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Autore: Kore Flavia    25/03/2016    1 recensioni
A Zoe i cani erano sempre piaciuti, aveva continuamente supplicato il padre di regalarle un piccolo fagottino d’amore e di peli, ma quello aveva ininterrottamente usato la scusa del “chi se ne occupa?”. Zoe aveva supplicato anche la madre che, troppo impegnata tra casa e lavoro, si scordava costantemente di darle una risposta certa, anche se la bambina aveva sempre sospettato che sarebbe stata un no. Zoe aveva anche provato a convincere la sorellina che “Se almeno tu mi aiutassi, potremmo convincerli”, ma quella era ancora una lattante e l’unica cosa che riusciva a risponderle era uno schiocco della lingua contro il ciuccio. [...]
Il suo desiderio di adottare un cane comunque non era certo diminuito, ma ciò non comprendeva i lupi mannari feriti. Soprattutto se quest'ultimi si presentavano davanti a casa sua una notte di gennaio affermando che "Ehi dolcezza, mi faresti entrare? Tanto ad un fisico come il mio non puoi dire di no.” Accompagnato ad un gesto eloquente e alquanto fuori contesto visto il taglio da cui colava sangue sulla tempia destra.[...]
Genere: Comico, Introspettivo, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, FemSlash
Note: Lime | Avvertimenti: Triangolo | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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Note di un'autrice ritardataria: Dopo quasi due mesi sono tornata con un capitolo e sì, lo so, è più corto del solito, ma vi giuro che sto lavorando al prossimo e bla bla bla.
Finalmente, grazie a queste piccole vacanze, riuscirò a scrivere qualcosa, o così almeno spero.
In ogni caso ringrazio chi legge, recensisce, segue, preferisce e ricorda.
Spero di avere qualche vostra opinione sul "come si sta sviluppando la storia"
Bye bye




Un lupo mannaro per coinquilino
-la dea e il suo licantropo domestico-



All we do is think about the feelings that we hide
All we do is sit in silence waiting for a sign

 
 
Liste e Libri
 
A Zoe la volgarità disgustava e trovava volgari parecchie cose. Ultimamente aveva dovuto aggiungere un altro punto alla lunga lista mentale “di cose che mi fanno rivoltare lo stomaco” ed erano i pantaloni strappati. Era buffo, in fin dei conti era un indumento tanto innocuo con due lunghi strappi orizzontali all’altezza delle ginocchia e nulla più. Allora perché non li sopportava? Lentamente, osservando le liceali girare con questi pantaloni si era spiegata questa sua antipatia.
Essenzialmente il motivo era che, per comprare un indumento strappato, si pagavano più soldi e che serviva solo a fingere di darsi un tono in quella mandria di pecore. Jeans strappati? Devi essere un duro pensava fosse quella l’unica motivazione plausibile, seppur ridicola, all’acquisto dei pantaloni.
Era un peccato, però, che ha indossarli non erano affatto i duri o i ribelli, ma solo degli adolescenti in fase d’accettazione.
Trovava tutto ciò degradante. Una quantità indicibile di gente viveva per strada alla disperata ricerca di cibo e di toppe per ricucire gli strappi dei vestiti: la loro unica protezione dal gelo invernale nelle strade di Roma. Zoe odiava notare quanti giovani ostentassero i loro “bei” pantaloni strappati (nuovi) davanti a quella miseria e quella povertà. Sembrava quasi una presa in giro: “Io posso permettermi di pagare di più per avere dei vestiti del genere” o “Non ho bisogno di coprirmi dal freddo, ho una casa, io”.
Una volta aveva pure fermato una ragazzina domandandole cosa la spingesse a comprare certi capi davanti a quelle povere persone e lei le aveva risposto, risaputa: -Se non c’hanno i soldi colpa loro-. Zoe era rabbrividita.
Pure Dylan indossava dei pantaloni del genere: ampi pantaloni color kaki che gli cadevano pesantemente all’altezza della vita con alcuni strappi in vari punti. Zoe lo trovò accettabile poiché non erano visibilmente fatti così e che, probabilmente, se gli era procurati nelle varie discoteche e scorribande di cui le aveva accennato. Certo, ciò non toglieva che poteva comprarsene di nuovi, ma trovava meno vergognoso tenersi un pantalone a tal punto da consumarlo tanto.
-Sai, accetto i tuoi pantaloni solo perché so che non sono nuovi.- esordì la donna di punto in bianco, lasciando l’altro perplesso e intontito.
-Cosa?- domandò quello, rimanendo tranquillo sul divano dov’erano rimasti dall’inizio della giornata. Era domenica ed entrambi volevano assaporare quel tempo libero e rilassante a loro disposizione. Zoe si rese conto di aver esternato il proprio pensiero e stralunata dovette trovare una giustificazione.
-E’ un pensiero sfuggito dalla mente, non farci caso.-
-O forse vuoi che io mi tolga i pantaloni.- Rise lui.
-No grazie, non credo che la visione possa essere di mio gradimento.- Il tono neutrale lasciava trasparire dell’ironia pungente.
Zoe, allora, si era stiracchiata e aveva fatto una smorfia.
-Ho fame.- Che per lei era un po’ come dire “Prepara qualcosa da mangiare” Dylan sghignazzò alzandosi e sparendo in cucina senza commentare.
La donna prese il telecomando per vedere l’ora: 12.30. Aveva molto tempo prima di prepararsi ed uscire per la cena con la famiglia, ma la prospettiva non l’allettava affatto. Qua ora poteva anche mangiare bene!
Elisabetta, poi, ora aveva diciott’anni e ciò significava solo una cosa: la maturità. Zoe si poteva solo immaginare quanto quella ragazza fosse divenuta isterica e di quanto in quel periodo dovesse aver rovinato la vita ai due genitori. Elisabetta era già solita farsi prendere dall’ansia, a differenza di Zoe che spesso rimaneva imperturbabile davanti alle difficoltà essendo cosciente della propria intelligenza, se si doveva essere corretti, pensò la maggiore, l’altra si faceva prendere da qualunque tipo di emozione.
Però, dovette ammettersi Zoe, Elisabetta, crescendo, era maturata tanto da avvicinarle tra di loro. Seppur si sentissero di rado e spesso tramite whatsapp o facebook il loro rapporto si era approfondito. Alla fine erano entrambe grandi oramai e la differenza di età si era assottigliata.
-Stasera ho una cena fuori, te l’avevo già detto?- gridò lei senza smuoversi dal salotto. O lui non la sentì –cosa improbabile- o la ignorò bellamente o, ancora, le rispose senza che lei potesse sentirne la risposta.
-Allora?- Chiamò di nuovo in attesa di una risposta. Ancora niente. Era costretta ad alzarsi? Sembrava proprio di sì. Si rotolò sul divano poggiando la pianta dei piedi sul parquet scricchiolante e fece perno sulle palmi delle mani per alzarsi. Fallì miseramente: la voglia di alzarsi era pari a zero, doveva essere a causa dell’influenza di Dylan.
-Ho capito.- esalò per alzarsi definitivamente e raggiungere la cucina: -Quindi? Te l’avevo detto che andavo a cena fuori stasera?- Domandò infine sulla soglia della cucina osservandolo muoversi tra i fornelli per preparare l’ennesimo sughetto –come faceva ad inventarsi sempre ricette diverse le sfuggiva- e districarsi tra tutte le padelle e pentolini disseminati tra i fornelli. A Zoe veniva un capogiro al solo vedere quel casino.
In quell’ultimo periodo l’aveva sentito borbottare “Quello non è un pesce gatto, idiota, si chiama triglia. Tri-glia” davanti all’ennesima replica di Masterchef all’una di notte. O anche “Che cosa stai facendo a quelle povere ed indifese capesante? Vandalo!” davanti ad un episodio della nuova stagione di Hell’s Kitchen. Zoe si limitava a sogghignare: un giorno –capodanno?- gli avrebbe chiesto di prepara un cenone come si deve.
(Per non parlare delle sue dubbie origini, non credeva fosse davvero Americano, ma in fin dei conti non è che le interessasse molto finché stava al suo posto a cucinare.)
Lui fece un segno d’assenso accompagnato da un “Mhmh” concentrato. C’era l’alta probabilità che non l’avesse ascoltata nemmeno questa volta. La sua missione dal divano alla cucina si era rivelata inutile.
-Che cosa ho appena detto?- Lo mise alla prova.
-Hai detto della sera di stacena?- Quell’affermazione strampalata fece esplodere Zoe in una grassa risata beffarda.
-Stacena?- Ripeté prendendosi gioco del coinquilino. Quello annuì senza ancora rendersi conto di ciò che aveva detto. Zoe aspettò una reazione che arrivò con impressionante ritardo: 20 secondi secondo il calcolo mentale della donna. Quello si girò, sgranò gli occhi e borbottò un “senti, hai capito” poco convinto.
L’ospitante decise di aver fatto il suo lavoro nel prenderlo in giro e si girò di spalle per raggiungere nuovamente il divano.
 
Le 18.00 scoccarono e Zoe dovette costringersi ad alzarsi –nuovamente- e ad andarsi a preparare. Sarebbe dovuta uscire tra un’ora e, odiando fare ritardo, preferiva esser già pronta un quarto d’ora prima. Si chiuse in camera per quella che a Dylan parve un’eternità: tanto da chiedersi se si fosse persa nel bagno o chiusa nell’armadio per andare a Narnia.
Dylan aveva notato, solo dopo una settimana abbondante, quanti libri contenesse quell’appartamento. I libri non solo erano parcheggiati in doppia fila sulla libreria in salotto e quella in camera della ragazza, ma gli era capitato di trovarli infrattati in qualunque mobile che contenesse ancora un poco di spazio: nel comodino del bagno, vicino ai piatti e le stoviglie, dentro i cassetti che avrebbero dovuto contenere dvd nel mobile della tv. Praticamente ovunque posasse il naso poteva trovare un libro che risiedeva trionfalmente quella posizione.
Aveva anche notato che di generi ce n’erano a bizzeffe: si passava dai grandi classici italiani e stranieri a libri per giovani adolescenti in piena fase ormonale –Dylan immaginò dovessero appartenere all’”età buia” dell’altra e si sorprese a sghignazzare sotto i baffi a vederli più celati degli altri come un pudico desiderio di conservarli.
Perciò, mentre la coinquilina era impegnata a prepararsi, lui andò a sfilare qualche volume dal proprio posto sfogliandolo. Il volume che aveva catturato l’attenzione quel giorno –doveva ammettere d’aver più volte spulciato nella libreria- era un sottile libricino dal titolo “cosmetica del nemico” di Amélie Nothomb, la quale aveva sfarzosamente occupato un ripiano intero nella libreria. Fatto che rivelava una certa predilezione nei confronti di quest’autrice.
Quando sentì i passi militareschi dell’altra cadenzare sempre più vicini al salotto Dylan nascose il libricino sotto a uno dei cuscini del divano. Non era grande trovata, ma aveva funzionato per giorni.
-Non aspettarmi sveglio.- annunciò quella entrando nella stanza e affondando pericolosamente vicino al fatidico cuscino. Dylan fece una smorfia scoprendo i canini acuminati. La donna lasciò cadere le scarpe col tacco a terra.
-Ti senti male?- domandò quella ironicamente. Si piegò in avanti armeggiando con la lampo degli stivaletti rigorosamente neri. Infilò le scarpe e si alzò in piedi. Si spolverò i pantaloni neri già perfettamente puliti. L’altro fece cenno di sì con la testa.
-Stai bene.- borbottò quello grattandosi una guancia e supplicandola con gli occhi affinché si allontanasse dal cuscino. Vedi che è la volta buona che mi scopre bofonchiò un angolo del suo cervello.
-Sono vestita come sempre.-
-Non ti si può neanche fare un complimento?- L’altro le passò la giacca agganciata al appendiabiti dietro di sé. –Tieni.-
-Non quando lo fai per distogliere la mia attenzione da un furto.- lo canzonò beffarda. –Grazie.- prese la giacchetta e se l’infilò.
-Cosa? Furto, di che stai parlando?- Un risolino nervoso tradì la perplessità di Dylan e Zoe lo fulminò le sopracciglia scure aggrottate e le labbra stirate in un’ espressione di sufficienza. Beccato.
-Chissà, sembra che i miei libri spariscano per un po’ prima di riapparire magicamente al loro posto.-  Non che l’infastidisse come cosa, in realtà. Non era una di quelle possessive nei confronti dei libri e, anzi, la lusingava che qualcuno le chiedesse un libro in prestito. Era segno di ammirazione era il suo pensiero a riguardo. Lei non avrebbe mai chiesto un libro in prestito a qualcuno che reputava idiota. E anche per questo non aveva mai chiesto libri in prestito.
-Forse sono andati in vacanza.- provò il coinquilino. Battuta scadente, ma che causò ugualmente una grande ilarità da parte dell’altra che, prendendo la propria sciarpa e arrotolandosela intorno al collo, si era messa a ridere.
-O forse gli hai presi tu.- Gli mandò un’occhiata complice, doveva essere la cena con la famiglia, immaginò l’altro, era quella la ragione di tale schizofrenia. –Non è un problema, davvero.-
Dylan ebbe l’impulso di urlarle un “Va’ deretro satana!” e un “Esci da questo corpo” come aveva visto fare in un mucchio di film. Considerò anche la possibilità di fare uno di quei rituali demoniaci che aveva visto in supernatural, ma tutte queste brillanti idee vennero scartate poiché troppo rischiose. Più che per l’amica per lui stesso che sarebbe stato scaraventato fuori casa in un batter d’occhio.
Zoe lo salutò un’ultima volta e varcò la soglia di casa come un’anima in pena. Per la prima volta l’idea di restare a casa assieme a Dylan a sgranocchiare pop-corn davanti all’ennesima replica di The big bang theory non le sembrava un’idea così malvagia. 
   
 
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