31 – L’ora delle verità
La giornata più triste e penosa ch’io abbia vissuto in
quel tempo sospeso della mia vita che fu la parentesi in Normandia, iniziò una
mattina incredibilmente limpida, ingannevole nella sua bellezza superba.
Il disco giallo/arancio del sole arrogante e luminoso,
accecava lo sguardo per nascondere le ombre oscure che eclissavano la sua
magnifica corona. I suoi raggi, attraverso l’aria tersa di un cielo chiaro
solcato dai corpi bianchi e neri dei gabbiani, toccavano la lunga distesa della
spiaggia di Etretat, scaldando la sabbia e facendola quasi brillare di strani
riverberi argentei.
L’aria frizzante e dolce accarezzava la mia pelle, mentre
il tessuto della gonna aderiva alle gambe disegnando le mie forme. In quelle
ore, immersa nel calore dell’aria profumata di mare, con l’odore intenso della
terra che mi avvolgeva, mi sentivo così serena, che la mia mente era sgombra da
ogni pensiero. Respiravo e sentivo l’ossigeno penetrarmi i polmoni, come fossi
attraversata da una sferzata vibrante di energia. Ero esattamente dove volevo
essere, ed ero accanto alla persona per me più importante. Mi sembrava che
nulla potesse venire a sconvolgere l’acuto senso di felicità che sentivo nel
cuore, né le travolgenti, sincere parole d’amore di Tristan, che ancora
vibravano come un’ eco dentro di me, né alcuna sconcertante verità sulla morte
di mio marito, che pure dovevo aspettarmi. Nessun pensiero mi turbava. Era un
istante perfetto, e come tutte le cose belle ed effimere, destinato a morire,
appassire come un fiore colto troppo presto.
Mi ero alzata dal letto, animata dalla strana eccitazione che
mi dava la consapevolezza d’essere libera.
Era una sensazione fantastica che mi travolgeva e
diventava maggiormente acuta col passare dei giorni che seguirono al funerale.
Era sconveniente, un atteggiamento lontano da ogni forma di decenza e pudore
che si potesse mostrare in pubblico, ma non c’era impulso che fosse più vero in
me, e non m’importava come apparissi agli occhi altrui, né di cosa le persone
pensassero di una tale serenità che non mi preoccupavo di dissimulare.
La verità era che mi sentivo viva come mai ero stata in
vita mia.
Mi sentivo come il vento di quella regione che soffiava
libero, e non si curava di abbattersi impetuoso sulle scogliere che modellava a
suo piacimento, o giocare dispettoso con le foglie secche che sollevava negli
occhi e tra i capelli, in una danza leggera.
La spiaggia maestosa e accogliente, quasi selvaggia, era
il luogo ideale dove vivere quelle emozioni. Bastava la consueta piacevole
cavalcata in compagnia di André. Sulla battigia, le onde del mare lambivano gli
zoccoli dei nostri cavalli lanciati in corsa, mentre gli spruzzi d’acqua salata
bagnavano i nostri volti.
Sentivo il gusto del sale, e non bruciava sulle labbra;
era come avere sul palato il sapore selvaggio della natura normanna che mi
galvanizzava con la sua forza.
Ricordo che io e André non parlammo a lungo, restando in
ascolto del suono del vento, del rumore della risacca che saliva e scendeva sulla
riva, e travolgeva piccoli ciottoli e frammenti rosati di conchiglie.
Ogni tanto mi voltavo a cercare il suo volto; scoprivo il
disegno del profilo concentrato e bellissimo, con i capelli neri mossi dal
vento, ondeggianti sulla fronte. Gli sorridevo emozionata per la gioia di
averlo lì, con me, assorto eppure così sereno, e lui rispondeva con un sorriso
aperto, convincente. Solo un’ombra malinconica sfumava la luce dei suoi occhi.
Mi sentivo vicina a lui, e non immaginai quanto quel suo sorriso franco, ma
distante, fosse suggerito da altri pensieri, da un vissuto che non osavo né
volevo immaginare.
In quelle ore, io non sapevo niente. Non sospettavo che il
mio destino si era già compiuto, e tutto era già deciso.
Era rilassato André, tranquillo per la decisione che aveva
preso, soppesata a lungo, ragionata, e alla fine accolta come necessaria. Era
preparato a tutto, alla mia reazione che intuì, consapevole di doverla
affrontare, sentire sulla pelle come un marchio doloroso, pronto alla pena
conseguente, non solo mia.
Quella mattina per l’ultima volta, mi regalò qualcosa di
sé, il calore genuino del suo affetto, l’amicizia onesta e leale, la sola forma
d’amore che poté offrirmi, con l’intenzione lodevole, umana, di addolcire la
verità amara che doveva rivelarmi. Devo riconoscere che non mi promise mai
altro, per quanto io avessi sperato. Non mi fece mai credere che tra noi
potesse esserci qualcosa che andasse oltre la superficie dei sensi.
Di questa sua onestà, devo ringraziarlo, perché fu la mia
salvezza da una pena che rischiò di divenire straziante.
M’impedì di chiudere completamente il mio cuore a nuovi
slanci, che non avrei cercato nell’immediato, ma sarebbero arrivati, con la
banale retorica del tempo che aggiusta tutto.
Fermammo la corsa dei nostri purosangue quasi
all’estremità della spiaggia, in prossimità della parete rocciosa che
delimitava una porzione di costa affacciata a picco sul mare blu cobalto, che
riverberava sotto i raggi del sole.
“Che splendida mattina André. Mi sento così bene. Che
Leopold riposi in pace, ma potendo scegliere, resterei così per sempre.”
“Sì, hai ragione: è una giornata luminosa e incantevole…
ma nulla è per sempre, Danielle, neppure questo luogo. - Rimase assorto a
fissare le onde che s’infrangevano contro le scogliere, prima di riportarmi
bruscamente alla realtà più immediata che dovevo affrontare. - Non vorrei
guastarti il momento idilliaco, ma tuo marito è stato assassinato, Danielle: è
una cosa che non puoi trascurare, né dimenticare.”
“Lo so André. E non sto ignorando la cosa. Del resto, non
so chi potrei accusare; ho pensato alla sua amante, ma che interesse avrebbe
quella donna dalla morte dell’uomo che può garantire un futuro a lei e alla
nipote? No, non ha senso. Né voglio credere che tra le persone a me vicine ci
sia un omicida… anche se… tutto potrebbe essere. Ho interrogato anche Ninette,
ma neppure lei ha notato nulla di particolare quella sera. Non so di chi, o di
cosa devo aver paura…”
Fu allora che André disse una frase che mi spiazzò.
“C’è un’altra possibilità che non hai considerato,
Danielle: magari la vittima designata non era tuo marito, ma qualcun altro…”
Lo guardai perplessa, un po’ turbata.
“Non capisco: qualcun altro chi?”
Pensai che potesse riferirsi a me, e mi attraversò un’inaspettata
quanto rapida sensazione di sgomento. Ma André mi lasciò volutamente nel
dubbio.
“Meglio non parlarne ora. Torniamo verso la villa; capirai
tutto.”
Aveva ragione. Lì, avrei trovato chi avrebbe dato tutte le
risposte agli enigmi più inquietanti e dolorosi della mia esistenza.
******
Quando Ninette trovò Oscar davanti alla porta
dell’ingresso, muta per la sorpresa, spalancò gli occhi del tutto impreparata
alla visita della gemella della sua padrona. Per un secondo, reagì come
l’ultima delle cameriere senza esperienza che lavorassero a palazzo. Una mano
alla bocca, balbettò un saluto piuttosto impacciato davanti agli occhi severi
ma affascinanti e indecifrabili che la scrutavano, e chinò la testa in segno di
rispetto, prima di far accomodare madamigella Oscar come l’ospite di riguardo
che era.
“Dite a mia sorella che voglio vederla.”
La voce ferma e decisa di chi era abituata al comando, non
lasciava spazio a rifiuti od obiezioni d’alcuna natura. Ninette ebbe qualche
istante d’imbarazzo.
“Oh… Perdonatemi madamigella Oscar: madame non è in casa.
È fuori a cavallo, ma tornerà a breve.”
“È in compagnia del mio attendente, vero Ninette?”
Era più una constatazione che una domanda, e la cameriera
ebbe l’impressione di avvampare.
“Non è un problema, posso aspettarla qui.” Proseguì la
donna soldato.
“Ma certo, madamigella Oscar. Può aspettarla nel salotto,
c’è già un’altra persona che l’attende.”
“Un’altra persona? Posso sapere di chi si tratta?”
“Messieur Tristan De Laundes è arrivato pochi minuti fa; attende
madame, in salotto. Potete unirvi a lui, se volete.”
“Ma certo, sarà interessante.” E le venne naturale piegare
impercettibilmente le labbra in un sorriso ironico.
********
Tristan non si aspettava di trovarsi faccia a faccia con Oscar
François De Jarjayes proprio in casa di Danielle. In seguito alla vedovanza che
aveva colpito madame Recamier, si chiedeva quando quel confronto tra sorelle
potesse avvenire, ma non immaginava che ne sarebbe stato testimone, né era
sicuro fosse giusto esserlo.
Ma dal momento che era lì, proprio in quel delicato
frangente, non se ne sarebbe andato se non dietro richiesta esplicita della
donna che amava, e che era intenzionato a proteggere e sostenere, convinto che
una verità dolorosa stava per colpirla.
Per quanto poteva, voleva essere l’arbitro della
situazione.
Quanto sarebbe stata forte Danielle? Avrebbe saputo
accettare la verità di un amore esclusivo e inviolabile che lui aveva colto al
primo sguardo scambiato con Oscar? Una verità che l’avrebbe allontanata
inesorabilmente dal cuore di André Grandier, che mai le aveva permesso di
avvicinarsi davvero a quell’uomo, che nell’anima, nel corpo e nei pensieri
apparteneva a una donna che non poteva essere lei.
Oscar era lì per riprendersi l’uomo che amava, lo comprese
appena la vide. Era sicura, decisa, eppure una strana malinconia le velava lo
sguardo, come se sapesse che il suo atto dovuto non sarebbe stato senza dolore.
Forse c’era anche un altro motivo, e altre verità sarebbero emerse.
“Madamigella Oscar, è un piacere incontrarvi; - le disse,
alzandosi in piedi al suo ingresso nella stanza - devo ammettere che non è del
tutto una sorpresa trovarvi qui. Mi aspettavo che prima o poi sareste venuta…”
“Davvero? Era abbastanza intuibile, non trovate?”
“Forse. Spero solo che la mia presenza non sia
inopportuna.”
“Affatto, non è un problema per me. Anzi, credo sia un
bene. Ma voi, perché siete qui?”
“A voi posso dirlo. Sono qui, perché sono innamorato di
vostra sorella e non riesco a stare lontano da lei.”
“Danielle conosce i vostri sentimenti?” chiese Oscar,
diretta.
“Sì, le ho aperto il mio cuore.”
“E lei come ha reagito? Vi ricambia, per caso?”
Tristan emise un lieve sospiro.
“Non ancora, e non con le attuali premesse, purtroppo, ma
non mi arrendo, Oscar. Ho buone speranze che in futuro ci sarà un posto nel suo
cuore per me; tra noi c’è una tale intesa di spirito di cui la contessa non si
rende conto. Saprò aspettare che sia libera e pronta ad amarmi, e sono certo
che Danielle un giorno mi ricambierà. Non so come spiegarlo, ma è qualcosa di
cui sono convinto.”
Tristan non immaginava quanto le sue parole colpissero in
quel momento Oscar; era incredibile, ma lei aveva l’impressione che André
stesse parlando per bocca di Tristan. Era tutto troppo famigliare; la voce
venata di lieve tristezza dell’uomo, perfino i sentimenti dolci e malinconici
di Tristan, troppo simili a quelli che doveva aver provato André per lei, la
turbarono enormemente. Era come ascoltare parole segrete, speranze che Andrè
aveva celato in fondo al cuore, mai esternate, che all’improvviso uscivano
dalla bocca di un altro, come se avessero trovato una scappatoia per arrivare a
lei. Tristan si accorse del suo turbamento, dello sguardo torbido che si fece
improvvisamente mesto.
“Ho detto qualcosa che vi ha offesa, madamigella? Avete
un’aria strana…”
“No… no, non ho niente, vi assicuro. Le vostre parole mi
hanno soltanto ricordato qualcosa che avevo sottovalutato.” Rispose svelta, ma
doveva spostare la conversazione su un altro terreno meno piacevole, ed era
dispiaciuta di doverlo fare.
“Siete molto sicuro di voi. Chi sono io per negarvi la
speranza? Trarrete vantaggio dal fatto che ora mia sorella è vedova, suppongo;
la morte improvvisa di mio cognato è stata provvidenziale, non trovate?”
Oscar aveva alzato lo sguardo, e lo fissava con intensità.
“Non la metterei in questo modo, anche se il conte di
Recamier poteva rappresentare un ostacolo. In realtà, madamigella, non era il
marito di Danielle il mio vero problema…” risposte Tristan pacato, guardandola
di sottecchi, con l’impressione che Oscar volesse provocarlo, e non ne capiva
la ragione.
Oscar assottigliò lo sguardo, guardinga e sospettosa.
“Certo! Il vostro problema sono i sentimenti che mia
sorella prova per il mio attendente, e non fate finta di non saperlo.”
“Scusate la franchezza, ma non sono io che fingo, né mi
nascondo madamigella. – Contrattaccò Tristan, senza timore alcuno. - So quanto
voi, che André non sarà mai un mio rivale; il vostro attendente… o forse dovrei
dire il vostro amante può solo spezzare il cuore di Danielle, e se voi siete
qui, sono certo che accadrà a breve. Non vi giudico, ma non capisco la vostra
ostilità nei miei confronti: che cosa mi rimproverate? Con vostra sorella sono
sempre stato molto onesto. Non credo possiate dire altrettanto, e neppure André
probabilmente.”
Tristan si permetteva di sfidarla a testa alta, e Oscar
ebbe qualche momento d’incertezza.
“Debbo riconoscerlo, avete ragione.”
Squadrò l’uomo con interesse e velata ammirazione. Doveva
parlare e dire ogni cosa, esternare timori e sospetti, e valutare la
situazione.
“Di me e André avete capito tutto, è vero. Ma prima di
intuire la verità, cosa avete pensato del fatto che Danielle fosse fuggita con
un servo di cui pareva innamorata? Forse eravate geloso di lui, e magari anche
di Leopold…”
“Geloso come può esserlo un uomo innamorato, per giunta
non ricambiato… Non capisco dove volete arrivare, madamigella. Il vostro
discorso mi pare molto astruso…”
Oscar si avvicinò alla finestra che dava sul cortile
anteriore della villa. Guardò verso l’esterno perdendosi con lo sguardo lungo
le siepi curate del giardino. La luce della tarda mattinata le feriva gli
occhi.
“Ci sono cose che non sapete, Tristan, cose che ignora
perfino mia sorella, ed è giusto che lei sappia la verità. Oggi sono venuta qui
con la speranza di far luce sugli ultimi fatti accaduti in questa casa…”
Tristan non afferrò il senso di quello che Oscar stava
dicendo, finché lei non fu drammaticamente chiara.
“Mio cognato non è morto per cause naturali come vi hanno
indotto a credere, in realtà è stato avvelenato da una persona che vive o ha
libero accesso a questa dimora…”
“Cosa? Ma che dite?”
“È così; ha assunto del veleno che qualcuno ha messo nella
sua brocca dell’acqua. Adesso capite perché mi permetto di dubitare della
vostra onestà? Siete un potenziale colpevole; dite di essere innamorato di mia
sorella, dunque la vostra gelosia potrebbe essere un movente.”
“Non penserete seriamente che io sia responsabile della
morte di vostro cognato, vero? È assurdo, e potrei sentirmi offeso da una tale
accusa!”
“Non posso escludere nulla e non vi sto accusando
messieur; nel campo delle ipotesi, questa è una delle possibili, ma sono qui
per valutare anche le altre.”
“Le altre? Volete dire che sospettate di qualcun altro?
Parlate, Oscar! Danielle potrebbe essere in pericolo nella sua stessa casa?”
Oscar si allontanò dalla finestra e tornò a fissare lo
sguardo sul giovane sempre più costernato e allarmato.
“Questo non lo so, sono venuta qui per scoprirlo.
Calmatevi, Tristan; sediamoci e aspettiamo il ritorno di mia sorella: non
ritarderà ancora molto, e allora parleremo d’ogni cosa.”
Tristan si rassegnò, pur trovando incredibile il sangue
freddo del colonnello Oscar.
********
Lasciati i cavalli alle scuderie, trovammo Ninette ad
attenderci in cima alle scale dell’ingresso; mi bastò guardarla per cogliere la
sua espressione nervosa. Quando poi rivelò i nomi di coloro che mi aspettavano,
scambiai un’occhiata rapida con André e mi colpì il suo atteggiamento calmo e
imperturbabile.
Tutto mi sarei aspettata, tranne incontrare la mia gemella
in compagnia proprio di Tristan.
Il cuore come un tamburo, entrai nella stanza e mi bloccai
sulla porta.
Tristan mi rivolse il suo saluto cortese che ricambiai,
mentre io e Oscar, ferme ai lati opposti della stanza, restavamo a fissarci
negli occhi. Sentii André muoversi dietro di me, entrare silenzioso nella sala
e fermarsi un poco distante alla mia destra, vicino una consolle. Il mio
sguardo inquieto cercò la sua figura solo un istante, ma tornai rapidamente a
fissare mia sorella.
“Buongiorno Danielle. Ti trovo bene.”
Mi salutò e non incrociò mai il suo sguardo con Andrè, o
così mi parve.
“Oscar… sei l’ultima persona che pensavo d’incontrare
qui…”
“Davvero? Eppure dovresti conoscermi molto bene; sono
l’unica gemella che hai. Al tuo posto, io non sarei così sorpresa…”
Iniziai a pensare che avesse ragione. C’era qualcosa che
mi disturbava, un dettaglio sbagliato o fuori posto in quella situazione. André
avrebbe dovuto accogliere Oscar con profonda costernazione e palese turbamento,
invece reagì come se l’avesse vista solo il giorno prima, come se non si fosse
mai allontanato da lei, ed erano mesi che non si vedevano. Così credevo. Non
dissimulò in alcun modo alcun sentimento, né emozione e la cosa mi riempì di
sgomento e paura.
All’improvviso, tutto fu chiaro, e non tentai di costruire
inutili spiegazioni. Il senso di tutto era lì, davanti a me, ed era limpido e
semplice; ingannare me stessa con interpretazioni fantasiose e inverosimili era
futile e stupido, un’offesa alla mia intelligenza.
“Quando sei arrivata?”
“Sono giunta ad Etretat diverse settimane fa, prima che
morisse tuo marito, e per un motivo che puoi bene immaginare…”
Diretta come il solito, Oscar non girava mai attorno alle
questioni, ma le affrontava di petto.
“André… sei qui per lui…” Non era una domanda. Oscar annuì
semplicemente.
“E conosci anche Tristan…” constatai guardando
quest’ultimo, solo perché non osavo incontrare gli occhi di André, eppure li
sentivo su di me.
“Il giorno del funerale, abbiamo avuto modo di
presentarci.” Ammise Oscar, senza la minima reticenza.
Allora mi rivolsi al mio amico.
“Me lo avete tenuto nascosto…” dissi, senza riuscire a
nascondere il tono accusatorio.
“Perdonatemi, contessa. Non volevo crearvi ulteriori
turbamenti, in un momento già particolarmente delicato per voi; solo oggi,
parlando con vostra sorella, comprendo quanto lo foste…”
Scettica, guardai Oscar alla ricerca di spiegazioni che
lei si affrettò a darmi.
“Mentre ti aspettavo, ho spiegato a Tristan com’è morto in
realtà tuo marito; confesso che i miei sospetti sono caduti anche su messieur
De Laundes, avendo scoperto per sua stessa ammissione che è innamorato di te.”
“Sono sospetti infondati! – Risposi con veemenza. -
Tristan non può aver fatto nulla di male; quel giorno eravamo fuori a cavallo,
lui mi ha accompagnata, ma non si è fermato alla villa, e non ha avuto contatti
con Leopold. Questo posso confermarlo.”
Oscar assunse un’aria circospetta, la sua mente parve
inseguire un ricordo lontano, che a me restava ignoto, ma che forse André
conosceva.
“Prendo per buona la tua versione… - mi concesse - però,
ho fatto delle indagini e ho scoperto cose che devi sapere Danielle.”
Oscar mi raccontò tutto, nel dettaglio.
Fu clamoroso scoprire come Leopold si era procurato il
veleno, e questo implicava che avesse avuto intenzioni delittuose. Verso chi,
era impossibile scoprirlo. Quello era un segreto morto con lui, ma l’idea mi
procurò un brivido. C’erano solo due persone che Leopold poteva voler colpire;
una ero io, e il pensiero che mio marito mi odiasse al punto di volermi morta,
mi pareva terribile; l’altra persona poteva solo essere André, e all’improvviso
ricordai l’ultimo alterco avuto con lui, proprio quella sera, e le sue parole
di spregio verso il mio segretario.
In sostanza, a giudizio di Oscar, le ipotesi sulla morte
di mio marito si riducevano a due soltanto.
“Ma allora, questo significa che…” balbettai, scivolando
su una delle poltrone, atterrita e sconvolta da quello che iniziavo ad intuire.
“Sì, Danielle. Sono convinta che il veleno era destinato
ad André, che Leopold credeva il tuo amante; se escludiamo l’opera intenzionale
di qualcuno, eventualità che sembra molto più difficile, c’è la possibilità che
il conte lo abbia assunto per errore, resta da capire come… - Oscar fece una
pausa ed emise un sospiro, prima di riprendere con tono enfatico, portando una
mano chiusa alla fronte. - Io ringrazio il cielo che quella notte Andrè l’abbia
passata con me; il pensiero di quello che sarebbe potuto accadere, mi fa star
male in un modo che non riesco a dire… Lo capisci Danielle? Ho rischiato di perdere
l’uomo che amo… e che mi ama…”
Sentii la pena nella sua voce; era uguale alla mia.
Le parole di Oscar giunsero alle mie orecchie come fossero
quelle incomprensibili di un’ estranea, ma il dolore che mi causarono fu
lancinante e profondo, quasi insopportabile. Sentii la gola pizzicare.
Volevo piangere, ma forse l’orgoglio, forse Tristan che mi
osservava serrando i pugni, m’impedì di farlo; ricordo di aver alzato uno
sguardo vacuo su André, e quello che lessi in quegli occhi verdi, pieni d’ansia
e sofferenza, fu la conferma esatta d’ogni parola. Il suo dolore era sincero,
come furono sincere le sue parole, che non bastarono a consolarmi di un amore
che non mi era mai appartenuto, e il mio cuore lo sapeva da tempo.
“Mi dispiace tanto, Danielle. Non ho mai voluto
ingannarti, ma se ti ho illusa in qualche modo, ti chiedo di perdonarmi…”
La sua voce mi giunse mesta e la mia rispose rassegnata,
svuotata d’ogni energia.
“Dunque, la ami ancora… non hai mai amato altri che lei,
vero?”
Mi ero alzata di fronte a lui e lo afferrai ad un braccio,
come se volessi scuoterlo. Ma non mi mostrai fragile. In realtà, volevo
disperatamente essere forte, quanto bastava per poterlo lasciare andare. Mai avevo
affrontato prova più difficile.
“Dio sa se ho tentato, Danielle, ma nel mio cuore non v’è
posto per altro; io appartengo ad Oscar, e lei a me. Niente può opporsi a
questo e ora lo sappiamo entrambi.”
E gli occhi di André nella stanza cercarono quelli di
Oscar, e li trovarono. Mi bastò cogliere quel dialogo muto tra loro per capire
quanto fossi estranea, esclusa dal loro legame. Tra me e Andrè non sarebbe mai
stato così. Inorridita, mi staccai da lui, mi avvicinai di un passo verso
Tristan, che sembrava sul punto di volermi abbracciare; al centro della stanza,
mi guardai attorno come fossi circondata su tutti i fronti, e non sapessi dove
andare a rifugiarmi. Allora vidi André avvicinarsi ad Oscar, tenderle la mano
che lei accolse nella sua con una stretta possessiva.
Non ci fu nulla di più eloquente.
Nulla di plateale.
Rimasi immobile, lì in mezzo alla stanza, ad assorbire la
verità che non mi faceva sconti. E accadde un fatto strano; mi scese addosso e
nello spirito uno strano senso d’accettazione, che non sembrava appartenermi,
ma che in qualche modo mi dava pace.
Tristan si avvicinò, stravolto e preoccupato per la mia
reazione, ma io lo fermai con un gesto semplice e fermo della mano.
Esteriormente non mostrai alcun’esitazione, ma la mia anima era in bilico tra
quiete e tempesta.
“Non preoccupatevi per me, amico mio. Sto bene e sono
abbastanza forte da poter accettare la verità. Dopotutto, voi mi avevate già
messa in guardia, e io ora non posso fingere di non averlo saputo…”
“Danielle, io… sono qui…” sussurrò soltanto, e avvertii il
suo rammarico di non poter fare o dire di più. Lo guardai; la sua vicinanza, la
discrezione e l’empatia che mi dimostrava bastò a darmi coraggio. Sarebbe stato
poco dignitoso lasciarmi andare alla disperazione, la lasciavo per dopo. L’amarezza
era inevitabile e mi scivolava sul cuore e sulle labbra, ma dovevo berla tutta
fino all’ultima goccia. Un giorno avrei saputo trasformarla in miele, ma il
frutto di quel raccolto era ancora acerbo e non potevo coglierlo.
Mi rivolsi nuovamente ad André, sempre al fianco della
donna che amava, non come un’ombra, ma come suo compagno di vita, sicuro e
solido. Li vedevo insieme, e lo comprendevo senza possibilità d’errore. Nulla
avrei potuto contro un amore così grande; ero partita sconfitta in partenza.
“Ti ringrazio André per l’onestà dei tuoi sentimenti;
posso solo dirti che se Leopold fosse riuscito davvero a farti del male, non me
lo sarei mai perdonato… anche nei tuoi confronti, Oscar…- dissi rivolgendomi a
lei, - credimi, non ti ho mai voluto male, ma tante cose non le avevo capite…”
“Lo so Danielle; anch’io ho dovuto comprendere cosa avevo
nel cuore, e tu, in fondo mi hai aiutata, portandomi via chi avevo più caro…”
mi rispose, stringendo ancor di più la grande mano di André, che guardò dritto
negli occhi.
“Già, che strani percorsi che fa l’amore; ci trascina con
sé, ci fa smarrire e ritrovare… - conclusi, con tono quieto e malinconico. -
Ora resta da far chiarezza sulla morte di mio marito, e allora tutti i pezzi di
questa storia andranno al loro posto… e tutte le persone coinvolte in questo
dramma torneranno alle loro vite.”
La Normandia con le sue coste bianche e abbacinanti
battute dai venti, era stata teatro di una lotta, luogo in cui erano confluiti
i sentimenti di tutti noi; la mia definitiva resa di fronte ad un destino che
non era in mio potere cambiare, si compiva così.
La verità era lì sotto i nostri occhi, ed era più semplice
di quanto potessimo credere.
Era banale e tragica.
Ridicola quanto uno scherzo partorito da un destino beffardo.
Non c’era nessun assassino misterioso, né alcun nemico
nell’ombra, ma solo un uomo livido di rancore che si riteneva offeso nel suo
onore d’aristocratico, caduto vittima del suo stesso gioco perverso.
La servitù era già stata interrogata a suo tempo, ma
sempre quella mattina, scoprimmo nuovi dettagli parlando con Ninette e un’altra
giovane cameriera del mio palazzo, Costance, una fanciulla appena diciannovenne
che lavorava per i Recamier da un paio d’anni. La sua famiglia era di Etretat e
mi era stata raccomandata come una ragazza educata, ma sveglia e lesta nel suo
lavoro.
Quella sera fu Costance a portare la brocca dell’acqua
avvelenata nella stanza di mio marito.
Scoprimmo esterrefatti che prima di assolvere la sua incombenza, la
ragazza aveva notato il conte allontanarsi svelto dalle cucine; ricordava che
sul tavolo era rimasta la brocca di vetro con l’acqua destinata ad André, per
la notte, e Oscar concluse che probabilmente il veleno era stato aggiunto
proprio lì.
Il conte non aveva calcolato l’imprevisto della sorte, e
il successivo scambio fatale.
Qui era entrata in gioco Ninette che aveva quasi
dimenticato l’episodio successivo di quella sera. La mia cameriera personale,
nel frattempo giunta in cucina dalla porta sul retro, non aveva incontrato
Leopold; sollecita, aveva preso proprio quella brocca dimenticata sul tavolo,
con senso pratico aveva travasato l’acqua contenuta in una caraffa di prezioso
cristallo cesellato, e svelta l’aveva piazzata tra le braccia della giovane
cameriera che entrava dall’ingresso affacciato sul corridoio.
“Costance, prima di tutto, porta questa nella camera del
signor conte, che vuole già ritirarsi per la notte. Meglio non contrariarlo, e
già pare di cattivo umore; fai presto, e poi torna qui che ci sono altre
mansioni per te.”
Costance così fece, naturalmente ignara di tutto; non
sapeva nulla del veleno e non conosceva i piani di Leopold, ma quando dai
nostri ragionamenti comprese cosa era accaduto e come lei ne fu coinvolta,
scoppiò in un pianto dirotto irrefrenabile davanti a tutti i presenti.
“Non si disperi, signorina. Nessuno l’accusa di nulla.” La
incoraggiò Oscar, ma la ragazza pareva inconsolabile.
Ninette più dura e smaliziata, fu dispiaciuta e costernata
per l’accaduto, che l’aveva vista protagonista involontaria. Per quanto
turbata, non si lasciò prendere dallo scoramento e circondò le spalle della
giovane cercando di calmarla. Io rassicurai Costance che la ritenevo innocente,
e che la vicenda poteva definirsi solo un tragico incidente e nessuno della
servitù poteva esserne responsabile.
“Misericordia divina! Come potevamo immaginare?” disse
Ninette, stringendo Costance in lacrime, tra le sue braccia materne.
Non c’era niente altro da scoprire.
Tutto era stato spiegato e io volevo solo chiudere per
sempre quella questione spinosa e dolorosa. Imposi a tutti i testimoni il
silenzio e il segreto sulla vicenda; soprattutto non volevo che arrivasse
parola all’orecchio dei miei figli, neppure in futuro. Mi sembrava legittimo e
sacrosanto preservare il ricordo del padre, e volevo impedire che fosse
sporcato dalla maniera meschina e indegna in cui si era chiusa la sua vita.
Congedai le cameriere, mentre io mi prostravo stanca sul
canapè del salotto. Tristan si era accostato a me come volesse darmi sostegno
con la sua sola presenza. Oscar e André erano in piedi, un poco distanti, l’aria
apprensiva, in attesa di una qualche mia reazione; forse temevano che i nervi
mi cedessero. Nessuno parlò, e nella stanza scese uno strano silenzio, e una
quiete quasi irreale.
Mi sentii provata, svuotata da tutte le emozioni vissute,
dalle verità rivelate, messe a nudo quasi in modo impietoso. Il cielo
intravisto dietro i vetri delle finestre mi sembrava troppo azzurro e limpido,
in contrasto col mio umore cupo e triste. Il coraggio veniva meno e io stato
cedendo alla forza disperata delle lacrime che premevano dietro i miei occhi
celesti per liberarsi. Avevo una disperata voglia di piangere e sfogarmi, ma
non volevo farlo davanti a testimoni; anelavo la solitudine, che diventa
compagna necessaria e indispensabile in alcuni momenti particolari della nostra
vita. Così alzai appena lo sguardo in un punto qualsiasi dell’ambiente, ma
senza in realtà guardare nessuno.
“Credo che non ci sia altro da aggiungere a tutto quello
che è stato detto oggi. Per favore, ora vorrei restare sola, ho bisogno di
riflettere. Andate via, vi prego…”
Oscar si mosse per prima, André forse indugiò un attimo in
più.
“Prima di lasciare la Normandia, verremo a salutarti,
Danielle. Per favore, ricorda che restiamo sempre sorelle.” Mi disse con tono
lieve prima di lasciare la stanza, seguita dal suo attendente, che si voltò un
istante a guardarmi.
“Grazie di tutto, e arrivederci, Danielle.”
Io non ebbi la forza di rispondere.
Tristan era ancora seduto di fianco a me e sembrava
indeciso, oltre che molto combattuto. La sua mano afferrò una delle mie e la
strinse un momento.
“Vi prego, Tristan…” Lo supplicai, con un filo di voce.
Si alzò e fece qualche passo verso la porta, ma non la
raggiunse. Si bloccò con i pugni stretti lungo i fianchi; era di spalle e non
potevo vedere il suo volto, ma avevo l’impressione che tremasse. Si voltò e
tornò indietro; si sedette di nuovo accanto a me. Poi il suo braccio sinistro
mi circondò le spalle.
“Tristan… io non…”
Scossi la testa, incrociai i suoi occhi e le parole
morirono in gola; aveva uno sguardo carico di dolcezza e comprensione che forse
non gli avevo mai visto. Puntò i suoi occhi nei miei, mentre con l’altra mano
sollevava il mio viso verso il suo, e per un attimo credetti di annegare dentro
un’emozione troppo grande.
“Lasciate che vi abbracci, Danielle, ne avete un disperato
bisogno. Non chiedetemi di lasciarvi sola adesso, non potrei farlo.”
Sentii la sua mano posarsi tenera sulla mia nuca e mi
guidò contro il suo petto che mi accolse come un rifugio protettivo. E io mi
sentii piccola e fragile, e l’argine che aveva trattenuto il pianto, crollò di
schianto dentro il cerchio robusto delle braccia che cingevano la mia schiena.
“Oh, Tristan… se soltanto vi avessi ascoltato… avevate
capito tutto, e io lo sapevo…”
I singhiozzi diventarono irrefrenabili e non cercai più di
trattenerli. Non mi vergognavo di piangere tra le braccia di Tristan, riponevo
in lui la massima fiducia. Il mio dolore con lui era al sicuro, come se potesse
tenerlo sotto controllo e impedirmi di soccombere.
“Io sono qui per voi… sarò sempre qui per voi, Danielle.
Io vi amo per quella forza che avete dimostrato poco fa, mentre affrontavate
tutta la verità a testa alta. Siete stata brava e coraggiosa. Piangete e
sfogatevi, Danielle. Il dolore passerà… finirà la tempesta che ha messo
sottosopra il vostro cuore e tornerà il sole nella vostra vita. Se me lo
permetterete, ve ne farò dono io, Danielle. Vivrò per questo.”
“Siete un caro, dolce amico Tristan… Solo un momento…
Continuate a stringermi tra le vostre braccia… vi prego…” ma non avrei avuto
bisogno di chiederlo.
Lentamente il pianto si placò, fino a cessare del tutto.
Stavo bene tra le sue braccia. Le mani di Tristan mi
accarezzavano dolcemente la schiena e le spalle, e la sofferenza pareva
diradarsi, farsi più fievole, fin quasi a scomparire. Tristan con affetto mi
baciò i capelli, ma non scese a cercare le mie labbra e mi sorpresi a pensare
che forse non lo avrei respinto, se lo avesse fatto in quel momento. Restai a
lungo così, avvolta in quell’abbraccio che dava quiete e calore alla mia anima
inquieta e tormentata, un abbraccio che all’improvviso, non so per quale strana
magia, sapeva di casa.
L’amore di André non era per me.
Quello di Tristan, forse sì. Un giorno, non so quando,
magari potrò ricambiarlo.
Si chiudeva così, una parte della mia vita vissuta tra
gioia e dramma, di fronte al mare della Normandia.
Continua…
Eccomi qui dopo tanto tempo.
Mi scuso per l’enorme ritardo con cui pubblico questo
capitolo che doveva venire molto prima, ma la fine dello scorso anno ha
coinciso con momenti drammatici della mia vita. È stato davvero un brutto
periodo, pieno anche di sofferenza. Non voglio soffermarmi troppo sui dettagli
perché non mi sembra la sede, né mi sembra giusto, ma voglia e stimoli per
scrivere non ne avevo. Ma ora sono tornata e forse sono un po’ più forte e sono
decisa a finire questa storia.
Vi ringrazio per la pazienza e la fiducia che mi
avete accordato sempre, per tutto il sostegno che mi avete dato, per gli
apprezzamenti che avete avuto per “Spirito inquieto”, per i confronti
costruttivi che mi hanno aiutato a risolvere eventuali dubbi che avevo. Manca
solo un capitolo oramai, dopo scriverò la parola fine alle avventure di
Danielle, Oscar, André e Tristan.
Mi spiace di avere trascurato un po’ il fandom, che
ultimamente è davvero ricco di belle storie; se non come scrittrice, tornerò a
leggere le vostre ff, ne ho tante lasciate in sospeso che devo riprendere, e
che vorrei commentare. Intanto spero che questa prossima conclusione vi piaccia.
Buona lettura e di nuovo mille grazie, ragazze.
Siete preziose.