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Autore: Stephanie86    16/03/2016    3 recensioni
Tutti vogliono salvare Emma.
Tutti vogliono trovare un modo per liberarla dall'oscurità prima che la divori.
Ben presto, però, Regina - e gli altri - si rende conto che per raggiungerla e aiutarla avrà bisogno di aiuto. E non di un aiuto qualsiasi.
Lily è sempre stata legata ad Emma, fin dal principio. Ha sempre dovuto lottare contro il potenziale oscuro che gli Azzurri e l'Apprendista hanno trasferito in lei. Cosa accadrà quando la sua oscurità incontrerà quella della nuova Emma? Dove la condurrà il filo rosso che la unisce al nuovo Signore Oscuro?
Regina diventerà davvero la Salvatrice?
[Spoiler! per chi non segue la messa in onda americana | Pairing: principalmente Swan Queen e Swan Star]
Genere: Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, FemSlash | Personaggi: Emma Swan, Lily, Regina Mills, Un po' tutti
Note: What if? | Avvertimenti: Spoiler!, Violenza
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Lost and Found'
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13

 

 

Foresta Incantata. Trecento anni prima.

 

Nell’aria aleggiava l’odore del fumo, della carne e del legno bruciati.

Le fiamme che avevano divorato la foresta si erano spinte fino al villaggio vicino e avevano intaccato le case. Le costruzioni si ripiegavano su se stesse, ad un passo dal crollo. I tetti erano in fiamme. La gente fuggiva in ogni direzione, urlando, in prenda all’orrore e al panico. Per terra giacevano i corpi di persone già morte bruciate. Alcuni uomini si erano rimboccati le maniche e si stavano dando da fare, passandosi secchi colmi d’acqua, che veniva gettata sulle fiamme, nel disperato tentativo di soffocarle.

L’ombra del drago oscurò la luna piena per qualche istante. Poi passò oltre, dirigendosi verso le montagne a nord. Presto il villaggio in fiamme fu lontano miglia e miglia.

Il volo del drago era scoordinato. Mentre planava nel punto in cui si trovava la caverna, le grandi ali membranose urtarono contro i rami alti degli alberi. Dalle narici fuoriuscivano fili di fumo. Il sangue, che scorreva sotto le dure scaglie nere che ne ricoprivano il possente corpo, ribolliva come la fornace che aveva nella pancia e che alimentava continuamente. Dalla bocca sputava ancora lapilli di fuoco. Era fuori controllo.

Atterrò malamente, ribaltandosi su un fianco ed emettendo un basso e cupo ruggito. I pensieri nella sua testa erano oscuri e confusi, si rincorrevano l’un l’altro. Il potere, la forza, l’energia che aveva provato in volo erano stati inebrianti e ancora impedivano alla creatura di ritrovare il nesso con il mondo che la circondava.

Entrò nella caverna. Quello era il luogo in cui era nata, quello in cui sua madre aveva costruito il proprio nido, vegliando e proteggendo l’uovo. La sua mente era riuscita a metterlo a fuoco in mezzo a tutta quella distruzione. Un lampo di lucidità. Un’immagine sfocata, ma riconoscibile nel fuoco.

Pian piano il suo cuore si calmò. I muscoli tesi si rilassarono nella frescura e nell’ombra della caverna. Infine una densa nuvola viola avvolse il drago, ricoprendolo interamente.

Malefica piantò lo scettro nelle pietre della caverna e si tirò su. Ciocche di capelli biondi le scivolarono sul viso. Alzò la testa e gli occhi celesti perlustrarono l’antro buio in cui si era rifugiata.

Le immagini del villaggio distrutto e della foresta in fiamme tornarono a galla lentamente.

Si sentiva ancora stordita. Sua madre le aveva detto che la prima volta un mutaforma come loro era sempre fuori controllo. Se non veniva guidato, rischiava di perdere la testa.

Ma sua madre era morta da tempo, uccisa durante uno scontro con un altro drago, e Malefica era stata costretta a fuggire dal proprio castello. Il re aveva ordinato di uccidere la figlia della mutaforma, poiché la madre aveva portato solo caos e terrorizzato a lungo il suo regno. Non aveva intenzione di permettere alla figlia di fare lo stesso. Malefica non era ancora in grado di trasformarsi né sapeva usare bene la magia, allora. Di conseguenza, quando gli uomini del re erano venuti a cercarla, aveva preso l’unica cosa che le restava di sua madre, lo scettro nero con la sfera magica in cima, sorretta dalla schiena di un drago, ed era scappata.

In un punto in fondo alla caverna, alcune pietre erano state disposte in circolo. Laggiù sua madre aveva deposto l’uovo di drago.

Il villaggio. Le fiamme. La foresta che bruciava. Le urla.

Le urla.

Malefica si gettò a terra vicino al nido, il respiro affannoso e la mente sconvolta dal ricordo di ciò aveva appena distrutto. Mise da parte lo scettro e allungò una mano nella cavità in cui un tempo c’era stata anche lei chiusa nel suo uovo. Trovò quasi subito ciò che stava cercando.

Il sonaglio che portava sempre con sé quando era solo una bambina. Era come il suo scettro, solo molto più piccolo. Là, Malefica si accucciò, raccogliendosi su se stessa in modo da raggomitolarsi sempre più, quasi volesse sparire.

Scosse debolmente il sonaglio ed esso crepitò.

 

***

 

Storybrooke. Oggi.

 

Quando Zelena cominciò ad urlare come un’ossessa e a battere i pugni contro la porta della sua cella, l’infermiera che le portava sempre il pranzo e la cena levò gli occhi al cielo, ma non mosse un dito. Seguitò a passare lo spazzolone sul pavimento lucido del corridoio. Non aveva la minima intenzione di lasciarsi raggirare di nuovo da quella strega maledetta. Il sindaco non gliel’avrebbe fatta passare liscia.

La guardia di turno sollevò la testa dalla rivista che stava leggendo.

Tuttavia, l’infermiera pensò anche che, se Zelena aveva davvero qualche problema serio, il sindaco non gliel’avrebbe perdonata comunque. In più, i pazienti nelle altre stanze stavano iniziando ad innervosirsi. Quindi posò lo spazzolone contro il muro e si incamminò verso la cella. Aprì la finestrella e sbirciò all’interno.

Zelena si gettò di nuovo contro la porta, gridando e chiamando aiuto. La sua faccia era rossa e deformata dal dolore.

- Si allontani dalla porta! – le intimò l’infermiera.

La strega fece qualche passo indietro. Teneva una mano sul ventre, mentre con l’altra annaspava per trovare un appiglio.

L’infermiera vide. Sgranò gli occhi e poi si precipitò verso la guardiola, dove la guardia aveva ripreso a leggere. – Chiama il sindaco! Subito!

- Che sta succedendo?

- Chiamala e basta!

Lo fece e Regina Mills arrivò in clinica non più di cinque minuti dopo, accompagnata da Robin Hood. L’infermiera la condusse subito presso la cella.

- Facciamo attenzione. Potrebbe essere un altro dei suoi tranelli. – disse Regina.

- È stata la prima cosa a cui ho pensato. Ma è necessario che lo vediate con i vostri occhi.

Spalancò la porta e Zelena arrancò fino all’ingresso.

Questo non è proprio possibile, pensò Regina. Sapeva che il mondo era già precipitato in un gorgo di assurdità. Ma quel gorgo ora stava diventando pura follia. Stava diventando un abisso senza fondo. Una voragine piena di incubi. Questo... no. Non è possibile.

La pancia di Zelena era cresciuta. Era una donna in procinto di partorire.

- Non state lì a guardarmi, idioti, aiutatemi! – gridò la strega, piegandosi in due, in preda ai dolori.

- Ma che diavolo è successo? – domandò Robin, attonito.

- Cosa credi che sia successo? Magia nera! – Zelena strisciò fuori dalla cella.

- Magia nera... di chi?! – Nel momento esatto in cui Regina fece la domanda, capì. Non avrebbe nemmeno dovuto porla.

Emma.

 

 
Non appena l’ambulanza si fermò davanti all’ospedale, due paramedici scaricarono Zelena e la piazzarono su una sedia a rotelle.

- Cerca soltanto di respirare. – le disse Robin, mentre si dirigevano verso la sala parto.

- Oh, taci! Pensi di potermi dare dei consigli?! – strillò Zelena.

- Perché Emma sta facendo tutto questo? – chiese Regina.

- Non ne ho idea! – rispose sua sorella, rabbiosamente.

- Sei sicura che fosse Emma?

- E tu sei sicura di non esserti bevuta il cervello?! Certo che era Emma! E se dovesse offrirti degli anelli di cipolla... beh, non mangiarli! – Urlò di nuovo, in balia dell’ennesima contrazione.

Emma aveva accelerato la gravidanza di sua sorella. Ciò significava che voleva il bambino. L’ultima volta che un bambino era stato rapito, l’aveva preso proprio Zelena per portare a termine il suo piano: aprire il portale che l’avrebbe condotta nel passato.

Maledizione, che diavolo stai facendo, Emma?

Distesero Zelena su un lettino e Whale arrivò con tutta la calma del mondo.

- C’è bisogno di un dottore? – domandò.

- C’è un bambino furibondo dentro di me. Fate qualcosa! Tiratelo fuori! – La voce di Zelena era talmente acuta da spaccare i vetri. A Regina stava venendo una potente emicrania.

- Oh, se non ricordo male... l’ultima volta che ho fatto nascere un bambino, tu l’hai rapito. – le ricordò Whale, infilandosi un paio di guanti di lattice. – Ma quando tocca alla ladra di bambini partorire... è molto più divertente, non trovate?

Nessuno parlò.

Whale allungò una mano verso Zelena. – Dottor Whale.

- Abbiamo proprio bisogno di un nuovo dottore. – commentò Regina. E poi, come se fosse importante: - Che cos’hai fatto ai capelli?

- Quindi se Emma cambia acconciatura va bene, ma se io mi tingo i capelli sono ridicolo? Dai, so che in fondo ti piace. – Whale aveva i capelli corti e biondo platino.

- Smettetela! – gridò Zelena. – Ma perché non ti ho ucciso l’ultima volta?

- Mi hai scaraventato contro un muro. Direi che è sufficiente. E oggi non succederà. – rispose il medico.

Zelena gli riservò una smorfia disgustata.

- Va bene. Mettiamoci al lavoro. – concluse Whale.

In quel momento Belle e Mary Margaret si precipitarono nella stanza, trafelate. Belle reggeva un libro di magia.

- State pronti! Dobbiamo proteggere il bambino da Emma! – esordì Mary Margaret.

- Lei è qui? – chiese Robin.

- Non ancora, ma arriverà. – Belle aprì il libro, perché tutti potessero vedere. – Henry ha trovato l’incantesimo per distruggere la magia bianca nel libro di Merlino.

- E quello che le serve per farlo è...

- Il pianto di un neonato. – concluse Regina.

- Non le permetterò di prendere questo bambino. – affermò Robin.

- Regina. – Zelena sollevò il braccio al quale era agganciato il bracciale che inibiva i suoi poteri. La sua voce ora suonava supplichevole. – Toglimi questo affare. Così sarò in grado di proteggere mio figlio. Ti prego!

- No. – ribatté Regina. – Non mi fido di te, Zelena. Ci penserò io a proteggere il bambino.

Zelena strillò, indignata.

Una densa nuvola viola apparve nella stanza e tutti si tirarono indietro. Malefica non aveva un’aria felice.

- Malefica, meno male che sei qui. Abbiamo bisogno di aiuto. – disse Regina.

- Non ho tempo per aiutare... streghe a cui si sono rotte le acque. – rispose Malefica, guardando appena Zelena.

- Dov’è Lily? – chiese Regina.

- Tu la vedi? – rispose seccamente Malefica. – L’ho cercata ovunque. Non risponde al telefono. Mi resta soltanto un posto in cui controllare.

- È venuta al negozio di Tremo, meno di un’ora fa. – disse Belle. – Stava cercando Emma. Ha parlato di un... un legame fra lei e l’Oscuro. Qualcosa che...

- Che le permette di vedere attraverso gli occhi di Emma, sì. È proprio quello che ci preoccupa di più. – disse Mary Margaret.

- Ti ha detto qualcos’altro? – chiese Malefica.

- No. – rispose Belle. – Voleva che Tremo le spiegasse come controllare questo potere, ma Tremo sostiene... che le serva tempo per imparare.

- Devo trovarla prima che lo faccia Emma. – replicò Malefica, risoluta. Aveva gli occhi accesi come tizzoni ardenti.

Regina la prese per un braccio e la condusse in corridoio. – Non andare a casa di Emma. Potrebbe essere rischioso. Le manca solo un ingrediente per distruggere la magia bianca. Il bambino di Zelena.

- Cercherà di prendersi il bambino?

- Sì. Quindi verrà qui. Vorrei aiutarti... ma non posso muovermi, per quanto la situazione sia assurda. Non posso permettere che Emma prenda quel bambino.

- Ed io non posso permettere che mia figlia sia presente quando Emma diventerà l’Oscuro più potente che sia esistito.

Regina l’afferrò più saldamente. – Emma non intende fare del male a Lily. È l’ultima persona a cui farebbe del male.

- Credi che questo mi basti? È mia figlia. – C’era una sfumatura di affanno nella voce di Malefica. La sfumatura di chi sta già correndo verso un obiettivo e non intende distogliere l’attenzione da esso solo perché è insidioso.

Regina vide il fuoco colmarle lo sguardo come una marea. - Ed Emma è l’Oscuro.

- Sarà anche più potente di me, ma io sono più vecchia. E posso ancora essere una ragazzaccia. Darò il peggio di me.

- Puoi fare attenzione mentre dai il peggio di te, almeno? – chiese Regina.

Malefica strinse una mano di Regina tra le sue. – Non posso garantirtelo. Mi dispiace.

 

***

 

Camelot. Due settimane prima della maledizione.

 

Emma aveva appoggiato il cofanetto con la fiamma di Prometeo sul bordo del pozzo, davanti al Granny’s. Osservava la scintilla. La scintilla che presto sarebbe stata una vera fiamma e l’avrebbe liberata.

Gli altri erano all’interno della tavola calda. Killian stava facendo un resoconto ad Henry su come Artù e Zelena erano stati sconfitti nella Foresta Caledoniana. Belle era ricomparsa, ma non aveva detto una parola su Merida o su quello che era accaduto da quando era sparita. Merlino era privo di forze. Azzurro avrebbe voluto andare in perlustrazione, per assicurarsi che nei boschi non ci fosse nessuno, ma il mago Knubbin l’aveva fermato.

- Trovo sia rischioso. Lasciate che ci pensi io.

- Voi? Intendente andare a perlustrare il bosco? – aveva chiesto Regina, scettica.

- Non io. Il mio corvo lo farà. Heathcliff non è un corvo come gli altri ed io e lui abbiamo... un legame, ecco. Un legame che mi permette di vedere tutto ciò che vede lui. Andrà in perlustrazione per noi. Se ci fosse qualcuno, un corvo non desterebbe poi tanti sospetti. Del resto, chi si aspetterebbe che un corvo sia così... dotato. – Knubbin aveva posato un dito sulla testa di Heathcliff.

Così il corvo aveva fatto ciò che il padrone aveva chiesto ed era tornato poco dopo. Knubbin aveva tirato su un secchio d’acqua dal pozzo e l’aveva usato per vedere ciò che aveva visto il suo uccello domestico. Niente. Nel bosco non c’era nessuno.

Emma non si era unita agli altri in tutto questo. Aveva preferito riflettere in pace.

- Serve una luce? – domandò Regina, avvicinandosi al pozzo, con cautela, come se temesse di disturbarla.

- Regina. – disse semplicemente Emma.

- Pensavo ti servisse un’amica.

“L’ombra è già sopra di noi. Io non sono ancora morta, fanciulla”.

“Io ci sarò quando avrai bisogno di me. Sarò... esattamente qui!”

In realtà non sapeva di cosa avesse bisogno. Però la voce di Regina era in qualche modo rassicurante. Le sembrava la voce... giusta.

- Si sta prendendo gioco di me. Mi ha detto che non ce l’avrei fatta perché non sono pronta ad abbandonare l’oscurità. – disse Emma.

- E lo sei? – domandò Regina.

- Regina...

- Ehi. – Sorrise. – Nessuno conosce il fascino dell’oscurità meglio di me.

Oh, adesso anche lei lo conosceva, invece. La sensazione che guardare nell’abisso, giù fino in fondo fosse veramente necessario.

- Puoi mentire ai tuoi genitori e puoi mentire a te stessa. – riprese Regina. – Ma non puoi mentire a me.

- Non lo so. – Emma si decise a rispondere alla domanda precedente.

- Ti fa stare bene, vero? Appagare ogni impulso, esercitare un grande potere... fare tutto ciò che vuoi.

Ecco. Già. Regina le leggeva dentro meglio degli altri.

- Sì – ammise Emma. – Sì, è così. È sbagliato?

- Certo che lo è. – Regina avrebbe avuto molte cose da dire ad Emma. Molte cose da raccontarle su quanto fosse sbagliato e su quanto fosse normale sentirsi attratti dall’oscurità. Anni e anni di storie terribili. Tuttavia doveva mitigare i possibili danni. Doveva far breccia nell’incertezza di Emma. Non poteva permettersi di perderla. Non potevano permetterselo. – Ma è anche umano. Emma, io ti conosco...

No, Regina, non è vero. Tu conosci la Salvatrice, pensò Emma. Tu non sai cosa sono capace di fare. Tu non sai che volevo strappare il cuore di una tredicenne e che ho sfruttato il dolore di Lily per ottenere quella lacrima. Non sai come l’ho ottenuta.

“Io non sono ancora morta, fanciulla”.

- Ci è voluto del tempo, ma ormai... ti conosco davvero. – continuò Regina. - Non sei come me. Com’ero io, intendo. Se ti stai aggrappando all’oscurità... hai certamente le tue ragioni. Non si tratta solo di una tentazione. Di che si tratta?

- C’è una profezia, Regina.

- Un’altra?

- Non è colpa mia. Nimue me ne ha parlato. E anche Merlino, ma lui non è stato molto chiaro. C’è... un’ombra.

Regina ricordò qualcosa che aveva già sentito. - L’ombra. Ne ha parlato anche Artù. Aveva molta paura di quella profezia. Merlino ha detto che riguarda Lily. Che lei... distruggerà Camelot.

- La profezia riguarda me. E anche Lily, sì. È possibile che lo faremo insieme.

- Come fate sempre tutto.

Emma le lanciò un’occhiataccia.

- Mi dispiace... – si corresse subito Regina, scostandosi una ciocca di capelli scuri dal viso. Il cuore le batteva all’impazzata. E nemmeno lei aveva idea del perché. - Ma questa profezia che cosa c’entra con il tuo... problema? Dovrebbe spingerti a rinunciare all’oscurità! Se tu rinunci... Lily non fare niente di male a nessuno. Tua madre aveva ragione quando diceva che vi influenzate a vicenda.

- Mia madre era disposta a lasciarla morire!

- Emma, il punto adesso è che... proprio per questo devi rinunciare. Perché non lo fai? Che cosa ti blocca?

- Non lo so.

- C’è una differenza tra il non sapere qualcosa e non volerlo ammettere! Questi muri che hai costruito... – Regina ripiegò la manica dell’abito rosso, un gesto apparentemente casuale. – Bisogna abbatterli.

Prima che Emma potesse rendersi conto di ciò che stava per fare, Regina afferrò il pugnale posato sul pozzo vicino alla fiamma.

- Che stai facendo? – gridò, incredula.

- Ti aiuto ad abbatterli. – Regina puntò il pugnale contro di lei. – Come amica... io ti comando, Oscuro, di dirmi perché non vuoi liberarti dell’oscurità.

Emma non tentò nemmeno di resistere. Sarebbe stato inutile. – Senza l’oscurità non sarò in grado di proteggere la mia famiglia.

- C’è un altro muro, Emma. – disse Regina.

La sua voce suonava ipnotica. I suoi occhi nocciola erano fissi nei suoi ed erano risucchianti. Emma non aveva mai visto occhi simili. In quel momento era sicura che quegli occhi non potessero esistere. Le parvero potenti quanto quelli di Nimue.

- Ora... la verità. Dimmela. – le ordinò.

- Questa è la verità, Regina. Ti prego.

- No! Non lo è, Emma. – Quella stessa voce si incrinò. Suonò più angosciata. – Devi essere coraggiosa e abbattere i muri dietro ai quali ti stai nascondendo. Forza, Emma! Puoi farcela. Dimmi di che cosa hai paura!

Lily arrivò prima di tutti gli altri. Prima degli Azzurri, di Uncino e di sua madre. Arrivò di corsa e si gettò letteralmente contro Regina. Caddero tutte e due. Lily acchiappò il polso di Regina e la costrinse ad aprire le dita strette sull’elsa del pugnale.

- Lily, che stai facendo? Sei impazzita? – gridò Malefica.

Lily si scrollò di dosso sua madre e prese il pugnale. – Stava facendo del male ad Emma!

David afferrò la ragazza e la allontanò da Regina, che si rialzò in piedi, spolverandosi l’abito rosso.

- Non stavo facendo del male a nessuno. – rispose lei. – Stavo provando ad ottenere qualche risposta.

- Controllandola? – domandò Uncino. Tolse il pugnale dalle mani di Lily. – Scordatevelo, Maestà.

- Sì, la stava controllando. E questo significa farle del male. Lo sa molto bene. – disse Lily. Guardò Emma, ma lei voltò le spalle a tutti e se ne andò, portandosi via la fiamma. Lily guardò anche Uncino. Era un bene che le avesse tolto il pugnale... non appena aveva serrato l’elsa di quell’arma il palmo aveva iniziato a formicolare. Le aveva spedito una fitta lungo il braccio.

- Volevo aiutarla! – ribatté Regina. – Non è colpa mia se è doloroso.

Lily le scoccò una delle sue occhiate di fuoco, poi seguì Emma ovunque fosse andata.

- Lily, aspetta! – esclamò Malefica.

Ovviamente lei non ascoltò.

 

***

 

Foresta Incantata. Trecento anni prima.

 

Il re mise una taglia sulla testa della mutaforma.

Due giorni dopo la comparsa del drago che aveva distrutto il villaggio e parte della foresta, il sovrano, parlando dal balcone del suo palazzo alla folla che ascoltava con i nasi all’insù, dichiarò che non avrebbe accettato che un simile essere terrorizzasse le sue terre. Era un uomo dotato di un portamento e di una voce sicura. Era alto e robusto, non più nel fiore degli anni, ma fisicamente forte.

“Già sua madre portò la morte. Non siamo riusciti a trovare la figlia, una volta. Ma adesso... dobbiamo fermare il mostro. Dobbiamo estirpare il male”.

La gente mormorò.

“L’uomo che ucciderà il drago sarà da me ricompensato come merita. E gli garantirò la mia protezione per sempre. Lo stesso varrà per la sua famiglia, se ne ha una”.

Malefica, camuffata da un incantesimo, uno dei pochi che aveva imparato grazie a sua madre, ascoltò il discorso. Poi tornò alla caverna. Non sarebbe scappata. Avrebbe atteso l’arrivo degli uomini del re, invece.

Era stata costretta ad abbandonare il castello perché non era in grado di difendersi. Ora si sarebbe difesa. Non voleva uccidere quella gente. Non voleva fare del male a nessuno. Non era stata capace di controllare la sua trasformazione, i suoi istinti, la furia che le aveva incendiato il sangue non appena aveva assunto la sua forma più temibile. Aveva solo spalancato le ali e aveva spiccato il volo, lanciandosi verso il cielo. Perché era quello che desiderava fare e quel desiderio era stato troppo forte per lei. Sognava le persone che aveva bruciato. Sognava l’odore acre del fumo e dei corpi in fiamme. Sognava uomini con facce avvolte dal fuoco, con i capelli trasformati in roghi ardenti... bambini che chiamavano le madri. Sognava le grida...

Tre uomini del re trovarono la caverna diversi giorni dopo. Il gruppetto era guidato da un cavaliere dai tratti duri, con una folta barba castana e gli occhi piccoli e neri. La sua torcia illuminò le pareti di roccia e il soffitto altissimo del covo del drago. Aveva già sguainato la spada, così come il suo compare, mentre il terzo aveva estratto una freccia dalla faretra e l’aveva incoccata.

C’era silenzio.

“Mutaforma”, disse l’uomo con la spada. “So che ci sei. Ho visto le tue orme là fuori”.

La caverna non rimandò nessuna risposta.

“Il villaggio che hai bruciato era il mio villaggio. Quella era la mia gente”.

Un’ombra si stagliò contro le rocce e l’arciere scoccò la sua freccia. Il dardo sibilò, creando una strana eco nello spazio chiuso. Non trovò alcun bersaglio da colpire, se non le pietre.

“Tre uomini da soli nella caverna abitata da un drago”, disse Malefica, ad un certo punto. La sua voce sembrava giungere da ogni parte, da più direzioni contemporaneamente. “Quanto coraggio”.

“Non siamo soli. Ci sono altri uomini nella foresta”, disse il cavaliere.

“Mentite e siete patetico”, rispose Malefica.

“Patetici sono i tuoi tentativi di giocare con noi, mutaforma”.

“Il mio nome è Malefica. Ma non conosco il vostro”.

“Il nome ti si addice”. Il cavaliere venne avanti. Consegnò la torcia al compagno con la spada. La rabbia gli deformava i lineamenti. Ciocche di capelli scuri ricaddero sulla sua fronte alta. “Io sono Heathcliff. E tu, mostro, hai assassinato mio padre. È bruciato vivo in quel villaggio!”

“Non era mia intenzione uccidere vostro padre. Né intendevo bruciare quel villaggio”. La voce di Malefica risuonò più alta e decisa. “Non sapevo ciò che stavo facendo”.

“Perché non esci allo scoperto? Mostrati. Visto che ti senti così innocente...”

“Nessuno qui dentro lo è”.

Il barbaglio della sfera in cima allo scettro costrinse l’arciere a scoccare un’altra freccia. Le dita di Malefica l’afferrarono prima che la punta potesse trafiggerla. Dopodiché uscì dall’ombra e si portò la freccia sotto il naso.

“Veleno”, disse, gettandola via. “Dovrete fare di meglio”.

Il terzo uomo armato di spada restava qualche passo indietro, paonazzo, gli occhi sgranati sotto le folte sopracciglia nere.

Heathcliff la scrutò. “Dunque è questo il volto della mutaforma”.

“Non sono ciò che ti aspettavi?”, domandò Malefica, avanzando di un paio di passi.

“Il male è ingannevole. Si nasconde dietro un aspetto giovane e apparentemente innocente. Il male ti inganna. È così che vince”. Heathcliff si spostò verso di lei, lentamente. I suoi compagni restarono indietro. “Ma io non mi lascio ingannare. Non ti serviranno né le suppliche né le scuse. Sappiamo che il tuo cuore è nero quanto quello di Balerion”.

Balerion era un drago che aveva abitato quelle terre centinaia di anni prima. Un drago enorme, con le scaglie nere ravvivate da sfumature sanguigne, gli occhi simili ad ardenti pozze rosse. Il suo nome compariva in molte leggende. Lo chiamavano il Terrore Nero.

Malefica sorrise amaramente. “Tu non conosci i draghi, cavaliere”.

“L’unico drago che ho visto ha distrutto la mia casa. Mi basta”. Fu molto rapido quando si scagliò contro di lei, menando un poderoso fendente.

La lama tagliò solo l’aria. Malefica riapparve accanto a lui. Heathcliff accompagnò il successivo affondo con un grido feroce. Di nuovo, la sua spada non incontrò alcun bersaglio. L’arciere scoccò l’ennesima freccia quando Malefica ricomparve. Lei puntò lo scettro e dalla sfera esplose un fascio di magia che polverizzò il dardo e colpì al petto l’arciere. Aveva passato giorni a ricordare quello che le aveva insegnato sua madre, per quanto fosse poco. Aveva passato giorni in quella caverna ad allenarsi per imparare a controllare i suoi poteri e la sua trasformazione.

Alimentare la magia pensando ad un momento che la faceva infuriare. Incanalarla pensando a qualcosa che la rendeva felice. Aveva diversi ricordi felici di sua madre, ma quello che preferiva era lei che mutava in drago e la invitava a salire sulla sua groppa. Il suo primo volo aggrappata alla schiena di sua madre. La prima volta che aveva visto il castello e il resto della valle dall’alto.

L’uomo colpito dalla sua magia lanciò un urlo stridulo e fu sospinto violentemente contro le rocce. Poi una fitta rete di rovi spuntò dalle pietre della caverna e avvolse l’arciere, impedendogli qualsiasi movimento, graffiandolo e ferendolo in più punti.

Il terzo uomo se la diede a gambe.

“Ottima scelta”, mormorò Malefica.

Heathcliff approfittò del momento di distrazione per infilarsi una mano nella tasca della giubba. Ne estrasse un sacchetto e ne gettò il contenuto addosso a Malefica. “Le frecce avvelenate non sono le uniche armi che abbiamo, maledetta”.

Era polvere di papavero. Certamente mescolata a qualche altro ingrediente magico, perché si espanse come una nuvola e si sparse sui capelli biondi e sull’abito blu. Malefica si portò un braccio davanti al viso. La polvere era stordente. Lasciò cadere lo scettro, mentre indietreggiava e barcollava per poi cadere in ginocchio. Il mondo intorno a lei si offuscò ed Heathcliff non fu altro che una macchia confusa, indistinta, che avanzava con la spada in pugno.

“La ricompensa mi farà comodo. Ma questo... è per mio padre”, disse.

Malefica mise a fuoco qualcosa vicino ai piedi di Heathcliff. Il sonaglio era rotolato sulle pietre. Lui lo calpestò con lo stivale ed esso si ruppe in due pezzi.

A quel punto Malefica gridò. Il suo grido risuonò ed echeggiò lacerante attraverso quella caverna. Gli occhi che da celesti diventavano dorati, la faccia livida e i capelli che le ricadevano sul viso, Malefica gridava ed era come un ruggito.

Heathcliff vacillò, colto alla sprovvista. Per un momento fissò lo sguardo giallo della mutaforma ed ebbe paura. Un terrore viscerale che lo paralizzò, con la spada sollevata e la mascella serrata in quel ringhio animalesco. Malefica afferrò lo scettro, nonostante lo stordimento dovuto alla polvere riuscì a controllare il suo potere e spedì un fascio di magia anche contro il cavaliere tanto desideroso di ucciderla. Heathcliff cadde all’indietro, a pochi passi dalla parete di roccia. Perse la spada. Si guardò intorno instupidito, come se non potesse credere a ciò che era appena accaduto. Poi lo scettro di Malefica lo colpì in piena faccia ed Heathcliff urlò. Il sangue prese a scorrergli sul volto. Lui strisciò verso l’uscita della caverna, ma Malefica sollevò una mano e lo inchiodò a terra, sovrastandolo.

“Il gioco è finito”, disse lei. La sfera brillava, sinistra.

“E dunque uccidimi, mostro”, rispose Heathcliff, rabbioso. “Uccidimi. Che aspetti?”

Malefica puntò lo scettro in modo che fosse all’altezza del suo cuore. “No. Perché ucciderti, quando esistono altre punizioni molto più affascinanti?”

L’uomo non credeva alla sue orecchie. La fissò con gli occhi fuori dalle orbite.

“Ti piace volare?”, continuò Malefica. “Tu non sei un drago. Ma forse puoi essere qualcos’altro. Qualcosa di più... piccolo”.

“Che... che vuoi fare...?”, balbettò Heathcliff.

“Da questo non potrai tornare indietro”. Malefica agitò una mano sulla sfera ed essa si accese di una luce viola che divenne sempre più abbagliante. “Sappi che ho apprezzato il coraggio”.

“No...”

La magia uscì dalla sfera e avvolse il corpo di Heathcliff come un bozzolo. Si chiuse completamente su di lui, una massa nerastra e densa che pian piano rimpicciolì e poi si ruppe in mille frammenti, che si sparsero ovunque. I frammenti evaporano.

Il corvo si levò in volo. Sulle prime non riuscì a trovare la via d’uscita e sbatté furiosamente le ali, aggirandosi per la caverna, disorientato. Disegnò ampi cerchi in aria, gracchiando senza sosta. Infine si lanciò fuori.

Malefica sorrise. Alzò una mano e l’arciere incatenato alla roccia e circondato dai rovi si trasformò in un mucchietto di polvere.

Dopo, quando la caverna fu di nuovo immersa nel silenzio, Malefica vibrò un colpo al suolo con l’estremità del suo scettro. Una nube l’abbracciò e crebbe, raggiungendo il soffitto. Il drago emerse da essa, gli occhi accesi come quelli di Balerion, il Terrore Nero. Emise un potente ruggito e imboccò l’uscita. Infine spalancò le grandi ali membranose, sollevandosi da terra.

Puntò più a nord, dove si trovava il suo castello, che sorgeva su un’altura, a strapiombo sulla valle.

 

***

 

Storybrooke. Oggi.

 

Zelena diede alla luce una bambina, dopo un ultimo, lungo e lacerante urlo che minacciò di distruggere i timpani delle persone presenti in sala parto. Regina si domandò come fosse possibile che avesse ancora tutto quel fiato e tutta quella voce.

Che cosa ci faccio io qui, infine?, continuava a chiedersi.

Mary Margaret le aveva detto che quella era la cosa giusta da fare. Aiutare sua sorella, proteggere la bambina era giusto.

Quando la situazione si calmò, Regina si diresse verso la stanza in cui Zelena era stata sistemata.

Che cosa ci faccio io qui, infine?, tornò a domandarsi.

E si ripeté che era lì perché ad Emma mancava un ingrediente per concludere il suo incantesimo. L’ingrediente era la figlia di Zelena.

- Ehi... – disse, aprendo la porta della camera. Si sforzò di sorridere, mentre metteva dentro la testa. Si sforzò di apparire contenta. In realtà avvertì il disagio e l’imbarazzo piombarle addosso, pesanti come macigni.

E non c’erano solo disagio ed imbarazzo. C’era molto di più sotto la superficie.

Che cosa ci faccio io qui, infine?

Robin teneva la sua bambina tra le braccia, un esserino innocente e fragile avvolto in una coperta rosa. Era radioso, non poteva nascondere la sua felicità. E guardando il viso della neonata, Regina non poté fare a meno di pensare a quanto fosse bella, a quando fosse perfetta.

Vedendo la coperta, a Regina sovvenne un’altra immagine, del tutto inaspettata. Pensò alla coperta di Emma, quella bianca con il suo nome in viola impresso sulla lana. Ricordava chiaramente di averla usata per dirigere il portale nel luogo in cui si trovava la nuova Oscura, poi... poi che cosa ne aveva fatto? L’aveva restituita a Mary Margaret? L’aveva data ad Emma? L’aveva persa a Camelot? Una memoria perduta, come tutte le altre. Una memoria che in quel momento le parve estremamente importante. Quella coperta era fondamentale per Emma. L’adorava. Ripensò anche a se stessa nell’appartamento di lei, la coperta tra le mani, il dito indice che sfiorava le lettere viola...

- Regina... – disse Robin, continuando a cullare la piccola. Whale, con quei suoi capelli orribili, era dietro di lui e occhieggiava la scena. – Ho una figlia.

- È meravigliosa. – rispose, avvicinandosi.

La bambina mosse i piccoli pugni sotto la coperta.

Regina si mantenne sorridente, ma sentiva qualcosa premere sotto la superficie.

- Guarda chi è verde d’invidia, adesso. – commentò Zelena.

Incapace di trovare una risposta adeguata, lei ammutolì. Quella maledetta sembrava leggerle nel pensiero.

Che cosa ci faccio io qui, infine?

Nemmeno Robin disse nulla, ma non ebbe neanche il tempo di pensare.

- Guarda un po’ chi risplende. – disse l’Oscura, comparendo nella stanza, con la stessa espressione di chi aveva trovato ciò che stava cercando e non vedeva l’ora di prenderselo. Scaraventò Whale contro la parete con un rapido gesto della mano.

Robin estrasse la spada. – Non ti permetterò di prendere questa bambina.

- Non senza combattere. – aggiunse Regina, allungando un braccio davanti alla figlia di Robin.

Emma non batté ciglio. Anzi, parve più divertita che mai. Squadrò Regina. – Sarebbe un vero problema se fosse qui per la bambina.

...se fossi qui per la bambina.

Regina fu troppo lenta nel realizzare di essere stata ingannata nuovamente.

Emma svanì in una nuvola grigia, portandosi dietro Zelena.

 

 
Ricomparve nei sotterranei della sua casa, dove fino a pochi giorni prima c’era Excalibur nella sua roccia. Trascinò la strega con sé e creò alcune robuste catene con un semplice incantesimo. I pesanti bracciali di ferro collegati alla parete di roccia si chiusero intorno alle sue caviglie.

- Tu sei pazza. – commentò Zelena, furibonda e dando uno strattone alle catene.

- Non sono l’unica. – Gli occhi di Emma fissarono il vuoto per alcuni istanti.

Zelena ebbe l’impressione di vederli cambiare colore. Nel frattempo si guardò attorno. Ovviamente non c’erano vie d’uscita possibili per lei. C’era, però, un tavolaccio in legno, sopra il quale erano state sistemate boccette e ampolle di vario genere. Un grosso libro era aperto e sulle pagine ingiallite erano posate due paia di forbici.

- Vuoi prenderti la mia magia? – domandò.

Emma stava ancora fissando il vuoto, ma le rispose. – Lo scoprirai presto.

La lasciò nei sotterranei ad imprecare e a lottare contro le catene, mentre lei saliva al piano superiore e attraversava la cucina e il soggiorno. Aprì la porta sulla notte ventosa e trovò Lily seduta sui gradini davanti a casa. Era lì da un bel pezzo, i gomiti appoggiati alle ginocchia, lo sguardo scuro fisso sugli stivali. Giocherellava con la sua collana.

Si alzò di scatto non appena udì la porta aprirsi.

- Lily. – disse Emma. – Non dovresti essere qui.

- Ma non mi dire... – fu la sua risposta. Sollevò un sopracciglio.

- Entra e seguimi.

Cazzo, pensò Lily, stupefatta. Eppure non era solo stupefatta. Si sentiva anche... esaltata. Stava per accadere qualcosa lì. Era evidente.

Emma la condusse verso la porta malandata chiusa con un chiavistello, quella che conduceva nei sotterranei. L’aprì con i suoi poteri e iniziò a scendere le scale.

- Hai pure portato l’amichetta! – esclamò Zelena, non appena rivide Emma. – Prima mi proponi un accordo, poi acceleri la mia gravidanza, mi separi da mia figlia e mi incateni in questo posto! E poi dicono che io sono perfida!

- Zelena? – domandò Lily, fermandosi di colpo. Osservò le ampolle sul tavolo, il libro aperto e le catene.

Un cellulare cominciò a squillare.

- Non rispondere. – ordinò Emma a Lily. – È tua madre. Ti sta cercando.

- Certo che mi sta cercando! Me ne sono andata senza dire niente a nessuno.

- Non può avvicinarsi alla casa. È protetta dall’incantesimo ed entra solo chi ha il mio permesso.

- Non c’era bisogno di ricordarmelo! – rispose Lily, seccata. – Che succede qui? A che ti serve Zelena? Cos’hai fatto alla bambina?

- La bambina è sana e salva. – Emma aveva assunto un’espressione inquietante. La sua pelle pareva ancora più bianca e tirata. Gli occhi ancora più verdi. Le labbra terribilmente rosse. – E al contrario di ciò che pensa questa strega, non sono qui per distruggere la magia bianca. Voglio distruggere l’oscurità.

- Come? – chiese Zelena.

- In che modo? – domandò Lily.

- L’oscurità... è dentro di me. Sta prendendo il sopravvento. Ormai mi resta poco tempo. – spiegò, fissando Lily.

- Perciò... non c’era nessun segreto. Nessun fallimento. Stai facendo tutto questo... per salvarti? – Non credeva alle sue orecchie. Doveva essere precipitata nel grande gorgo di assurdità. Forse non aveva nemmeno toccato il fondo. Ma stava per arrivarci.

- Oh, ti assicuro che hanno fallito. – ribadì Emma, con durezza. – Ma se adesso siamo qui è solo per risolvere questa questione.

- Ed ecco che entro in gioco io. – concluse Zelena.

- Certo! – gridò Emma. – L’oscurità deve trovare un contenitore. E quel contenitore sei tu!

- Aspetta un secondo. – la interruppe Lily. – Tu vuoi... usare la strega per distruggere l’oscurità? Come farai? Che cos’hai in mente?

- Farò ciò che è necessario, Lily. – Allungò le mani, appoggiandogliele sul collo. Come se volesse ottenere tutta la sua attenzione. – La ucciderò usando Excalibur.

- Per questo hai accelerato la mia gravidanza! – disse Zelena, con una smorfia di disprezzo.

- Oh, sì! La tua bambina non ha nulla a che vedere con questo. È innocente. – Continuava a trattenere Lily. – Ci sono dei limiti...

- Limiti? – Lily strinse i polsi di Emma. – Emma, stai per andare ben oltre il limite. Uccidere Zelena non è forse oltrepassare il limite?

- Ha ucciso Neal. Ha ucciso Marian. – declamò Emma. – Ha assunto le sue sembianze, prendendosi Robin. Ha fatto di tutto per cercare di distruggerci. Di distruggere Regina.

- Oh, povera la mia sorellina! Torniamo sempre a lei, vero?

Emma non le badò. – Riesci a capirlo?

Vi fu una lunga pausa. Ebbe la netta impressione di sentire la presenza di Emma nella testa. Una strana sensazione solleticante, come piedi scalzi così lievi da sfiorare appena il terreno. Solleticante, certo, ma non sgradevole. Avrebbe dovuto sottrarsi. Avrebbe dovuto sottrarsi all’idea di essere nel posto giusto. Doveva sottrarsi e non pensare a quanto le sembrasse normale essere lì, a quanto le sembrasse la cosa migliore... aiutare Emma, restarle accanto.

- Sì... – mormorò Lily. – So che cos’ha fatto, Zelena. Io stessa ho cercato di darle fuoco! Ma sai che cosa significa questo, Emma? Che farai esattamente ciò che hanno fatto i tuoi genitori! Non pensavo che fossi così simile a loro.

Era chiaro che intendeva ferirla, arrivare in fondo. Emma non si lasciò distrarre. I suoi occhi lampeggiarono, rabbiosi. – Tutto questo non ha niente a che vedere con i miei genitori! Loro hanno portato via una bambina, l’hanno rapita, l’hanno maledetta... perché non accettavano l’idea di avere una figlia corrotta dall’oscurità. Loro volevano... una figlia perfetta! Hanno preso una creatura innocente! Io avrei potuto prendere la bambina di Zelena... sarebbe stata un ottimo contenitore, sai?

Lily aprì la bocca, per dire chissà che cosa, che comunque non disse. Rimase fulminata. Quella non poteva essere Emma. Quello sguardo... il verde si era esteso a dismisura. Il verde degli occhi aveva inondato la sclera, coprendo il bianco. Durò un istante, ma era sicura di non esserselo immaginato. Era...

Nimue?

- Ma ho preso Zelena! – continuò Emma, con più calma. – Ho preso Zelena, perché lei non è affatto innocente. Lei conosce già l’oscurità. Non ha mai desiderato pentirsi. Non ci ha mai nemmeno provato. Ed io... lo sto facendo per salvarmi!

- Ci deve essere un altro modo! Peggiorerai solo le cose. È un omicidio a sangue freddo!

- Ti preoccupi dell’omicidio? Non ho più tempo, Lily. Non esiste un’altra soluzione. Come te lo devo dire? Tra poco... tra poco l’oscurità sarà troppo potente. Credi che non desideri prendere quella spada e distruggere la magia bianca? Credi che non voglia oltrepassare quel... quel limite? Lo vedo, Lily. Lo vedo, il limite.

Lily tacque.

- Io desidero quel potere. – continuò Emma. – Tra non molto... non potrò più resistere. E diventerò l’Oscuro più potente che sia mai esistito.

- Potremmo aiutarti. – propose Lily. Non aveva possibilità di convincerla e lo sapeva, ma doveva tentare. Doveva continuare a provarci. – Ci sono delle persone... che vogliono aiutarti. Io...

- Quelle persone avrebbero dovuto pensarci settimane fa, invece di tradirmi! – Emma le voltò le spalle. Alzò la testa di scatto. Si mise in ascolto. – Tua madre è qui...

- Non può entrare...

- No. E tu non puoi uscire.

- Che cosa?

- La protezione intorno alla casa è stata rafforzata. Nessuno entra se io non voglio... e nessuno esce.

- Quindi hai intenzione di incatenarmi come hai fatto con lei? – Indicò Zelena, che non aveva più detto niente, però seguitava ad armeggiare con le catene.

- Non ne ho bisogno. – Emma passò una mano sul viso di Lily. Gliela mise sugli occhi, come se glieli volesse chiudere, invitandola a dormire.

Un’esplosione rossonera nella testa di Lily. Infine, il buio.

 

 
- Lily!

Giunta alla casa dell’Oscuro, Malefica aveva preso a guardarsi intorno, ad esaminare la situazione. Il luogo era protetto e la magia era antica, molto potente. Possibile che arrivasse da uno dei libri dello stregone. I contorni della dimora dell’Oscuro erano distorti, sbiadivano come se i muri fossero sul punto di svanire. Come se ciò che vedeva appartenesse in realtà ad un’altra dimensione.  

Tutto era buio e immerso nel silenzio. Non sembrava esserci traccia di Emma o di Lily. Eppure era sicura che fossero lì entrambe. Era sicura che stesse per capitare qualcosa.

Sul retro c’era una rimessa. Un vecchio edificio bianco. Anch’esso protetto dalla magia. Era certamente il posto in cui Emma Swan teneva gli acchiappasogni. Lily l’aveva visto in sogno... non in sogno, in quella visione. Quando aveva guardato attraverso gli occhi di Emma.

- Lily!

Non ottenne risposta.

“... Fallirai. Proprio come hai fallito con Rosaspina”.

Ho fallito con Rosaspina. Ho fallito con Lily e ho permesso che me la portassero via. Sono stata sconfitta dalla Salvatrice. Non succederà un’altra volta. Non perderò mia figlia un’altra volta!

 

***

 

Foresta Incantata. Duecento anni prima.

 

“Sire”, disse Turchina, inchinandosi rispettosamente davanti al sovrano e a sua moglie. “Vi ringraziamo per questo invito”.

“Sono io che ringrazio voi per essere venute”, rispose il re, sorridendo. Risplendeva nel suo abito blu e oro, che gli conferiva un’aria ancora più elegante. I capelli biondi erano corti, ma folti, pettinati all’indietro. Gli occhi erano azzurri. Un azzurro vivido, gioioso. C’erano piccole rughe ai lati dello sguardo e della bocca. Sua moglie era minuta, con un viso dolce e una corona di fiori posata sui capelli intrecciati. “Le fate sono benevole e propizie per una neonata. Benvenute”.

La sala del trono, in cui si celebrava la nascita della prima figlia del re, era piena di gente. Nell’aria aleggiava la musica delle arpe e il profumo intenso dei fiori colorati sistemati sulle balconate. Dalla finestre penetrava la luce intensa del sole. I servitori si davano da fare con gli ospiti, offrendo loro cibo, acqua, sidro e vino in gran quantità.

Turchina si avvicinò alla culla. La bambina, paffuta e rosea, guardò la fata con occhi grandi, azzurri come quelli del padre. Allungò le mani e accennò un sorriso. “Qual è il nome della bambina? E qual è il vostro desiderio per lei?”

“Rosaspina”, rispose la regina.

Turchina ritrasse la mano come se si fosse appena scottata. Era stata strappata dalla contemplazione della bambina da una nuova, inattesa percezione, una cosa in agguato ai margini della sua consapevolezza.

“Che cosa succede?”, domandò la regina, notando la sua espressione.

Un possente ruggito interruppe tutto quanto. La musica cessò di colpo, terminando con un’ultima nota stridente e fastidiosa. Alcuni servitori rovesciarono i vassoi. Gli invitati si fermarono, sollevando le teste o spalancando gli occhi. Il re portò una mano all’elsa della sua spada, mentre le fate si giravano tutte verso la grande porta che dava accesso alla sala.

I battenti si aprirono con violenza e una lunga ombra si estese sul pavimento lucido e cosparso di petali di rosa.

“Scusate il ritardo”.

Gli ospiti indietreggiarono tutti insieme, come un’unica grande onda. Si udirono grida di spavento. Il re estrasse la spada.

Malefica attraversò l’ala centrale, portandosi al centro della sala. Indossava un lungo abito nero e un copricapo che culminava con due corna. Il nero metteva ancora più in risalto in grandi occhi celesti. Si appoggiò al suo scettro, guardandosi intorno, valutando l’ambiente, esaminandolo senza mostrare interesse per niente.

“Fuori dal mio castello, strega!”, gridò il re, avanzando di qualche passo.

La bambina nella culla cominciò a piangere.

“Mi dispiace interrompere i vostri... festeggiamenti”, disse Malefica. “Ma avrei anch’io un dono per la neonata”.

“Non accettiamo doni dall’essere che ha terrorizzato questo regno per cento anni!”.

“Come siete indisponente”. Malefica raggiunse i gradini che conducevano allo spiazzo rialzato in cui si trovavano i due troni e la culla. Lanciò un’occhiata di sbieco alla bambina, che seguitava a piangere. La regina si spostò per fare da scudo alla figlia. “Questa bambina... sarà certamente amata da tutti. E come si potrebbe non amarla? Guardatela”.

“Ti ordino di andartene”, disse il re, puntando la spada. La punta della lama sfiorò il petto di Malefica.

Lei non si scostò. Allargò le braccia come se volesse abbracciare l’intera sala. Scintille viola scaturirono dalla sfera sulla sommità dello scettro. Le scintille illuminarono il volto del re, baluginarono sulla lama, decorarono l’abito bianco della regina, che si schermò gli occhi con una mano. “Oh, sì, la bambina sarà amata da tutti. Ma prima che il sole tramonti sul suo sedicesimo compleanno... si pungerà con un fuso e morirà!”

La sala si riempì di nuovo di grida.

Furente, il re si avventò su Malefica, ma lei disparve in una nube viola. Rimase solo un suono, una risata acuta e sguaiata, che gli gelò il sangue nelle vene. Le luci dei candelabri si spensero. Qualcosa si rovesciò con fracasso. Molti invitati scapparono a gambe levate. Alcuni caddero e vennero travolti dai fuggitivi.

Fu molto difficile contenere il caos creato da quell’apparizione. Il re ordinò alle guardie di formare un cordone intorno al castello, mentre un altro gruppo sarebbe uscito a caccia della mutaforma.

“Sire...” iniziò Turchina.

Il re lasciò cadere la spada e cascò pesantemente sul suo trono, con gli occhi sbarrati.

“Voi sapevate...”, mormorò la regina, mentre stringeva Rosaspina tra le braccia. Il pianto della bambina si era ridotto a dei singhiozzi soffocati.

“Conoscevo la profezia. Me la rivelò la mia regina, Titania, molto tempo fa. Ma non immaginavo che si trattasse... di vostra figlia. Fino a quando non ho saputo il suo nome”, rispose Turchina.

“Mia figlia... morirà?”, chiese il re, ancora accasciato e paonazzo.

“No. Rosaspina non morirà. La profezia parla di un sonno simile alla morte...  destinato a durare cento anni. Anche Malefica conosce la profezia. E sa che non vincerà”.

“Come sarebbe a dire?”

“Malefica è destinata a subire tre sconfitte”, disse Turchina, in tono grave. “Sarà sconfitta da una rosa, da una maledizione che colpirà ciò che ama di più... e da una spada. La rosa... è vostra figlia”. Si interruppe qualche istante. Le altre fate erano tutte strette l’una contro l’altra, dietro di lei.

“Aiutatemi”, mormorò il sovrano. “Aiutatemi. Devo impedire che questo accada. Voglio... voglio... proteggere mia figlia. Come posso farlo? Ci deve essere un modo...”

“C’è un posto... nella foresta. Lontano da qui”, rispose Turchina, dopo aver riflettuto per qualche momento. “Un posto dove possiamo nascondere la bambina fino a quando non compirà sedici anni e un giorno. Tre fate la proteggeranno. Le sceglierò io”.

 

***

 

Camelot. Due settimane prima della maledizione.

 

Lily ed Emma tornarono, ma nessuna delle due disse niente. Mary Margaret non tentò nemmeno di avvicinarsi ad Emma, ma rimase in disparte con David. Una volta sconfitta l’oscurità, avrebbero avuto il tempo di parlarne. Forse lei le avrebbe dato la possibilità di spiegarsi.

Ma spiegare cosa? Stavi lasciando morire la sua unica amica, disse una vocina nella sua mente. Ed era una voce fredda e decisa, una voce inquietante. E lo rifaresti.

Lily, dal canto suo, andò a mettersi in un angolo.

Malefica la fissò, ma la ragazza non ricambiò lo sguardo.

- Non preoccuparti. – disse Regina. - Le passerà.

- Mi dispiace per quello che è successo. – disse Malefica, guardandola con tristezza.

Regina incrociò le braccia al petto. – Diciamo che posso capirla. In parte. Ammetto di essere stata un po’ rude con Emma. Ma era necessario.

- Già. Almeno tu sei stata in grado di fare qualcosa. Io invece non mi sono mai sentita così debole. – Abbassò lo sguardo. Vide i propri pugni contratti e li riaprì. – Nemmeno quando quei due idioti di Stefano e Rosaspina mi hanno sconfitta.

- Beh, direi che hai un aspetto migliore rispetto al giorno in cui ci siamo conosciute. – osservò Regina, sorridendole per rassicurarla. - Tu non sei affatto debole, Malefica. Sei... una madre. Hai appena ritrovato tua figlia ed ora è lei la cosa più importante per te.

Avrebbe voluto aggiungere altro, ma Emma estrasse Excalibur e l’appoggiò sul tavolo, accanto al pugnale.

- Che momento affascinante! – commentò Knubbin. – Non avrei mai pensato di potervi assistere... sono più emozionato del giorno in cui ho conosciuto il mio maestro! E vi assicuro che non è poca cosa.

Il corvo si alzò in volo, innervosito dalla vicinanza dell’Oscuro. Passò sopra la testa di Malefica, allungando le zampe come per artigliarle i capelli. Lei lo scacciò e l’uccello andò a posarsi sulla spalla di Henry.

- Gli piaci. – disse Knubbin, divertito dalla sua espressione perplessa. - E ad Heathcliff piacciono poche persone. Ritieniti fortunato.

Merlino si fece avanti. – Sei pronta?

- Sì. – disse Emma. Scoccò un’occhiata a Regina, che sentì qualcosa sciogliersi nel suo petto. Quell’occhiata le diceva che non vi era alcun risentimento. Niente che doveva rimproverarsi.

- È il momento, allora. Distruggiamo l’oscurità. Una volta per tutte. – Aprì il cofanetto contenente la fiamma, che risplendette, gialla e arancione, come un tizzone ardente.

“Io... non sono ancora morta, fanciulla”.

Emma ignorò le voci. Ignorò tutto quanto. Usò i suoi poteri per maneggiare la fiamma, per controllarla, racchiuderla tra le sue mani e trasformarla in una vera luce, una luce che si librò in aria, in attesa.

Regina era fiera di ciò che stava vedendo. Il peggio era passato. Era sicura che, dopo quell’incantesimo, Merlino avesse in mente qualcos’altro. Non era ancora finita. Ma era pur sempre un grande passo verso la fine di quella storia.

Emma immerse le due lame nella luce e le congiunse.

 

_______________

 

 

Angolo autrice:

 

Salve  ^_^

Allora, qualche precisazione: questo capitolo, inizialmente, era un tutt’uno con il capitolo successivo, il quattordicesimo. Il risultato finale era un capitolo lunghissimo, con una marea di informazioni, quindi ho optato per una divisione. La divisione in sé non mi convince, devo ammetterlo, ma la considero necessaria.

La storia di Malefica riprende la versione narrata dai Grimm, con qualche aggiunta personale.

Balerion è un drago nominato ne Le Cronache del Ghiaccio e del Fuoco.

E niente. Grazie per essere arrivati fino in fondo.


   
 
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