13
Foresta
Incantata. Trecento anni prima.
Nell’aria
aleggiava l’odore del fumo, della carne e del legno bruciati.
Le
fiamme che avevano divorato la foresta si erano spinte fino al
villaggio vicino
e avevano intaccato le case. Le costruzioni si ripiegavano su se
stesse, ad un
passo dal crollo. I tetti erano in fiamme. La gente fuggiva in ogni
direzione,
urlando, in prenda all’orrore e al panico. Per terra
giacevano i corpi di persone
già morte bruciate. Alcuni uomini si erano rimboccati le
maniche e si stavano
dando da fare, passandosi secchi colmi d’acqua, che veniva
gettata sulle
fiamme, nel disperato tentativo di soffocarle.
L’ombra
del drago oscurò la luna piena per qualche istante. Poi
passò oltre,
dirigendosi verso le montagne a nord. Presto il villaggio in fiamme fu
lontano
miglia e miglia.
Il
volo del drago era scoordinato. Mentre planava nel punto in cui si
trovava la
caverna, le grandi ali membranose urtarono contro i rami alti degli
alberi.
Dalle narici fuoriuscivano fili di fumo. Il sangue, che scorreva sotto
le dure
scaglie nere che ne ricoprivano il possente corpo, ribolliva come la
fornace
che aveva nella pancia e che alimentava continuamente. Dalla bocca
sputava
ancora lapilli di fuoco. Era fuori controllo.
Atterrò
malamente, ribaltandosi su un fianco ed emettendo un basso e cupo
ruggito. I
pensieri nella sua testa erano oscuri e confusi, si rincorrevano
l’un l’altro.
Il potere, la forza, l’energia che aveva provato in volo
erano stati inebrianti
e ancora impedivano alla creatura di ritrovare il nesso con il mondo
che la
circondava.
Entrò
nella caverna. Quello era il luogo in cui era nata, quello in cui sua
madre
aveva costruito il proprio nido, vegliando e proteggendo
l’uovo. La sua mente
era riuscita a metterlo a fuoco in mezzo a tutta quella distruzione. Un
lampo
di lucidità. Un’immagine sfocata, ma riconoscibile
nel fuoco.
Pian
piano il suo cuore si calmò. I muscoli tesi si rilassarono
nella frescura e
nell’ombra della caverna. Infine una densa nuvola viola
avvolse il drago,
ricoprendolo interamente.
Malefica
piantò lo scettro nelle pietre della caverna e si
tirò su. Ciocche di capelli
biondi le scivolarono sul viso. Alzò la testa e gli occhi
celesti perlustrarono
l’antro buio in cui si era rifugiata.
Le
immagini del villaggio distrutto e della foresta in fiamme tornarono a
galla
lentamente.
Si
sentiva ancora stordita. Sua madre le aveva detto che la prima volta un
mutaforma come loro era sempre fuori controllo. Se non veniva guidato,
rischiava di perdere la testa.
Ma
sua madre era morta da tempo, uccisa durante uno scontro con un altro
drago, e
Malefica era stata costretta a fuggire dal proprio castello. Il re
aveva
ordinato di uccidere la figlia della mutaforma, poiché la
madre aveva portato
solo caos e terrorizzato a lungo il suo regno. Non aveva intenzione di
permettere alla figlia di fare lo stesso. Malefica non era ancora in
grado di
trasformarsi né sapeva usare bene la magia, allora. Di
conseguenza, quando gli
uomini del re erano venuti a cercarla, aveva preso l’unica
cosa che le restava
di sua madre, lo scettro nero con la sfera magica in cima, sorretta
dalla
schiena di un drago, ed era scappata.
In
un punto in fondo alla caverna, alcune pietre erano state disposte in
circolo. Laggiù
sua madre aveva deposto l’uovo di drago.
Il
villaggio. Le fiamme. La foresta che bruciava. Le urla.
Le
urla.
Malefica
si gettò a terra vicino al nido, il respiro affannoso e la
mente sconvolta dal
ricordo di ciò aveva appena distrutto. Mise da parte lo
scettro e allungò una
mano nella cavità in cui un tempo c’era stata
anche lei chiusa nel suo uovo.
Trovò quasi subito ciò che stava cercando.
Il
sonaglio che portava sempre con sé quando era solo una
bambina. Era come il suo
scettro, solo molto più piccolo. Là, Malefica si
accucciò, raccogliendosi su se
stessa in modo da raggomitolarsi sempre più, quasi volesse
sparire.
Scosse
debolmente il sonaglio ed esso crepitò.
***
Storybrooke.
Oggi.
Quando
Zelena cominciò ad urlare
come un’ossessa e a battere i pugni contro la porta della sua
cella,
l’infermiera che le portava sempre il pranzo e la cena
levò gli occhi al cielo,
ma non mosse un dito. Seguitò a passare lo spazzolone sul
pavimento lucido del
corridoio. Non aveva la minima intenzione di lasciarsi raggirare di
nuovo da
quella strega maledetta. Il sindaco non gliel’avrebbe fatta
passare liscia.
La
guardia di turno sollevò la
testa dalla rivista che stava leggendo.
Tuttavia,
l’infermiera pensò anche
che, se Zelena aveva davvero qualche problema serio, il sindaco non
gliel’avrebbe perdonata comunque. In più, i
pazienti nelle altre stanze stavano
iniziando ad innervosirsi. Quindi posò lo spazzolone contro
il muro e si
incamminò verso la cella. Aprì la finestrella e
sbirciò all’interno.
Zelena
si gettò di nuovo contro la
porta, gridando e chiamando aiuto. La sua faccia era rossa e deformata
dal
dolore.
-
Si allontani dalla porta! – le
intimò l’infermiera.
La
strega fece qualche passo
indietro. Teneva una mano sul ventre, mentre con l’altra
annaspava per trovare
un appiglio.
L’infermiera
vide. Sgranò gli occhi
e poi si precipitò verso la guardiola, dove la guardia aveva
ripreso a leggere.
– Chiama il sindaco! Subito!
-
Che sta succedendo?
-
Chiamala e basta!
Lo
fece e Regina Mills arrivò in
clinica non più di cinque minuti dopo, accompagnata da Robin
Hood. L’infermiera
la condusse subito presso la cella.
-
Facciamo attenzione. Potrebbe
essere un altro dei suoi tranelli. – disse Regina.
-
È stata la prima cosa a cui ho
pensato. Ma è necessario che lo vediate con i vostri occhi.
Spalancò
la porta e Zelena arrancò
fino all’ingresso.
Questo
non è proprio possibile, pensò
Regina. Sapeva che il mondo
era già precipitato in un gorgo di assurdità. Ma
quel gorgo ora stava
diventando pura follia. Stava diventando un abisso senza fondo. Una
voragine
piena di incubi. Questo... no. Non
è
possibile.
La
pancia di Zelena era cresciuta.
Era una donna in procinto di partorire.
-
Non state lì a guardarmi, idioti,
aiutatemi! – gridò la strega, piegandosi in due,
in preda ai dolori.
-
Ma che diavolo è successo? –
domandò Robin, attonito.
-
Cosa credi che sia successo?
Magia nera! – Zelena strisciò fuori dalla cella.
-
Magia nera... di chi?! – Nel
momento esatto in cui Regina fece la domanda, capì. Non
avrebbe nemmeno dovuto
porla.
Emma.
Non appena l’ambulanza si fermò
davanti all’ospedale, due paramedici scaricarono Zelena e la
piazzarono su una
sedia a rotelle.
-
Cerca soltanto di respirare. – le
disse Robin, mentre si dirigevano verso la sala parto.
-
Oh, taci! Pensi di potermi dare
dei consigli?! – strillò Zelena.
-
Perché Emma sta facendo tutto questo?
– chiese Regina.
-
Non ne ho idea! – rispose sua
sorella, rabbiosamente.
-
Sei sicura che fosse Emma?
-
E tu sei sicura di non esserti
bevuta il cervello?! Certo che era Emma! E se dovesse offrirti degli
anelli di
cipolla... beh, non mangiarli! – Urlò di nuovo, in
balia dell’ennesima
contrazione.
Emma
aveva accelerato la gravidanza
di sua sorella. Ciò significava che voleva il bambino.
L’ultima volta che un
bambino era stato rapito, l’aveva preso proprio Zelena per
portare a termine il
suo piano: aprire il portale che l’avrebbe condotta nel
passato.
Maledizione,
che diavolo stai facendo, Emma?
Distesero
Zelena su un lettino e
Whale arrivò con tutta la calma del mondo.
-
C’è bisogno di un dottore? –
domandò.
-
C’è un bambino furibondo dentro
di me. Fate qualcosa! Tiratelo fuori! – La voce di Zelena era
talmente acuta da
spaccare i vetri. A Regina stava venendo una potente emicrania.
-
Oh, se non ricordo male...
l’ultima volta che ho fatto nascere un bambino, tu
l’hai rapito. – le ricordò
Whale, infilandosi un paio di guanti di lattice. – Ma quando
tocca alla ladra
di bambini partorire... è molto più divertente,
non trovate?
Nessuno
parlò.
Whale
allungò una mano verso
Zelena. – Dottor Whale.
-
Abbiamo proprio bisogno di un
nuovo dottore. – commentò Regina. E poi, come se
fosse importante: - Che
cos’hai fatto ai capelli?
-
Quindi se Emma cambia
acconciatura va bene, ma se io mi tingo i capelli sono ridicolo? Dai,
so che in
fondo ti piace. – Whale aveva i capelli corti e biondo
platino.
-
Smettetela! – gridò Zelena. – Ma
perché non ti ho ucciso l’ultima volta?
-
Mi hai scaraventato contro un
muro. Direi che è sufficiente. E oggi non
succederà. – rispose il medico.
Zelena
gli riservò una smorfia
disgustata.
-
Va bene. Mettiamoci al lavoro. –
concluse Whale.
In
quel momento Belle e Mary
Margaret si precipitarono nella stanza, trafelate. Belle reggeva un
libro di
magia.
-
State pronti! Dobbiamo proteggere
il bambino da Emma! – esordì Mary Margaret.
-
Lei è qui? – chiese Robin.
-
Non ancora, ma arriverà. – Belle
aprì il libro, perché tutti potessero vedere.
– Henry ha trovato l’incantesimo
per distruggere la magia bianca nel libro di Merlino.
-
E quello che le serve per farlo
è...
-
Il pianto di un neonato. –
concluse Regina.
-
Non le permetterò di prendere
questo bambino. – affermò Robin.
-
Regina. – Zelena sollevò il
braccio al quale era agganciato il bracciale che inibiva i suoi poteri.
La sua
voce ora suonava supplichevole. – Toglimi questo affare.
Così sarò in grado di
proteggere mio figlio. Ti prego!
-
No. – ribatté Regina. – Non mi
fido di te, Zelena. Ci penserò io a proteggere il bambino.
Zelena
strillò, indignata.
Una
densa nuvola viola apparve
nella stanza e tutti si tirarono indietro. Malefica non aveva
un’aria felice.
-
Malefica, meno male che sei qui.
Abbiamo bisogno di aiuto. – disse Regina.
-
Non ho tempo per aiutare...
streghe a cui si sono rotte le acque. – rispose Malefica,
guardando appena
Zelena.
-
Dov’è Lily? – chiese Regina.
-
Tu la vedi? – rispose seccamente
Malefica. – L’ho cercata ovunque. Non risponde al
telefono. Mi resta soltanto
un posto in cui controllare.
-
È venuta al negozio di Tremo,
meno di un’ora fa. – disse Belle. – Stava
cercando Emma. Ha parlato di un... un
legame fra lei e l’Oscuro. Qualcosa che...
-
Che le permette di vedere
attraverso gli occhi di Emma, sì. È proprio
quello che ci preoccupa di più. –
disse Mary Margaret.
-
Ti ha detto qualcos’altro? –
chiese Malefica.
-
No. – rispose Belle. – Voleva che
Tremo le spiegasse come controllare questo potere, ma Tremo sostiene...
che le
serva tempo per imparare.
-
Devo trovarla prima che lo faccia
Emma. – replicò Malefica, risoluta. Aveva gli
occhi accesi come tizzoni
ardenti.
Regina
la prese per un braccio e la
condusse in corridoio. – Non andare a casa di Emma. Potrebbe
essere rischioso.
Le manca solo un ingrediente per distruggere la magia bianca. Il
bambino di
Zelena.
-
Cercherà di prendersi il bambino?
-
Sì. Quindi verrà qui. Vorrei
aiutarti... ma non posso muovermi, per quanto la situazione sia
assurda. Non posso
permettere che Emma prenda quel bambino.
-
Ed io non posso permettere che
mia figlia sia presente quando Emma diventerà
l’Oscuro più potente che sia
esistito.
Regina
l’afferrò più saldamente. –
Emma non intende fare del male a Lily. È l’ultima
persona a cui farebbe del
male.
-
Credi che questo mi basti? È mia
figlia. – C’era una sfumatura di affanno nella voce
di Malefica. La sfumatura
di chi sta già correndo verso un obiettivo e non intende
distogliere
l’attenzione da esso solo perché è
insidioso.
Regina
vide il fuoco colmarle lo
sguardo come una marea. - Ed Emma è l’Oscuro.
-
Sarà anche più potente di me, ma
io sono più vecchia. E posso ancora essere una ragazzaccia.
Darò il peggio di
me.
-
Puoi fare attenzione mentre dai
il peggio di te, almeno? – chiese Regina.
Malefica
strinse una mano di Regina
tra le sue. – Non posso garantirtelo. Mi dispiace.
***
Camelot.
Due settimane prima della maledizione.
Emma
aveva appoggiato il cofanetto
con la fiamma di Prometeo sul bordo del pozzo, davanti al
Granny’s. Osservava
la scintilla. La scintilla che presto sarebbe stata una vera fiamma e
l’avrebbe
liberata.
Gli
altri erano all’interno della
tavola calda. Killian stava facendo un resoconto ad Henry su come
Artù e Zelena
erano stati sconfitti nella Foresta Caledoniana. Belle era ricomparsa,
ma non
aveva detto una parola su Merida o su quello che era accaduto da quando
era sparita.
Merlino era privo di forze. Azzurro avrebbe voluto andare in
perlustrazione,
per assicurarsi che nei boschi non ci fosse nessuno, ma il mago Knubbin
l’aveva
fermato.
-
Trovo sia rischioso. Lasciate che
ci pensi io.
-
Voi? Intendente andare a perlustrare
il bosco? – aveva chiesto Regina, scettica.
-
Non io. Il mio corvo lo farà.
Heathcliff non è un corvo come gli altri ed io e lui
abbiamo... un legame,
ecco. Un legame che mi permette di vedere tutto ciò che vede
lui. Andrà in
perlustrazione per noi. Se ci fosse qualcuno, un corvo non desterebbe
poi tanti
sospetti. Del resto, chi si aspetterebbe che un corvo sia
così... dotato. –
Knubbin aveva posato un dito sulla testa di Heathcliff.
Così
il corvo aveva fatto ciò che
il padrone aveva chiesto ed era tornato poco dopo. Knubbin aveva tirato
su un
secchio d’acqua dal pozzo e l’aveva usato per
vedere ciò che aveva visto il suo
uccello domestico. Niente. Nel bosco non c’era nessuno.
Emma
non si era unita agli altri in
tutto questo. Aveva preferito riflettere in pace.
-
Serve una luce? – domandò Regina,
avvicinandosi al pozzo, con cautela, come se temesse di disturbarla.
-
Regina. – disse semplicemente
Emma.
-
Pensavo ti servisse un’amica.
“L’ombra
è già sopra di noi. Io non sono ancora morta,
fanciulla”.
“Io
ci sarò quando avrai bisogno di
me. Sarò... esattamente qui!”
In
realtà non sapeva di cosa avesse bisogno. Però la
voce di Regina era in qualche
modo rassicurante. Le sembrava la voce... giusta.
-
Si sta prendendo gioco di me. Mi ha detto che non ce l’avrei
fatta perché non
sono pronta ad abbandonare l’oscurità. –
disse Emma.
-
E lo sei? – domandò Regina.
-
Regina...
-
Ehi. – Sorrise. – Nessuno conosce il fascino
dell’oscurità meglio di me.
Oh,
adesso anche lei lo conosceva, invece. La sensazione che guardare
nell’abisso,
giù fino in fondo fosse veramente necessario.
-
Puoi mentire ai tuoi genitori e puoi mentire a te stessa. –
riprese Regina. –
Ma non puoi mentire a me.
-
Non lo so. – Emma si decise a rispondere alla domanda
precedente.
-
Ti fa stare bene, vero? Appagare ogni impulso, esercitare un grande
potere...
fare tutto ciò che vuoi.
Ecco.
Già. Regina le leggeva dentro meglio degli altri.
-
Sì – ammise Emma. – Sì,
è così. È sbagliato?
-
Certo che lo è. – Regina avrebbe avuto molte cose
da dire ad Emma. Molte cose
da raccontarle su quanto fosse sbagliato e su quanto fosse normale
sentirsi
attratti dall’oscurità. Anni e anni di storie
terribili. Tuttavia doveva
mitigare i possibili danni. Doveva far breccia
nell’incertezza di Emma. Non
poteva permettersi di perderla. Non potevano
permetterselo. – Ma è anche umano. Emma,
io ti conosco...
No,
Regina, non è vero. Tu conosci
la Salvatrice, pensò
Emma. Tu non sai cosa sono capace di fare. Tu
non sai che volevo strappare il
cuore di una tredicenne e che ho sfruttato il dolore di Lily per
ottenere
quella lacrima. Non sai come l’ho ottenuta.
“Io
non sono ancora morta,
fanciulla”.
-
Ci è voluto del tempo, ma ormai... ti conosco davvero.
– continuò Regina. - Non
sei come me. Com’ero io, intendo. Se ti stai aggrappando
all’oscurità... hai
certamente le tue ragioni. Non si tratta solo di una tentazione. Di che
si
tratta?
-
C’è una profezia, Regina.
-
Un’altra?
-
Non è colpa mia. Nimue me ne ha parlato. E anche Merlino, ma
lui non è stato
molto chiaro. C’è... un’ombra.
Regina
ricordò qualcosa che aveva già sentito. -
L’ombra. Ne ha parlato anche Artù.
Aveva molta paura di quella profezia. Merlino ha detto che riguarda
Lily. Che
lei... distruggerà Camelot.
-
La profezia riguarda me. E anche Lily, sì. È
possibile che lo faremo insieme.
-
Come fate sempre tutto.
Emma
le lanciò un’occhiataccia.
-
Mi dispiace... – si corresse subito Regina, scostandosi una
ciocca di capelli
scuri dal viso. Il cuore le batteva all’impazzata. E nemmeno
lei aveva idea del
perché. - Ma questa profezia che cosa c’entra con
il tuo... problema? Dovrebbe
spingerti a rinunciare all’oscurità! Se tu
rinunci... Lily non fare niente di
male a nessuno. Tua madre aveva ragione quando diceva che vi
influenzate a
vicenda.
-
Mia madre era disposta a lasciarla morire!
-
Emma, il punto adesso è che... proprio per questo devi
rinunciare. Perché non
lo fai? Che cosa ti blocca?
-
Non lo so.
-
C’è una differenza tra il non sapere qualcosa e
non volerlo ammettere! Questi
muri che hai costruito... – Regina ripiegò la
manica dell’abito rosso, un gesto
apparentemente casuale. – Bisogna abbatterli.
Prima
che Emma potesse rendersi conto di ciò che stava per fare,
Regina afferrò il
pugnale posato sul pozzo vicino alla fiamma.
-
Che stai facendo? – gridò, incredula.
-
Ti aiuto ad abbatterli. – Regina puntò il pugnale
contro di lei. – Come
amica... io ti comando, Oscuro, di dirmi perché non vuoi
liberarti
dell’oscurità.
Emma
non tentò nemmeno di resistere. Sarebbe stato inutile.
– Senza l’oscurità non
sarò in grado di proteggere la mia famiglia.
-
C’è un altro muro, Emma. – disse Regina.
La
sua voce suonava ipnotica. I suoi occhi nocciola erano fissi nei suoi
ed erano
risucchianti. Emma non aveva mai visto occhi simili. In quel momento
era sicura
che quegli occhi non potessero esistere. Le parvero potenti quanto
quelli di
Nimue.
-
Ora... la verità. Dimmela. – le ordinò.
-
Questa è la verità, Regina. Ti prego.
-
No! Non lo è, Emma. – Quella stessa voce si
incrinò. Suonò più angosciata.
–
Devi essere coraggiosa e abbattere i muri dietro ai quali ti stai
nascondendo.
Forza, Emma! Puoi farcela. Dimmi di che cosa hai paura!
Lily
arrivò prima di tutti gli altri. Prima degli Azzurri, di
Uncino e di sua madre.
Arrivò di corsa e si gettò letteralmente contro
Regina. Caddero tutte e due.
Lily acchiappò il polso di Regina e la costrinse ad aprire
le dita strette
sull’elsa del pugnale.
-
Lily, che stai facendo? Sei impazzita? – gridò
Malefica.
Lily
si scrollò di dosso sua madre e prese il pugnale.
– Stava facendo del male ad
Emma!
David
afferrò la ragazza e la allontanò da Regina, che
si rialzò in piedi,
spolverandosi l’abito rosso.
-
Non stavo facendo del male a nessuno. – rispose lei.
– Stavo provando ad
ottenere qualche risposta.
-
Controllandola? – domandò Uncino. Tolse il pugnale
dalle mani di Lily. –
Scordatevelo, Maestà.
-
Sì, la stava controllando. E questo significa farle del
male. Lo sa molto bene.
– disse Lily. Guardò Emma, ma lei voltò
le spalle a tutti e se ne andò,
portandosi via la fiamma. Lily guardò anche Uncino. Era un
bene che le avesse
tolto il pugnale... non appena aveva serrato l’elsa di
quell’arma il palmo
aveva iniziato a formicolare. Le aveva spedito una fitta lungo il
braccio.
-
Volevo aiutarla! – ribatté Regina. – Non
è colpa mia se è doloroso.
Lily
le scoccò una delle sue occhiate di fuoco, poi
seguì Emma ovunque fosse andata.
-
Lily, aspetta! – esclamò Malefica.
Ovviamente
lei non ascoltò.
***
Foresta
Incantata. Trecento anni prima.
Il
re mise una taglia sulla testa della mutaforma.
Due
giorni dopo la comparsa del drago che aveva distrutto il villaggio e
parte
della foresta, il sovrano, parlando dal balcone del suo palazzo alla
folla che
ascoltava con i nasi all’insù, dichiarò
che non avrebbe accettato che un simile
essere terrorizzasse le sue terre. Era un uomo dotato di un portamento
e di una
voce sicura. Era alto e robusto, non più nel fiore degli
anni, ma fisicamente
forte.
“Già
sua madre portò la morte. Non siamo riusciti a trovare la
figlia, una volta. Ma
adesso... dobbiamo fermare il mostro. Dobbiamo estirpare il
male”.
La
gente mormorò.
“L’uomo
che ucciderà il drago sarà da me ricompensato
come merita. E gli garantirò la
mia protezione per sempre. Lo stesso varrà per la sua
famiglia, se ne ha una”.
Malefica,
camuffata da un incantesimo, uno dei pochi che aveva imparato grazie a
sua
madre, ascoltò il discorso. Poi tornò alla
caverna. Non sarebbe scappata.
Avrebbe atteso l’arrivo degli uomini del re, invece.
Era
stata costretta ad abbandonare il castello perché non era in
grado di
difendersi. Ora si sarebbe difesa. Non voleva uccidere quella gente.
Non voleva
fare del male a nessuno. Non era stata capace di controllare la sua
trasformazione, i suoi istinti, la furia che le aveva incendiato il
sangue non
appena aveva assunto la sua forma più temibile. Aveva solo
spalancato le ali e
aveva spiccato il volo, lanciandosi verso il cielo. Perché
era quello che
desiderava fare e quel desiderio era stato troppo forte per lei.
Sognava le
persone che aveva bruciato. Sognava l’odore acre del fumo e
dei corpi in
fiamme. Sognava uomini con facce avvolte dal fuoco, con i capelli
trasformati
in roghi ardenti... bambini che chiamavano le madri. Sognava le grida...
Tre
uomini del re trovarono la caverna diversi giorni dopo. Il gruppetto
era
guidato da un cavaliere dai tratti duri, con una folta barba castana e
gli
occhi piccoli e neri. La sua torcia illuminò le pareti di
roccia e il soffitto
altissimo del covo del drago. Aveva già sguainato la spada,
così come il suo
compare, mentre il terzo aveva estratto una freccia dalla faretra e
l’aveva
incoccata.
C’era
silenzio.
“Mutaforma”,
disse l’uomo con la spada. “So che ci sei. Ho visto
le tue orme là fuori”.
La
caverna non rimandò nessuna risposta.
“Il
villaggio che hai bruciato era il mio villaggio. Quella era la mia
gente”.
Un’ombra
si stagliò contro le rocce e l’arciere
scoccò la sua freccia. Il dardo sibilò,
creando una strana eco nello spazio chiuso. Non trovò alcun
bersaglio da
colpire, se non le pietre.
“Tre
uomini da soli nella caverna abitata da un drago”, disse
Malefica, ad un certo
punto. La sua voce sembrava giungere da ogni parte, da più
direzioni contemporaneamente.
“Quanto coraggio”.
“Non
siamo soli. Ci sono altri uomini nella foresta”, disse il
cavaliere.
“Mentite
e siete patetico”, rispose Malefica.
“Patetici
sono i tuoi tentativi di giocare con noi, mutaforma”.
“Il
mio nome è Malefica. Ma non conosco il vostro”.
“Il
nome ti si addice”. Il cavaliere venne avanti.
Consegnò la torcia al compagno
con la spada. La rabbia gli deformava i lineamenti. Ciocche di capelli
scuri
ricaddero sulla sua fronte alta. “Io sono Heathcliff. E tu,
mostro, hai
assassinato mio padre. È bruciato vivo in quel
villaggio!”
“Non
era mia intenzione uccidere vostro padre. Né intendevo
bruciare quel villaggio”.
La voce di Malefica risuonò più alta e decisa.
“Non sapevo ciò che stavo
facendo”.
“Perché
non esci allo scoperto? Mostrati. Visto che ti senti così
innocente...”
“Nessuno
qui dentro lo è”.
Il
barbaglio della sfera in cima allo scettro costrinse
l’arciere a scoccare
un’altra freccia. Le dita di Malefica l’afferrarono
prima che la punta potesse
trafiggerla. Dopodiché uscì dall’ombra
e si portò la freccia sotto il naso.
“Veleno”,
disse, gettandola via. “Dovrete fare di meglio”.
Il
terzo uomo armato di spada restava qualche passo indietro, paonazzo,
gli occhi
sgranati sotto le folte sopracciglia nere.
Heathcliff
la scrutò. “Dunque è questo il volto
della mutaforma”.
“Non
sono ciò che ti aspettavi?”, domandò
Malefica, avanzando di un paio di passi.
“Il
male è ingannevole. Si nasconde dietro un aspetto giovane e
apparentemente
innocente. Il male ti inganna. È così che
vince”. Heathcliff si spostò verso di
lei, lentamente. I suoi compagni restarono indietro. “Ma io
non mi lascio
ingannare. Non ti serviranno né le suppliche né
le scuse. Sappiamo che il tuo
cuore è nero quanto quello di Balerion”.
Balerion
era un drago che aveva abitato quelle terre centinaia di anni prima. Un
drago
enorme, con le scaglie nere ravvivate da sfumature sanguigne, gli occhi
simili
ad ardenti pozze rosse. Il suo nome compariva in molte leggende. Lo
chiamavano
il Terrore Nero.
Malefica
sorrise amaramente. “Tu non conosci i draghi,
cavaliere”.
“L’unico
drago che ho visto ha distrutto la mia casa. Mi basta”. Fu
molto rapido quando
si scagliò contro di lei, menando un poderoso fendente.
La
lama tagliò solo l’aria. Malefica riapparve
accanto a lui. Heathcliff accompagnò
il successivo affondo con un grido feroce. Di nuovo, la sua spada non
incontrò
alcun bersaglio. L’arciere scoccò
l’ennesima freccia quando Malefica
ricomparve. Lei puntò lo scettro e dalla sfera esplose un
fascio di magia che
polverizzò il dardo e colpì al petto
l’arciere. Aveva passato giorni a
ricordare quello che le aveva insegnato sua madre, per quanto fosse
poco. Aveva
passato giorni in quella caverna ad allenarsi per imparare a
controllare i suoi
poteri e la sua trasformazione.
Alimentare
la magia pensando ad un momento che la faceva infuriare. Incanalarla
pensando a
qualcosa che la rendeva felice. Aveva diversi ricordi felici di sua
madre, ma
quello che preferiva era lei che mutava in drago e la invitava a salire
sulla
sua groppa. Il suo primo volo aggrappata alla schiena di sua madre. La
prima
volta che aveva visto il castello e il resto della valle
dall’alto.
L’uomo
colpito dalla sua magia lanciò un urlo stridulo e fu
sospinto violentemente
contro le rocce. Poi una fitta rete di rovi spuntò dalle
pietre della caverna e
avvolse l’arciere, impedendogli qualsiasi movimento,
graffiandolo e ferendolo in
più punti.
Il
terzo uomo se la diede a gambe.
“Ottima
scelta”, mormorò Malefica.
Heathcliff
approfittò del momento di distrazione per infilarsi una mano
nella tasca della
giubba. Ne estrasse un sacchetto e ne gettò il contenuto
addosso a Malefica.
“Le frecce avvelenate non sono le uniche armi che abbiamo,
maledetta”.
Era
polvere di papavero. Certamente mescolata a qualche altro ingrediente
magico,
perché si espanse come una nuvola e si sparse sui capelli
biondi e sull’abito
blu. Malefica si portò un braccio davanti al viso. La
polvere era stordente.
Lasciò cadere lo scettro, mentre indietreggiava e barcollava
per poi cadere in
ginocchio. Il mondo intorno a lei si offuscò ed Heathcliff
non fu altro che una
macchia confusa, indistinta, che avanzava con la spada in pugno.
“La
ricompensa mi farà comodo. Ma questo... è per mio
padre”, disse.
Malefica
mise a fuoco qualcosa vicino ai piedi di Heathcliff. Il sonaglio era
rotolato
sulle pietre. Lui lo calpestò con lo stivale ed esso si
ruppe in due pezzi.
A
quel punto Malefica gridò. Il suo grido risuonò
ed echeggiò lacerante
attraverso quella caverna. Gli occhi che da celesti diventavano dorati,
la
faccia livida e i capelli che le ricadevano sul viso, Malefica gridava
ed era
come un ruggito.
Heathcliff
vacillò, colto alla sprovvista. Per un momento
fissò lo sguardo giallo della
mutaforma ed ebbe paura. Un terrore viscerale che lo
paralizzò, con la spada
sollevata e la mascella serrata in quel ringhio animalesco. Malefica
afferrò lo
scettro, nonostante lo stordimento dovuto alla polvere
riuscì a controllare il
suo potere e spedì un fascio di magia anche contro il
cavaliere tanto
desideroso di ucciderla. Heathcliff cadde all’indietro, a
pochi passi dalla
parete di roccia. Perse la spada. Si guardò intorno
instupidito, come se non
potesse credere a ciò che era appena accaduto. Poi lo
scettro di Malefica lo
colpì in piena faccia ed Heathcliff urlò. Il
sangue prese a scorrergli sul
volto. Lui strisciò verso l’uscita della caverna,
ma Malefica sollevò una mano
e lo inchiodò a terra, sovrastandolo.
“Il
gioco è finito”, disse lei. La sfera brillava,
sinistra.
“E
dunque uccidimi, mostro”, rispose Heathcliff, rabbioso.
“Uccidimi. Che
aspetti?”
Malefica
puntò lo scettro in modo che fosse all’altezza del
suo cuore. “No. Perché
ucciderti, quando esistono altre punizioni molto più
affascinanti?”
L’uomo
non credeva alla sue orecchie. La fissò con gli occhi fuori
dalle orbite.
“Ti
piace volare?”, continuò Malefica. “Tu
non sei un drago. Ma forse puoi essere
qualcos’altro. Qualcosa di più...
piccolo”.
“Che...
che vuoi fare...?”, balbettò Heathcliff.
“Da
questo non potrai tornare indietro”. Malefica
agitò una mano sulla sfera ed
essa si accese di una luce viola che divenne sempre più
abbagliante. “Sappi che
ho apprezzato il coraggio”.
“No...”
La
magia uscì dalla sfera e avvolse il corpo di Heathcliff come
un bozzolo. Si
chiuse completamente su di lui, una massa nerastra e densa che pian
piano
rimpicciolì e poi si ruppe in mille frammenti, che si
sparsero ovunque. I
frammenti evaporano.
Il
corvo si levò in volo. Sulle prime non riuscì a
trovare la via d’uscita e
sbatté furiosamente le ali, aggirandosi per la caverna,
disorientato. Disegnò
ampi cerchi in aria, gracchiando senza sosta. Infine si
lanciò fuori.
Malefica
sorrise. Alzò una mano e l’arciere incatenato alla
roccia e circondato dai rovi
si trasformò in un mucchietto di polvere.
Dopo,
quando la caverna fu di nuovo immersa nel silenzio, Malefica
vibrò un colpo al
suolo con l’estremità del suo scettro. Una nube
l’abbracciò e crebbe,
raggiungendo il soffitto. Il drago emerse da essa, gli occhi accesi
come quelli
di Balerion, il Terrore Nero. Emise un potente ruggito e
imboccò l’uscita.
Infine spalancò le grandi ali membranose, sollevandosi da
terra.
Puntò
più a nord, dove si trovava il suo castello, che sorgeva su
un’altura, a
strapiombo sulla valle.
***
Storybrooke.
Oggi.
Zelena
diede alla luce una bambina, dopo un ultimo, lungo e lacerante urlo che
minacciò di distruggere i timpani delle persone presenti in
sala parto. Regina
si domandò come fosse possibile che avesse ancora tutto quel
fiato e tutta
quella voce.
Che
cosa ci faccio io qui, infine?,
continuava
a chiedersi.
Mary
Margaret le aveva detto che quella era la cosa giusta da fare. Aiutare
sua
sorella, proteggere la bambina era giusto.
Quando
la situazione si calmò, Regina si diresse verso la stanza in
cui Zelena era
stata sistemata.
Che
cosa ci faccio io qui, infine?,
tornò
a domandarsi.
E
si ripeté che era lì perché ad Emma
mancava un ingrediente per concludere il
suo incantesimo. L’ingrediente era la figlia di Zelena.
-
Ehi... – disse, aprendo la porta della camera. Si
sforzò di sorridere, mentre
metteva dentro la testa. Si sforzò di apparire contenta. In
realtà avvertì il
disagio e l’imbarazzo piombarle addosso, pesanti come
macigni.
E
non c’erano solo disagio ed imbarazzo. C’era molto
di più sotto la superficie.
Che
cosa ci faccio io qui, infine?
Robin
teneva la sua bambina tra le braccia, un esserino innocente e fragile
avvolto
in una coperta rosa. Era radioso, non poteva nascondere la sua
felicità. E
guardando il viso della neonata, Regina non poté fare a meno
di pensare a
quanto fosse bella, a quando fosse perfetta.
Vedendo
la coperta, a Regina sovvenne un’altra immagine, del tutto
inaspettata. Pensò
alla coperta di Emma, quella bianca con il suo nome in viola impresso
sulla
lana. Ricordava chiaramente di averla usata per dirigere il portale nel
luogo
in cui si trovava la nuova Oscura, poi... poi che cosa ne aveva fatto?
L’aveva
restituita a Mary Margaret? L’aveva data ad Emma?
L’aveva persa a Camelot? Una
memoria perduta, come tutte le altre. Una memoria che in quel momento
le parve
estremamente importante. Quella coperta era fondamentale per Emma.
L’adorava. Ripensò
anche a se stessa nell’appartamento di lei, la coperta tra le
mani, il dito
indice che sfiorava le lettere viola...
-
Regina... – disse Robin, continuando a cullare la piccola.
Whale, con quei suoi
capelli orribili, era dietro di lui e occhieggiava la scena.
– Ho una figlia.
-
È meravigliosa. – rispose, avvicinandosi.
La
bambina mosse i piccoli pugni sotto la coperta.
Regina
si mantenne sorridente, ma sentiva qualcosa premere sotto la
superficie.
-
Guarda chi è verde d’invidia, adesso. –
commentò Zelena.
Incapace
di trovare una risposta adeguata, lei ammutolì. Quella
maledetta sembrava
leggerle nel pensiero.
Che
cosa ci faccio io qui, infine?
Nemmeno
Robin disse nulla, ma non ebbe neanche il tempo di pensare.
-
Guarda un po’ chi risplende. – disse
l’Oscura, comparendo nella stanza, con la
stessa espressione di chi aveva trovato ciò che stava
cercando e non vedeva
l’ora di prenderselo. Scaraventò Whale contro la
parete con un rapido gesto
della mano.
Robin
estrasse la spada. – Non ti permetterò di prendere
questa bambina.
-
Non senza combattere. – aggiunse Regina, allungando un
braccio davanti alla
figlia di Robin.
Emma
non batté ciglio. Anzi, parve più divertita che
mai. Squadrò Regina. – Sarebbe
un vero problema se fosse qui per la bambina.
...se
fossi qui per la bambina.
Regina
fu troppo lenta nel realizzare di essere stata ingannata nuovamente.
Emma
svanì in una nuvola grigia, portandosi dietro Zelena.
Ricomparve
nei sotterranei della sua casa, dove fino a pochi giorni prima
c’era Excalibur
nella sua roccia. Trascinò la strega con sé e
creò alcune robuste catene con un
semplice incantesimo. I pesanti bracciali di ferro collegati alla
parete di
roccia si chiusero intorno alle sue caviglie.
-
Tu sei pazza. – commentò Zelena, furibonda e dando
uno strattone alle catene.
-
Non sono l’unica. – Gli occhi di Emma fissarono il
vuoto per alcuni istanti.
Zelena
ebbe l’impressione di vederli cambiare colore. Nel frattempo
si guardò attorno.
Ovviamente non c’erano vie d’uscita possibili per
lei. C’era, però, un
tavolaccio in legno, sopra il quale erano state sistemate boccette e
ampolle di
vario genere. Un grosso libro era aperto e sulle pagine ingiallite
erano posate
due paia di forbici.
-
Vuoi prenderti la mia magia? – domandò.
Emma
stava ancora fissando il vuoto, ma le rispose. – Lo scoprirai
presto.
La
lasciò nei sotterranei ad imprecare e a lottare contro le
catene, mentre lei
saliva al piano superiore e attraversava la cucina e il soggiorno.
Aprì la
porta sulla notte ventosa e trovò Lily seduta sui gradini
davanti a casa. Era
lì da un bel pezzo, i gomiti appoggiati alle ginocchia, lo
sguardo scuro fisso
sugli stivali. Giocherellava con la sua collana.
Si
alzò di scatto non appena udì la porta aprirsi.
-
Lily. – disse Emma. – Non dovresti essere qui.
-
Ma non mi dire... – fu la sua risposta. Sollevò un
sopracciglio.
-
Entra e seguimi.
Cazzo,
pensò
Lily, stupefatta. Eppure non era solo stupefatta. Si sentiva anche...
esaltata.
Stava per accadere qualcosa lì. Era evidente.
Emma
la condusse verso la porta malandata chiusa con un chiavistello, quella
che
conduceva nei sotterranei. L’aprì con i suoi
poteri e iniziò a scendere le
scale.
-
Hai pure portato l’amichetta! – esclamò
Zelena, non appena rivide Emma. – Prima
mi proponi un accordo, poi acceleri la mia gravidanza, mi separi da mia
figlia
e mi incateni in questo posto! E poi dicono che io sono perfida!
-
Zelena? – domandò Lily, fermandosi di colpo.
Osservò le ampolle sul tavolo, il
libro aperto e le catene.
Un
cellulare cominciò a squillare.
-
Non rispondere. – ordinò Emma a Lily. –
È tua madre. Ti sta cercando.
-
Certo che mi sta cercando! Me ne sono andata senza dire niente a
nessuno.
-
Non può avvicinarsi alla casa. È protetta
dall’incantesimo ed entra solo chi ha
il mio permesso.
-
Non c’era bisogno di ricordarmelo! – rispose Lily,
seccata. – Che succede qui?
A che ti serve Zelena? Cos’hai fatto alla bambina?
-
La bambina è sana e salva. – Emma aveva assunto
un’espressione inquietante. La
sua pelle pareva ancora più bianca e tirata. Gli occhi
ancora più verdi. Le
labbra terribilmente rosse. – E al contrario di
ciò che pensa questa strega,
non sono qui per distruggere la magia bianca. Voglio distruggere
l’oscurità.
-
Come? – chiese Zelena.
-
In che modo? – domandò Lily.
-
L’oscurità... è dentro di me. Sta
prendendo il sopravvento. Ormai mi resta poco
tempo. – spiegò, fissando Lily.
-
Perciò... non c’era nessun segreto. Nessun
fallimento. Stai facendo tutto
questo... per salvarti? – Non credeva alle sue orecchie.
Doveva essere
precipitata nel grande gorgo di assurdità. Forse non aveva
nemmeno toccato il
fondo. Ma stava per arrivarci.
-
Oh, ti assicuro che hanno fallito. – ribadì Emma,
con durezza. – Ma se adesso
siamo qui è solo per risolvere questa questione.
-
Ed ecco che entro in gioco io. – concluse Zelena.
-
Certo! – gridò Emma. –
L’oscurità deve trovare un contenitore. E quel
contenitore sei tu!
-
Aspetta un secondo. – la interruppe Lily. – Tu
vuoi... usare la strega per
distruggere l’oscurità? Come farai? Che
cos’hai in mente?
-
Farò ciò che è necessario, Lily.
– Allungò le mani, appoggiandogliele sul
collo. Come se volesse ottenere tutta la sua attenzione. – La
ucciderò usando Excalibur.
-
Per questo hai accelerato la mia gravidanza! – disse Zelena,
con una smorfia di
disprezzo.
-
Oh, sì! La tua bambina non ha nulla a che vedere con questo.
È innocente. –
Continuava a trattenere Lily. – Ci sono dei limiti...
-
Limiti? – Lily strinse i polsi di Emma. – Emma,
stai per andare ben oltre il
limite. Uccidere Zelena non è forse oltrepassare il limite?
-
Ha ucciso Neal. Ha ucciso Marian. – declamò Emma.
– Ha assunto le sue
sembianze, prendendosi Robin. Ha fatto di tutto per cercare di
distruggerci. Di
distruggere Regina.
-
Oh, povera la mia sorellina! Torniamo sempre a lei, vero?
Emma
non le badò. – Riesci a capirlo?
Vi
fu una lunga pausa. Ebbe la netta impressione di sentire la presenza di
Emma
nella testa. Una strana sensazione solleticante, come piedi scalzi
così lievi
da sfiorare appena il terreno. Solleticante, certo, ma non sgradevole.
Avrebbe
dovuto sottrarsi. Avrebbe dovuto sottrarsi all’idea di essere
nel posto giusto.
Doveva sottrarsi e non pensare a quanto le sembrasse normale essere
lì, a quanto
le sembrasse la cosa migliore... aiutare Emma, restarle accanto.
-
Sì... – mormorò Lily. – So
che cos’ha fatto, Zelena. Io stessa ho cercato di
darle fuoco! Ma sai che cosa significa questo, Emma? Che farai
esattamente ciò
che hanno fatto i tuoi genitori! Non pensavo che fossi così
simile a loro.
Era
chiaro che intendeva ferirla, arrivare in fondo. Emma non si
lasciò distrarre.
I suoi occhi lampeggiarono, rabbiosi. – Tutto questo non ha
niente a che vedere
con i miei genitori! Loro hanno portato via una bambina,
l’hanno rapita,
l’hanno maledetta... perché non accettavano
l’idea di avere una figlia corrotta
dall’oscurità. Loro volevano... una figlia
perfetta! Hanno preso una creatura
innocente! Io avrei potuto prendere la bambina di Zelena... sarebbe
stata un
ottimo contenitore, sai?
Lily
aprì la bocca, per dire chissà che cosa, che
comunque non disse. Rimase
fulminata. Quella non poteva essere Emma. Quello sguardo... il verde si
era
esteso a dismisura. Il verde degli occhi aveva inondato la sclera,
coprendo il
bianco. Durò un istante, ma era sicura di non esserselo
immaginato. Era...
Nimue?
-
Ma ho preso Zelena! – continuò Emma, con
più calma. – Ho preso Zelena, perché
lei non è affatto innocente. Lei conosce già
l’oscurità. Non ha mai desiderato
pentirsi. Non ci ha mai nemmeno provato. Ed io... lo sto facendo per
salvarmi!
-
Ci deve essere un altro modo! Peggiorerai solo le cose. È un
omicidio a sangue
freddo!
-
Ti preoccupi dell’omicidio? Non ho più tempo,
Lily. Non esiste un’altra
soluzione. Come te lo devo dire? Tra poco... tra poco
l’oscurità sarà troppo
potente. Credi che non desideri prendere quella spada e distruggere la
magia
bianca? Credi che non voglia oltrepassare quel... quel limite? Lo vedo,
Lily.
Lo vedo, il limite.
Lily
tacque.
-
Io desidero quel potere. – continuò Emma.
– Tra non molto... non potrò più
resistere. E diventerò l’Oscuro più
potente che sia mai esistito.
-
Potremmo aiutarti. – propose Lily. Non aveva
possibilità di convincerla e lo
sapeva, ma doveva tentare. Doveva continuare a provarci. – Ci
sono delle
persone... che vogliono aiutarti. Io...
-
Quelle persone avrebbero dovuto pensarci settimane fa, invece di
tradirmi! –
Emma le voltò le spalle. Alzò la testa di scatto.
Si mise in ascolto. – Tua
madre è qui...
-
Non può entrare...
-
No. E tu non puoi uscire.
-
Che cosa?
-
La protezione intorno alla casa è stata rafforzata. Nessuno
entra se io non
voglio... e nessuno esce.
-
Quindi hai intenzione di incatenarmi come hai fatto con lei?
– Indicò Zelena,
che non aveva più detto niente, però seguitava ad
armeggiare con le catene.
-
Non ne ho bisogno. – Emma passò una mano sul viso
di Lily. Gliela mise sugli
occhi, come se glieli volesse chiudere, invitandola a dormire.
Un’esplosione
rossonera nella testa di Lily. Infine, il buio.
-
Lily!
Giunta
alla casa dell’Oscuro, Malefica aveva preso a guardarsi
intorno, ad esaminare
la situazione. Il luogo era protetto e la magia era antica, molto
potente.
Possibile che arrivasse da uno dei libri dello stregone. I contorni
della
dimora dell’Oscuro erano distorti, sbiadivano come se i muri
fossero sul punto
di svanire. Come se ciò che vedeva appartenesse in
realtà ad un’altra
dimensione.
Tutto
era buio e immerso nel silenzio. Non sembrava esserci traccia di Emma o
di
Lily. Eppure era sicura che fossero lì entrambe. Era sicura
che stesse per
capitare qualcosa.
Sul
retro c’era una rimessa. Un vecchio edificio bianco.
Anch’esso protetto dalla
magia. Era certamente il posto in cui Emma Swan teneva gli
acchiappasogni. Lily
l’aveva visto in sogno... non in sogno, in quella visione.
Quando aveva
guardato attraverso gli occhi di Emma.
-
Lily!
Non
ottenne risposta.
“...
Fallirai. Proprio come hai
fallito con Rosaspina”.
Ho
fallito con Rosaspina. Ho
fallito con Lily e ho permesso che me la portassero via. Sono stata
sconfitta
dalla Salvatrice. Non succederà un’altra volta.
Non perderò mia figlia un’altra
volta!
***
Foresta
Incantata. Duecento anni
prima.
“Sire”,
disse Turchina,
inchinandosi rispettosamente davanti al sovrano e a sua moglie.
“Vi ringraziamo
per questo invito”.
“Sono
io che ringrazio voi per
essere venute”, rispose il re, sorridendo. Risplendeva nel
suo abito blu e oro,
che gli conferiva un’aria ancora più elegante. I
capelli biondi erano corti, ma
folti, pettinati all’indietro. Gli occhi erano azzurri. Un
azzurro vivido,
gioioso. C’erano piccole rughe ai lati dello sguardo e della
bocca. Sua moglie
era minuta, con un viso dolce e una corona di fiori posata sui capelli
intrecciati. “Le fate sono benevole e propizie per una
neonata. Benvenute”.
La
sala del trono, in cui si
celebrava la nascita della prima figlia del re, era piena di gente.
Nell’aria
aleggiava la musica delle arpe e il profumo intenso dei fiori colorati
sistemati sulle balconate. Dalla finestre penetrava la luce intensa del
sole. I
servitori si davano da fare con gli ospiti, offrendo loro cibo, acqua,
sidro e
vino in gran quantità.
Turchina
si avvicinò alla culla. La
bambina, paffuta e rosea, guardò la fata con occhi grandi,
azzurri come quelli
del padre. Allungò le mani e accennò un sorriso.
“Qual è il nome della bambina?
E qual è il vostro desiderio per lei?”
“Rosaspina”,
rispose la regina.
Turchina
ritrasse la mano come se
si fosse appena scottata. Era stata strappata dalla contemplazione
della
bambina da una nuova, inattesa percezione, una cosa in agguato ai
margini della
sua consapevolezza.
“Che
cosa succede?”, domandò la
regina, notando la sua espressione.
Un
possente ruggito interruppe
tutto quanto. La musica cessò di colpo, terminando con
un’ultima nota stridente
e fastidiosa. Alcuni servitori rovesciarono i vassoi. Gli invitati si
fermarono, sollevando le teste o spalancando gli occhi. Il re
portò una mano
all’elsa della sua spada, mentre le fate si giravano tutte
verso la grande
porta che dava accesso alla sala.
I
battenti si aprirono con violenza
e una lunga ombra si estese sul pavimento lucido e cosparso di petali
di rosa.
“Scusate
il ritardo”.
Gli
ospiti indietreggiarono tutti
insieme, come un’unica grande onda. Si udirono grida di
spavento. Il re
estrasse la spada.
Malefica
attraversò l’ala centrale,
portandosi al centro della sala. Indossava un lungo abito nero e un
copricapo
che culminava con due corna. Il nero metteva ancora più in
risalto in grandi
occhi celesti. Si appoggiò al suo scettro, guardandosi
intorno, valutando
l’ambiente, esaminandolo senza mostrare interesse per niente.
“Fuori
dal mio castello, strega!”,
gridò il re, avanzando di qualche passo.
La
bambina nella culla cominciò a
piangere.
“Mi
dispiace interrompere i
vostri... festeggiamenti”, disse Malefica. “Ma
avrei anch’io un dono per la
neonata”.
“Non
accettiamo doni dall’essere
che ha terrorizzato questo regno per cento anni!”.
“Come
siete indisponente”. Malefica
raggiunse i gradini che conducevano allo spiazzo rialzato in cui si
trovavano i
due troni e la culla. Lanciò un’occhiata di sbieco
alla bambina, che seguitava
a piangere. La regina si spostò per fare da scudo alla
figlia. “Questa
bambina... sarà certamente amata da tutti. E come si
potrebbe non amarla?
Guardatela”.
“Ti
ordino di andartene”, disse il
re, puntando la spada. La punta della lama sfiorò il petto
di Malefica.
Lei
non si scostò. Allargò le
braccia come se volesse abbracciare l’intera sala. Scintille
viola scaturirono
dalla sfera sulla sommità dello scettro. Le scintille
illuminarono il volto del
re, baluginarono sulla lama, decorarono l’abito bianco della
regina, che si
schermò gli occhi con una mano. “Oh,
sì, la bambina sarà amata da tutti. Ma
prima che il sole tramonti sul suo sedicesimo compleanno... si
pungerà con un
fuso e morirà!”
La
sala si riempì di nuovo di
grida.
Furente,
il re si avventò su
Malefica, ma lei disparve in una nube viola. Rimase solo un suono, una
risata
acuta e sguaiata, che gli gelò il sangue nelle vene. Le luci
dei candelabri si
spensero. Qualcosa si rovesciò con fracasso. Molti invitati
scapparono a gambe
levate. Alcuni caddero e vennero travolti dai fuggitivi.
Fu
molto difficile contenere il
caos creato da quell’apparizione. Il re ordinò
alle guardie di formare un
cordone intorno al castello, mentre un altro gruppo sarebbe uscito a
caccia
della mutaforma.
“Sire...”
iniziò Turchina.
Il
re lasciò cadere la spada e
cascò pesantemente sul suo trono, con gli occhi sbarrati.
“Voi
sapevate...”, mormorò la
regina, mentre stringeva Rosaspina tra le braccia. Il pianto della
bambina si
era ridotto a dei singhiozzi soffocati.
“Conoscevo
la profezia. Me la
rivelò la mia regina, Titania, molto tempo fa. Ma non
immaginavo che si
trattasse... di vostra figlia. Fino a quando non ho saputo il suo
nome”,
rispose Turchina.
“Mia
figlia... morirà?”, chiese il
re, ancora accasciato e paonazzo.
“No.
Rosaspina non morirà. La
profezia parla di un sonno simile alla morte...
destinato a durare cento anni. Anche Malefica conosce la
profezia. E sa
che non vincerà”.
“Come
sarebbe a dire?”
“Malefica
è destinata a subire tre sconfitte”,
disse Turchina, in tono grave. “Sarà sconfitta da
una rosa, da una maledizione
che colpirà ciò che ama di più... e da
una spada. La rosa... è vostra figlia”.
Si interruppe qualche istante. Le altre fate erano tutte strette
l’una contro
l’altra, dietro di lei.
“Aiutatemi”,
mormorò il sovrano.
“Aiutatemi. Devo impedire che questo accada. Voglio...
voglio... proteggere mia
figlia. Come posso farlo? Ci deve essere un modo...”
“C’è
un posto... nella foresta.
Lontano da qui”, rispose Turchina, dopo aver riflettuto per
qualche momento. “Un
posto dove possiamo nascondere la bambina fino a quando non
compirà sedici anni
e un giorno. Tre fate la proteggeranno. Le sceglierò
io”.
***
Camelot.
Due settimane prima della
maledizione.
Lily
ed Emma tornarono, ma nessuna delle due disse niente. Mary Margaret non
tentò nemmeno
di avvicinarsi ad Emma, ma rimase in disparte con David. Una volta
sconfitta
l’oscurità, avrebbero avuto il tempo di parlarne.
Forse lei le avrebbe dato la
possibilità di spiegarsi.
Ma
spiegare cosa? Stavi lasciando
morire la sua unica amica, disse
una vocina nella sua mente.
Ed era una voce fredda e decisa, una voce inquietante. E
lo rifaresti.
Lily,
dal canto suo, andò a mettersi in un angolo.
Malefica
la fissò, ma la ragazza non ricambiò lo sguardo.
-
Non preoccuparti. – disse Regina. - Le passerà.
-
Mi dispiace per quello che è successo. – disse
Malefica, guardandola con
tristezza.
Regina
incrociò le braccia al petto. – Diciamo che posso
capirla. In parte. Ammetto di
essere stata un po’ rude con Emma. Ma era
necessario.
-
Già. Almeno tu sei stata in grado di fare qualcosa. Io
invece non mi sono mai
sentita così debole. – Abbassò lo
sguardo. Vide i propri pugni contratti e li
riaprì. – Nemmeno quando quei due idioti di
Stefano e Rosaspina mi hanno
sconfitta.
-
Beh, direi che hai un aspetto migliore rispetto al giorno in cui ci
siamo
conosciute. – osservò Regina, sorridendole per
rassicurarla. - Tu non sei
affatto debole, Malefica. Sei... una madre. Hai appena ritrovato tua
figlia ed
ora è lei la cosa più importante per te.
Avrebbe
voluto aggiungere altro, ma Emma estrasse Excalibur e
l’appoggiò sul tavolo,
accanto al pugnale.
-
Che momento affascinante! – commentò Knubbin.
– Non avrei mai pensato di
potervi assistere... sono più emozionato del giorno in cui
ho conosciuto il mio
maestro! E vi assicuro che non è poca cosa.
Il
corvo si alzò in volo, innervosito dalla vicinanza
dell’Oscuro. Passò sopra la
testa di Malefica, allungando le zampe come per artigliarle i capelli.
Lei lo
scacciò e l’uccello andò a posarsi
sulla spalla di Henry.
-
Gli piaci. – disse Knubbin, divertito dalla sua espressione
perplessa. - E ad
Heathcliff piacciono poche persone. Ritieniti fortunato.
Merlino
si fece avanti. – Sei pronta?
-
Sì. – disse Emma. Scoccò
un’occhiata a Regina, che sentì qualcosa
sciogliersi
nel suo petto. Quell’occhiata le diceva che non vi era alcun
risentimento.
Niente che doveva rimproverarsi.
-
È il momento, allora. Distruggiamo
l’oscurità. Una volta per tutte. –
Aprì il
cofanetto contenente la fiamma, che risplendette, gialla e arancione,
come un
tizzone ardente.
“Io...
non sono ancora morta,
fanciulla”.
Emma
ignorò le voci. Ignorò tutto quanto.
Usò i suoi poteri per maneggiare la
fiamma, per controllarla, racchiuderla tra le sue mani e trasformarla
in una
vera luce, una luce che si librò in aria, in attesa.
Regina
era fiera di ciò che stava vedendo. Il peggio era passato.
Era sicura che, dopo
quell’incantesimo, Merlino avesse in mente
qualcos’altro. Non era ancora
finita. Ma era pur sempre un grande passo verso la fine di quella
storia.
Emma
immerse le due lame nella luce e le congiunse.
_______________
Angolo
autrice:
Salve
^_^
Allora,
qualche precisazione: questo capitolo, inizialmente, era un
tutt’uno con il
capitolo successivo, il quattordicesimo. Il risultato finale era un
capitolo
lunghissimo, con una marea di informazioni, quindi ho optato per una
divisione.
La divisione in sé non mi convince, devo ammetterlo, ma la
considero
necessaria.
La
storia di Malefica riprende la versione narrata dai Grimm, con qualche
aggiunta
personale.
Balerion
è un drago nominato ne Le Cronache
del
Ghiaccio e del Fuoco.
E
niente. Grazie per essere arrivati fino in fondo.