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Autore: GlendaSinWrasprigrel    26/03/2016    1 recensioni
Sonic si liberò dalle macerie urlando dal dolore per lo sforzo e si piegò in due per riprendere fiato. Alzata la testa, spalancò gli occhi davanti a quell’orrore: le colline verdi erano ormai diventate nere come la pece e il fiume era diventato una pozza di fuoco. Tutto bruciava di uno spaventoso colore cremisi.
« Ma che… ahi!» Bastò un passo e Sonic si trovò a terra. Portatosi una mano alla caviglia la sentì gonfia. «Che cosa è successo?» si chiese il riccio preoccupato.
«Quello che vedi, topastro.»
Alzata la guardia Sonic squadrò una palma alla sua destra, dove una ragazza vestita da abiti orientali lo fissava con un sorrisetto compiaciuto.
«Tu…chi diavolo sei?!» le ringhiò Sonic.
«Calma, Sonic the Hedgehog.»
«Sei stata tu? Cos’hai fatto ai miei amici?!»
«Tranquillo. Li raggiungerai molto presto» la ragazza scese con un salto dall’albero e, cogliendo Sonic di sorpresa, gli si avvicinò e lo alzò da terra con facilità prendendolo per il collo. Il riccio sputò sangue, cercando di staccarsi da quella morsa.
«Questo pianeta è morto. Come te» dalla manica del prezioso vestito ricamato, la ragazza estrasse una lama, pronta a colpire il riccio ormai privo di forze. «Addio, topastro.»
Genere: Avventura, Azione | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altro Personaggio, Un po' tutti
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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«Non posso darvi uno dei miei pigiama – a meno che non vi piaccia il rosa – perciò vi dovrete accontentare di questi.»
«Per me vanno benissimo!» dichiarò Sonic contento.
«Pur essendo una ragazza hai dei vestiti del genere?» commentò Shadow con un sopracciglio alzato.
«Ehi, sii gentile con lei, Shadow! Dopotutto ci sta dando una mano!»
«Si, come vuoi.»
«Beh, i gusti sono gusti» rispose a tono Veritas.
Quando Sonic e Shadow finirono di cambiarsi con un paio di tute da ginnastica, i tre ragazzi entrarono nella stanza di Veritas per scoprire finalmente cosa Shadow avesse fatto hai suoi genitori e  perché ora reputassero lui e Sonic suoi cugini.
«Allora.. adesso ci vuoi spiegare come hai fatto? Hai usato l’ipnosi?»
«Precisamente.» Shadow si sedette sul letto e mostrò nuovamente la pietra rossa che portava al collo. Apparentemente sembrava una semplice pietra deforme color rubino, eppure dentro di sé si nascondeva un potere segreto e incomprensibile
«Wow… bella bigiotteria!» disse sarcastico Sonic.
«Guarda che dovresti avercela anche tu,sapientone.»
«Cosa? Io?»
«Ehm… Sonic.»
«Si, Veritas?»
«Lo sai che hai ancora una benda sul collo?» la ragazza indicò con l’indice la striscia di garza. Sonic si avvicinò allo specchio per toglierla e tutti e tre rimasero a bocca aperta: attorno alla gola pendeva un girocollo fatto con un nastro nero e una pietra ovale blu scuro al centro.
«Oh no!» Sonic lo esaminò più da vicino guardandosi allo specchio, cercando di levarselo a strattoni, ma senza risultati.
«È tutto inutile.» sbuffò il moro. «Ci ho provato anche io con la mia catena.»
«Mi da fastidio! Sembro un cagnolino!»
«Woof
«Lo trovi divertente?»
«Esilarante.»
«Se provate a litigare di nuovo, vi butto fuori di casa…»
«Ad ogni modo, ora vi spiegherò che cosa è successo a quei due umani.»
Sonic e Veritas si sedettero sul parquet davanti a Shadow pronti ad ascoltarlo.
«In realtà non ho idea che cosa sia questa roba, ma so solo che me la sono ritrovata al collo lo stesso giorno in cui sono atterato qui. Non so bene a cosa serva, a parte che è in grado di ipnotizzare chiunque.»
«Wow… dici che sarò capace di farlo anche io?» domandò Sonic.
«Probabile.»
«Fantastico!»
«Avrei una domanda» Veritas alzò la mano. «I miei genitori per quanto rimarranno così?»
«Non ne ho idea. Probabilmente finché non lo deciderò io» Shadow si alzò, pronto per uscire dalla stanza. «Bene, credo che ora andrò a dormire. Domani dobbiamo metterci a perlustrare la zona, Sonic.»
«Non hai voglia di restare a parlare ancora un po’? Ci siamo appena rincontrati dopotutto.»
Il moro inarcò un sopracciglio davanti allo sguardo da finto innocente del suo rivale. «Non se ne parla, impostore. Ti ho già detto che vado a dormire.»
«Quanto sei antipatico.» disse Sonic con fare infantile.
«Con te? Sempre.» e uscì, chiudendo la porta dando le spalle.
«Com’è possibile che voi siate compagni?» chiese Veritas irritata dal comportamento del riccio nero.
«Te l’ho detto. È una storia un po’ complicata. Però, anche se abbiamo ancora degli alti e bassi, posso affermare che è dalla parte giusta. Non ti sto a raccontare tutto. Altrimenti mi ucciderebbe sul serio.»
«Perché ti da dell’impostore?»
Sonic fece spallucce sorridendo. «Ormai è diventato il mio soprannome ufficiale. Se chiamarmi così lo fa sentire meglio, allora mi sta bene.»
«Oh, capisco. Lo ammetto, non pensavo che l’avresti presa così bene. Voglio dire, sei molto rilassato nonostante tutto ciò che è successo finora.»
«Tu dici? Sarà il mio carattere. Non mi faccio intimorire così facilmente, neanche da una simile trasformazione o da queste collanine magiche. Ormai me ne sono capitate di tutti i colori che mi sembra di vivere una routine quotidiana.»
«Davvero?»
«Puoi dirlo forte!» Sonic iniziò a raccontare sotto gli occhi increduli dell’umana alcune delle sue più incredibili avventure sul suo pianeta Mobius, nello spazio e dei suoi innumerevoli viaggi nel tempo. Raccontò dei suoi diversi nemici, di come li sconfisse e di come si salvò per un pelo.
«È davvero fantastico! Incredibile! Ma c’è solo una cosa che non riesco ad immaginare.»
«Che cosa?»
«Insomma… quell’Eggman. A me viene in mente un uomo dalla forma ovale.»
Sonic sogghignò divertito. «Sappi che ci sei andata vicina!»
«Che vuoi dire?»
«Hai presente l’uovo alla coque?»
Annuì.
«Ecco. Ora immagina che due strette e lunghe gambe e metà del corpo formino un portauovo, mentre l’altra metà del corpo è l’uovo bollito. Aggiungici dei baffoni e un paio di occhiali tondi  e il gioco è fatto!»
Veritas focalizzò prima il portauovo dal gambo lungo e stretto con sopra l’uovo, poi s’immaginò un uomo sulla base di quella forma aggiungendo i piccoli dettagli e… scoppiò in una fragorosa risata. «Caspita, è un po’ sproporzionato!»
«È quello che penso anche io!»
Sonic si lasciò cadere sul morbido letto di Veritas con le braccia dietro la nuca e un sorrisetto soddisfatto sul volto. «È un tipo incorreggibile. Dico sul serio! Ogni volta cerca in tutti i modi di conquistare Mobius.»
«E ovviamente tu lo hai sempre sconfitto.»
«Certo!» Sonic  prese a fissare il soffitto e man mano che ricordava quello scellerato di Eggman, anche le immagini dei suoi amici fecero capolino nei suoi pensieri. Il sorriso sul volto dell’orgoglioso riccio svanì all’istante.
«Ti mancano i tuoi amici, non è vero?»
Sonic si alzò dal letto e guardò dritto negli occhi l’umana forzando un sorriso. «Voi ragazze siete formidabili! Riuscite sempre a capire cosa passa per la testa di noi maschi. Incredibile!»
«Non esagerare. Ad ogni modo te lo si legge in faccia. Devi stare tranquillo. Sono sicura che li raggiungerai presto.»
«Forse sono atterrati qui» disse il blu con una punta di entusiasmo
«Tu dici?»
«Se Shadow si trova qui, allora vuol dire che sicuramente ci sono anche gli altri. Per questo voleva perlustrare la città!»
«Ah, capisco!»
Involontariamente, Sonic sbadigliò. «Ok, ora comincio ad avere sonno… Veritas, ci si vede! E’ stato un piacere parlare con te!»
«Anche a me! Buonanotte Sonic.»
Quando il ragazzo uscì dalla stanza Veritas Sbadigliò un paio di volte e si infilò sotto le coperte contemplando il cielo limpido della notte senza nemmeno una nuvola. In quel blu c’era solo l’enorme luna che illuminava la stanza della ragazza con una tiepida luce argentata. Non appena Veritas chiuse le palpebre, cadde nel buio più totale.
 
«Se partirai prima non ti prenderanno mai. Stai tranquilla.» una donna dai capelli castani cercò di rassicurarmi con quel tono così familiare che per un istante le miei mani smisero di tremare, ma rabbrividii quando vidi quella bruttissima linea di sangue che scendeva dalla sua tempia sinistra.  Nonostante quel sorriso di conforto, ormai ero certa che non saremmo mai riusciti a scappare.
Una folla inferocita batteva freneticamente sull’uscio e con delle pietre tentavano di rompere le finestre. Senza farmi notare mi avvicinai ad una di esse e i miei occhi rimasero per un attimo accecati dalle fiamme che avvampavano sempre più forte. Quella città, così bella e splendente, composta da edifici fatti di preziosissimo marmo color perla, ora bruciava e si colorava di nero. Il cielo era tempestato di meteore incandescenti.
La donna mi allontanò con uno strattone dalla finestra. Mi prese per mano e cominciammo a correre verso il piano di sopra. Dalle scale si sentivano la porta spalancarsi di botto e delle voci che si avvicinavano sempre di più.
Urlai tra le lacrime che erano entrati.
«Non faranno mai in tempo, fidati!»
Raggiungemmo la soffitta e,aperta la porta di legno, ne notai subito un’altra di metallo proprio davanti a noi.
Domandai spaventata che cosa fosse.
«Non lascerò che ti portino via, scappa. Ora!»
Le chiesi perché non venisse con me.
«Io non posso. Questo effugium basta per una sola persona.»
Io mi opposi scuotendo la testa.
«Non pensare a me, tu va.»
Lei tra le lacrime mi baciò sulla fronte, mentre io l’abbracciai implorandola di venire via con me.
«Devi vivere» la donna aprì la pesante porta di ferro e un vento impetuoso mi risucchiò all’interno di essa. Combatterlo era inutile poiché la corrente era troppo forte e  io non potei fare nient’altro se non vedere la donna piangere disperata, mentre veniva brutalmente picchiata dalla folla. Io, impotente, urlavo il suo nome, più e più volte…
 
«MAMMA!»
«Sono qui, Veritas. Va tutto bene.»
Veritas si alzò dal letto respirando a fatica, con la fronte bagnata di sudore e gli occhi velati li lacrime. A fianco a lei, c’era la madre che le teneva la mano preoccupata. «Hai avuto ancora lo stesso incubo?»
La ragazza annuì mentre la donna le accarezzò i capelli per  tranquillizzarla. «Non capisco… è strano. Perché mi succede?»
«Non pensarci, tesoro. E’ solo un sogno.» la signora True tirò fuori dalla tasca un flaconcino di medicinale. Veritas arricciò subito il naso. «Sì, lo so che non ti piacciono, ma le devi prendere ogni qualvolta che ti succede. Sono gli ordini del dottore.»
«È una perdita di tempo. Ormai sono mesi che continui a prenderle, ma non hanno alcun effetto.»
La donna le accarezzò i capelli dolcemente con un sorriso. «Ricordati di prenderli dopo aver mangiato qualcosa. D’accordo?»
Annuì.  «Che ore sono?»
«Sono le nove. Sonic e Shadow si sono svegliati di buon ora per fare un giro qui attorno.»
«Ah, capisco.»
«Io e tuo padre andiamo alla cava. Mi raccomando, chiudi bene la casa se uscite.»
«Ok.»
La madre prese tra le mani la testa della figlia e la baciò sulla fronte, un brivido percorse la schiena di Veritas che si ricordò l’immagine della donna castana in lacrime.  
Presa al volo la borsa, la ricercatrice uscì di corsa per raggiungere il marito l’aspettava già dentro la macchina. Veritas si avvicinò alla finestra e vide Shadow vicino al cancelletto che salutava i suoi genitori.
Decisa, la ragazza si vestì alla svelta per scendere, prese dei biscotti e uscì di casa. Shadow era ancora lì, con le braccia incrociate assorto nei suoi pensieri guardando il cielo privo di nuvole.
Antipatico e arrogante. In poche ore Veritas era riuscita solo ad inquadrare quei due aggettivi per descrivere Shadow. Complice o no di Sonic, ancora non gli piaceva.
«Oggi… c’è bel tempo.» disse con la bocca piena di biscotti al cioccolato.
Il moro si girò di scatto rilassandosi. «Ah, sei tu.»
« Be’,ma buongiorno anche a te. Dov’è Sonic?»
«È lì, su quell’albero laggiù.» Un po’ scocciato, Shadow indicò un albero su una collina davanti alla casa. Il blu se ne stava sdraiato beato su un ramo.
«Ah, eccolo. Lo vedo.»
«Ma non mi dire.»
«Senti. È evidente che non ti piaccio, ma non c’è bisogno di rispondere in quel modo. Specialmente con la stessa voce di Sonic...»
«Non è colpa mia se quell’impostore mi assomiglia.»
«Uffa, ancora con questo impostore. Sonic ti considera un amico, non potresti farlo anche tu?»
«Taci, umana! Parli come se sapessi tutto, ma non è così! Chi ti credi di essere?!» ringhiò aggressivo Shadow. «Sei solo una ragazzina viziata che pretende che tutto vada secondo i suoi comodi.»
Stanca di essere offesa, Veritas alzò la voce a sua volta. «Oh, quando vuoi hai la lingua lunga,vero? Nemmeno tu mi conosci, quindi ti consiglio di ritirare quello che hai det-…» una vampata di calore e la perdita del respiro, costrinsero Veritas ad inginocchiarsi senza forze.
«Ma cosa? Ehi! Ehi, ragazzina!» la chiamò Shadow avvicinandosi. «Che ti succede?»
Annaspando in cerca di aria, Veritas prese subito il flaconcino di medicine e ne inghiottì subito due. Dopo pochi secondi, si sentì subito meglio. «Sto… bene.» disse con un filo di voce.
Shadow aiutò Veritas ad alzarsi e ad appoggiarsi alla ringhiera. «Non stai bene? Un attimo fa eri calda.»
«Cos’è, ora ti preoccupi per me dopo avermi insultata?»
Il ragazzo balbettò per poi distogliere lo sguardo. «Non… fraintendere.»
Veritas sorrise, davanti a quel velo d’imbarazzo. «Voi ricci siete proprio strani.»
«Ha parlato l’umana lunatica.»
Un fischiò richiamò l’attenzione dei due. Era Sonic, che agitava le braccia.
«Forza. Raggiungiamo Sonic.» disse Shadow, ritornando freddo e distaccato.
«Sì, tu vai avanti. Io voglio riprendere fiato.»
Shadow inspirò e annuì.
Rimasta da sola, Veritas contemplò per l’ennesima volta il cilindro di plastica. Ricordava perfettamente il giorno in cui iniziò a prenderle.
Se mai dovessero ripresentarsi gli stessi sintomi, due capsule basteranno a calmarti, così le disse lo specialista. Inizialmente la ragazza non credeva che delle insulse medicine  potessero curarla, o meglio, non credeva che un incubo l’avrebbe fatta sentire male per più di sei mesi.
Il ricordo quelle immagini di lei che scappava assieme a quella donna, per un momento spaventarono Veritas. Ogni notte sognava la stessa scena. Ogni notte si svegliava chiamando in lacrime… sua madre.
«Veritas, forza! Vieni!» la chiamò a gran voce Sonic ancora sul ramo.
Veritas scosse la testa e prese a correre per raggiungere i due amici, ignara della presenza sul  tetto di casa sua. La misteriosa incappucciata scrutava seria la figura minuta della ragazza. «Goditi finché puoi questi attimi di felicità, Veritas. Perché presto entrerai in scena tu.»
  
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