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Autore: effe_95    29/03/2016    4 recensioni
Questa è la storia di diciannove ragazzi, i ragazzi della 5 A.
Questa è la storia di diciannove ragazzi e del loro ultimo anno di liceo, del loro affacciarsi a quello che verrà dopo, alla vita. Questa è la storia di Ivan con i suoi tatuaggi , è la storia di Giasone con le sue stelle da contare, è la storia di Italia con se stessa da trovare. E' la storia di Catena e dei fantasmi da affrontare, è la storia di Oscar con mani invisibili da afferrare. E' la storia di Fiorenza e della sua verità, è la storia di Telemaco alla ricerca di un perché, è la storia di Igor e dei suoi silenzi, è la storia di Cristiano e della sua violenza. E' la storia di Zoe, la storia di Zosimo e della sua magia, è la storia di Enea e della sua Roma da costruire. E' la storia di Sonia con la sua indifferenza, è la storia di Romeo, che non ama Giulietta. E' la storia di Aleksej, che non è perfetto, la storia di Miki che non sa ancora vedere, è la storia di Gabriele, la storia di Lisandro, è la storia di Beatrice che deve ancora imparare a conoscersi.
Genere: Generale, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago, Scolastico
Capitoli:
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I ragazzi della 5 A
 
39.Tancredi e Clorinda, Linea e Atto di fede.

Febbraio

Oscar era stanco.
Le palpebre degli occhi gli pesavano eccessivamente, sentiva la necessità di lasciarle cadere e non sollevarle mai più, nascondersi dietro quel mondo nero attraverso il quale non poteva scorgere nulla. Restare con gli occhi chiusi fino ad essere assalito dalla paura di esser diventato cieco, quella paura che gli faceva spalancare gli occhi all’improvviso nel cuore della notte, e che scemava lentamente quando si accorgeva di riuscire ancora ad intravedere i raggi lunari passare attraverso le tapparelle abbassate solo a metà.
Il cuore smetteva di battere freneticamente e ritrovava la quiete di un luogo familiare.
Era stanco e aveva un desiderio disperato di tornare a casa e rintanarsi sotto le coperte del suo comodo letto, senza pensare a quelle sei ore pesanti di scuola, alle prove d’esame del giorno successivo, alla tesina da cominciare a preparare e alle aspettative di un futuro …
Un futuro che nemmeno gli sembrava reale.
E invece no.
A casa non ci era potuto andare, perché quel martedì pomeriggio aveva il corso di teatro.
Si strofinò frettolosamente il viso e si pizzicò le palpebre più volte, lanciò un’occhiata veloce a Catena, seduta sulla sedia accanto alla sua, che sfogliava distrattamente il libro di italiano.
Lei non sembrava stanca nemmeno un po’.
Sembrava non pesargli l’aver fatto due compiti in classe quella mattina, prima matematica e poi letteratura inglese, e non le era pesata nemmeno l’interrogazione di filosofia.
O l’aver già scelto gli argomenti per la tesina.
O dover seguire il corso di teatro.
Oppure studiare fino all’una di notte e contemporaneamente vedere lui.
Oscar sospirò pesantemente, si stiracchiò come un gatto, silenzioso, pigro e provò il terribile impulso di appoggiare la testa sulla spalla ossuta di Catena, come aveva preso l’abitudine di fare da quando avevano fatto l’amore per la prima volta.
Catena non aveva una sola parte del corpo che fosse morbida.
Ovunque Oscar posasse le mani o la fronte, o una guancia, trovava ossa e pelle … ma poi, un po’ sotto, in profondità, se allungava le dita, senza sfiorarlo, sentiva il suo cuore.
Il cuore di Catena lo sentiva battere anche solo sfiorandole lo sterno, a distanza, ed era solo quello il motivo per cui non si lamentava mai del fatto che fosse così magra.
Perché poteva toccarle il cuore.
Sciolse lentamente la posizione di stiracchiamento che aveva assunto, e con la velocità e silenziosità di un ghepardo allungò il braccio sulle spalle di Catena, facendo passare la mano sotto la seta morbida e profumata dei suoi capelli, quel giorno sciolti, e la strinse leggermente a se.
Catena rimase talmente spiazzata da quel gesto che il libro di italiano le scivolò dalle mani finendo per terra, aperto a metà sulla pagina dell’ Ultimo canto di Saffo di Leopardi.
L’occhio distratto di Oscar si soffermò per un secondo su una frase che Catena aveva sottolineato con l’evidenziatore, contornata dagli appunti che aveva preso in classe con la sua calligrafia minuta e precisa, scritti a matita.
“ Arcano e tutto, fuor che il nostro dolore”
<< Perché ripeti ancora Leopardi? Non stiamo facendo Verga? >>
Catena scostò gentilmente il braccio di Oscar e si chinò a raccogliere il libro, lo osservò con occhio critico, spiegando con le dita un piccolo taglio sul lato superiore del foglio.
Lisciò tutta la pagina con il palmo aperto della mano pulendola dai residui di polvere che le si erano attaccati sopra, Oscar lo trovò un gesto piuttosto buffo.
<< Perché farò meno fatica quando dovrò preparare l’esame. E poi … la professoressa ha detto che domani nella simulazione della terza prova mette Foscolo, Leopardi e Manzoni, sai? >> Commentò Catena con voce pacata, richiudendo il libro con gentilezza.
Oscar si grattò la testa e sbadigliò ancora una volta, aveva la mascella indolenzita da tutte le volte che l’aveva fatto quel giorno.
<< Davvero? >> Catena piegò la testa leggermente di lato, gli sorrise e Oscar rimase incatenato con lo sguardo in quegli occhi limpidi e innocenti, non si mosse nemmeno quando lei allungò una mano e gli appoggiò le dita lunghe e morbide sulla guancia ispida a causa della barba che non aveva fatto quella mattina.
Chiuse gli occhi e si abbandonò a quella carezza bonaria, quella carezza che gli diede l’illusione, anche solo per un istante, di portar via con se tutta la stanchezza.
<< Sei stanco? >>
<< Uhm >> Mormorò Oscar continuando a tenere gli occhi chiusi.
<< Danne un po’ a me allora. Così sarai stanco di meno >>
Oscar annuì silenziosamente, continuando a tenere la guancia premuta nel palmo caldo, piccolo e levigato di Catena, avrebbe potuto tenere gli occhi chiusi in quel modo per sempre, lasciarsi cullare dalla sicurezza che gli trasmetteva quella mano.
Avrebbe voluto essere un bambino, avrebbe voluto tornare indietro nel tempo.
<< Ce la faccio … ce la faccio >>
<< Ok >>
Oscar rimase incantato da quella semplice parole, dalla rapidità con cui Catena aveva replicato, aprì immediatamente gli occhi stanchi e arrossati, vissuti e in quelli limpidi e sfumati come acquerello della fidanzata vi trovò una fiducia incrollabile.
Catena era certa che ce l’avrebbe fatta, sempre.
Anche quando farcela non era proprio possibile.
<< Buongiorno mie fantastiche ombre* >>
Oscar e Catena sobbalzarono contemporaneamente quando sentirono la voce allegra e spensierata di Alessandro Romano, il professore era entrato nel piccolo teatro con il solito passo veloce, i soliti vestiti trasandati e una sciarpa rosa che non c’entrava nulla con la giacca marrone. Il suo ingresso era stato talmente brusco che Ivan scivolò sugli scalini che portavano al palco per lo spavento, Romeo fece cadere i fogli che stringeva tra le mani, mentre Enea sputacchiò tutta l’acqua che stava bevendo sulla maglietta di Lisandro.
<< Cosa sono quelle facce stanche?! Oggi ho una splendida notizia! >>
Esclamò il professore saltando come un grillo sul palco, quando si piegò sulle ginocchia per spiccare il balzo si intravidero due calzini di tinta diversa, uno giallo canarino e l’altro rosso porpora.
<< Professore, cosa intende esattamente per splendida sorpresa? >>
Domandò Fiorenza, con un tono di voce talmente preoccupato che Oscar si lasciò scappare un sorriso bonario, anche lui aveva paura delle sorprese di Alessandro.
<< Già, l’ultima sorpresa mi ha costretto a cantare a squarciagola indossando una calzamaglia >> Commentò amaramente Enea, beccandosi una gomitata da Beatrice.
<< Oh, niente calzamaglie e canti questa volta! >> Replicò con voce squillante il professore di teatro, poi afferrò la sua vecchia borsa di pelle a tracolla, marrone e consumata, con le cinghie quasi completamente usurate, era un miracolo che non si fossero già spezzate spargendo tutto il contenuto << Ho finalmente pronto il copione per il prossimo spettacolo che metteremo in scena ad Aprile! >> Quando ebbe finito di pronunciare quelle parole afferrò una manciata di copioni già stropicciati e li mostrò con fare orgoglioso, sventolandoli in aria come una bandiera di cui andare particolarmente fieri.
<< Davvero? >> Domandò Romeo facendosi improvvisamente attento.
<< Quale era? Non ricordo … >> Mormorò Ivan massaggiandosi il mento.
<< Sulla Gerusalemme Liberata mi pare >>
Commentò Igor seduto al suo fianco, che non la smetteva di lanciare sguardi preoccupati al nuovo tatuaggio dell’amico, leggermente arrossato. 
<< Esatto! >> Alessandro li fece ammutolire tutti con il suo commento, si mise seduto sul palco lasciando pendere le gambe incrociate all’altezza delle caviglie nel vuoto, aveva appoggiato i copioni di scena sul grembo e si era sollevato le maniche della giacca. << Più precisamente però, è una mia riscrittura teatrale della storia, che sarà leggermente diversa.  La chiameremo Tancredi e Clorinda.>>
<< Sembra interessante! >>
L’entusiasmo di Zoe fece sorridere il professore a trentadue denti.
<< Ho già deciso per i ruoli che interpreterete! >>
<< Professore, la prego, questa volta voglio meno battute >>
Il commento svogliato e supplicante di Enea scatenò una serie di risate collettive, e Oscar si sentiva già meno stanco, più attivo, gli piaceva l’atmosfera di squadra che veniva a crearsi nel momento della creazione, quando lo spettacolo doveva ancora essere concepito o messo in scena.
Si sentiva tranquillo, era sereno e rilassato.
<< Allora … cominciamo dai protagonisti. La nostra bella Clorinda … sarà interpretata da … Catena! >> La mora sobbalzò quando sentì quelle parole, Oscar la vide arrossire fino alla punta dei capelli e stringere convulsamente il libro di italiano, era talmente disorientata che non si accorse nemmeno che quel gesto stava creando delle pieghe terribile alle pagine che pochi istanti prima aveva accarezzato con tanta cura.
<< Io? Ma … ma professore io … >>
<< Andrai benissimo Catena! Fidati di me >>
Catena ammutolì nel sentire le parole del professore, era in difficoltà, era imbarazzata, non aveva mai avuto ruoli di rilievo, essere la protagonista non era mai stato nella sua indole.
Oscar le accarezzò leggermente una mano, e quando lei si voltò a guardarlo le fece l’occhiolino e le sorrise, sperando con tutto il cuore che Catena potesse provare la stessa sicurezza che provava lui anche solo guardandola.
<< Tancredi invece … Tancredi lo farà Oscar! >>
<< Uhm? Io? >> Domandò sorpreso, non si sentiva particolarmente imbarazzato o preoccupato, era incuriosito, non ricordava assolutamente nulla della trama della Gerusalemme Liberata di Tasso, l’aveva studiata svogliatamente e senza passione.
E non era mai stato il protagonista di nulla.
<< Si, tu e Catena dovrete lavorare parecchio insieme >>
Commentò allegro il professore facendo l’occhiolino, Oscar e Catena arrossirono contemporaneamente nel sentire quel commento, mentre tra gli altri serpeggiavano risate divertite. Alessandro snocciolò gli altri ruoli uno dietro l’altro con lentezza, tanto che un’ora di lezione passò solamente per l’assegnazione.
<< Ricordate più o meno di cosa parla la storia di Tancredi e Clorinda? >>
Chiese ad un certo punto il professore, mentre raccoglieva gli ultimi copioni avanzati e li risistemava nella vecchia borsa logora.
<< E’ una storia d’amore finita male >> Intervenne Igor con la sua solita voce pacata, attirando l’attenzione di tutti gli altri su di se << Se non ricordo male … Tancredi uccide Clorinda per sbaglio, la scambia per un nemico e la sfida in un duello mortale … >>
<< Si, Tancredi uccide la donna che ama involontariamente e … >>
<< Che cosa?! >>
L’esclamazione di Oscar fece girare tutti nella sua direzione, aveva alzato talmente tanto il tono di voce che il professore aveva interrotto la frase a metà trasalendo, al suo fianco anche Catena aveva sobbalzato spaventata. Quando si rese conto di tutti quegli sguardi addosso arrossì leggermente per l’imbarazzo, per la reazione esagerata che aveva messo su, ma non abbassò lo sguardo, non indietreggiò.
<< Oscar, ma cosa … >> Provò ad intervenire il professore.
<< Non posso farlo professore! >> Sbottò immediatamente il ragazzo, stroncando la frase dell’uomo prima che potesse concluderla << Lo so che non è reale, ma io … io non posso farlo nemmeno per scherzo! >> Quelle ultime parole Oscar le pronunciò abbassando leggermente il capo, strizzando gli occhi in una smorfia dolorosa, stringendo i pugni sulle gambe fino a far sbiancare completamente le nocche. 
Catena trasse un respiro profondo e sbatté più volte le palpebre per ricacciare le lacrime.
Oscar non aveva detto altro, non aveva aggiunto parole, ma d’altra parte non ce n’era alcun bisogno. Niente avrebbe potuto fare più rumore di quel silenzio, di quelle cose non dette.
Io non posso farlo nemmeno per scherzo.
Non posso far finta di uccidere Catena.
Non posso far finta di veder morire la donna che amo.
Non posso sentire ancora quel senso di colpa.
Nemmeno per scherzo, nemmeno per scherzo, nemmeno per scherzo!
Quelle cose Oscar non le aveva dette, ma se le avesse gridate, probabilmente avrebbero fatto meno male.
Catena sollevò la mano, le tremavano le dita e non si preoccupò di nasconderlo, non si preoccupò degli sguardi degli altri addosso, né di quelli consapevoli, né di quelli ignari, si limitò ad appoggiare quelle dita instabili sulla spalla scossa dai tremiti di Oscar.
Lui stava vivendo chissà qualche incubo, e lei non poteva tirarlo fuori.
<< Oscar … >>
<< No! >>
Era il guaito di un animale ferito, la supplica di un bambino spaventato.
Catena ripensò al libro di italiano caduto poco tempo prima …
Cos’è che aveva detto Leopardi?
Arcano è tutto, fuor che il nostro dolore.
 
Telemaco caracollò al centocinquantesimo addominale.
Quando si lasciò cadere all’indietro sul tappetino maleodorante, aveva il corpo talmente in fiamme che il cervello smise di concentrarsi su qualunque altra cosa che non fosse il dolore.
Era un metodo piuttosto drastico per staccare la spina, per far si che tutto si spegnesse, ma Telemaco l’aveva trovato efficace, anche se il giorno dopo non poteva nemmeno alzarsi dal letto a causa dei dolori muscolari, anche se camminava come un bradipo e faceva fatica a fare qualsiasi cosa … tutto quello andava bene pur di non pensare.
Respirò profondamente per cinque minuti buoni, ispirando ed espirando con la frequenza di tre secondi, fino a quando i muscoli non si rilassarono lasciando come sensazione un semplice indolenzimento. Mosse lentamente le dita delle mani abbandonate ai fianchi, sollevò distrattamente le dita e si scostò la frangetta sudata dalla fronte.
Quando aprì gli occhi mise a fuoco la palestra, le pareti rivestite di legno, la vetrata che affacciava sulla strada, gli attrezzi, le panche …  fino a scostare leggermente il viso per contemplare la figura emaciata e mingherlina di Igor.
Era ancora immerso nella lettura di un libro gigantesco, nella stessa identica posa di quando l’aveva lasciato, seduto su una delle lunghe panche, con la schiena curva, i capelli scombinati, gli occhi bassi e le caviglie intrecciate in avanti.
<< Centocinquanta >>
Telemaco sobbalzò leggermente quando Igor parlò senza nemmeno sollevare lo sguardo.
<< Cosa? >> Domandò con voce roca mettendosi lentamente a sedere, con la testa che girava leggermente per lo sforzo.
<< Hai fatto settantacinque addominali alti e settantacinque addominali bassi. In totale fanno centocinquanta, no? >>
Spiegò mestamente Igor continuando a tenere lo sguardo puntato sulla pagina del libro, Telemaco sbuffò rumorosamente e si passò il bordo della manica sulla fronte sudata.
<< Ah si? E come fai a saperlo, se hai tenuto tutto il tempo la testa china sul libro? >>
Igor sollevò leggermente le sopracciglia quando sentì quella domanda, sembrava essere sorpreso, e per la prima volta da quando aveva cominciato a parlare mise il segnalibro, chiuse il tomo e si voltò a guardarlo, raddrizzando le spalle.
<< Vuoi dirmi che non te ne sei nemmeno accorto? >>
Telemaco aggrottò le sopracciglia e scrollò le spalle.
<< Essermi accorto di cosa? >>
<< Quando entri sotto sforzo … parli >>
Si limitò a commentare Igor, sciogliendo l’intreccio delle caviglie e ritirando le gambe poco sotto la panca, in modo tale da staccare la schiena dalla parete e sporgersi un po’ più in avanti verso il suo migliore amico.
<< Parlo? Che significa che parlo?! >>
<< Dici cose … >>
Telemaco detestava le risposte vaghe di Igor, non le aveva mai sopportate, il che era tutto dire considerato che il suo migliore amico rispondeva in quel modo il novanta percento delle volte. Si sfilò velocemente la felpa sudata e gliela lanciò contro con foga, centrandolo all’altezza del petto, il braccio protestò per quel tiro violento, ma Telemaco se ne infischiò.
<< Cose …. Bah! Chi ti capisce è proprio bravo >>
Igor non replicò nulla nel sentire quelle parole, così tutti e due si persero nei propri silenzi fatti di ricordi, fatti di quei momenti che non avevano condiviso l’uno con l’altro.
Quei silenzi difficili da spiegare, che se pronunciati …
<< “Ti perdono, ti perdono, ti perdono … ti perdono” >>
 … facevano davvero rumore.
<< Hai detto queste parole … per centocinquanta volte di fila >>
Telemaco sgranò leggermente gli occhi, prendendo a torturasi le dita all’altezza del ginocchio sollevato, dove aveva appoggiato le braccia incrociate, facendole pendere nel vuoto. Igor non lo stava guardando, dopotutto, lo conosceva da abbastanza tempo per sapere quando era il momento di lasciargli i suoi spazi … il loro rapporto era un po’ in tensione da quando gli aveva raccontato quello che era successo con Zoe.
Quando gli aveva detto che avevano cominciato a frequentarsi … Telemaco aveva gridato.
Gli aveva dato dell’incoerente, del bugiardo, del bastando …
E poi gli aveva chiesto perché proprio con la migliore amica della sua ex.
Ed Igor sapeva che il problema stava tutto lì, e Telemaco se l’era lasciato scappare perché non sapeva mai tenere la bocca chiusa … probabilmente il suo miglior pregio.
Non avevano realmente chiarito, un po’ perché erano fatti in quel modo … risolvevano le cose con il silenzio, pur sapendo che il silenzio a volte non bastava, che le cose non dette restavano depositate sul fondo del cuore, in quella parte nera e oscura delimitata, che se si riempiva troppo scoppiava senza preavviso inondando tutto, sporcando tutto.
Erano stati attenti entrambi a non superare mai quella linea … ma quel pomeriggio, Igor ebbe come la sensazione di aver messo un piede sul bordo, sporcandola …
<< Ho davvero detto un’assurdità nel genere? >>
Il commento sarcastico di Telemaco non fu altro che una commedia, era così velato di amarezza e sconcerto che non convinse nemmeno se stesso.
<< Non c’è nessuna assurdità … nel perdonare Fiorenza,Telemaco >>
Igor aveva appena messo un piede fuori dal bordo.
Poteva ancora tornare indietro, dopotutto era sempre stato così, per lui sarebbe stato molto più comodo lasciare le cose come stavano, fare finta di nulla, restare al sicuro …
Non far traboccare nulla …
<< Che cosa stai dicendo Igor? >>
Il tono di voce di Telemaco era alterato, Igor lo vide mettersi in piedi a fatica continuando a fissarlo negli occhi, aveva tutto il viso sudato, la canottiera attaccata sui muscoli scolpiti e le vene delle braccia tese, ancora sotto sforzo.
<< Sto dicendo … che non c’è nulla di male se la perdoni. Né vergogna, né umiliazione. >>
<< Vedo che stasera stai delirando! Sarà per la stanchezza, torniamo a casa >>
Telemaco lo liquidò bruscamente dandogli le spalle, afferrò con malagrazia la felpa che aveva lanciato contro l’amico e la spolverò malamente, con foga.
Igor sospirò pesantemente e fu tentato davvero di tornare indietro, era quella la sua natura.
Ma Telemaco era in suo migliore amico, e per una volta, una sola volta, Igor poteva prendere in prestito il suo miglior pregio e dirgli quello che pensava.
<< Quello stanco sei tu Telemaco! >> Sbottò con voce ferma, facendolo trasalire << Non hai nemmeno le prove del suo tradimento! Ti sei fidato della parola di uno come Cristiano … e quando hai cominciato a vacillare, hai dato la colpa all’umiliazione e alla vergogna. Hai pensato sicuramente:” Diventerò lo zimbello di tutti se la perdono, che figura ci faccio?” >>
Igor non aveva più freni, aveva imparato a lasciarli andare da quando frequentava Zoe, Telemaco lo guardava con gli occhi spalancati e i pugni stretti. << E io ti dico che l’unica cosa che otterrai sarà solo del rimpianto. E te lo assicuro Telemaco, non ti piacerà scoprire di che cosa sa questo sentimento. Ascoltami … >>
Igor si tirò in piedi, dimenticò di aver appoggiato il libro sulle gambe e quello fece per cadere a terra, il moro lo afferrò goffamente un secondo prima che toccasse terra, ma quando rialzò lo sguardo Telemaco stava andando verso la porta con passo deciso.
La linea l’aveva superata …
Se l’era lasciata alle spalle di parecchi metri, ormai.
<< Ascoltami! >> Continuò imperterrito inciampando sui suoi stessi piedi << Sarà troppo tardi dopo Telemaco! Sarà troppo tardi idiota! >>
Telemaco si fermò di botto quando sentì quelle parole, voltò il corpo con una lentezza sorprendente, era intenzionato a tirare un pugno per farlo stare zitto, ma quando lo vide con il viso paonazzo, l’affanno, e in quella posizione ridicola, nel tentativo di non far cadere il libro, non riuscì a trattenersi e scoppiò a ridere senza ritegno.
Igor lo osservò ridere con gusto, fino a portarsi le mani sullo stomaco dolorante.
Si ricompose leggermente riassumendo una posa naturale, e guardando la copertina stropicciata della sua vecchia copia dei Fratelli Karamazov provò una tristezza infinita.
<< Sarà troppo tardi … >> Mormorò rivolto all’omaccione dipinto sulla pagina.
Telemaco rise fin quando il dolore non divenne troppo acuto, poi scosse la testa a destra e sinistra, facendo schizzare qualche goccia di sudore ancora incastrata tra i capelli.
<< Non sei la persona giusta per dirmi una cosa del genere … dove l’hai nascosto il mio migliore amico? >>
Mormorò senza guardalo negli occhi, Igor sospirò pesantemente.
<< Guarda che lo so. So di non essere la persona giusta … che sono un disastro, ma questo non posso permettermelo nemmeno io! >>
<< Permetterti cosa?! >> Sbottò Telemaco incrociando le braccia al petto, Igor sospirò pesantemente, aprì lentamente la cartella che portava a tracolla e infilò il libro dentro.
<< Permettermi di fare un passo indietro, di fregarmene come sempre! >>
Telemaco sospirò pesantemente, afferrò velocemente il suo borsone e buttò la felpa sporca all’interno con malagrazia, senza dire nulla si affiancarono l’uno all’altro e uscirono per strada, investiti dal vento gelido di Febbraio.
<< Ma tu guarda un po’ che situazione … >> Borbottò Telemaco spintonandolo leggermente sulla spalla << Farmi sgridare da uno come te! >> Igor inciampò nei suoi passi e andò a sbattere con il fianco su un lampione, ma Telemaco sembrò non accorgersene.
<< Ehi … sarà davvero troppo tardi >> Replicò Igor con voce strozzata, massaggiandosi il fianco dolorante, Telemaco gli lanciò un’occhiataccia e infilò le mani nelle tasche della tuta.
<< Lo so … idiota >>
Non aggiunsero altro, non ci furono altre parole.
Quella linea ormai era superata, ma Igor non pensò fosse stato un male.
 
<< Devi andare da qualche parte? >>
Cristiano sobbalzò leggermente quando Zosimo gli si accostò approcciando con quella domanda, stava camminando lentamente verso la fermata dell’autobus facendo attenzione a non scivolare sui cumuli di neve, fu preso talmente alla sprovvista che ci mancò poco tutta quella prudenza non fosse servita a nulla.
Zosimo lo afferrò prima che andasse a schiantarsi sul marciapiede, lo bloccò per le maniche del giubbotto e gli impedì un capitombolo di prima categoria.
<< Ehi, lo so che la lezione di filosofia è pesante, ma cerca di non addormentarti per strada Cris! >>
Lo canzonò con tono allegro il folletto, Cristiano sospirò profondamente, si scrollò le mani del compagno di classe di dosso, aggiustò malamente le maniche stropicciate del cappotto e gli lanciò un’occhiata stanca più che minacciosa.
Era tornato a scuola già da un paio di settimane, era tornato perché aveva scoperto che era meglio così, che se si concentrava sulle lezioni come non aveva mai fatto, se prendeva appunti, se provava a fare qualsiasi cosa che lo tenesse occupato, sua madre non veniva a tormentarlo.
Era più semplice tenere a bada i ricordi.
<< “Cris”? >> Si limitò a replicare infilando le mani nelle tasche dei jeans e riprendendo a camminare, non aveva davvero voglia di tornare a casa … non aveva mai voglia di farlo in realtà, ma si sentiva a disagio anche in quel modo, con Zosimo che gli ronzava attorno con quell’aria allegra come se fossero amici per la pelle.
<< Preferisci che ti chiami con le ultime tre lettere del tuo nome? >>
Cristiano contrasse leggermente le sopracciglia quando sentì quella domanda.
<< Le ultime tre lettere del mio nom … oh! >> Avvampò di vergogna quando si rese conto del sottile doppio senso nelle parole del compagno di banco << Non provarci nemmeno! >>
Lo minacciò spintonandolo leggermente sulla spalla, Zosimo sollevò le mani in segno di resa e scoppiò a ridere a voce alta, cristallina e pulita, una risata che Cristiano non ricordava di avere mai avuto … o almeno, la sua memoria non aveva conservato nulla di simile.
O semplicemente l’aveva rimosso.
<< Va bene, va bene, però almeno hai sorriso, no? >>
Cristiano spalancò leggermente gli occhi quando sentì quelle parole.
Aveva sorriso? Aveva mai sorriso in tutta la sua vita?
Si, a ripensarci bene l’aveva fatto, aveva sorriso tante volte guardando il volto di sua madre quando era bambino, e poi l’aveva fatto ancora osservando gli occhi verdi di Sonia …
Aveva sorriso tanto, tanto da ridere, tanto da piangere.
Ridere piangendo.
Uno tra gli ossimori più belli che esistessero.
<< Non devo andare da nessuna parte … hai in mente qualcosa? >>
Domandò rivolgendo un’occhiata veloce a Zosimo, che camminava al suo fianco con le mani strette attorno alla tracolla della cartella, i capelli ricci luccicanti a causa dei fiocchi di neve che vi erano rimasti incastrati e faticavano a sciogliersi, il naso all’insù arrossato e quel sorriso da folletto sempre presente.
<< Volevo portarti in un posto … vieni con me? >>
Zosimo gli pose la domanda allargando il sorriso fino a chiudere gli occhi.
Cristiano non si fidava affatto di quella faccia da monello.
<< Dove volevi portarmi? >> Domandò cauto, rallentando leggermente il passo.
Zosimo rimpicciolì il sorriso, fece un saltello sui piedi evitando un cumulo di neve e piegò leggermente la testa di lato, scrutandolo meglio negli occhi.
<< A conoscere mia madre! Dove altrimenti?! >>
Cristiano smise definitivamente di camminare, avevano raggiunto la fermata dell’autobus, ma non era stato quello a frenare il suo passo, né la neve o altro.
Era stato il sorriso di Zosimo, erano state le sue parole.
<< Ma … tua madre non è morta? >>
<< Eh? >> Domandò Zosimo continuando a sorridere << Si … >>
Cristiano abbassò leggermente la testa, strinse forte i pugni e mise su un sorriso cattivo, uno di quelli che gli uscivano meglio, dondolò sui talloni e scrutò Zosimo negli occhi.
<< Non voglio nessuna carità da te. Nessun “ ehi, abbiamo qualcosa in comune, diventiamo amici per la pelle!”. No, tu non hai nulla da insegnarmi, io non ho nulla da imparare. Non me ne faccio nulla dei vostri sguardi compassionevoli, ok? >>
Cristiano aveva creduto di essere stato chiaro, di aver infilato il coltello nella piaga con precisione, con maestria, come era sempre stato abituato a fare, quindi non seppe proprio cosa replicare quando Zosimo scoppiò a ridere talmente tanto da piegarsi su se stesso.
<< Certo che sei proprio un idiota, sai? >> Sbottò continuando a sghignazzare.
Cristiano si infuriò quando sentì quelle parole, fu attraversato per la prima volta da un sentimento vero, un bruciore ardente alla bocca dello stomaco.
<< Idiota? Chi è l’idiota qui?! Io o uno che sorride quando parla di sua madre sapendo che è morta, eh? >> Aveva il fiatone quando smise di gridare, e comprese solo in seguito le sue stesse parole, quando riprese IL controllo e smise di tremare << Ah! >>.
Zosimo piegò la testa dall’altro lato e continuò a mantenere quel sorriso sulle labbra.
Quel sorriso che aveva fatto infuriare Cristiano.
<< Sai, abbiamo ricordi diversi io e te … i miei sono splendenti, i tuoi un po’ meno, ma se c’è una cosa che ho imparato dalla vita Cristiano … è che non c’è modo migliore che sorridere quando pensiamo a qualcuno che non c’è più. Perché è l’unico modo che abbiamo per ringraziarle, anche se i ricordi sono bui o non ne abbiamo affatto, sorridere significa che stai dicendo:” ecco, hai visto? Di te ho solo cose belle, sorrido”. Tutto qui >>
Il discorso di Zosimo venne bruscamente interrotto dall’avvicinarsi di un vecchio pullman, imbrattato di scritte e vecchi cartelloni strappati male e sostituiti da altri comunque vecchi di anni, Cristiano sentiva il cervello completamente vuoto.
<< Oh, questo è il nostro pullman, se vuoi venire sali con me >> Commentò distrattamente Zosimo sorridendo allegramente e agitando una mano per attirare l’attenzione del conducente annoiato, l’uomo scosse la testa e alzò gli occhi al cielo << Compi un atto di fede, Cristiano, e sali su quel pullman >>.
Il mezzo di trasporto di fermò stridendo proprio davanti a loro e aprì le porte cigolanti, Zosimo salì senza esitazione, poi si girò e lanciò un’occhiata a Cristiano, che ricambiò il suo sguardo, fece un passetto in avanti e saltò all’interno.
Fece il suo atto di fede.



___________________________
Effe_95

Salve :)
Questa volta sono stata più veloce. Spero vi faccia piacere :)
Allora, per prima cosa devo spiegarvi la questione delle "ombre".
Come avrete notato, Alessandro entra in teatro e chiama i ragazzi proprio "ombre", questo perchè un tempo, nel periodo di Shakespeare per la precisione, gli attori venivano chiamati anche "shadows", per la loro capacità di proiettarsi in tante anime e personalità differenti.
Mi piaceva molto l'idea che anche Alessandro vedesse questa qualità nei nostri ragazzi.
Detto questo, spero con tutto il cuore che il capitolo vi sia piaciuto.
Nel prossimo continueremo a vedere cosa è successo a Zosimo e Cristiano.
Grazie mille come sempre a tutti voi per il supporto, in particolare alle fantastiche ragazze che trovano sempre un po' di tempo per recensiere e a cui dedico questo capitolo, e poi a tutti gli altri lettori silenziosi.
Alla prossima :)

 
 
  
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