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Autore: Himenoshirotsuki    21/03/2016    4 recensioni
[Fantasy Steampunk]
La Dogma e la Chiesa, le colonne portanti di questo mondo. L'una che agisce con il favore dell'ombra, chiamando a raccolta i suoi cacciatori, gli Slayers, per combattere i mostri; l'altra che muove le sue armate di luce contro le vessazioni e i miscredenti in nome di un dio forte e misericordioso.
Luce e ombra, ying e yang che si alleano e si scontrano continuamente da più di cinquant'anni.
Ma è davvero tutto così semplice? La realtà non ha mai avuto dei confini netti e questo Alan lo sa. In un mondo dove nulla è come sembra e dove il male cammina tranquillo per le strade, il cacciatore alla ricerca della sua amata si ritroverà coinvolto in un qualcosa di molto più grande, un orrore che se non verrà fermato trascinerà l'umanità intera nel caos degli anni precedenti l'industrializzazione. Perchè, se è vero che la Dogma e la Chiesa difendono gli umani dai mostri, non è detto che non sarebbero disposte a crearne per difendere i loro segreti.
Genere: Dark, Horror, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Slayers '
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Slayers
Act. 2 - Past



I rintocchi di una campana riempirono l'aria. Alan ne contò sette. L’insegna rovinata della Boulangerie attirò subito la sua attenzione. Affrettò il passo e si affiancò a Gabriel, che sostava lì davanti. Sperò che l’amico di Rachel non avesse venduto tutti i dolci della giornata e, considerando il vicolo in cui la pasticceria era imboscata, c’erano buone possibilità che il suo desiderio si realizzasse. Ora che guardava bene il negozio, dubitava seriamente che avesse dei clienti, visto che, più che un salottino di classe, ricordava la bottega di un meccanico.
Si avvicinò con lo stomaco brontolante, notando solo in un secondo momento che la sua compagna stava bussando alla piccola porta di ferro battuto.
Quasi immediatamente questa si aprì e sulla soglia comparve una ragazza che Alan non poté che definire stravagante. Nella sua lunga carriera di Slayer aveva avuto a che fare con druidi, streghe, maghi, ibridi e persino Oracoli e, anche se molti si erano adeguati alle mode dei tempi, altri, soprattutto quelli che vivevano in città più piccole, continuavano a mantenere l’aspetto che si sarebbe trovato in qualsiasi libro di fiabe. Quella giovane donna, invece, sembrava uscita direttamente da una fucina. Era alta, magra quasi da far spavento, con il seno appena accennato sotto la fascia verde militare, che era poi l’unico indumento che aveva addosso assieme alla gonna corta sporca d’olio e gli anfibi mezzi slacciati. I capelli bianchi tagliati corti sul lato destro erano tenuti fermi da degli occhiali multilenti, simili in tutto e per tutto a quelli di un orafo, stretti sotto il mento da una spessa cinghia, mentre le orecchie erano coperte da un paio di cuffie in rame e cuoio imbottito. L’occhio di vetro nell’orbita destra catturava la luce dei lampioni e brillava di un lucore lattiginoso. Nonostante tutto però, Alan dovette ammettere che aveva un certo fascino.
Mon amie, da quanto tempo che non ci vediamo? - esclamò la sconosciuta, abbassandosi per abbracciare Rachel, che si limitò soltanto a un semplice “ciao” appena sussurrato, - Oh, e loro chi sono? - si mise le mani sui fianchi e squadrò prima Alan e poi Gabriel, - Capisco che tu abbia qualche problema a socializzare, chérie, ma potresti evitare di portarmi a casa gente puzzolente. Pour Shamar, ma questo da quanto non si fa una doccia?! - 
- Samuelle, possiamo entrare. Gabriel ha bisogno di lavarsi. -
- Cosa? -
- Ha bisogno di lavarsi. - ripeté Rachel, paziente.
- Ma per chi mi hai presa? Per un bagno pubblico?! -
- Sebastian ha anche bisogno di manodopera. -
A quelle parole Samuelle si fece seria. Incrociò le braccia al petto, passandosi una mano in quei ciuffi ribelli e scrutando con una smorfia contrariata prima Rachel e poi Sebastian, che muoveva le ali a scatti tra le braccia della sua padrona. Alla fine, borbottando qualcosa tra i denti, fece loro segno di entrare.
Attraversarono una stanza ben poco illuminata, piena zeppa di tavoli stracolmi di fili, cavi, rotelle, Gemren mezzi smontati e tutti gli attrezzi che si sarebbero trovati in qualsiasi officina. Dopodiché uscirono sul retro della casa e sbucarono in un cortiletto melmoso, al centro del quale c'era quella che un tempo doveva essere stata una semplice rimessa, ma evidentemente qualcuno l'aveva ristrutturata e resa una vera e propria casa. Il catenaccio in lynium della pesante doppia porta penzolava mosso dalla brezza della sera, mentre le gemme viola che contornavano la serratura emettevano una luce cupa, opaca. Senza attendere oltre, Samuelle entrò, seguita dai suoi strambi ospiti.
Non appena Alan varcò la soglia, la porta si chiuse silenziosamente alle sue spalle. Nell’anticamera spoglia e ampia che lo accolse vide tutte le finestre aperte, ma scommise che non fosse per arieggiare l’ambiente. Gabriel si guardava intorno circospetto, mormorando di tanto in tanto qualcosa che il cacciatore non si premurò di ascoltare. Infastidito com’era, avrebbe voluto girare i tacchi e andarsi a cercare una vera Boulangerie, ma a quell’ora era ormai tutto chiuso. Imprecò di nuovo e con sguardo truce avanzò in quella che doveva essere la sala, ma sembrava più la cantina di una casa abbandonata, con i vestiti accatastati sulle poltrone, il pavimento ricoperto di fogli scarabocchiati e le finestre sporche munite di pesanti grate arrugginite.
“Ma che mi aspettavo? È amica di Rachel, è ovvio che sia stramba.”
Si lasciò cadere pesantemente sull’unica sedia libera. Dall’altro lato della stanza, su una poltrona imbottita dietro a un tavolo ingombro di libri, chiavi inglesi e chiodi di varie misure, si sedette Samuelle, mentre Rachel e Gabriel si appoggiarono alla parete.
Quando Sebastian planò sul tavolo, la ragazza lo rivoltò e con estrema attenzione cominciò ad allentare le varie viti dietro la testa. Il cacciatore la osservò armeggiare in silenzio, attratto dai movimenti sicuri delle sue mani, e immaginò il suo tocco delicato e attento sul corpo, le sue dita sottili sul suo petto, le sue unghie conficcate nella schiena. Si morse l'interno di una guancia e distolse lo sguardo, cercando di pensare ad altro, ma i suoi occhi inevitabilmente tornavano sempre su di lei, su quelle forme appena accennate che però sembravano stregarlo. Era da troppo tempo che non accarezzava una donna e d'un tratto si scoprì a provare un bisogno fisico quasi urgente. A fatica si costrinse a rilassarsi.
- Il bagno è lì. - con il cacciavite Samuelle indicò a Gabriel una porta sulla sinistra, - Prosegui fino alla fine del corridoio, non puoi sbagliare. Lo scaldabagno dovrebbe essere pieno, ma non ne sono sicura. Bon, in ogni caso fai in fretta e cerca di non sporcare, perché mia sorella ha pulito stamattina e potrebbe tentare di affogarti se vedesse qualche macchia. Ah, però aspetta, se non hai dei vestiti puliti puzzerai di nuovo. - si fermò un attimo e si mordicchiò le labbra riflettendo, - Credo di avere ancora da qualche parte i vestiti di mio fratello. Bah, li cercherò. Ora fila a lavarti, sennò vomito su Sebastian. -
Come se non avesse aspettato altro, Gabriel sparì nel corridoio semibuio.
Alan si chiese distrattamente se non avesse fatto meglio a sorvegliarlo per sventare una sua eventuale fuga, ma in fin dei conti non gli importava granché. Allungò le gambe e si mise comodo, conscio che avrebbe dovuto aspettare il ritorno di quel caso clinico per soddisfare la propria curiosità. Le due ragazze si misero a parlottare tra loro, incuranti della sua presenza. Gli parve che di tanto in tanto l’amica di Rachel gli lanciasse delle occhiate cariche di significati nascosti, ma non riuscì a capire di che natura fossero. Fatto sta che avvertì una cascata di brividi caldi attraversargli il corpo e dovette obbligarsi a concentrarsi su altro.
- Ho ricevuto la tua lettera. Allora è vero. - soffiò Samuelle, girando Sebastian ed estraendo con le pinze la pietra verde dal petto. -
La cacciatrice annuì: - Sì, forse lui potrà darmi delle risposte. -
L'amica aprì il cranio di Sebastian e cominciò a sfilare i fili di lynium, stando bene attenta a non staccarli dalle gemme rosse.
- Non pensi che sia ora di lasciarsi il passato alle spalle? Stai perdendo tempo e scoprire la verità non cambierà nulla. -
- Io voglio solo una spiegazione. - replicò con un tono di voce più alto del solito.
- Quella dei capi non ti è bastata? -
- Mentivano. Loro mentono sempre. -
Alan aggrottò le sopracciglia e drizzò le orecchie, fingendo di guardare fuori dalla finestra.
Samuelle alzò la testa e incrociò gli occhi inespressivi della ragazza: - Lo so benissimo, ma, ti ripeto, il passato è passato. Sono sei anni che lo cerchi e non hai mai trovato niente. Sappiamo entrambe quanto tu sia scrupolosa, non credo che ti sia sfuggito nulla. Forse dovresti rassegnarti all’idea che lui potrebbe essere morto. - le prese una ciocca e gliela mise dietro l’orecchio, la luce bianca della lampadina che si rifletteva nell’occhio di vetro, - Devi andare avanti. -
- La mia vita dipende da questo. -
- Perché tu vuoi che sia così. -
- No. - Rachel si ritrasse di scatto, - Tu non puoi capire. -
- Capisco molto più di ciò che pensi, chérie. - mormorò scuotendo la testa, per poi tornare a occuparsi di Sebastian.
Nella stanza calò un silenzio carico di parole non dette, interrotto soltanto dal rumore dell’acqua corrente e dalla voce stonata di Gabriel che cantava nel bagno. Stava intonando una canzone da taverna, una di quelle che Alan aveva sentito tanti anni prima in un paesino tormentato dagli attacchi di un grifone.
Con gli occhi socchiusi, il cacciatore scrutò il volto di Rachel, studiando la mimica del suo corpo, la rigidità delle spalle e gli occhi vuoti e privi di calore che fissavano un punto indefinito sopra la testa di Samuelle. Il corsetto lasciava scoperta la schiena e, anche se di scorcio, Alan poté vedere la pelle perfettamente intatta, senza cicatrici o rune incise a fuoco su ogni vertebra sporgente. I Sannan non ne avevano bisogno. Ciononostante, faticava ancora a vedere in quella ragazzina dall’aspetto di una quattordicenne una delle Slayers più temute. E poi quella fame di risposte era troppo umana per appartenere davvero a una come lei. Se non fosse stato nella sua stessa situazione, avrebbe pensato che fosse sintomo di follia, una sorta di infezione che stava risvegliando quella parte che un cacciatore avrebbe dovuto disprezzare, perché sinonimo di debolezza. A entrambi avevano iniettato virus che li avevano tenuti tra la vita e la morte per giorni, fino a quando non si erano svegliati per morire di nuovo e per sempre. Eppure adesso eccoli lì, alla ricerca della causa e la cura per quel morbo.
Si passò una mano sul viso, nascondendo un sorriso amaro dietro le ciocche argentee e rosse. Quando rialzò lo sguardo, incrociò quello di Samuelle. Per un attimo si rimase incantato a fissarla, mentre un familiare formicolio gli faceva accapponare la pelle e tendere i nervi, rendendolo impaziente.
In quel momento dei passi attirarono la sua attenzione e, voltandosi, vide un Gabriel sorridente e finalmente pulito che camminava verso di loro fischiettando. Ora che si era lavato, sembrava quasi una persona normale, anche se i capelli ricci avevano ancora l’aspetto di un nido di rondini. Alan si domandò anche dove avesse preso i vestiti puliti, visto che nessuno era andato a portargli un cambio. Non appena entrò nella stanza, Rachel gli fece cenno di avvicinarsi e, a discapito di quello che il cacciatore pensava, il ragazzo obbedì senza fare storie. Forse il bagno lo aveva fatto rinsavire.
Mentre la sua compagna lo attendeva con la sua solita faccia inespressiva, Samuelle non sembrava particolarmente felice di vederlo con addosso quegli abiti. Lo squadrò da capo a piedi con una smorfia e l'altro si pietrificò.
- Lo sai che non si entra nella camera delle signore senza chiedere il permesso? -
- Io… io, veramente... -
Samuelle afferrò un martello e lo fulminò con un’occhiata minacciosa: - E se ci fosse stata mia sorella nuda? E se io avessi deciso di andarmi a cambiare e mi avessi sorpresa senza vestiti? O se ci fosse stato il mio amante col pene all’aria? -
“Sì, e già che ci siamo anche un vampiro pervertito nell’armadio.”
- Io… davvero, mi avevi detto che... cioè, io… - balbettò Gabriel nel panico.
- Ti avevo detto che ti avrei portato io i vestiti, non che eri libero di frugare nell'armadio. - scandì ringhiando.
- Ma non potevo venire di qua senza niente! - provò a obiettare.
La ragazza si alzò e, con la penna del martello puntata al pomo d’Adamo, lo costrinse a indietreggiare.
- Ribadisco il concetto. Non entrare mai più nella mia stanza senza il mio permesso. Ti è chiaro? -
- Sissignora. -
- Vedo che ci siamo capiti. - sibilò e buttò giù i vestiti da una sedia, che spostò vicino a quella di Rachel, quindi si rimise al lavoro come se niente fosse.
“Un’altra donna bipolare… non ne posso più.”
Alan affondò le mani nelle tasche con un sospiro sconsolato. E dire che lui voleva solo mangiare una ciambella.
Dopo un attimo di silenzio, Rachel prese la parola e si rivolse a Gabriel.
- Bene, veniamo al sodo. Immagino tu ti stia chiedendo perché ti abbiamo portato qui. -
“Tu ce l’hai portato, non mi coinvolgere.”
Gabriel annuì e abbassò lo sguardo come un bambino in attesa della punizione. Un leggero tremore gli scuoteva le spalle e aveva intrecciato le dita talmente forte da far sbiancare le nocche.
- Voglio sapere chi è Meredith. -
Il ragazzo la guardò piuttosto sorpreso: - Perché ti interessa? -
- Rispondi alla domanda. -
A quelle parole seguì un lungo silenzio, durante il quale l’interrogato, sempre più nervoso, cominciò a tormentarsi le mani e a mordicchiarsi il labbro, occhieggiando la stanza in cerca di una via di fuga. Ma tutte le finestre erano sbarrate da delle pesanti grate e vicino all’anticamera si era seduto Alan. Dal canto suo, il cacciatore l’avrebbe pure lasciato fuggire, se non fosse stato conscio delle conseguenze che quel gesto avrebbe portato con sé. Così sfoderò il suo ghigno più feroce e appoggiò i gomiti sulle ginocchia, trapassandolo con un’occhiata minacciosa. Come previsto, Gabriel distolse immediatamente lo sguardo.
- Meredith è… è la mia fidanzata. -
- È un fantasma. -
- S-sì. - rispose incerto, - Sì, è un fantasma. -
- Ottimo. Sai dirmi quando è morta. -
- È una domanda? -
- Ovvio che è una domanda. -
Alan dovette reprimere una risata.
- Beh, no, dovrei… dovrei parlare con lei. -
- Non puoi chiederle se può manifestarsi anche a noi. -
Gabriel tossì, più per prendere tempo che per reale bisogno. E anche per capire che tono dare alla frase della cacciatrice.
- Sì, potrei. - rispose dopo un momento, - Però non so se ha abbastanza forza. In alternativa potrei farmi possedere, così che… -
- Basta che mi fai parlare con lei. - lo interruppe Rachel.
Il ragazzo assentì. Socchiuse le palpebre, forse per ascoltare cosa aveva da dire il fantasma, e un secondo più tardi il suo corpo ebbe uno spasmo e si abbandonò contro la sedia con la testa rovesciata all’indietro. Lo fissarono tutti, stupiti e nervosi. Persino Samuelle depose Sebastian sulla scrivania per osservare la scena.
Passò un lungo e stancante minuto prima che si rialzasse e, quando finalmente si rimise dritto, Alan capì immediatamente che quello non era Gabriel. Non più, almeno.
- Sei Meredith. - esordì Rachel atona.
Samuelle indietreggiò spaventata, lo sguardo fisso in quegli occhi vitrei, con le iridi verdi talmente slavate da sembrare due macchie in mezzo al bianco della sclera.
Gabriel, o Meredith, sorrise. Si prese il suo tempo per studiare Rachel, come se volesse imprimersi nella memoria ogni singolo dettaglio del suo viso.
- Sì, sono io. Sono Meredith. - rispose infine con voce flautata.
- Perché mi stavi guardando. -
- Pensavo a quanto le somigli. -
- Quindi tu mi conosci. - chiese.
- No, ma conoscevo chi ti ha messa al mondo. - sorrise di nuovo e le accarezzò la guancia.
Rachel si ritrasse di scatto, ma Meredith non sembrò offendersi. Ritirò il braccio e congiunse le mani in grembo, senza distogliere lo sguardo da lei.
- Tu… tu conoscevi… - esalò esitante la cacciatrice.
- Seanna. Come ti ha detto Qayin, vivevo al castello con lei. Ero la sua cameriera, una delle poche umane che aveva deciso di servirla. Anzi, oserei dire l’unica, visto che l’altra, Gwenna, era un fantasma. - si coprì la bocca, soffocando una risata, - In effetti, a parte me, nessuno della servitù era umano. -
- Perché hai deciso di servirla. -
- Erano tempi difficili e qui, ad Antrim sud, la carestia aveva sterminato la mia famiglia. Ero troppo piccola per andare in fabbrica e troppo magra e debole per lavorare nelle miniere di carbone. All’epoca non c’era nessuna legge che regolava il lavoro minorile, quindi i disperati erano costretti a impiegare i loro figli nella valle carbonifera vicino alle paludi di Ferwal, per poi vederli morire dopo un mese per difterite, poliomielite o soffocati sotto una frana. Cercai un’occupazione a lungo, ma nessuno voleva un’orfana ossuta e sporca nel suo negozio. Persino quando parlai con l’uomo che poi mi mise in mano un piccone dovetti pregarlo per farmi assumere. - storse le labbra e scosse il capo, - La paga era irrisoria, le razioni scarse e non potevo mai fermarmi per non scatenare l’ira dei controllori, ma almeno potevo mangiare e, se risparmiavo, riuscivo anche a comprarmi qualche dolcetto. Andò avanti così per un paio di mesi, finché un giorno non fui mandata a lavorare in una delle gallerie più instabili. Era un luogo freddo e umido e il legno delle protezioni reggeva appena il peso della terra, ma ovviamente non potevo rifiutarmi. Così, assieme ad altri sei bambini e una decina di uomini, andai a scavare lì, consapevole che non ne sarei più uscita. Quando la terra tremò, mi ero ormai avventurata fin troppo in profondità perché riuscissi a scappare. Il legno cedette e i massi seppellirono i miei compagni, mentre gli altri, gli adulti, furono abbastanza veloci da fuggire al crollo. Non so per quanto tempo rimasi svenuta. In realtà, non so nemmeno come abbia fatto a salvarmi. Quando mi risvegliai ero sola, al buio, con una torcia nella tasca dei pantaloni. Camminai a lungo con quell'unica luce a farmi da guida, dapprima imboccando tunnel a caso, poi mi concentrai per distinguere un qualsiasi segno di vita. Una leggenda che girava in miniera raccontava che una galleria portasse fuori dalla valle e che chi fosse riuscito a percorrerla tutta senza perdersi sarebbe entrato nel mondo delle fate. E io ci credevo, volli crederci, in fin dei conti era l’unica speranza che mi rimaneva. -
Pardon, che hai detto? Fate? - la interrogò Samuelle, protesa in avanti sul tavolo con gli occhi ridotti a fessure.
- Sì, fate. -
- E ci sei arrivata? - chiese ancora, rinserrando la presa sul martello con cui aveva minacciato Gabriel, ma non appena incrociò quello sguardo così profondamente triste il braccio cadde arreso lungo il fianco.
- No. Sono svenuta prima di arrivare alla fine della galleria. Ero sopravvissuta per un paio di giorni mangiando il pane raffermo che avevo in tasca e bevendo dalle fiasche che avevo rubato ai miei compagni morti, ma non era bastato. Ero troppo stanca per continuare. Ricordo di aver sperato che le fate mi portassero in salvo e così è stato. - riportò l'attenzione su Rachel, - Fu tua madre, Seanna, a salvarmi. -
Alan scoccò un'occhiata alla sua compagna, che ora sedeva rigida sulla sedia, con gli occhi azzurri pieni di sgomento.
- Ha fiutato il mio odore e mi ha portata nel suo castello. - proseguì Meredith, - Durante i primi tempi ebbi paura di lei, ma poi capii che lì ero al sicuro e che lei non mi avrebbe mai fatto del male. Decisi di servirla per gratitudine. -
- E poi cosa è successo. -
Meredith sorrise di nuovo, ma non c’era calore in quello stiramento di labbra.
- Purtroppo sono morta in modo violento e i miei ricordi, quelli abbastanza vividi, sono pochi. - allungò la mano e le alzò con delicatezza il mento, - Tu e Seanna avete gli stessi occhi. Erano azzurri come i tuoi, un po’ allungati come quelli di un gatto. Ad essere sincera, sei la sua esatta copia. -
- Di mio padre cosa ricordi. -
Fece un sospiro stanco e si abbandonò contro lo schienale: - Di lui ricordo poco, solo che era molto gentile con me. Seanna lo prendeva in giro perché aveva un cattivo sapore. -
- Fai uno sforzo, ti prego. - insisté Rachel, la trattenne per una mano e la strinse forte, ma le dita di Gabriel scivolarono via e il braccio cadde inerte lungo il fianco, mentre pian piano gli occhi si chiudevano.
- Mi dispiace… ho… ho molto sonno… -
- No, per favore, non ora... - la voce le tremò e si incrinò, per poi spezzarsi in un gemito di frustrazione.
Sotto lo sguardo attonito di Alan e Samuelle, la cacciatrice scosse il corpo di Gabriel, all’inizio senza metterci troppa forza, poi affondò le unghie nelle spalle e lo scrollò con vigore. Se non fosse stato per l’intervento tempestivo di Alan, avrebbe continuato fino a fargli perdere i sensi. Quando riuscì a staccarla da lui, Rachel parve trasformarsi in una bambola senza vita. Continuò a fissare Gabriel a lungo, con gli occhi sbarrati, mentre nelle pupille dilatate, nascoste da un velo di lacrime, si agitava una tempesta di sentimenti che mai Alan si sarebbe aspettato di vedere.
La trascinò di peso sulla sedia dall’altra parte della stanza e la costrinse a sedersi, ma Rachel non oppose nessuna resistenza. Se ne stava lì, immobile, contemplando con aria vacua la poltrona dove ora Samuelle aveva fatto accomodare Gabriel. Alan la osservò indeciso, cercando di interpretare tutto il ventaglio di emozioni che lentamente si stavano inabissando di nuovo dietro lo sguardo inespressivo della cacciatrice: rabbia, diffidenza, preoccupazione, angoscia e, infine, sollievo. C’era anche altro, ma, prima che lo Slayer potesse capire di cosa si trattasse, un mormorio sommesso attirò la sua attenzione.
Gabriel si era alzato e aveva appoggiato le mani sul tavolo da lavoro di Samuelle. Era esausto, lo si poteva notare dal tremore del corpo e dal pallore sul suo viso. La possessione doveva averlo sfinito, eppure in fondo a quelle iridi verdi brillava una fredda determinazione.
- Ha… ha detto che ti porterà. - disse con un fil di voce.
Rachel non rispose, forse aspettando che Gabriel si spiegasse.
- Meredith ha detto che ti porterà al castello di Seanna. - concluse, poi si accasciò al suolo, svenuto.
 

*

 
Dopo che un Gemren a forma di usignolo le ebbe consegnato il messaggio della sorella, che le annunciava che non sarebbe tornata, la padrona di casa diede a Rachel la propria camera e si fece aiutare da Alan a sistemare Gabriel nel divano-letto in quella della sorella.
Anche Samuelle avrebbe voluto riposare, ma c’erano mille e più pensieri che le vorticavano nel cervello, così decise di rintanarsi nel suo studio e mettersi a lavorare su un prototipo di braccio meccanico che le avevano commissionato pochi giorni addietro. Prima però si recò in cucina, afferrò due birre da un rudimentale frigorifero e ne offrì una ad Alan, invitandolo ad accomodarsi dove più gradiva. Quindi prese di nuovo posto alla scrivania e si impose di non far caso al suo ospite, che si era seduto su una sedia vicino alla porta della stanza. Di tanto in tanto lo osservava, ammaliata dallo strano colore dei capelli del cacciatore. Non era strano vederne uno con i capelli argentati, poiché, in base a quello che le aveva raccontato Rachel, era una mutazione che si riscontrava spesso in coloro a cui era stata impiantata la carne di un necrumanoide, però quelle ciocche rosse erano un dettaglio strano. Aveva pensato fossero tinte, ma poi, a un esame più approfondito, si era resa conto che erano naturali. O, quantomeno, così sembrava, visto e considerato che era una tecnomante, non una parrucchiera.
- Qualcosa non va? -
- Come? -
Samuelle sussultò e si accorse che Alan la stava fissando. Arrossì e si aggiustò gli occhiali multilenti, dissimulando l’imbarazzo con uno sbadiglio.
Alan ripeté la domanda e la ragazza scrollò le spalle.
- No, no. Sono stanca e mi sono incantata a guardare i tuoi capelli. Spero di non averti infastidito. - si scrocchiò le dita e si grattò il collo.
- Solo un po’, ma ormai ci ho fatto l’abitudine. -
Samuelle sospirò. Doveva aspettarsi una risposta simile, in fin dei conti quel tipo era uno Slayer come Rachel, anche se gli sembrava meno impassibile della sua amica. E di certo più affascinante.
Bevve un altro goccio di birra e si passò la lingua sulle labbra, gustandosi i residui di schiuma. Anche il cacciatore sorseggiò la sua, spostando pigramente lo sguardo da una parte all'altra dello studio, soffermandosi giusto qualche secondo su alcuni oggetti sparpagliati qua e là.
- Hai qualcosa di più forte? - le chiese.
Samuelle gli indicò la cucina con un cenno. Alan si alzò e dopo qualche istante tornò con una bottiglia di vodka e due bicchierini.
- È quasi l'una. Non vuoi andare a dormire? - domandò Samuelle, un sorriso appena accennato ad arricciarle gli angoli della bocca.
- Vorrei, ma la sedia non è un buon posto dove riposare. - ridacchiò, mentre le versava da bere.
- Sì, in effetti hai ragione, non ci avevo pensato. Mi dispiace, ma Rachel non mi aveva detto che sarebbe venuta con qualcuno, sennò mi sarei organizzata. -
- Non ti preoccupare. Sono abituato a dormire anche all’addiaccio, non morirò. - sbuffò, buttò giù la vodka in un sorso e si lasciò cadere di nuovo sulla sedia, - Tu e Rachel siete amiche da molto? -
- Sì, diciamo di sì. In realtà, non so se lei mi consideri veramente un'amica, però sì, la conosco da un bel po’ di tempo. -
- Capisco. -
- Per me è come una sorella, le voglio molto bene e senza di lei non sarei qui. - indicò l’occhio di vetro ridacchiando, - È stato grazie a lei se me la sono cavata solo con un occhio e un orecchio in meno. -
- Sei una delle sopravvissute all’incendio di vent’anni fa? -
- Sì. -
- Magia? - indagò, versandosi un altro bicchierino.
- Anche chirurgia, nonostante debba dire che senza le cure di quella buon’anima di Ludwik non penso sarei nemmeno sopravvissuta alla prima notte. E poi c’è Rachel, che mi ha tirata fuori da quell’inferno. - prese la bottiglia e si riempì a sua volta il bicchiere, - Tu, invece? Che mi dici di quel colore di capelli così bizzarro? -
Alan fece spallucce: - Diciamo che sono un tipo originale. -
- “Strano” penso sia il termine più adeguato. -
- Touché. -
Il sorriso sulle labbra di Samuelle si allargò. Non aveva spesso occasione di parlare con un uomo: in generale le persone avevano paura di lei, soprattutto quando si toglieva gli occhiali multilenti e vedevano i segni delle bruciature. Istintivamente li sfiorò per essere certa di averli ancora. L’ultima volta che era stata con un uomo e li aveva tolti, quello era scappato a gambe levate. Da quel momento aveva preso l’abitudine di indossarli sempre, in qualsiasi circostanza.
- Quindi domani andrete alle paludi? -
Alan, che si stava servendo altra vodka, si immobilizzò con la bottiglia inclinata sopra il bicchiere.
- Sì. -
- Non sembri particolarmente felice. -
- Io aiuto Rachel, lei aiuta me. Mi sembra uno scambio equo. -
- Più che giusto. - convenne, mentre spegneva la luce e accendeva una candela, - Se posso sapere, cosa stai cercando di preciso? -
Alan tacque un istante, come se stesse valutando se fidarsi o meno. La luce incerta della candela proiettava delle ombre danzanti sul suo viso e Samuelle ebbe la sensazione che la fiammella sparisse in quegli occhi, inghiottita dalle iridi verdi che ricordavano quelle di un felino. Avvertì il bisogno di baciarli, ma lo represse serrando i pugni.
- Sto cercando una persona, una ragazza che faceva parte della gilda dei tecnomanti. Rachel mi ha detto che conosce qualcuno lì che potrebbe darmi delle informazioni. -
- Non mi stupisce. Un po’ di tempo fa facevo parte della gilda dei tecnomanti anche io, ma dopo l’incidente mi sono ritirata a vita privata e ho aperto un negozio mio. - si appoggiò allo schienale della sedia e accavallò le gambe, senza prendersi affatto la briga di coprirsi le cosce che la gonna lasciava scoperte, - Magari, se in questi giorni andate, prova anche alla gilda degli alchimisti. -
Il cacciatore la scrutò con espressione enigmatica, accarezzando con gli occhi la pelle nuda delle gambe, fin dove le ombre si insinuavano in zone più nascoste.
- Si sono unite qualche anno fa, mi pare. - commentò distratto.
- Sì, esattamente tre anni fa. Quando vai, chiedi di mia sorella Temarie: sicuramente avrà scorto la tua amica, magari saprà anche dirti con chi parlare. -
- Grazie. -
- Sempre disposta ad aiutare gli amici di Rachel. - sollevò il bicchiere in alto e ammiccò, - Santé, Alan! -
- Alla tua, Samuelle. -
Bevvero ancora e poi calò il silenzio.
Samuelle non sapeva esattamente come continuare la conversazione. Sentiva lo sguardo di Alan addosso, intriso di desiderio. O forse era solo l'alcool che aveva appiccato un incendio dentro di lei, risvegliando i ricordi spiacevoli di quella notte in cui tutto era cambiato. Era stata opera di un gruppetto di vampiri giovani, che si erano intrufolati e avevano fatto saltare una delle tubature sotterranee. Faceva molto caldo, era un'estate molto afosa e il fuoco era divampato subito, senza il minimo controllo. Lei e molti altri non avevano potuto fare granché. Nonostante avessero tentato di forzare le porte del magazzino, alla fine le fiamme li avevano raggiunti prima che arrivassero i pompieri. Le avevano detto dopo che erano state bloccate con la magia. Samuelle aveva visto il proprio corpo bruciare assieme a quello dei suoi compagni, la cui unica colpa era stata quella di trovarsi nel posto sbagliato al momento sbagliato. Ancora oggi si svegliava di soprassalto nel cuore della notte con le loro urla nelle orecchie.
Tracannò la vodka e sbatté il bicchiere sul tavolo.
- Devo la vita a Rachel. S’il te plaît, aiutala ad andare fino in fondo a questa storia. - aggiunse con voce incerta e il cuore pesante.
Alan sprigionava un odore fresco di erba e di sudore che le pungeva le narici e le dava alla testa, ma si impose di controllarsi, perché sapeva che era l’alcool a farlo apparire così bello ai suoi occhi. Normalmente non avrebbe mai trovato attraente un ragazzo così giovane, eppure non riusciva proprio a smettere di fissarlo.
- Te l’ho detto, Samuelle. È un aiuto reciproco. - ripeté a bassa voce e quella frase inoffensiva assunse un nuovo significato nella penombra della stanza.
La ragazza si alzò e torreggiò su di lui braccia conserte: - Non la ingannerai? -
- Non ho motivo di farlo e non lo farò. - rispose sincero, poi si mise in piedi, posò una mano sul suo viso e con l’indice sfiorò la bruciatura che i capelli candidi lasciavano scoperta.
Samuelle si mosse prima che potesse elaborare un singolo pensiero. Non seppe cosa la spinse a baciarlo, ma in quel frangente non le importò delle conseguenze del suo gesto. C’era solo il presente, le mani di Alan sul suo corpo, sotto la fascia che le copriva il seno e sotto la gonna, le sue dita che la violavano piano e al contempo con bramosia, urgenza. Non fu affatto dolce, ma nessuno dei due avrebbe voluto che lo fosse.
Samuelle si ritrovò nuda in un batter d'occhio, piegata a novanta gradi sulla scrivania. Quando Alan le aveva tolto la biancheria, quasi strappandogliela di dosso, per un attimo si era fermato a guardarla, accarezzando la pelle scoperta con una fame animale, quasi rabbiosa, gli occhi che brillavano come quelli di un predatore.
Era solo sesso, un'unione di corpi priva di amore o carezze, fine a se stessa.
Samuelle fece appena in tempo a indicargli il cassetto dove teneva la scatola dei preservativi di gomma, poi Alan le tolse gli occhiali multilenti e, per nulla impressionato dalle ferite, affondò nelle sue umide carni, strappandole un gemito strozzato. Il suo corpo fremeva sotto le sue spinte vigorose, si inarcava docile per dargli più piacere e riceverne altrettanto, mentre il cacciatore si appropriava di lei con furia. Samuelle lasciò che quel desiderio cocente le invadesse le vene spazzando via ogni resistenza, incurante del fatto che i suoi gemiti potessero svegliare i due ospiti, incurante delle cicatrici sulla pelle, delle bruciature e del dolore, incurante di tutto ciò che c'era al di fuori di quella stanza piena di pezzi meccanici, gemme e cavi. Le sue membra arsero come quella notte, ma in modo più piacevole, e il mondo dai suoni ovattati che la circondava da anni la cullò nel suo abbraccio.
Cambiarono spesso posizione, due animali affamati l'uno dell'altra e mai sazi dei rispettivi sapori. Si cercarono come pazzi, con avidità e ingordigia, come se non lo facessero da anni, come se l’astinenza fosse ancora un pericolo reale, una catena pronta a separarli alla fine di ogni amplesso. Non si dissero niente, non ce ne fu bisogno, perché i gesti valevano più delle parole. Lasciarono che fossero i loro corpi a dialogare, fino a quando non caddero stremati sul pavimento, nudi, ansimanti e ancora intimamente legati.
Solo allora Samuelle si concesse di sbirciare Alan e in quegli occhi celati appena dalle palpebre socchiuse scorse un uomo. A un tratto, la sensazione di essere tra le braccia di un essere che nascondeva il suo vero io dietro un corpo giovane l’assalì, ma durò solo un istante, il tempo di un battito di ciglia ed era già passata così com’era venuta.
Si rivestirono alla bell'e meglio e si addormentarono abbracciati, scaldati dal calore della loro pelle e da una coperta spiegazzata rubata da un cumulo di vestiti ammassati a terra.
Per la prima volta dopo tanti anni dall’incendio, Samuelle non sognò le grida dei suoi compagni.

  
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