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Autore: magixludo    16/03/2016    1 recensioni
Quando l'eroina si manifesterà
occhi di gelo e capelli di fiamma avrà

Larissa Seleucida ha diciassette anni, occhi azzurro ghiaccio e non è l'eroina di cui parla la profezia.
La prescelta è Rebecca, la sua migliore amica dai capelli rosso fuoco.
La cosa più saggia da fare ora sarebbe lasciarsi cancellare la memoria, ma Lara non è intenzionata a scordare che la magia esiste davvero e insiste per affiancare Reb nel suo ruolo di ”protettrice dell'equilibrio“. Il mondo che inizia a scoprire è incantato e ogni cosa nuova è uno spettacolo, tuttavia non ammetterebbe mai la vera ragione per cui ha deciso di non dimenticare: se per accompagnare la sua amica d'infanzia, se per scoprire quale elemento è in grado di manipolare oppure per seguire la persona che le ha rubato il cuore.
L'ultima opzione è quella più controversa perché se fosse vera allora dovrebbe capire se il ladro sia il ragazzo dagli occhi verdi o l'uomo dagli occhi azzurri.
Nella scelta tra il bene e il male, segui il cuore o la testa?
*(urban)fantasy*storia presente anche su wattpad con lo stesso titolo*
Genere: Fantasy, Romantico, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Triangolo
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Capitolo 3: Scontri in stazione

 

Al suono dell’ultima campanella ci fiondiamo fuori dall’aula. Il secondo giorno di scuola è appena finito ed è stato peggio del primo: la professoressa di storia ha assegnato altri due paragrafi e ha detto che domani chiamerà qualcuno di noi per interrogarlo – il terzo giorno di scuola! – su quanto studiato fino ad ora, inoltre non si sa ancora niente sul nuovo insegnante di inglese, ma in effetti ammetto che aspettarmi notizie già da ora sia stato esagerato da parte mia.
Mi dirigo in stazione con calma perché dopo quattro ore di lezione non riuscirei neanche a correre per salire al volo sul treno come ho fatto ieri, probabilmente se fossi andata in palestra più spesso come molte mie compagne invece di passare tutti i pomeriggi a leggere ora sarei più atletica, ma in fondo mi va bene anche così.
Devo aspettare cinque minuti che il treno arrivi, quando si ferma noto che i vagoni non sono molto pieni ma i posti a sedere sono quasi tutti occupati: non ce la farei a fare tutto il viaggio in piedi quindi quando le porte si aprono davanti a me, appellandomi a quelle poche energie che ancora mi restano, salto dentro senza esitare. E urto qualcuno.
Se avessi voluto farlo apposta penso proprio che non ci sarei mai riuscita. Io entro nel momento in cui lui scende e ci scambiamo i posti, scontrandoci. In realtà si è trattata semplicemente di un “spalla contro spalla”, nessuno è finito a terra, eppure l’altro non sembra tanto disposto a ignorare l’accaduto.
«Non sai che è buona educazione far scendere prima di salire?» dice gelido spolverandosi il punto della camicia inamidata in cui l’ho urtato, come aveva fatto anche ieri. Tommaso è più alto di me, ma essendo io sugli scalini del treno riusciamo a guardarci negli occhi. Vorrei scusarmi ma vorrei anche sedermi prima che occupino tutti i posti, considero che di certo non sarò il primo giovane a non chiedere scusa per uno scontro e neanche l’ultimo, così gli do le spalle.
Quello che succede poi si svolge nel giro di così pochi attimi che forse non è neanche davvero mai accaduto.
Lui deve essersi sentito ignorato, ferito nell’orgoglio o chissà cos’altro e sbraita: «Chiedi scusa!», mi afferra per un braccio per farmi voltare, io mi giro più per la sorpresa di quel contatto così brusco che perché mi abbia davvero costretta lui, anche perché mi ha lasciata subito dopo avermi toccata. Sconcertata guardo la mano con cui mi ha afferrata e giurerei di vederla fumare: si è bruciato? Ma in un battito di ciglia è il fumo sparito, la sua mano torna normale – ammesso che non lo sia sempre stata –, e lui la infila subito nella tasca del pantalone.
Il treno fischia. Tommaso si allontana dai binari ma continua a tenere gli occhi fissi nei miei, quando mi sono voltata di scatto mi è quasi sembrato di vedere un lampo di sconcerto anche nei suoi occhi – forse si è subito pentito dell’azione improvvisa o forse stava pensando a qualcos’altro che non saprò mai –, ma in ogni caso ora il suo sguardo è di nuovo calmo e calcolatore.
Le porte si chiudono. Solo quando il treno lascia la stazione mi rendo conto che sono rimasta in piedi e che i sedili sono tutti occupati.


Il terzo giorno di scuola sento l’ansia salire mano a mano che la metro si avvicina alla mia destinazione: ieri ho studiato storia tutto il pomeriggio, ma ho comunque paura perché se mi dovesse interrogare questa sarebbe la mia prima interrogazione dell'ultimo anno. In realtà non ho proprio sempre studiato, mi sono anche ritagliata un po’ di tempo per messaggiare online con Rebecca e aggiornarla delle novità, lei mi ha chiesto se avessi rivisto l’affascinante universitario di cui le avevo parlato, non mi sentivo in vena di scriverle tutto l’accaduto, quindi mi sono limitata a dirle che forse lo avevo solo intravisto sul treno affollato. Non mi è sembrata tanto entusiasta della risposta perché dopo un rapido saluto si è subito disconnessa, però è anche probabile che avesse semplicemente da fare.
Salgo le scale per uscire dalla metro e controllo l’orologio per assicurarmi di essere in orario, quando però alzo lo sguardo dal quadrante vedo una cosa che mi fa fermare di colpo: proprio all’uscita, seduto sul muretto c’è Tommaso; ha la sua solita aria da nobiluomo, con il colletto della camicia ben alzato e i pantaloni perfettamente stirati, è un peccato che sia un maleducato. Mi guardo rapidamente intorno cercando una via di fuga o qualcuno a cui chiedere aiuto, ma poi mi rendo conto che siamo alla luce del sole in un posto affollato e sarebbe uno sciocco se provasse a rifare quello che ha tentato ieri, devo solo uscire da qui prima che questo posto si svuoti. Non appena salgo un gradino, lui però scende dal muretto, per un attimo mi illudo che se ne stia andando, ma poi vedo che si guarda intorno e, nel momento in cui i suoi occhi incrociano i miei, si dirige verso di me. Lui scende le scale e io rimango immobile valutando la possibilità di scappare di nuovo dentro, sto per voltarmi ma qualcuno che va di fretta mi urta e io cado… proprio tra le braccia di Tommaso. Lui sembra infastidito e per un attimo credo di vedere nei suoi occhi un lampo di… non so neanche io cosa, però niente di buono. Poi però mi rimette in piedi e torna indietro di un gradino per mettere della distanza tra di noi notando che mi trovo a disagio, poi però sembra cambiare idea e mi oltrepassa per scendere un paio di gradini, cosicché i nostri occhi sono alla stessa altezza.
«Sono spiacente per le mie villane maniere di ieri, spero tu possa concedermi di fare ammenda.»
Quasi non posso credere a quello che sento, un ragazzo che ho urtato un paio di volte ma che praticamente neanche conosco mi ha aspettata per chiedermi scusa, o forse era solo lì ad aspettare qualche suo amico e vedendomi arrivare ha colto l’occasione. Ignorando il modo strano in cui ha formulato la richiesta di perdono mi convinco che il nostro incontro sia solo frutto di una casualità, almeno fino a quando non mi accorgo che mi ha portato anche un “dono di pace”: all’inizio non l’avevo notata, ma quando me la porge capisco che la tavoletta di cioccolata che ha in mano è per me. La prendo in mano e leggendo l’incartamento vedo che è quella che stavo mangiando l’altro giorno e che evidentemente mi deve aver visto comprare mentre andava con il suo amico alla stazione.
«Ma sì certo, scuse accettate» dico con un sorriso. Lui annuisce, poi si volta e riprende a scendere.
«Credevo che la tua università fosse di là» sentendomi parlare si gira verso di me e io gli indico l’uscita alla quale aspettava.
«So perfettamente dove si trova la mia università» risponde saccente e il suo tono mi fa quasi pentire di aver ceduto subito; sono quasi tentata di restituirgli il regalo e mandarlo a quel paese, ma poi mi rendo conto che non ha senso perdere il sonno per riflettere su uno sconosciuto, forse è per questo che quando continua la frase non posso fare a meno di sorprendermi «ma non vedo perché dovrei andarci visto che oggi non ho corsi».
Sbatto le palpebre un paio di volte per metabolizzare quelle parole, lui non vedendomi rispondere riprende la discesa e quando finalmente trovo qualcosa di adeguato da dire è già sparito.
Mi passo una mano tra i capelli e, compiendo il gesto, l’occhio mi cade sull’ora. Inizio a correre per arrivare puntuale; per strada sono quasi tentata di gettare la cioccolata in un cestino – il comandamento dell’infanzia di non accettare caramelle dagli sconosciuti persiste ancora, l’unico motivo per cui prima ho preso la tavoletta è perché già sapevo che non l’avrei mangiata – ma poi mi accorgo che sarebbe uno spreco buttarla quando è ancora incartata, così decido di darla a un mendicante che la possa apprezzare.

  
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