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Autore: Placebogirl_Black Stones    07/03/2016    6 recensioni
Dopo la sconfitta dell'Organizzazione, tutte le persone che sono state coinvolte nella battaglia dovranno finalmente fare i conti con i loro conflitti personali e con tutto ciò che hanno lasciato irrisolto fino ad ora. Questa sarà probabilmente la battaglia più difficile: un lungo viaggio dentro se stessi per liberarsi dai propri fantasmi e dalle proprie paure e riuscire così ad andare avanti con le loro vite. Ne usciranno vincitori o perderanno se stessi lungo la strada?
"There's a day when you realize that you're not just a survivor, you're a warrior. You're tougher than anything life throws your way."(Brooke Davis - One Tree Hill)
Pairing principale: Shuichi/Jodie
Genere: Introspettivo, Malinconico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Ai Haibara/Shiho Miyano, Jodie Starling, Shinichi Kudo/Conan Edogawa, Shuichi Akai
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Tomorrow (I'm with you)'
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Capitolo 2: Faccia a faccia
 
 
Seduto sul divano di quello che per mesi era stato il suo nascondiglio, con braccia e gambe incrociate, attendeva che il suono del campanello rompesse il silenzio. Non c’era segno di nervosismo nel suo sguardo, né nel suo corpo immobile; tuttavia dentro di sé, come poche volte gli era successo nella vita, avvertiva un senso di timore, quasi simile alla paura. Paura che lei non potesse capire, paura che la sua mano tesa verso di lei venisse respinta. Paura che la promessa che aveva fatto svanisse come il fumo della sigaretta che stava consumando nell’attesa. La settima, per la precisione.
Nella sua mente riaffiorò il ricordo del giorno in cui aveva lasciato per sempre i panni di Subaru Okiya, tornando ad essere semplicemente Shuichi Akai, pronto all’atto finale contro gli Uomini in Nero: lo stesso giorno in cui aveva mostrato il suo vero volto anche a lei, confermandole ciò che sospettava da parecchio. Scoprire che dietro il suo vicino di casa, che aveva sempre guardato con disapprovazione, si nascondeva il traditore dell’Organizzazione nonché ex fidanzato di sua sorella, non era stato piacevole. Ma la cosa peggiore, probabilmente, era stata scoprire che Dai Moroboshi non era mai esistito, che anche quella era una bugia da sommarsi alle altre. Dai Moroboshi era Shuichi Akai, un agente dell’FBI che aveva usato sua sorella, l’unica parente rimastale, per infiltrarsi nell’Organizzazione. Doveva essere questo ciò che aveva pensato in quel momento.
Nonostante ciò, non c’era stato tempo per un vero e proprio chiarimento: l’urgenza di mettere a punto le mosse finali in quella battaglia durata anche troppo aveva la priorità su tutto. Così erano rimasti fino alla fine due perfetti sconosciuti che in realtà sapevano benissimo chi era l’uno e chi l’altra. Ora non c’erano più scuse: nessuna Organizzazione da battere, nessuna corsa contro il tempo. Era arrivato il momento della resa dei conti.
Spense la sigaretta nel posacenere, guardando verso l’orologio appeso nel muro del salotto: le tre e un quarto.
 
- Che sta facendo, un pranzo di Natale?- sbuffò all’improvviso il giovane detective, seduto di fronte a lui, che doveva aver notato il suo gesto.
- Forse ha cambiato idea-
 
Non era un ipotesi da escludere: anche lei, come lui, aveva timore di quell’incontro. Non che pensasse che volesse farle del male, questo no, ma l’idea di ascoltare parole che non voleva sentire dalla bocca di qualcuno verso cui provava rancore non doveva essere facile per lei. Forse aveva atteso troppo, forse il momento della verità era già scivolato via come un treno in corsa. Dentro di sé sperò che non fosse così. Non amava lasciare le cose irrisolte, specie quelle che gli stavano a cuore.
 
- Ma no, se lo avesse fatto mi avrebbe di sicuro telefonato!- cercò di rassicurare l’amico - Immagino che stia solo prendendo tempo per prepararsi alla cosa-
 
Non fece in tempo a rispondere che quel campanello che aveva sperato di sentire da ormai due ore, finalmente suonò. Un suono breve, segno che il dito che lo aveva premuto non era deciso a compiere quel gesto.
 
- Eccola! Vado ad aprire e poi mi ritiro nella stanza adiacente e vi lascio parlare- lo avvisò, dirigendosi verso la porta.
- D’accordo, grazie ancora ragazzo- rispose semplicemente, abbozzando un sorriso.
 
Restò solo in attesa di vedere la figura della ragazza comparire sulla soglia del salotto. Prese un lungo respiro, pensando e ripensando alle parole giuste con cui avrebbe dovuto iniziare quella conversazione.
Le voci dei due ragazzi si facevano sempre più vicine, ora poteva persino distinguere chiaramente cosa si stavano dicendo.
 
- Ti ho già detto di stare tranquilla, non corri nessun pericolo qui!-
- E invece non mi fido, lo so che mi stai mentendo!-
- Perché dovrei mentirti? Hai già capito chi è la persona in questione, no?-
 
Percepiva dal tono di voce insicuro dell’amico che stava facendo uno sforzo enorme per non crollare sotto il peso di quella rete di bugie nella quale lui stesso lo aveva trascinato.
 
- Proprio perché ho capito ti sto chiedendo se sei sicuro che non ci saranno conseguenze!-
 
Lei, al contrario, era come sempre irremovibile nella sua diffidenza, che la spingeva a non credere mai in niente e nessuno. Da quando l’aveva conosciuta non era cambiata di una virgola in questo.
 
- Se hai capito non dovresti nemmeno chiedermelo, no?-
- Senti…tu non sai chi è quel tipo in realtà, non lo conosci! Per te è solo un agente dell’FBI che ci ha aiutati, ma la verità è che c’è dell’altro dietro a questo!-
- Sono cose che riguardano te e nelle quali non voglio entrare. Se hai tanta paura allora scappa, ma non è così che metterai fine a questa storia! Secondo me dovresti affrontare la questione una volta per tutte e chiudere anche questo capitolo. Io sarò qui, non ti lascio sola!-
 
Sorrise nel sentire la fermezza di quelle parole, parole che esprimevano tutto il suo desiderio di lasciarsi alle spalle una storia durata anche troppo. In quel momento i suoi diciassette, quasi diciotto anni dovevano pesare come quaranta. Eppure, invece che liberarsi delle proprie catene, si preoccupava di sciogliere quelle dell’amica, che in quel momento aveva più bisogno di lui di essere liberata.
Non poté fare a meno di pensare che negli anni a venire sarebbe diventato un grande uomo, uno dei migliori che avesse mai conosciuto.
 
- Me lo prometti?-
 
Il tono della ragazza si era fatto più pacato, segno che stava cedendo alla debolezza delle sue paure. Lo aveva visto poche volte il suo lato umano, quello che le consentiva di mostrarsi fragile e bisognosa di protezione: quello che lo aveva spinto a promettere ad Akemi che l’avrebbe protetta da coloro che cercavano di trascinarla nelle tenebre.
 
- Se può farti sentire più tranquilla mi nasconderò nelle vicinanze, così se dovessi aver bisogno correrò in tuoi aiuto, d’accordo?-
 
Sorrise nuovamente: e così ora giocava dalla parte dell’”avversario”, il piccolo detective. Non poteva dargli tutti i torti, dal momento che lui era la causa della discussione che stava avendo con l’amica.
Forse era meglio così, lei aveva più bisogno di una spalla di quanto ne avesse lui in quel momento.
 
- Va bene…-
- Coraggio, ora va’ in salotto e ascolta quello che ha da dirti-
 
La conversazione terminò e l’eco delle parole nel corridoio si sostituì a quello dei passi di una sola persona. Passi lenti, esitanti, appartenenti a un paio di gambe che si stavano muovendo più per inerzia che per volontà propria.
Tenne gli occhi fissi sul vano della porta, fino a quando l’esile figura della ragazza non comparve. Era visibilmente cresciuta da quando l’aveva vista l’ultima volta prima di essere cacciato dall’Organizzazione. Si era fatta più donna, più bella. L’unica cosa che restava invariata era quell’espressione seria sul volto, un misto fra impassibilità e rabbia, con una nota impercettibile di malinconia. E ovviamente i suoi occhi, così simili a quelli di sua sorella, ma privi della stessa luce per ovvi motivi. Probabilmente non si rendeva conto del suo potenziale, o forse aveva solo paura di esporsi dopo anni di prigionia.
Restarono a fissarsi a vicenda per un lasso di tempo indecifrabile, ma all’apparenza infinito. Era chiaro che nessuno dei due riusciva a trovare le parole giuste per iniziare la conversazione, ma dal momento che era stato lui a volerla vedere e a pianificare quella messa in scena, a lui spettava il compito di parlare per primo.
 
- Sei venuta alla fine- si decise ad aprire bocca, abbozzando un sorriso.
 
Non ricevette risposta, la ragazza si limitava a fissarlo con uno sguardo quasi truce. Il risentimento che provava nei suoi confronti era palpabile più che mai.
 
- Resti lì oppure ti siedi?- la invitò a mettersi comoda sul divanetto opposto al suo, nel tentativo di farla sentire maggiormente a suo agio.
 
Di nuovo Shiho non disse nulla. La vide stringersi nelle spalle, forse senza nemmeno rendersene conto, come per proteggersi da quello che considerava un suo nemico più che una vecchia e sgradita conoscenza.
Lentamente, mosse prima un piede e poi l’altro, raggiungendo passo dopo passo il divano, senza mai staccargli gli occhi di dosso. Si sentiva la sua preda, aspettava ansiosa che lui l’attaccasse. Anche se in passato era stata anche lei uno dei lupi e lui “l’agnello” che si era immolato per combatterli, improvvisamente si era ritrovato ad essere lui il lupo e lei l’agnello che cercava di sfuggirgli. I paradossi della vita.
La sentì deglutire rumorosamente, mentre si sedeva con la stessa lentezza con cui l’aveva raggiunto.
 
- Immagino sapessi già che ero io la persona misteriosa- ricominciò a parlare, stavolta intenzionato a fare un discorso più lungo.
- Cosa vuoi da me?!- lo interruppe brutalmente, quasi aggredendolo.
 
Finalmente si era decisa a parlare, anche se non nel più amichevole dei modi.
 
- Calma, non ho alcuna intenzione di farti del male se è questo che pensi- la rassicurò.
- E come faccio a crederti?! Ti sei finto per mesi il vicino di casa cordiale che portava stufati e zuppe, quando in realtà avevi piazzato delle telecamere nascoste e ti divertivi a spiare ogni minimo movimento, come un burattinaio che muove i suoi pupazzetti! Ti sei preso gioco di me! Non ti bastava averlo fatto con mia sorella?!-
 
Quell’ultima frase arrivò come una doccia gelata, accompagnata da un pugno nello stomaco. Si sentiva ancora colpevole, perché colpevole lo era davvero. Immaginava che anche lei la vedesse in questo modo, l’unico modo in cui si poteva vedere quella triste storia. Lui aveva usato Akemi, e lui era responsabile per la sua morte. Anche togliendo l’errore di Camel e il fatto che gli uomini dell’Organizzazione fossero crudeli e spietati di fronte a tutto e tutti, il comune denominatore restava sempre e solo lui. Se lui per primo non riusciva a perdonarselo, come poteva pretendere che lo facesse colei che aveva sofferto più di tutti per quella perdita?
 
- Non posso darti torto- riuscì solo a dire, chiudendo gli occhi.
- Allora cosa vuoi ancora da me?!- continuò ad attaccarlo, senza placare la sua ira.
- Semplicemente darti le spiegazioni che meriti. Ti sei già fatta un quadro della storia, ma ci sono cose che non sai e che è giusto che tu sappia. Non voglio giustificarmi, né tentare di farti cambiare idea sul mio conto: voglio solo dirti come stanno le cose, senza più bugie-
- E perché dovrei crederti?!-
- Perché per la prima volta ti sto mostrando il mio vero volto, non quello di Subaru e nemmeno quello di Dai Moroboshi. Sono Shuichi Akai, un agente dell’FBI- riaprì gli occhi, fissandola.
 
Attese qualche istante, osservando la sua reazione. Per la prima volta da quando aveva messo piede in quel salotto, la vide distendere leggermente i muscoli: un buon segno che denotava la sua predisposizione ad ascoltarlo. Se fosse rimasta anche solo un minuto in più seduta su quel divano, per lui sarebbe stato un traguardo.
 
- Parla!- intimò, quasi ordinandoglielo - Ma vedi di fare presto, non mi va di passare tutto il pomeriggio in tua compagnia!-
- Come desidera, principessa- ironizzò, lasciandosi sfuggire un sorriso.
 
Al contrario di sua sorella, aveva un caratterino poco gestibile. Se fosse vissuta nell’epoca Edo, probabilmente sarebbe stata un valoroso generale, capace di comandare un intero esercito piegandolo al proprio volere.
 
- C’è qualcosa che vorresti chiedermi, prima che parli?- la invitò a soddisfare le proprie curiosità, sempre che ne avesse.
- Sei tu quello che ha voluto vedermi per parlare, perciò non sono io a dover fare domande- sottolineò in tono acido.
- Giusto. Allora posso cominciare-
 
Con un ultimo, lungo respiro, cercò silenziosamente dentro di sé le parole giuste e la forza per pronunciarle.
 
- Parliamo di tua sorella. O meglio, parliamo di come mi sono avvicinato a lei. L’FBI stava facendo ricerche sull’Organizzazione, che in quegli anni era stata attiva anche in America. Durante le ricerche, è emerso che fra di loro c’era una scienziata in gamba e molto stimata, una sorta di tesoro per gli uomini in nero, qualcosa da tenere sotto chiave perché troppo importante per essere lasciato libero. Inutile dire che quella scienziata eri proprio tu-
 
Fece una piccola pausa, guardandola di nuovo negli occhi: la sua espressione era cambiata radicalmente. La rabbia di prima sembrava essersi sciolta come neve al sole, lasciando spazio al desiderio di sapere. Era riuscito a catturare la sua attenzione.
Ormai certo che non se ne sarebbe andata prima di aver saputo anche il resto, riprese a parlare.
 
- Riuscire ad arrivare a te era un traguardo ambito, tu potevi rivelarci i segreti intimi dell’Organizzazione; tuttavia avvicinarsi era quasi impossibile, perché come dicevo prima ti nascondevano come se fossi il loro tesoro. C’era un solo modo per avere contatti diretti con te: tua sorella-
 
La osservò stringere i pugni, mentre deglutiva rumorosamente: ormai doveva essere chiaro anche a lei dove voleva arrivare con quel discorso.
 
- Così mi sono avvicinato a lei con una scusa, sperando che il piano andasse a buon fine. Sono riuscito a guadagnarmi la simpatia di Akemi e di conseguenza anche il privilegio di conoscere te, la famosa scienziata: a quel punto ottenere informazioni segrete era un obiettivo quasi raggiunto. Era come se fossi entrato nel cuore dell’Organizzazione, un punto perfetto dove iniziare a colpirli. Ma qualcosa è andato storto nel piano che avevo pensato nei minimi dettagli…-
- Basta così- lo interruppe, pronunciando quelle due semplici parole quasi sussurrandole.
- Vuoi fare una pausa? Immagino che sia difficile ascoltare e reggere tutte queste cose in un colpo solo, perciò se vuoi possiamo…-
- Ho detto basta così!- lo interruppe di nuovo, stavolta alzando il tono di voce - Non voglio più sentire una sola parola!!!-
 
Parlava a denti stretti, con i pugni serrati così forte da far ingiallire le nocche. Aveva smesso di guardarlo in faccia e dell’interesse che aveva mostrato all’inizio del suo racconto non restava nemmeno l’ombra. La rabbia era tornata, più forte di prima. Non poteva biasimarla, le stava dicendo senza giri di parole che aveva usato lei e sua sorella per i suoi piani, per quanto questi fossero a fin di bene. Tuttavia non poteva permettere che non sentisse il resto di ciò che aveva da dirle, qualcosa di molto più importante di tutto quello che aveva detto fino a quel momento. Era la parte che desiderava sentisse più di ogni altra. Anche se sapeva di non poter ottenere il suo perdono, voleva almeno provare a farle vedere il suo lato buono, quello del quale lei dubitava.
 
- Sei venuta fin qui pur sapendo che non sarebbe stata una chiacchierata piacevole: vuoi davvero andartene adesso? Abbiamo ancora molte cose di cui parlare…- provò a convincerla a restare, senza però farle troppe pressioni.
- TI HO DETTO CHE NON VOGLIO PIÚ STARTI A SENTIRE!!!- urlò, alzando la testa di scatto e fissandolo come si guarda il proprio nemico giurato, quello che si desidera far fuori ad ogni costo.
 
Sgranò gli occhi, sbalordito da tanta veemenza. Sapeva che fosse una ragazza tosta, una che non si lasciava mettere i piedi in testa tanto facilmente, ma non l’aveva mai vista in quello stato. Tremava, forse senza nemmeno rendersene conto, gli occhi arrossati per lo sforzo di contenere la rabbia e probabilmente anche qualche lacrima che non voleva mostrare a lui.
In quel momento realizzò che non c’era più nulla che potesse fare per fermarla, che qualunque cosa avesse detto sarebbe risultata l’ennesima bugia. Ai suoi occhi doveva apparire come il colpevole che cercava di lavarsi la coscienza.
 
- NON MI INTERESSA SE SEI DELL’FBI E SE USI QUESTA SCUSA PER GIUSTIFICARE TUTTO QUELLO CHE FAI, MA QUELLO CHE HAI FATTO A MIA SORELLA NON HA GIUSTIFICAZIONI!!!- si alzò in piedi, continuando ad urlargli in faccia con tutto il fiato che aveva in corpo - MI HAI PRIVATA DELL’UNICO FAMIGLIARE CHE MI RESTAVA E ORA CERCHI DI ABBINDOLARMI CON LE TUE PATETICHE SCUSE?!?!  SAPPI CHE SE VUOI IL MIO PERDONO NON LO AVRAI MAI, CAPITO?! MAI!!!-
 
Si allontanò velocemente verso la porta che conduceva fuori dal salotto, come se volesse scappare il più lontano possibile da lui. Il suo compito era proteggerla, ma in quel momento non si sentiva diverso da quelli che per anni le avevano fatto del male.
Non si mosse dal divano, consapevole che inseguirla non sarebbe servito a nulla, se non a farsi odiare ancora di più, per quanto fosse possibile. Non poteva e non voleva obbligarla a restare se non se la sentiva, anche se questo comportava il lasciarla con un’idea sbagliata di lui.
 
- Non ho mai preteso il tuo perdono, volevo solo chiarire alcune cose- disse semplicemente, senza però avere il coraggio di guardarla negli occhi.
- Sei stato fin troppo chiaro- rispose in modo sprezzante, calmando i toni ma mantenendo una freddezza glaciale nel parlare - Vuoi sapere una cosa? Secondo me hai sbagliato a diventare un agente dell’FBI, dovevi entrare fin da subito a far parte dell’Organizzazione: saresti stato un criminale perfetto-
 
Quelle parole, sparate come un proiettile dalla canna di un fucile, lo colpirono dritto al cuore. Lui, il “Silver Bullet”, era stato centrato in pieno. Senza dire nulla né reagire, incassò anche quell’ennesimo colpo che la vita gli aveva riservato, evitando di mostrare il dolore. Davanti a lei non poteva cadere, doveva mostrarsi forte e determinato, come avrebbe fatto un fratello maggiore con la propria sorellina che stava imparando quanto fosse ingiusta e meschina la vita. Tuttavia, non poteva fermare quel dolore che aveva assalito il suo petto nel sentirsi dire che per lei equivaleva a un criminale. Come poteva proteggerla se pensava questo di lui? Come poteva mantenere la promessa fatta ad Akemi?
Il suono dei suoi passi veloci che si allontanavano così come si erano avvicinati lo riportò alla realtà: se ne stava andando. Inutile correrle dietro e convincerla a restare, inutile volerle far credere di essere buono: in quel momento non era disposta ad ascoltarlo, e forse non lo sarebbe mai stata.
 
- Aspetta Ai!- sentì la voce del giovane detective, rimasto per tutto il tempo lì vicino, seguita dal tonfo dei suoi passi mentre cercava di raggiungerla correndo.
 
Doveva aver sentito tutto e come ogni volta la sua indole lo aveva spinto a cercare un rimedio. A differenza sui, lui non si voleva arrendere al primo ostacolo, forse perché in quella storia ne era uscito come uno dei buoni.
Si alzò dal divano, camminando lentamente verso la porta e uscendo in corridoio, deciso a raggiungerli. Anche se non poteva fare nulla, voleva sperare che Kudo riuscisse a salvare la situazione. Invece quello che sentì fu solo la conferma del fallimento del suo piano.
 
- Non puoi andartene così, dagli la possibilità di finire di spiegarti!- cercò di convincerla a restare.
 
La giovane scienziata non lo degnò nemmeno di uno sguardo, rimase immobile davanti alla porta d’entrata dandogli le spalle. Poteva immaginare che faccia avesse in quel momento, la stessa che aveva usato con lui poco prima.
 
- Tu…-
 
Una sillaba pronunciata piano, ma carica di rabbia, disprezzo e delusione.
 
- Me lo avevi promesso…-
- Eh? Ma di cosa parli?- chiese il ragazzo, non capendo.
- Mi avevi promesso che mi avresti protetta…-
- Guarda che sono rimasto per tutto il tempo in corridoio vicino al salone, proprio come ti avevo promesso!- si giustificò.
- SMETTILA DI FARE IL FINTO TONTO!!!- urlò, finalmente girandosi a guardarlo.
 
Aveva gli occhi pieni di lacrime, alcune delle quali erano già cadute lungo le guance. Davanti a quel ragazzo del quale fino a quel momento si era fidata ciecamente, poteva permettersi di piangere, cosa che non aveva fatto quando erano soli in salotto. Lui era un estraneo, un nemico che non meritava di vedere il suo lato più intimo.
 
- Ai…- riuscì solo a dire il giovane detective.
- SAPEVI TUTTO FIN DALL’INIZIO, SAPEVI CHI ERA QUELL’UOMO E COSA AVEVA FATTO A MIA SORELLA, MA NONOSTANTE CIÒ SEI DIVENTATO IL SUO INSEPARABILE COMPAGNO DI GIOCHI E INSIEME AVETE TRAMATO ALLE MIE SPALLE!!! LO HAI ADDIRITTURA OSPITATO IN CASA TUA, A DUE PASSI DA DOVE VIVO!!! QUESTO SECONDO TE SIGNIFICA PROTEGGERE QUALCUNO?!?! - continuò ad inveirgli contro, incapace di trattenersi.
- Non è come credi…dovresti stare a sentire quello che Akai-san ha da dirti. Non è il mostro che credi tu-
- CERTO, ADESSO PRENDI LE SUE DIFESE!!! LUI Ѐ QUELLO BUONO E IO LA PRINCIPESSA VIZIATA!!! TI RENDI CONTO DI QUELLO CHE HA FATTO?!?! Ѐ COLPA SUA SE MIA SORELLA NON C’Ѐ PIÚ!!!-
- Posso capire come ti senti, ma se ha deciso di parlarti a quattr’occhi vuol dire che è sinceramente pentito e che forse c’è dell’altro dietro l’apparenza…-
- TU CAPISCI COME MI SENTO?!?!- strinse i pugni con forza - HAI PER CASO PERSO L’UNICO MEMBRO DELLA FAMIGLIA CHE TI RESTAVA?!?! SEI SOLO UN RAGAZZINO PRESUNTUOSO CHE GIOCA AL DETECTIVE, TOTALMENTE PRIVO DI TATTO!!! CALPESTI I SENTIMENTI DELLE PERSONE CHE TI SONO VICINE PUR DI ARRIVARE ALLA VERITÀ! SEI UN TRADITORE, PROPRIO COME IL TUO AMICO CHE DIFENDI TANTO!!!-
- Questo non è vero!!!- alzò anche lui il tono della voce, ferito da quell’affermazione.
- Basta, non voglio restare un minuto di più in questa casa!-
 
Si asciugò le lacrime con un gesto di stizza, afferrando la maniglia della porta e spalancandola, pronta a fuggire da quella che era diventata una prigione più che la casa del suo vicino.
 
- Non puoi andartene così, Ai!- la fermò, afferrandola per un braccio.
- LASCIAMI!!!- si divincolò, respingendo con brutale forza la sua mano - E SMETTILA DI CHIAMARMI AI! IL MIO NOME Ѐ SHIHO, CAPITO?!?!-
- Perdonami, è l’abitudine- sospirò - E poi per me sarai sempre Ai- cercò di abbozzare un sorriso, nel tentativo di calmare i toni della conversazione.
- Da questo momento in poi per te non sono più nulla. Non ti azzardare a venire a cercarmi, perché giuro che te la faccio pagare cara!-
 
Prima era toccato a lui, e ora al povero Shinichi. La seconda pallottola era partita dal fucile, l’altro Silver Bullet era stato colpito. Avevano perso la battaglia, su tutti i fronti.
 
- Ma…Ai…- pronunciò quelle sillabe a fatica, incapace di formare una frase si senso compiuto.
 
Non ci fu risposta stavolta, solo il suono della porta che sbatteva chiudendosi, lasciando dietro di sé un campo di battaglia sul quale giacevano due cadaveri.
Accendendosi una sigaretta per scacciare la tensione, raggiunse l’amico, rimasto immobile a fissare la porta. Gli posò una mano sulla spalla: l’unico gesto che poteva fare in quel momento per confortarlo. Aveva appena perso un’amica e la colpa era sua. Per un attimo pensò di avere il potere non solo di allontanare da lui le persone che gli erano care, ma di farle allontanare anche da chi gli stava intorno. Forse aveva ragione lei, non era nato per essere “uno dei buoni”.
 
- Mi spiace, ti ho messo in questa posizione scomoda e ora stai pagando un prezzo alto per aver preso le mie parti. Dovevi negare di sapere, così avrebbe perdonato almeno te-
- Non potevo fingere ancora, non dopo averla attirata qui con l’inganno…-
 
Il suo tono di voce era più basso del solito, privo di quell’entusiasmo che aveva solitamente. Comprendeva come si sentisse, un traditore della peggior specie. Adesso avevano un’altra cosa che li accomunava, anche se non era da ritenersi delle migliori.
 
- Lo capisco, hai fatto anche troppo. Ma almeno tu puoi ancora sperare di ottenere il suo perdono. Vedrai che quando avrà sbollito la rabbia accetterà di chiarirsi con te, sei molto importante per lei- cercò di fargli vedere il bicchiere mezzo pieno.
- Se la conosco bene non mi perdonerà tanto facilmente. Ho tradito la sua fiducia, non ho rispettato la promessa che le avevo fatto- scosse la testa.
- Sì che l’hai rispettata. L’hai sempre protetta, persino oggi. Le avevi promesso che saresti rimasto vicino mentre parlavamo e lo hai fatto, e quando lei è fuggita l’hai inseguita invece che venire da me: questo dimostra che più che me stavi aiutando lei- accennò a un lieve sorriso.
- Il problema è che lei non ha visto questo: il fatto che l’abbia attirata qui con una bugia e che per tutto questo tempo non le abbia mai detto che sapevo cosa era successo con sua sorella, ma nonostante tutto abbia deciso di allearmi con lei, Akai-san, l’ha portata a pensare che stessi difendendo l’assassino dell’unico membro della sua famiglia che le restava. Se solo non fosse così testarda e ascoltasse quello che le persone hanno da dirle…!- si portò una mano alla fronte, continuando a scuotere la testa.
- Non ha tutti i torti in fondo- ammise.
- Eh?!- si girò a guardarlo, incredulo - Che intende dire? Sappiamo bene che lei è sempre stato dalla nostra, e quello che è successo ad Akemi è stata colpa di quella banda di criminali!-
- Loro hanno premuto il grilletto…ma la pistola l’ho caricata io-
 
Il silenzio calò in quella stanza diventata gelida, nonostante la primavera fosse già arrivata. Era difficile trovare ancora parole da dire, entrambi si comprendevano l’un l’altro ma nessuno dei due poteva fare niente per alleviare le pene dell’amico. Consapevoli dei propri errori, l’unica cosa che potevano fare era accettarne le conseguenze.
 
- Domani parlerò con il Dottor Agasa, forse lui riuscirà a farla ragionare- disse infine Shinichi, per dare un ultimo barlume di speranza ad entrambi.
- Pensi che funzionerà?- chiese l’agente dell’FBI, un po’ scettico.
- Non posso garantirglielo, ma è l’unica cosa che possiamo fare adesso. Fare un tentativo non renderà la situazione peggiore di quanto non lo sia già-
- Hai ragione. Spero che almeno per uno dei due le cose si sistemino- sorrise, ricambiato dal giovane investigatore.
 
Non se la sentiva di contraddirlo, perché voleva che Shiho riavesse accanto a sé la persona di cui si fidava più di ogni altra, quella che le aveva fatto ritrovare la voglia di sorridere alla vita. E ovviamente voleva che anche l’amico smettesse di pagare per qualcosa che non aveva fatto. Sapeva benissimo che per lui non c’erano speranze, ma non voleva privare quel giovane che vedeva sempre tutto con ottimismo di tentare il tutto e per tutto. Si meritava il meglio, lui che era il vero Silver Bullet della storia.
 
 
 
………………………….
 
 
 
Aprì la porta di casa con la furia di un ciclone, correndo dentro come se quello fosse l’unico posto in cui poteva trovare rifugio da un mondo che continuava a darle la caccia e voltarle le spalle. Inciampò nel tappeto, cadendo a terra sulle ginocchia. Rimase in quella posizione, ormai a corto di fiato e di forze, con la testa bassa e i pugni stretti. Piangeva, piangeva per liberarsi da quel dolore che le stava facendo esplodere il petto. Il suo corpo scosso dai singulti sembrava quello di un pulcino bagnato che tremava per il freddo.
Si sentiva persa, abbandonata, tradita. Nella sua mente continuava a proiettarsi l’immagine sorridente di sua sorella, che chiamava tante volte il suo nome.
 
- Che cosa succede Ai?!- le corse incontro il Dottor Agasa, preoccupato nel vederla in quello stato.
 
Anche lui non riusciva a chiamarla con il suo vero nome, la forza dell’abitudine lo spingeva a chiamarla con lo pseudonimo che lui stesso le aveva dato. Nonostante ciò, non le aveva mai dato fastidio, perché quel bizzarro scienziato ormai lontano dal fiore degli anni era diventato per lei la cosa più simile a una famiglia. La famiglia che non aveva potuto avere.
Non riuscì a rispondere alla sua domanda, era troppo il dolore per poterlo esprimere a parole. Tutto ciò che riuscì a fare fu aggrapparsi a lui, come se fosse la sua unica ancora di salvezza, sfogando il pianto sul suo petto.
 
- Su, adesso calmati bambina mia- le accarezzò la schiena, nel tentativo di farla smettere.
 
Quelle parole giunsero alle sue orecchie come la più dolce delle melodie. Non aveva mai avuto il privilegio di sentirle dalla bocca del suo vero padre, né da quella di nessun altro. In quel momento pensò che se anche non avesse mai più avuto un amico, non le sarebbe importato poi più di tanto. Le bastava poter restare in quella casa, con l’unica persona che non l’avrebbe mai ingannata. Il resto non contava più.
Restò fra le sue braccia per un tempo indefinito, fino a quando ormai priva di forze e lacrime si lasciò andare ad un sonno profondo.
 
 
ANGOLO DELL’AUTORE
So che è passato un secolo dal precedente capitolo, ma non sono riuscita ad aggiornare prima. Questo capitolo poi è stato più difficile del previsto, in quanto sia Shiho che Shuichi sono personaggi parecchio difficili da mantenere IC! Non volendo farli sembrare quello che non sono, mi sono presa il tempo necessario per scriverci in modo decente, spero di esserci riuscita! ^^
Siete rimasti soddisfatti del dialogo fra i due? Mi avete dimostrato molta aspettativa nel precedente capitolo, perciò spero di non avervi deluso! E per chi se lo stesse chiedendo, Jodie farà la sua comparsa nel prossimo capitolo! ;)
Grazie a tutti quelli che continuano a leggere e recensire questa storia!
Bacioni
Place
 
   
 
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