi in volto e poi scrutandomi i vestiti vissuti e finiti.

Strinsi la sua mano, sforzando un sorriso. Continuava a farmi uno strano effetto vedere gente linda e pulita, con nessun segno di preoccupazione addosso o paura negli occhi.

-Si nota, eh? – risposi indicandomi dalla testa ai piedi – Kendra, piacere.

Si avvicinò alla lamiera, sporgendosi un poco.

-Odio quei cosi. – parlò fissando il vagante che io stessa avevo preso di mira – E li vedo solo a qualche spedizione qua attorno. Non riesco proprio ad immaginare come sia vivere costantemente là fuori.

Egli sembrava apparentemente tranquillo e a suo agio. Al suo posto io avrei avuto un occhio di riserva. Certo, ero disarmata e lui aveva un fucile. Ero sicuramente innocua, ma non avrei mai socializzato con così spontanea pacatezza. Probabilmente si fidava del giudizio di Aaron o non gli ero sembrata una ragazza pericolosa con la quale stare in allerta.

-Tutt'altro che piacevole.

Sospirò continuando a fissare il putrefatto.

-Beh, comunque stasera molto probabilmente organizzeremo un festa per darvi il benvenuto. Niente di che eh, giusto un poco di musica, birra. Sai, per fare conoscenza.


Rimasi interdetta, stupita. Mi guardò con fronte corrugata.

-Ho detto qualcosa di sbagliato?

-No, scusami. E' che tutto questo.. – dissi, gesticolando – E' tutto nuovo per noi. Stai parlando di una festa, di musica, gente pronta a fare conoscenza.. come se fosse del tutto normale, insomma, come se tutto fosse rimasto come una volta. Sono solo incredula.

Si grattò il collo, assumendo un'espressione imbarazzata.

-Oh. – esclamò – Forse non sono stato abbastanza delicato, mi dispiace. Non ci ho pensato, ecco. Tra l'altro non siete costretti a venire, insomma, è solo un invito. Siete liberi di fare come volete. Comunque passeremo più tardi, io o Aaron ad informarvi della cosa.

Misi le mani avanti.

-Figurati, non devi scusarti. Sono solo confusa da questa nuova atmosfera. Non so se alcuni del mio gruppo verranno, ma spero che tutti riescano ad ambientarsi.

Ci scambiammo un sorriso e il silenziò piombò fra noi. Non mi aveva mai dato fastidio non dialogare con qualcuno, ma in quel momento percepivo l'imbarazzo scorrermi nelle vene. Probabilmente era dovuto dall'enorme difficoltà nel realizzare ciò in cui eravamo stati catapultati.

-Comunque, adesso devo andare.. vorrei farmi una doccia prima di incontrare Deanna.

Ovviamente comprese il mio bisogno e mi congedò, senza troppe chiacchiere inutili. Camminavo veloce in direzione di quella che d'ora in avanti sarebbe stata la nostra casa. Provavo una strana sensazione, un perverso senso di inquietudine. Ero felice di aver già fatto la conoscenza di un altro membro della comunità, ma tutto mi pareva così strano ed offuscato ai miei occhi. C'era troppa gentilezza nell'aria, Spencer ad esempio non aveva battuto ciglio nel vedermi in questo stato pietoso. D'improvviso iniziai a dubitare di questo luogo, senza nemmeno saperne il motivo preciso. Speravo solo che quel malsano dubbio in me insinuato, potesse svanire così come era arrivato. Una volta giunta davanti alla porta, incrociai lo sguardo di Carol, la quale si trovava in fondo alla strada. Ricevetti soltanto uno sguardo maligno e fugace. Le stavo davvero sulle palle. Entrai di fretta, sospirando. Odiavo sentirmi la pecora nera del gruppo. Nessuno era ancora rientrato e Michonne doveva essere uscita, dal momento in cui non udivo alcun rumore provenire dal bagno. Attraversai il soggiorno, trascinandomi come se fossi stanca, sconfitta da queste situazioni spinose, e mi bloccai di fronte alla finestra che dava sul giardino. Quella vista non faceva altro che riportarmi alla mente il mio passato. Sarebbe stata dura convivere col gruppo. Non che finora non lo avessi già fatto, ma adesso le cose avevano preso improvvisamente una piega diversa. Avevo sempre saputo che alcuni di loro covavano ancora dei risentimenti nei miei confronti, sebbene mi fossi sempre mostrata disponibile e pronta a tutto, ma da quando avevo provato l'acqua, da quando avevo cominciato a dire chiaro e tondo come la pensavo su differenti situazioni, queste riserve erano tornate a galla. In cuor mio, ero cosciente del fatto che non avrei fatto la lecchina, né avrei provato a far cambiare loro idea con falsità, mai avrei rinunciato ad essere me stessa. Comunque, la questione mi feriva. Sentii la porta scricchiolare e mi voltai in quella direzione, pregando che non si trattasse di Carol. Per mia fortuna incrociai quegli occhi freddi e profondi.

-Ehi. – salutò Rick, chiudendosi la porta alle spalle – Gli altri sono sempre a giro?

Annuii, tornando a fissare il giardino perfettamente curato ed immacolato.

-Non sei uscita?

Si avvicinò a me, affacciandosi anch'egli alla finestra.

-Sono appena rincasata. – sorrisi, sorpresa del termine – Ho scambiato due parole con un uomo. Sembrava un tipo a posto. Ma volevo farmi una doccia prima di parlare con Deanna.

Il suo volto non era ancora del tutto disteso, rilassato o sollevato da qualche pena. Aveva ancora dei pressanti dubbi sulla comunità.

-Beh, anche Deanna non sembra male. Dopotutto mi ha fatto una bella impressione. – disse serio, fissando l'erba.

-Ma?

Corrugò la fronte.

-Ma mi sembrano tutti troppo sicuri dell'impenetrabilità di questo posto.

Come dargli torto, per noi era una costante. Niente alla fine restava vergine, tutto veniva corroso da questa piaga.

-Cosa ne pensi? – domandò dopo qualche minuto di silenzio – Di questo posto, delle persone.

Misi le mani in tasca.

-Perché me lo chiedi?

Egli mi guardò con punto interrogativo in volto.

-Perché mi interessa la tua opinione. – rispose, come se fosse ovvio.

Storsi le labbra di lato.

-Ah. Ultimamente non sembrava..

Incrociò le braccia al petto, mettendo in evidenza i muscoli.

-Spiegati.

Feci per andarmene, mi ero pentita di aver detto ciò che pensavo, ma egli mi afferrò il braccio, seppur delicatamente.

-Parliamone. – insistette.

Mi tirò a sé.

-Non voglio sembrarti una bambina, ma ho come l'idea che buona parte del gruppo, se non tutti, abbia delle riserve nei miei confronti.

Scosse la testa, sorridendomi.

-Questo non è assolutamente vero. So a cosa ti riferisci, ma non devi dare retta a Abraham o a Carol. Dovresti sapere che tipo di carattere hanno.

Sapevo già ciò, ma non era così semplice. Potevo anche chiudere un occhio con Abraham, ma con Carol tutto era diverso.

-E cosa mi dici di te? – lo interrogai, voltandomi nuovamente verso il giardino per fuggire al suo sguardo.

Egli rimase sorpreso dalla domanda. Restò in silenzio assorto nei suoi pensieri per una manciata di secondi, quasi stesse ripercorrendo tutte le nostre discussioni. Poi, si mosse avvicinandosi lentamente alle mie spalle.

-Mi fido ciecamente di te. – parlò rauco, abbracciandomi da dietro – E se a volte mi arrabbio, è perché stai facendo del male a te stessa.

Mi impietrii di fronte a quell'innocente e tanto desiderato contatto. Il cuore prese a sobbalzare, scalciando imperterrito nel mio petto. Ero davvero così tanto disperata da desiderare così ardentemente un semplice abbraccio? Quella nostra piccola unione mi rassicurava più di tante altre parole. Contraccambiai quel gesto, accarezzando delicatamente quelle braccia che mi stavano avvolgendo come un manto. Chiusi gli occhi, come per imprimere quella sensazione di pace sulla mia pelle. Eppure, sapevamo entrambi che c'era qualcosa di sbagliato in tutto ciò. Ci sciogliemmo come un fiocco di raso, in fretta, ma con una strana morbidezza nel gesto. Sorrisi impacciata e mi toccai i capelli.

-Beh, questi riccioli non ne possono più.

Rise, massaggiandosi la barba.

-Anch'io avrei bisogno di una scrosciata d'acqua calda. Credo che andrò a farla nella casa accanto.

Mi avvicinai alle scale e salii qualche gradino, ricordandomi dell'invito di Spencer.

-Rick! – rimase con il pomello della porta fra le mani, quasi desiderasse che gli chiedessi di restare – Quasi dimenticavo. Quell'uomo ha detto che forse stasera ci sarà una festa, insomma, una serata tranquilla dove fare conoscenza. Forse Deanna te ne ha già parlato..

Abbassò lo sguardo, quasi deluso, e mi rispose uscendo.

-Giusto un accenno, ma dovrebbero farci sapere. – parlò con tono netto – Ma grazie di avermelo ricordato.

La porta si chiuse ed io rimasi lì come uno stoccafisso, immobile a vederlo allontanarsi. Percepivo in me una sensazione contrastante, era come se stessi sbagliando qualcosa, come se mi stesse sfuggendo un fattore fondamentale. Nah, fanculo. Borbottai fra me e me. Non avevo voglia né tempo per queste stronzate. Dovevo smetterla di pensare, riflettere su ogni minuscola cosa, finivo solo col tormentarmi e restare a mani vuote. Sbattei forte la porta del bagno e feci scorrere l'acqua della doccia finché non divenne quasi bollente. Mi spogliai velocemente, desiderosa di immergermi in quel calore avvolgente. Di fronte a me, uno specchio a parete rifletteva la mia immagine nella sua totalità. Il mio corpo emaciato, ferito, denutrito. Mi avvicinai lentamente, scorgendo ad ogni passo una cicatrice o ferita fresca. Le costole facevano capolino, le scapole non lasciavano spazio all'immaginazione. Sapevo di essere magra, ma vedermi così nero su bianco faceva un effetto peggiore. Passavo delicatamente le dita su ogni osso, percependone amaramente la sporgenza. La ferita alla gamba era orribile, si era mezza cicatrizzata lasciando uno squarcio accicciato di dieci centimetri sulla coscia. Il dolore non era mai svanito del tutto, ma avevo deciso di nasconderlo. Simulavo una camminata normale, non avevo più fatto parola di ciò e tutti sembravano aver abboccato all'amo. Distolsi lo sguardo da quello sgorbio, ritrovandomi a fissare il labbro ormai sgonfiato. Era rimasto solo un taglio ad esso perpendicolare. Nel complesso, facevo dannatamente schifo. Certo, non avevo mai avuto una grande autostima di me come persona, in generale, e del mio corpo nel suo complesso, ma adesso poi, mi vergognavo del mio aspetto. Gettai su quella superficie vitrea un grande asciugamano, in modo che la coprisse del tutto, ed entrai in doccia, ritrovandomi dopo poco tempo a sedere. L'acqua scorreva imperterrita donando pace alle mie membra, ma percepivo in me un senso profondo di vuoto angosciante.

  
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