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Autore: Belarus    29/03/2016    1 recensioni
Un Drago Celeste che nobile non è mai voluta essere, una fuga bramata da sempre e un mondo del tutto sconosciuto ad allargarsi ai piedi della Linea Rossa. Speranze e sogni che si accavallano per una vita diversa da quella che gli è da sempre stata destinata. Una storia improbabile su cui la Marina stende il proprio velo di silenzio, navi e un sottomarino che custodiscono un mistero irrivelabile tanto quanto quello del secolo vuoto.
#Cap.LXXXV:" «Certo che ci penso invece! Tornate a Myramera e piantatela con questa storia dello stare insieme! Io devo… non potete restare con me, nessuno di voi può. Sparite! Non vi voglio!» urlò senza riuscire o volere piuttosto trattenersi.
Per un momento interminabile nessuno accennò un movimento in più al semplice respirare e solo quando Aya fu sul punto di voltarsi per andare chissà dove pur di mettere distanza tra loro, Diante si azzardò a farsi avanti.
«Ci hai fatto giurare di non ripetere gli errori passati. I giuramenti sono voti e vanno rispettati.» le rammentò. "
Genere: Avventura, Generale, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Eustass Kidd, Nuovo personaggio, Trafalgar Law
Note: Lime, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Teru-Teru Bouzu '
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Titolo: Teru-Teru Bouzu
Genere: Avventura; Romantico; Generale {solo perché c’è davvero di tutto}.
Rating: Arancione {voglio farmi del male, oui.}
Personaggi: Nuovo personaggio; Eustass Capitano Kidd; Pirati di Kidd; Trafalgar Law; Heart pirates; OC.
Note: Sono in ritardissimo, ma ormai evito di propinare scuse inutili. Il capitolo è incentrato molto su Aya e su ciò che accade a Myramera, tuttavia non ritengo come sempre di potervi dire a cuor leggero di sottovalutare il resto dato che non scrivo mai tanto per scrivere. Shizaru e Kidd si stanno muovendo, anche se in luoghi diversi e con tempi o mete differenti, lo stesso non può dirsi del nostro Dottore che rimane bloccato sul Rainbow-Bridge che tanto fortunato non si sta mostrando per lui. Non ho voluto dedicargli un POV, ma qualche breve frase perché il suo momento arriverà al prossimo aggiornamento e con la fine della guerra tra Moundhill e Myramera… altrimenti come faccio a fargli attraversare la Linea Rossa?
Un ringraziamento come sempre a quei pochi fedeli ormai che seguono e leggono questa storia interminabile che mi sto ostinando a terminare, perché mi rendete felici con i vostri piccoli click e date un senso alle mie fatiche pomeridiane.
Alla prossima e un bacio~






CAPITOLO XXXXXXV






Si sarebbe dovuto trattare della storia della sua famiglia, del principio di ogni cosa a lei nota sin da bambina, eppure non c’era niente che combaciasse con ciò che conosceva se non qualche nome e la lotta contro un nemico ormai seppellito dalla storia. Ottocento anni addietro, quando il mondo non era ancora incancrenito, ma soltanto dolorante, Momoe era precipitato davanti agli occhi dei suoi due fratelli giù dalla scogliera per mano di un antenato di Rolf che ingenuamente credeva amico, ingoiato insieme al suo nome e alla sua sorte dalla massa del Grande Blu che avrebbe invece voluto solcare. Il resto della sua famiglia aveva superato il distacco sulla cima della Linea Rossa con le restanti diciotto famiglie che un giorno sarebbero state chiamate Nobili mondiali e pareva averlo fatto talmente bene da non sentire la necessità, nove generazioni più tardi, di farne parola nemmeno con l’Aya bambina quando le era stato spiegato perché fosse “migliore degli altri”. Se solo quella tragedia da cui l’imperitura guerra di Myramera aveva avuto origine non le avesse provocato un senso di stordimento tale da darle la nausea, avrebbe forse potuto cercare delle motivazioni per quelle omissioni.
«Era una trappola quindi, volevano farci abbassare la guardia per ucciderci?» domandò con una smorfia esterrefatta uno degli uomini di Kidd, abbassando le spalle spioventi.
Suo padre le aveva raccontato più volte con orgoglio del Regno che gli apparteneva nello Shinsekai quando se n’era interessata, ma a domande troppo specifiche aveva sempre avuto la tendenza a spazientirsi o a limitarsi a tirare in causa la famiglia Boreo; sua madre non le aveva mai nascosto di ritenere importante il solo concetto di possesso piuttosto che la realtà di quel luogo e i libri della biblioteca, accuratamente selezionati affinché fornissero la versione ufficiale approvata dai Draghi Celesti e dal Governo, non avevano certo potuto far di più. Avrebbe potuto pensare che quella perdita alla vigilia dell’incoronazione a fondatori dell’Ordine mondiale fosse stata troppo triste per essere raccontata, ma con rammarico, per quanto si sforzasse, sapeva che doveva essere un’altra la realtà dei fatti: non conosceva quella storia, quel nome ed ignorava quella guerra semplicemente perché nessuno aveva mai ritenuto che lei dovesse prenderne coscienza. Gli erano stati nascosti, tenuti lontani, omessi pur di evitare che trovasse in loro appigli per alimentare quello che sua madre riteneva uno yurei. Avevano voluto manipolarla sin dapprincipio, vedendo in lei qualcosa di profondamente sbagliato, benché non avesse mai davvero tentato di opporsi prima della sua fuga e nonostante si fosse accorta di quel comportamento ben molto tempo addietro, quell’ennesimo teatrino le pareva sin troppo assurdo.
«Molto probabile, sono violenti per natura, non conoscono leggi e il rancore per non essere riusciti a sopraffarci secoli fa li spinge ad avventarsi su qualsiasi uomo incontrino. Ci sono paesi in cui non c’è più pace per causa loro, il Governo sta esaminando l’ipotesi di risolvere definitivamente il grave problema che rappresentano dato che le misure adottate sino ad ora sono state quasi inutili.» borbottò serioso Eto ancora in piedi al fianco di Tito per una rimostranza personale nei confronti di quella riunione improvvisata e alla sua ultima affermazione Aya si ridestò.
«Avremmo preferito tutti che le cose potessero risolversi con della diplomazia, ma è impossibile temo.» ammise tristemente Perifante, rivolgendole un’occhiata per il suo improvviso drizzarsi.
«Dobbiamo avvertire il Capitano Kidd! Lui e gli altri sono in pericolo se restano lì!» sbottò uno dei suoi compagni di viaggio, serrando i pugni ancora bloccati dalle manette di agalmatolite.
«Questo non è possibile, siete sotto la custodia del Regno e non potete abbandonarlo sino a nuovo ordine.» negò subito Tito, tirandosi contro l’ira dei due mozzi.
«E lasciare che li prendano di sorpresa? Scordatelo uomo di latta!» ringhiò l’uomo che l’aveva minacciata nella cella, provando a lanciarglisi addosso per finire suo malgrado con un grugnito e la punta della lancia poggiata grevemente sullo sterno.
Accomodato su uno dei divanetti in fondo alla stanza, re Boro aggrottò la fronte avvertendo la tenzione montare come una bufera nella stanza e allungò in avanti le mani, facendo cenno ai due pirati di tornare a sedersi.
«Calmate gli animi, non è il caso di ricorrere alle mani. Quando il peggio sarà passato proveremo a mandare qualcuno per cercarli, ma adesso sarebbe un suicidio.» provò a convincerli, non sortendo però in loro alcun effetto.
«La verità è che le loro vite non contano nulla per voi dato che si tratta di pirati!» gli sbraitò contro uno dei mozzi, esibendosi con ogni briciolo della propria gentilezza nell’espressione peggiore che riuscisse a cacciar fuori.
«Non siate sciocchi, se fosse così avremmo accettato di rimandarvi da loro subito.» rincarò Perifante, finendo inascoltato quando entrambi decisero di ricorrere alle maniere forti per risolvere la faccenda.
Ignorando del tutto ciò che stava per accadere e affatto preoccupata per le sorti del resto dell’equipaggio, si spostò di scatto sulla propria seduta per fronteggiare direttamente re Boro poco distante, scoccandogli un’occhiata abbastanza ferma da calamitarne del tutto l’attenzione.
«Portatemi alle mura.» ordinò seria con un cenno del capo, serrando i pugni sulle ginocchia.
Colti di sorpresa dal suo intromettersi tanto deciso i mozzi finirono per bloccarsi a guardarla, imitati dal resto dei presenti.
«Come?» chiese incerto re Boro, mentre Ide piegava il capo biondo stordita.
«Ho detto che voglio andare alle mura di confine. Devo parlare con i giganti.» ripetè convinta, fissandolo impassibile nell’attesa che acconsentisse.
Scoprire di non conoscere affatto un evento tanto rilevante nella storia della sua famiglia l’aveva lasciata disorientata per una buona decina di minuti, ma le parole di Eto in qualche modo erano riuscite a trascinarla fuori da quel caos sbattendogli in pieno viso la realtà dei fatti. Starsene seduta e frastornata a rammaricarsi di quanto la sua famiglia non l’avesse mai giudicata all’altezza avrebbe sortito come unico risultato quello di farla rattristare per l’affetto mai ricevuto con sincerità. La situazione in cui si trovava però non si sarebbe risolta e la guerra avrebbe continuato a rovinare le vite degli abitanti di Moundhill e Myramera, senza contare che con Kidd e i suoi in circolazione c’era il serio rischio che le cose peggiorassero di colpo. Non le restava altro da fare che compiere il proprio dovere trovando il capo di quella matassa creatasi in secoli di bugie, quantomeno per dare pace alla sua coscienza e riparare all’indifferenza che la sua famiglia aveva mostrato nei confronti di quella povera gente.
«Non hai sentito quello che vi abbiamo detto?» la rimbeccò con tono acido Eto.
Sul punto di rincarare la già palese poca predisposizione nei loro confronti insistette nell’aprire la bocca, finendo per mordersi la lingua quando Aya lo puntò alzandosi in piedi.
«Non sono sorda e nemmeno stupida, ho detto alle mura non fuori. Voglio parlare con loro per sapere perché si comportano così, se questa storia è vera devono aver avuto una motivazione diversa dal semplice prendersi quest’isola come dite. Gli è stata data ospitalità ed è andato tutto bene per dieci anni, poi c’è stato quell’incidente… attaccano altre isole, ma non voi, sono un pericolo per il Governo eppure nessuno se n’è mai occupato tranne Myramera. Ci sono troppe cose che non vanno non ve ne rendete conto?!» chiarì retorica, tornando a guardare Re Boro e Perifante come fossero gli unici in grado di comprendere ciò che diceva.
Tito aveva già chiarito che non avrebbero permesso a nessuno di loro tre di uscire dal Regno e non aveva alcuna intenzione di disobbedire a quell’ordine in circostanze critiche come quelle, ma non se ne sarebbe stata a guardare quando quella che sarebbe dovuta essere la sua gente insisteva nel voler combattere per ragioni inconsistenti. Già dagli abitanti di San Malé aveva appreso quanto i giganti fossero poco inclini alle gentilezze e non metteva in dubbio che l’uccisione di Momoe avesse potuto scatenare tutto, ciò che non le tornava era il resto. Per un decennio giganti e uomini avevano convissuto in pace, beneficiando gli uni dell’aiuto degli altri per trasformare quell’isola in uno dei regni più ricchi mai noti senza mai dare l’impressione, da quanto Re Boro diceva, di un malessere sopito. Quel giorno però uno dei giganti aveva rotto l’equilibrio perfetto creatosi, colpendo qualcuno che non soltanto non aveva alcuna colpa, ma gli si era dal primo istante mostrato amico, attirandosi le ire dell’intera popolazione e costringendo il Governo a dover intervenire.
Il rancore o qualsiasi altro fosse stato il cancro che attanagliava quel gigante poteva anche esser scaturito da motivi inconsistenti, da ragioni che solo a lui erano note e che non necessariamente comportavano un qualche vero e grave affronto dalla parte opposta. Aya lo sapeva bene e lo aveva provato sulla propria pelle con Hana, cui per anni, pur avendola amata dal primo secondo della sua nascita, non erano mai mancate le occasioni di beffa o litigio. Ciò che non le pareva logico era che quel gigante si fosse limitato a Momoe, lasciando liberi di andare i suoi fratelli e perché la sua gente quando il Governo li aveva cacciati, relegandoli sull’ammasso di fanghiglia che era Rurik, non ne avesse preso le distanze o avesse provato a scusarsi.
«È una questione complessa Aya ed è vero, molte cose non sono chiare persino a noi, ma abbiamo già provato, parlarci è inutile. Re Boro stesso ha tentato per ultimo fallendo purtroppo.» rammentò Perifante con un sospiro, spingendola ad irrigidirsi davanti a tanta rassegnazione.
«Allora meglio comportarsi in maniera peggiore, continuare una guerra assurda ed evitare di comprendere, mi pare ovvio.» sbottò fredda, riservando a tutti uno sguardo di rimprovero.
Andava per mare da tre anni ormai e l’ingenuità con cui era scappata da Marijoa era mutata e continuava a farlo lentamente giorno dopo giorno dandole una consapevolezza diversa del mondo dal Paradiso scintillante e felice che aveva pensato di visitare. Poteva dire di essere abbastanza assennata adesso da comprendere che non sempre per determinate situazioni si possono trovare soluzioni semplici o pacifiche, non tollerava però che si ricorresse a certi mezzi senza prima aver tentato tutto.
«Bada al tono che usi ragazza, non vi è permesso dare giudizi su questioni che non vi competono!» la rimproverò offeso Eto battendo un piede sul pavimento.
«Lei vuole davvero continuare con questa follia? Mandare i suoi uomini a combattere senza ragione, rischiare la rovina di Myramera pur di non capire?» volle sapere da Re Boro, avanzando di un passo.
Per quanto la riguardava potevano continuare quella stupida rivalità finché il mondo avesse continuato ad esistere, ma quantomeno che lo facessero sapendo tutto del motivo da cui pareva essere nata. Persistere su quella strada era come ammettere di aver cercato un pretesto, era un atteggiamento ottuso e ingiusto, qualcosa che avrebbero potuto inventarsi a Marijoa non lì e lei era stanca di vedere sciocchezze simili.
«Silenzio, silenzio! Guarda a chi hai voluto dare fiducia vecchio stupido! È fuoricontrollo, senza rispetto!» sbraitò con insistenza Eto rivolto a Perifante dimenando il dito contro di lei.
Ignorando del tutto il caos che stava per scoppiare tra il resto dei presenti, re Boro si sollevò dal divano su cui era rimasto accomodato per andarle in contro.
«Molti prima di me hanno provato a rimettere insieme le cose facendo il possibile affinchè questo paese non soffrisse più, sperando che quest’isola potesse davvero essere il Regno dell’eterna primavera per tutti… ma abbiamo fallito inesorabilmente ogni volta. Per quanto si provi alla fine quei giganti tradiscono la nostra fiducia come fecero con i nostri antenati, combattere è tutto ciò che sembrano comprendere. Rievocare le ragioni del passato non ci aiuterà purtroppo… è al futuro che siamo costretti a pensare. Siamo gente pacifica che ambisce solo a vivere la propria vita serenamente, nessuno vorrebbe credimi.» mormorò come spiegazione, rivolgendole un’espressione addolorata che non le fu comunque di alcun conforto.
Ammutolita ebbe l’impressione di aver parlato inutilmente, di essersi resa una volta ancora conto di non vivere una delle sue fantasie e si morse il labbro tanto forte da percepire il sangue impastarle la lingua.
«Credevo davvero che fosse migliore, ma questo mondo è marcio, ovunque.» biascicò arrabbiata, ricacciando indietro le lacrime con uno sforzo convinto.
Poteva anche non avere l’appoggio di nessuno, la società poteva anche essere ingiusta e corrotta come Kidd andava sempre ripetendo e il mondo continuare a guastarsi, ma Ko le aveva insegnato a comportarsi altrimenti e Aya lo avrebbe fatto. Anche se non fosse servito nessuno dei suoi sforzi.



Aveva sempre pensato che in quel mondo vi fosse qualcosa che non andava e aveva con altrettanta frequenza, oltre che con una certa ovvietà, attribuito la colpa alla grande massa di “brave persone” che lo popolavano con le loro ingiustizie, ma più camminava per quel bosco per raggiungere Myramera più cominciava a credere che persino la terra avesse qualcosa che non andava. Ad ogni passo che lo allontanava da Moundhill l’erba e le foglie si facevano più verdi, la temperatura più mite, si sentiva addirittura qualche uccello berciare sui rami. Rapito da quelle osservazioni, si ritrovò a ghignare amaramente pensando fosse quasi paradossale come soltanto quell’apparenza rendesse tangibile la disparità che intercorreva tra le classi elevate protette dal Governo e quelli che venivano considerati rifiuti e reietti dalla società. Distratto e con lo sguardo che vagava nei dintorni, si bloccò di colpo all’ombra delle ginocchia di Rolf quando una strana sensazione lo investì in pieno come un’onda d’urto spingendolo subito a contrarre istintivamente i muscoli. Sopra e attorno alla sua figura il resto dell’equipaggio che l’aveva seguito e il gruppo di giganti messo su per vendicare il presunto attacco annunciato da uno degli uomini di Yory si arrestò sul posto, guardando nei dintorni con preoccupazione.
«Cos’è stato?» domandò turbato Wire, stringendo dietro di lui la presa sul tridente scuro.
Qualcuno o forse più di uno cadde con un tonfo, Killer lasciò scivolare le dita sulle impugnature delle falci e Kidd si scoprì ad aggrottare la fronte serio, mentre il resto del bosco piombava in un silenzio sin troppo pesante. Il palpito che lo aveva travolto senza alcun preavviso era durato appena qualche frazione di secondo, tuttavia era stato sufficiente a fargli perfettamente comprendere quanto fosse accaduto.
«Ho già avvertito questa sensazione all’arcipelago Sabaody, era l’Hao-shoku di Silver Rayleigh.» riconobbe greve, riportando alla memoria quel brivido intimidatorio che gli era corso lungo la schiena quel giorno alla casa d’aste.
Venirne colpiti era come sentire addosso lo scossone di qualcuno carico delle peggiori intenzioni possibili, era un attacco in piena regola seppur immateriale che minava la volontà di chi si trovava coinvolto ed era anche una rarità. L’Haki apparteneva a chiunque ed era altrettanto facile che in un luogo pericoloso come lo Shinsekai sincontrasse qualcuno capace di sfruttarlo appieno come arma, ma quel genere di Haki faceva la sua comparsa una volta su milioni. Era una caratteristica delle grandi figure da rispettare e temere, marchio di coloro che erano destinati a svolgere un ruolo chiave nelle sorti degli equilibri mondiali e non dipendeva certo dallo spingere allo stremo la propria forza di volontà, era un dono che si aveva o si continuava a sognare.
«Mmmh… Diante.» borbottò dopo qualche secondo di silenzio Rolf, fissando un punto imprecisato di fronte a sé.
«Chi sarebbe questo Diante?» s’informò piatto, fissando il vuoto tra gli alberi nella medesima direzione.
Non aveva ancora imparato completamente a padroneggiare il proprio Haki, ma non gli era necessario per intuire da dove quell’intimidazione fosse scaturita né per comprendere che non fossero poi tanto distanti.
«È il capo delle guardie di Myramera, un esserino come te Komo.» rivelò greve, accarezzando l’elsa dell’ascia a due lame che portava sul fianco come fedele compagna.
«Può sparire, la terra e l’aria lo ingoiano e lo risputano indietro di continuo come uno spirito. Suo padre incendiò Moundhill, aveva il suo stesso potere maledetto.» ringhiò rabbiosa Nenya, imbracciando la propria arma senza troppe remore.
Osservò l’intero gruppo mettersi sulla difensiva e assottigliò lo sguardo con un basso verso di comprensione voltandosi.
Apprensione e timore non erano il genere di sensazioni che gli attraversavano il corpo quando era in procinto di cominciare uno scontro, aveva però abbastanza senno – specie dopo l’esperienza con quella viscida bestia di Nau El Pilar – da riconoscere che se dei giganti si allarmavano per un solo uomo e quello stesso uomo possedeva quel genere di Haki allora valeva la pena di far attenzione.
«Può darsi sia stato lui a rovinare la nave al porto senza essere visto allora.» azzardò con voce seria Heat, ricevendo dal suo vicecapitano un muto assenso.
«Forse si tratta di un Rogia.» ipotizzò metallico Killer e a Kidd scappò un ghigno divertito.
«Era giusto quello che mancava. Un possessore di un frutto con l’ambizione del re.» gracchiò roco, piegando un secondo il capo rosso su una spalla prima di muovere un passo avanti tra gli alberi.
Il Nuovo Mondo era il luogo in cui aveva sempre saputo di dover combattere i suoi veri avversari, il fatto che fossero potenzialmente in grado di metterlo in difficoltà era per lui in qualche modo irrilevante. Ciò che contava era proseguire per raggiungere i veri obiettivi che si era prefisso, per farlo però doveva riparare la nave e recuperare i membri dell’equipaggio persi prima che il suo orgoglio venisse calpestato da una coalizione di marionette del Governo che sguazzavano nell’oro.
«Devo avvertirti Komo, lui e i guerrieri di Myramera non sono facili da affrontare.» tonò dall’alto dei suoi metri Rolf, mentre Kidd e il resto dell’equipaggio avanzava lasciandoli indietro.
Nel sentire quel commento ebbe la tentazione di scoppiare a ridere. Non si sarebbe mai tirato indietro perché qualcosa appariva fuori dalla sua portata e poi la sua vita non era mai stata facile.
«Tanto meglio, ora vediamo di muoverci. Non ho intenzione di rimanermene ancora fermo ad aspettare.» sbottò competitivo senza mezzi termini, proseguendo tra i tronchi degli alberi dalle cime ormai prive di qualsiasi traccia di grigio.
Udì Rolf abbozzare una delle sue fastidiose risate grasse e continuò imperterrito a camminare. Tra il tonfo dei passi dei giganti e l’erba che ormai copriva il terreno sino a risalire le radici rossicce degli alberi, gli ci vollero ancora parecchi minuti prima d’intravedere qualcosa nella monotonia della foresta in cui si muovevano. Mura dai blocchi bianchi e dalle dimensioni spropositate parevano essersi ritagliate una linea perfetta interrotta qui e lì da qualche torretta ricurva, una porta di legno a due battenti doveva esser servita da passaggio qualche centinaio di metri più ad est, ma ormai era divelta per metà insieme a una parte della fortificazione come se vi fosse caduta sopra un’intera montagna. Macerie giacevano abbandonate nei dintorni in compagnia di tre enormi mazze di ferro, circondate da fosse e polvere che potevano essere solo indice di una battaglia recente.
«Le mura… le hanno distrutte…» notò stordito Dente Blu, mentre il resto dei suoi compagni si guardava attorno.
Imitandoli in quell’operazione spinto dall’avanzare di Killer si ritrovò a pensare a quella dannata donna sparita durante il banchetto e i suoi nervi ebbero un sussulto irritato istantaneo che gli strappò un grugnito.
I suoi uomini potevano essere stati presi di sorpresa, tramortiti, attaccati, finiti lì per qualsiasi ragione, ma lei doveva esserci entrata di sua spontanea volontà e se aveva anche avuto la medesima fortuna avuta nell’incontro con l’alleato di Big Mom poteva darsi persino stesse con il capo delle guardie o chissà chi altro. Avrebbe potuto andarsene in giro a raccogliere fiori o comprare cianfrusaglie come qualsiasi altra petulante donna per saziare il suo desiderio di libertà, ma non sarebbe stato da lei e in fondo quella era una delle ragioni per cui se la portava dietro.
«Cos’è successo?» chiese teso al nulla Rolf e pur non guardandolo Kidd avvertì una nota di profonda rabbia nel modo in cui quella domanda era venuta fuori dalla sua bocca.
Capire cosa fosse accaduto non era poi complesso, ma solo allungando lo sguardo oltre la voraggine aperta nelle mura si rese conto del perché il capitano della Kurokaze fosse tanto furioso. Completamente circondato da catene uno degli abitanti di Moundhill se ne stava sdraiato per metà nel territorio del regno di Myramera, sotto lo sguardo attento di un manipolo di uomini armati. Un paio di loro si volsero attenti a guardarli da lontano e non trascorse nemmeno un secondo prima che dessero prontamente l’allarme.
«Fermateli presto! Non devono passarne altri!» gridò uno di loro e dalle mura, oltre che dai dintorni parvero sciamare fuori come insetti altri membri della guarnigione.
Qualcuno scagliò una freccia a poca distanza da dove si trovavano e Kidd tese i muscoli, allungando una mano, mentre Rolf e i suoi li superavano con qualche passo imbracciando senza remore le armi. Concentrò il proprio potere sul gruppo che andava loro incontro e piegò le nocche, obbligandoli per il dolore a crollare a terra stritolati nelle loro ridicole armature placcate d’oro. Killer lo riparò svelto da un paio di colpi esplosi dalle mura ancora in piedi e avanzò deciso, raggiungendo il confine tra il rombo dei cannoni che facevano fuoco e il boato delle armi dei giganti che mulinavano.
«Komo, tu e i tuoi compagni andate avanti, vi copriremo.» lo incoraggiò da lontano Rolf, affondando l’ascia su ciò che restava della porta di passaggio affettandola come fosse stata carne sino ad intaccarne le fondamenta.
«Non ho bisogno di nessuno che mi copra, bada ai tuoi affari.» ringhiò irritato, oltrepassando velocemente il varco e attirando a sé ogni genere di arma nei paraggi con i suoi uomini alle spalle intenti già a combattere.
Quando se ne liberò ai piedi del gigante catturato scheggie e proiettili finirono per volare ovunque con il supporto di spade, frecce e persino lance. Qualcuna delle guardie del presidio cadde con un lamento a terra immobile, ma buona parte attese che l’attacco fosse terminato prima di gettarglisi nuovamente contro con ostinazione per difendere con ogni briciolo della propria forza il vuoto creato da coloro che già erano riusciti ad introdursi nel regno. La mazza di Dente Blu s’infranse al suolo e una buona decina di soldati volò via tramortita, mentre Kidd proseguiva insieme al resto dell’equipaggio lungo il grande spiazzo creato dal passaggio dei giganti. Sbirciò il volto di quello che stava ammutolito al suolo e finì per aggrottare la fronte, scoprendolo con il naso coperto di sangue e un segno sul collo che dipartiva da un punto grande quanto la mano di un uomo.
«Un pugno.» evidenziò con un ghigno, prima di voltarsi e proseguire lasciandoselo alle spalle ancora legato.
Buttare giù un gigante non era impresa da poco, farlo con un colpo soltanto poi era quasi impossibile. Liberarlo sarebbe stato solo uno spreco di tempo ridotto com’era e lui in fondo non era lì per fare da soccorso ai compagni di Rolf, era molto meglio proseguire e magari trovare quel Diante dato che il suo istinto gli suggeriva che andarsene da quel posto prima di averlo tolto di mezzo non sarebbe stato possibile. Per di più era seriamente curioso di scoprire di cosa fosse capace e non poteva essere tanto distante se il suo Hao-shoku lo aveva raggiunto appena qualche decina di minuti prima.
Gli ci volle un po’ affinché il suo equipaggio facesse piazza pulita del presidio di supporto e i giganti avanzassero, ma durò inaspettatamente poco prima che altre guarnigioni accorressero e Kidd finì per impiegare più tempo ed energie di quante credesse per liberarsi di quei dannati soldati al confine e proseguire con la testa che pulsava. Con un grande dispendio d’improperi e colpi, il nervosismo che montava metro dopo metro ad ogni nuovo ostinato attacco via via sempre più organizzato e il dubbio che volessero prenderlo per sfinimento o suicidarsi in massa pur di fermare quell’avanzata, spese quasi un’ora per intercettare un gigante che non fosse tra coloro che accompagnavano Rolf. Quando vi riuscì Horn, il fabbro che lavorava nei pressi dell’abitazione del capovillaggio, stava menando colpi di martello con un gran fracasso e la fronte grondante sudore, tentando di distruggere un piccolo villaggio circondato da alberi di ciliegio. Ogni colpo pareva fermarsi però inaspettatamente prima di sfiorare una qualsiasi delle strutture e Kidd riuscì a comprendere perché accadesse solo quando il gigante sollevò la propria arma in aria per un nuovo colpo, finendo tuttavia per schiantarsi con tutto il proprio peso a terra e un lamento. La figura di un uomo dai capelli scuri parve materializzarsi dal nulla sopra il suo petto, con una mano ancora poggiata sull’enorme sterno e le ginocchia piegate per poi drizzarsi, voltandosi nella loro direzione.
«Tu saresti Diante?» dedusse con il capo piegato e un ghigno Kidd, vedendosi puntato.
«Non ho tempo per te Eustass Capitano Kidd, vattene. Myramera ha problemi più importanti di te da affrontare in questo momento e se vuoi rivedere i tuoi uomini ti conviene io li risolva.» troncò freddo, scoccandogli un’ultima occhiata prima di saltare giù dal gigante e dargli le spalle.
Senza chiedersi troppo cosa in quella frase lo avesse irritato maggiormente, se l’essere degnato di così poche attenzioni o venir cacciato come un teppista qualunque da quello sbruffone, concentrò il proprio potere su Diante, ma non ebbe nemmeno il tempo di colpirlo che nei dintorni non se ne vedeva più traccia.
«Dannato bastardo.» sbottò, serrando i pugni con rabbia.
«Hai sentito quello che ha detto?» udì la voce metallica di Killer chiedere e si volse a fulminarlo.
«Sì che ho sentito, non sono sordo.» ringhiò scontroso.
«E credi sia normale pensino i giganti rappresentino un problema anche per noi?» insistette a domandare per nulla intimorito dal nervosismo che aveva in corpo.
«Magari non sanno che eravamo loro ospiti.» fece presente Heat, mentre aggiravano i piedi di Horn tramortito.
«Non è plausibile, devono aver fatto qualche domanda agli altri.» dissentì il vice.
«Eppure pensano lo stesso siano un problema per noi. C’è qualcosa che non torna.» sibilò con una smorfia superando il fabbro e fermandosi una volta ancora a guardarne il volto.
Diante era riuscito ad abbatterlo per stanchezza e con un solo pugno, ma non fu quello su cui Kidd si concentrò inaspettatamente. Per qualche istante ne seguì i tratti della mandibola, degli occhi e della bocca ricordandosi di averlo visto al fianco del vicecapitano della Kurokaze non appena erano approdati a Moundhill e un sospetto lo investì, spingendolo a spostare lo sguardo altrove, dove le tracce del passaggio di qualcun altro erano evidenti.



Poggiato al parapetto in legno chiaro della nave mercantile, acconsentì al sorso di saké che gli veniva offerto insieme ad una scodella calda di donburi casalingo dal profumo invitante che gli ricordò inevitabilmente quello che trovava spesso pronto in tavola da ragazzo, quando i suoi genitori erano ancora vivi e i suoi fratelli appena dei bambini che giocavano sotto la sua sorveglianza. Assaggiandolo si ritrovò a pensare di non averne mai più assaggiato uno tanto buono da allora e strinse la presa attorno alla scodella decorata di rosso, chiedendosi se le cose, persino la sorte di quella ragazza, non sarebbero state diverse se in uno di quei lontani giorni suo padre non fosse andato nella parte occidentale del villaggio per parlare con quei pirati. Forse se non l’avesse fatto il donburi sarebbe ancora stato servito in casa loro, lui e i gemelli non sarebbero entrati in Marina e la Signorina Aya non avrebbe avuto qualcuno tanto ostinato a braccarla nel suo insensato viaggio per il Grande Blu.
«Grazie per averci aiutati ad attraversare il Triangolo Florian.» lo richiamò alla realtà la voce di uno dei passeggeri, battendo la propria ciotola contro la sua in segno di benevolenza.
Era un uomo grassoccio poco oltre la cinquantina, con radi capelli color carota e un passato da grande cuoco in gioventù che lo aveva spinto ad intraprendere quel viaggio dal Mare Occidentale insieme al suo apprendista appena ragazzino. Shizaru li aveva incontrati appena fuori dal centro di San Popula, mentre cercavano con urgenza un passaggio per l’Arcipelago Sabaody cui parevano dirigersi dalle sue informazioni solo navi mercantili, navi di perlustrazione della Marina e traghetti già salpati che avrebbero fatto ritorno la settimana seguente. Aveva offerto loro un passaggio sulla piccola imbarcazione a motore che aveva appena acquistato con quei pochi guadagni messi da parte negli anni da marines, ma il Triangolo Florian si era mostrato più insidioso di quanto pensasse e alla fine erano rimasti bloccati per un intoppo al motore che Shizaru era riuscito a sistemare soltanto a bordo della nave mercantile che li aveva fortunatamenti accolti come naufraghi.
«Sono io che devo ringraziarvi per i pranzi.» ribatté con un sorriso veloce, gettando giù un altro po’ di donburi.
«Avrebbero potuto essere gli ultimi. Ogni anno pare spariscano decine di navi in quel tratto… dicono sia pieno di spiriti pronti a uccidere. Ho sentito raccontare di un’isola che n’è piena e che si sposta per trovare continuamente vittime e di ombre, ombre tanto alte da non poter esser misurate e di una voce che canticchia direttamente dallo Yomi-» s’intromise cupamente l’apprendista seduto sui gradini, ricevendo una botta in testa che gli strappò il lamento meno convinto e piatto che Shizaru avesse mai udito.
«Per l’amor del cielo smettila! Lo scusi...» borbottò il cuoco, bevendo un sorso di saké.
Con la fronte leggermente aggrottata Shizaru annuì in silenzio, lanciando un’occhiata di sbieco al ragazzo, mentre proseguiva a mangiare svogliatamente la propria porzione.
Doveva avere appena quattordici anni, aveva uno strano caschetto riccio e castano nascosto perennemente sotto uno sbrindellato cappello da chef e la pessima abitudine di parlare in modo sconveniente. Da quando lo aveva conosciuto gli aveva sentito esprimere opinioni spiacevoli con la medesima espressione incantata praticamente su qualsiasi cosa, tutto con la grande disapprovazione del suo maestro che sosteneva di averlo portato con se solo perché era incredibilmente capace con pentole e fornelli, fatto di cui Shizaru dubitava avendolo sempre visto mangiare, ma mai cucinare.
«Oh, siamo in vista! Finalmente possiamo tirare un sospiro di sollievo!» gioì d’improvviso il cuoco quando la vedetta della nave, diede due colpi alla campana in cima all’albero per avvertire tutti dell’avvistamento.
Si volse ad allungare lo sguardo scuro oltre le proprie spalle, individuando in lontananza il profilo inconfondibile delle mangrovie Yarukiman con i loro tronchi striati e le fronde coperte di bolle, tirando davvero un piccolo sospiro di sollievo a quella visione.
Aveva percorso quella tratta di Rotta Maggiore già quattro volte negli ultimi tre anni passati alla ricerca del Drago Celeste scomparso e altrettante volte aveva visitato Sabaody, quella però sarebbe stata l’ultima, lo aveva promesso a se stesso. Aveva sbagliato tornando indietro e lasciandola sola quando più ne avrebbe avuto bisogno, ma era intenzionato a riparare il proprio errore e convincerla definitivamente a metter fine a quella follia prima che fosse davvero troppo tardi per lei.
«Non ci ha ancora detto cosa va a fare all’Arcipelago Sabaody.» domandò indiscretamente il cuoco accanto a lui, vedendolo tanto assorto nei propri pensieri e quasi riuscendo ad intuirne la natura.
«In realtà devo attraversare la Linea Rossa, Sabaody è solo una tappa come un’altra.» rispose sincero, omettendo con sapienza qualsiasi informazione potesse all’altro servire da appiglio per indagare.
Oltre ad essere a tutti gli effetti un disertore della Marina – fatto di cui aveva avuto tristemente la conferma vedendo un manifesto con il suo volto tra i vicoli di San Popula – quasi nessuno sapeva del perché attorno a quella ragazza si stesse creando tanta calca e Shizaru avrebbe continuato a proteggerne il segreto. Mettere in giro voci della fuga di un Nobile Mondiale da Marijoa non solo avrebbero messo in cattiva luce gli stessi Draghi Celesti e il Governo, ma a tutti gli effetti avrebbero creato caos e ressa lì dove già ce n’era in abbondanza.
«Ho sentito dire che nell’isola degli uomini-pesce servono ai visitatori bicchieri vuoti perché tritoni e sirene non bevono, i pesci dormono su letti come gli umani e trasportano in giro i turisti.» ciarlò con la bocca piena l’aiuto cuoco dai gradini e una volta ancora Shizaru non poté fare a meno di voltarsi a guardarlo, scoprendolo ancora di spalle e per nulla interessato alla vista sempre più vicina dell’arcipelago.
Quel ragazzo aveva la medesima propensione di Mizaru a parlar male quando meno conveniva, a differenza di suo fratello però non c’era nessuno che gli tirasse seriamente le orecchie cercando di togliergli il vizio.
«Smetti di disturbarlo e non dire sciocchezze, sull’isola degli uomini-pesce vanno i pirati, quelli che hanno qualcosa da nascondere o conti in sospeso con il Governo, non la brava gente.» lo rimproverò il cuoco e Shizaru trattenne il respiro pesante che gli era istintivamente salito al petto.
Sarebbe volentieri passato per l’isola degli uomini-pesce pur di evitare quella parte del suo viaggio, ma l’imbarcazione che aveva acquistato non era fatta per scendere a quelle profondità neanche con un rivestimento fatto perbene. Gli eventi lo obbligavano a dover transitare dall’unica altra via possibile ed era da giorni ormai che Shizaru cercava di evitare il pensiero di come avrebbe potuto passarvi. Marijoa accettava di far transitare la gente dalle sue vie e dal suo canale solo con un permesso scritto approvato dal Governo e che alle porte veniva controllato prima che i cancelli venissero aperti. Ottenerlo era difficile già per la gente onesta, figurarsi per un disertore della Marina che potenzialmente era legato ad un Drago Celeste ribelle unitosi a dei pirati. Avrebbe potuto sperare di passare inosservato, ma Shizaru sapeva che sarebbe stato di certo impossibile, tutto ciò che gli rimaneva da provare per superare la Linea Rossa era aggirare la capitale nella speranza di non incontrare nessun marines. Farlo però avrebbe comportato l’abbandono della piccola nave che aveva comprato e una volta dalla parte opposta, semmai fosse riuscito nell’impresa, non avrebbe avuto abbastanza soldi per acquistarne un’altra.
«Ad ogni modo anche noi dobbiamo salire sulla Linea Rossa. Rimanga tra noi, ma… lavorerò a Marijoa come cuoco, forse per i Nobili mondiali. Può venire con noi se vuole, un po’ di compagnia non guasta no?» propose l’uomo, mostrandogli di nascosto una parte del permesso nascosto nel panciotto e strappandogli un sorriso.
«Affatto, grazie.» accettò, sperando che quell’aiuto inatteso potesse davvero essergli utile.
Appropiarsi di quel foglio e modificarne una parte per entrare sarebbe stato perfetto con un po’ di fortuna e disattenzione dei marines al confine, ma non aveva alcuna intenzione di comportarsi da criminale solo per disperazione. Aveva ancora una dignità e dell’onore da mantenere che lo spingevano a tentare l’unica altra via possibile per uscire con la testa sulle spalle da quell’intoppo, ovvero fingersi compagno dei due per infiltrarsi.
«Dato che hai lui ora, io posso andarmene?» domandò apatico il ragazzo, girandosi per la prima volta.
«Non dire sciocchezze razza di stupido Ti sto onorando portandoti con me! Un lavoro del genere capita una volta nella vita e mai più, ingrato.» strepitò l’uomo, colpendolo di nuovo alla testa.



Le mura che circondavano Myramera erano state costruite in dieci anni, unendo blocchi estratti direttamente dalle scogliere dell’isola affinché proteggessero i suoi abitanti dai pericoli che il mare e la foresta grigia avrebbero potuto abbattere su di loro. Per secoli dopo l’edificazione avevano svolto il loro compito in maniera ineccepibile, aiutando il Regno a prosperare, arricchirsi e diventare un luogo in cui la primavera non pareva mai aver avuto un termine, ma adesso erano crollate davanti all’avanzata dei loro stessi costruttori, lasciando un varco nella protezione che erano sempre state per intere generazioni e permettendo che quella sciocca guerra raggiungesse città e villaggi.
«Avvertite il Re presto.» comunicò con tono greve il soldato dalla parte opposta del corridoio, accorso lungo le scale per mettere in allarme coloro che si trovavano nella Tsutenkaku.
Nascosta dietro la porta di una stanza diversa da quella in cui l’avevano rinchiusa e con le mani ancora legate dalle spesse manette di agalmatolite, Aya poggiò la testa sulla parete blu fissando distratta gli uomini di Kidd arrancare sul balatoio della finestra a causa del forte vento che soffiava a quell’altezza.
Il trambusto era aumentato già durante la piccola riunione avuta con Re Boro un’ora prima, ma era decisamente peggiorato nel tempo seguente con un gran accalcarsi di guardie sia dentro che fuori la torre. Pur non potendo vederli da lì su Aya li aveva avvertiti distintamente correre ai piedi del simbolo di Myramera urlando ordini e con loro la gente in città che lentamente, minuto dopo minuto, non faceva che agitarsi e vociferare. La comunicazione dal confine dell’intrusione dei giganti malgrado le precauzioni prese era giunto come un fulmine a ciel sereno, obbligando – da quanto era riuscita a carpire – Re Boro a dar ordine di stato di guerra e ad inviare guarnigioni intere nel tentativo di arginare il grosso problema intenzionato ad andar loro contro. Gli abitanti di Egle, come forse quelli di qualsiasi altra città e villaggio del paese, erano stati invitati con i lumacofoni a non allontanarsi dalle zone presidiate, ma l’avanzata era proseguita incessantemente e le cose ormai precipitavano. I giganti era quasi alle porte della capitale del Regno nonostante da quanto aveva capito Diante li stesse abbattendo uno dopo l’altro – fatto che alle orecchie di Aya suonava più che incredibile improbabile –, in una corsa contro il tempo che adesso comportava un pericolo per chiunque.
Ispirò una profonda boccata d’aria fresca per concentrarsi e mentre uno degli uomini di Kidd riusciva finalmente a rotolare dentro la stanza, aprì la porta precipitandosi per il corridoio e lungo le scale a chiocciola della torre. A testa bassa e con le mani nascoste nel giaccone benché vi fosse caldo per indossarlo, oltrepassò guardie, membri dell’assemblea, persino semplici cittadini alla ricerca d’informazioni finché da un corridoio alla sua sinistra una voce allarmata non la costrinse ad arrestare la propria corsa.
«Aya? Cosa fai qui? Come sei uscita?» domandò Ide, guardandosi attorno con preoccupazione.
«Va da tuo padre Ide, tornerò promesso.» troncò frettolosa con un cenno del capo rossiccio, scendendo altri tre gradini per poi bloccarsi nuovamente.
«Aspetta, aspetta! Stai andando a parlare con quei giganti?» s’informò titubante, raggiungendo le scale su cui lei si trovava.
«Quella storia non ha senso.» ripeté una volta ancora, girandosi per rivolgerle uno sguardo convinto.
Più pensava a ciò che le stava succedendo intorno più si convinceva di quanto tutto fosse folle e privo di logica. C’erano così tante falle nel racconto di Re Boro che riteneva impossibile almeno qualcuna di queste non potesse essere colmata con una semplice discussione prima che la guerra cessasse di essere una corsa e diventasse uno scontro a tutti gli effetti che avrebbe coinvolto migliaia di abitanti innocenti. Non riteneva che le cose potessero risolversi solo con della diplomazia e non era tanto sciocca da pensare che la pace fosse facile da ottenere, ma non per quello avrebbe accettato di credere a una storiella priva di basi certe.
«Sì che ce l’ha, sono crudeli e subdoli, li avevano cacciati dalla loro isola perché non avevano morale.» ribatté prontamente Ide, agitandosi ad appena un metro da lei in una maniera tale che le fece aggrottare la fronte.
«Sai che ho una taglia?» chiese brusca, non accettando di sentire altro.
In qualche modo era sempre riuscita a distinguere cattiveria e bontà nelle persone con cui aveva a che fare e da quando era nel Grande Blu poteva dire con un po’ di soddisfazione di non aver mai sbagliato. Riteneva che né Ide, né Re Boro o Perifante fossero gente di cui diffidare, ma non tollerava che le venissero ripetute frasi pregiudizievoli come quella con insistenza cercando di farle cambiare opinione. Non aveva dal primo istante avuto una bella impressione dei giganti e ai suoi occhi alcuni avevano continuato a barcollare su un filo persino dopo il banchetto organizzato per festeggiare, ciò non implicava però che si sarebbe fermata all’apparenza.
«Cosa? S-sì…» balbettò Ide confusa da quella domanda all’apparenza fuoriluogo.
«I pirati e i criminali sono crudeli e subdoli. È questo che pensi di me?» insistette a voler sapere, risalendo un paio di gradini per guardarla da vicino.
«No, certo che no.» rispose subito l’altra, scuotendo le ciocche bionde da una parte all’altra.
«Eppure mi hanno assegnato una taglia da sessanta milioni e non vedono l’ora di mandarmi al patibolo o chissà che altro. Non ti sembro come chiuque di loro perché Perifante prima che l’assemblea esprimesse un giudizio basato sulle vostre leggi è venuto da me e mi ha concesso un’opportunità dopo avermi ascoltata, se non l’avesse fatto io forse non ti starei di fronte e questo è esattamente quello che voglio evitare succeda ai giganti. Viviamo in una società talmente disperata e corrotta per cui ogni libertà, ogni azione giudicata sbagliata, persino un errore va cancellato perché tutto rientri nell’Ordine e nella normalità, ma il mondo non è fatto dall’ordine. Le persone Ide non sono o cattive o buone, se vi fermaste un attimo a parlarci ve ne accorgereste forse e gli dareste un’opportunità in più che possa fare la differenza.» sbottò tutto d’un fiato, lasciandola ammutolita a guardarla.
Rimase per un minuto di fronte a lei, vedendola abbassare gli occhi chiari al pavimento quasi con colpa e si abbandonò ad un sospiro pesante prima di darle le spalle. Riprese la propria corsa giù dalla Tsutenkaku e molti piani più in fondo riuscì a scorgere la luce proveniente dall’esterno, passando poi con un po’ di sano coraggio in mezzo a due file di soldati in armatura che posizionati a guardia dell’accesso la guardarono come sbigottiti. Alcuni di loro provarono a richiamarla indietro scambiandola forse per qualcun’altra, ma Aya proseguì decisa districandosi tra vicoli e strade piene di gente allarmata alla ricerca del propileo che portava fuori Egle.
Le spiaceva aver lasciato Ide lì dopo quello che era suonato persino alle sue orecchie come un mezzo rimprovero, però non si pentiva di ciò che aveva detto, anzi. Lì a Myramera aveva in poco tempo avuto più di una conferma a quel suo pensiero, con Perifante prima e con la sua famiglia poi. Si era chiesta più volte dal suo letto improvvisato e fissando il soffitto della nave di Kidd semmai da quando viaggiava avesse commesso a tutti gli effetti qualche crimine degno di comportare una taglia, eppure non gli era venuto mai in mente nulla che giustificasse sessanta milioni o giù di lì. Alla fine si era convinta definitivamente con l’evolversi degli eventi che quel volantino esistesse solo perché non era rimasta a Marijoa a recitare ciecamente ciò che da lei ci si aspettava, solo per aver ignorato i pregiudizi trovando in quelli che la società considerava scarti una famiglia e degli amici, solo per essere diventata un’anomalia all’Ordine di cui avrebbe dovuto far parte. Nessuno, tranne Law, Kidd e quel tipo di nome Shizaru le aveva mai chiesto spiegazioni e al Governo era bastata un’occhiata approssimativa alle sue scelte per darle un’etichetta capace di ucciderla. La gente di Myramera era gentile, aperta e di buon cuore e non voleva che anche loro cadessero in quella trappola allargando il male in grado di far marcire il mondo, non voleva che tutto terminasse per colpa di quella follia.
Impiegò più del previsto per raggiungere il portone d’accesso alla città dovendosi districare tra strade affollate, carri di viveri che venivano trasportati alle rimesse in caso di necessità e migliaia di abitanti urlanti. Quando l’ebbe raggiunto il propileo era affollato di soldati che scortavano all’interno i contadini che avevano tardato a rientrare o le poche famiglie che vivevano all’esterno del vero centro cittadino. Centinaia di cannoni erano stati sistemati in una fila perfetta con le bocche puntate verso la strada di terra battuta, insieme ad una decina talmente grossi da essere manovrati da quattro soldati per volta e con strani grovigli di catene che penzolavano sul terreno come gigantesce reti da pesca.
«Sbrigatevi, in fretta, su!» sentì urlare ad uno degli uomini della guardia cittadina.
«Veloci entrate, tutti dentro ai luoghi di raccolta, veloci!» sbraitò qualcun altro cercando di velocizzare gli smistamenti degli abitanti, per allontanarli dal perimetro armato.
Con l’uscita bloccata da un migliaio di soldati armati di tutto punto dovette nascondersi tra il colonnato del propileo per avanzare di qualche metro sino ad individuare Tito, scintillante nella sua divisa come sempre, a braccia incrociate sulla cima della gradinata di pietra.
«Dov’è Diante, perché non li ferma?» lo interrogò con apprensione una delle altre guardie, quando la terra sotto i loro piedi cominciò a tremare in maniera poco confortante.
«Non può fare tutto da solo, dobbiamo occuparcene noi finché non avrà arginato la situazione al confine.» rispose serio, estraendo la propria lancia dalla schiena per tenerla ben serrata nella mano destra.
Era bello notare quanta fiducia tutti lì nel Regno riponessero in quel ragazzo, tuttavia Aya fu sul punto di domandarsi come avrebbe potuto un’unica persona arginare un problema tanto grande da sola, dovette però mettere da parte quel dubbio quando in lontananza un paio di figure enormi cominciarono a delinearsi al di sopra degli alberi che circondavano la città, diventando in fretta alcuni degli abitanti di Moundhill.
«Armate i cannoni e tenetevi pronti.» ordinò subito in un urlo Tito, serrando la presa sulla lancia.
Al suo comando chi più chi meno si affaccendò a fare del proprio meglio, qualcuno per lumacofono diede l’allarme e presto dalle vie di Egle giunsero altri uomini, sciamando tra la gente ancora per le strade con le armi già strette in pugno. Con una mano poggiata alla colonna che la nascondeva dai soldati, Aya fissò i giganti avanzare di corsa ingrandendo le loro enormi figure ad ogni metro divorato, vide alberi schiacciati sotto i loro passi come rametti secchi e rimase quasi rapita, mordendosi il labbro, a pensare a ciò che avrebbero di lì a poco fatto alle case e alla gente di Egle se nessuno li avesse fermati prima della catastrofe. Una sirena però suonò di colpo dalla cima del propileo, seguita all’istante dai molti altri lumacofoni dispersi per la città e sollevò la testa, guardandosi attorno con confusione.
L’allarme per l’arrivo ormai prossimo dei giganti ad Egle era già stato dato quando ancora non erano in vista, quello non sapeva davvero a che cosa corrispondesse e la cosa la stordiva un po’.
«Il porto…» biascicò una delle guardie, fissando Tito come se fosse l’unico cui appigliarsi.
Si volse a guardarlo anche lei, vedendolo immobile a osservare il lumacofono urlante, ma qualcosa le tirò il giaccone e si girò di colpo tesa, trovandosi di fronte una Ide tremante e con gli occhi lucidi sul punto di crollare in un pianto fuori controllo.
«Cosa ci fai qui?» sbottò confusa, fissandola come fosse frutto della sua immaginazione.
«Avevi ragione… mio padre, mio nonno e tutti i re di Myramera hanno provato, voglio farlo anch’io, solo che… ho paura, ma devo essere responsabile e…» iniziò ad annaspare, guardandosi attorno con il viso pallido per la paura senza riusire più a proseguire.
«Lo farò io tranquil-.» provò a rassicurarla, facendosi sfuggire un sorriso sincero che le venne prontamente strappato dal viso a causa delle grida seguenti.
«Fuoco!» urlò la voce di Tito e sia lei che Ide si trovarono a fissare uno dei giganti divorare gli ultimi metri che lo separavano dalla scalinata per accedere ad Egle.
I cannoni esplosero centinaia di colpi a quel comando e una nube di fumo e polvere circondò i piedi dell’enormi figure, gonfiandosi su se stessa e strappando un ringhio basso a quello che lei riconobbe come uno dei compagni di ciurma di Rolf. Una spada dalle dimensioni spropositate roteò sopra di loro fendendo il terreno e una parte delle sfere di metallo vennero tranciate ricadendo sugli stessi soldati che le avevano sparate, i grovigli di catene che le avevano tanto ricordato delle reti da pesca riuscirono a far ricadere uno dei giganti con un gran fracasso, mentre gli altri si agitavano per liberarsene e le guardie della città tornavano ad armare i cannoni. Rapita dal succedersi degli eventi tanto repentino reagì con un po’ di ritardo, allontanandosi dal colonnato per fuggire all’esterno solo quando Tito stava per dar ordine d’una nuova offensiva.
«No, fermi, fermi!» urlò con quanta più voce riuscisse, correndo giù dalla scalinata sino a fermarsi poco prima del solco creato dalla spada con le braccia sollevate.
«Signorina non si avvicini, no!» la richiamò sconcertato Tito, cercando di muoversi per andare a riprenderla e trovandosi a doversi fermare quando uno dei giganti si chinò su di lei a guardarla.
Con una disparità d’altezze che rendeva ridicola persino quella tra lei e Kidd, l’enorme figura la studiò con uno scudo caricato sull’avambraccio e uno zigomo che perdeva sangue sporcandogli la maglia. Si piegò sino ad accovacciarsi con le gambe nude impolverate su cui schegge del colpo subito avevano scavato solchi e le rivolse un ghigno con i denti bianchissimi, obbligandola a deglutire per il tanfo acre di sudore e sangue che emanava.
«Ma guarda, uno è vivo, l’esserino del verme rosso. Cosa avevo detto io? Tollerano i crimini dei loro simili o forse eravate d’accordo per colpirci alle spalle?» tonò, piegando il capo scuro con una parte dell’acconciatura che ormai gli ricadeva sulla fronte seccata dai continui viaggi per mare.
Il modo in cui la stava studiando e il tono non lasciavano certo presagire nulla di buono, ma era intenzionata a fare del proprio affinché le cose andassero per il meglio e dibattere al principio di quella discussione non avrebbe certo favorito la riconciliazione pacifica tra le due parti.
Trasse un profondo respiro e con i pugni serrati, ricambiò con tirata cortesia il ghigno che le era stato rivolto nel tentativo di appianare la questione.
Trattare con i suoi genitori, Hana e gli altri Nobili mondiali non era come rischiare di venire schiacciati da un gigante alla minima parola sbagliata, soffermarsi su certi dettagli però non le avrebbe certo facilitato il compito e lei era sin troppo intenzionata ad aiutare per farsi spaventare da quella situazione. La terrorizzava più sapere che Myramera sarebbe inutilmente precipitata in una guerra sanguinosa contro un nemico come quello.
«Tu sei Yory giusto? Nessuno voleva tradirvi, io e gli altri non sapevamo nulla della guerra tra voi e Myramera, ma adesso possiamo… posso aiutarvi a metterle fine, così che le cose si sistemino del tutto. Basta solo che tu mi racconti cosa è successo ottocento anni fa quando-» provò a spiegare, finendo per essere interrotta dal tonfo dello scudo del gigante affondato nel terreno.
«Quando la mia gente fu allontanata come assassini perché per voi era scomoda, obbligata a soffrire la fame, il freddo che soffiava dal mare e colpita a tradimento da coloro in cui aveva riposto fiducia, è questo che vuoi sentire? Vuoi sapere di come i miei antenati abbiano sofferto per colpa di voi uomini ipocriti, di come le porte delle mura che loro avevano costruito furono chiuse per tenerli lontani, delle ricchezze di cui furono privati e che gli spettavano per aver difeso questo formicaio dagli attacchi delle altre isole?» sbottò brusco, puntandola con un’espressione più simile a quella di una bestia rabbiosa che a quella di qualcuno intenzionato a far diplomazia.
Con il capo sollevato per fronteggiarlo si ritrovò a sbarrare gli occhi color ambra malgrado le premesse infauste per ben altri motivi, sentendo una parte dei dubbi in merito a quella faccenda diradarsi.
«Io non sono Rolf, non accetterò l’aiuto e le parole di nessuno di voi. Questa guerra si risolverà oggi, ma nessuno di voi vivrà abbastanza per vederci conquistare ciò che ci spetta per le vostre offese!» urlò scattando in piedi e Aya mosse un passo indietro, sentendo a stento le urla di Tito e Ide raggiungerla.
La nube di polvere tornò a gonfiarsi al tonfo dei piedi del vicecapitano della Kurokaze e la spada con cui aveva solcato il terreno minacciò di piombarle addosso facendole d’istinto rannicchiare il viso tra le spalle e arrestare il respiro. Inaspettatamente però il ferro da cui Yory aveva preso il suo inquietante soprannome cozzò ad appena un metro sopra la sua testa contro qualcosa e immobile vide per l’ennesima volta, com’era accaduto in piazza durante il suo arresto, Diante apparirle davanti dal nulla. Fermo a mezz’aria, con le braccia incrociate a parare la lama che avrebbe dovuto tranciarla a metà, ricacciò con un ringhio di un passo indietro Yory tornando a poggiare i piedi a terra con il fiato corto e l’espressione più decisa che avrebbe potuto cacciar fuori.
«Vuoi proprio morire moscerino.» ringhiò furioso Yory puntandolo.
«Se servirà a toglierti di mezzo che accada pure, ma non toccherai nessuno davanti a me, ti avverto.»



«Senchō cos’ha? Senchō?!»
«È aperta… aiutami…»
«Law…»

Quello era un incubo, doveva esserlo. Uno di quelli che aveva sperato di non dover rivedere più, ma continuavano a perseguitarlo quando chiudeva gli occhi. Solo che i suoi occhi ora erano aperti.























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Note dell’autrice:
Venghino signori, venghino, le ho anche questa volta. Sono una fonte inesauribile di bazzecole tirando le somme…

- Storie: Come avrete, mi auguro, capito le storie raccontate dagli abitanti di Myramera e da quelli di Moundhill su come e perché sia scoppiata la guerra tra loro sono diverse. Non affaccendatevi però nel tentare di carpirne i segreti giacché ciò che ho inserito sino ad ora sono spunti di due visioni opposte e parallele, presto ci penserà Aya a mettere insieme i pezzi per voi. Come opzioni aveva questa o rimanersene in compagnia di quei simpaticoni degli uomini di Kidd.
- Rogia: Killer deduce nel POV di Kidd che il frutto Ango Ango in possesso di Diante sia un Rogia, questo perché i giganti forniscono una descrizione piuttosto approssimativa di come funzioni o di cosa sia in grado di fare. A chi interessasse saperlo in realtà si tratta di un comune Paramisha, il resto ve lo chiarirò di aggiornamento in aggiornamento se avrete voglia.
- Donburi: è un piatto tipico delle zone montane del Giappone, consistente in riso al bambù mescolato a uovo in pastella con accompagnamento eventuale di brodo di verdure o frutta di stagione. È piuttosto calorico, per cui viene spesso preparato in casa e poco nei ristoranti, ma l’ho scelto non per il suo sapore quanto piuttosto perché ho appreso che vicino Sapporo – dove si tiene il famoso festival sulla neve – esiste una comunità di scimmie (vd. spiegazione per la famiglia Saru capitoli fa) che approfitta degli onsen, le famose terme pubbliche, per fare scorpacciate di donburi nei ristoranti allestiti sul posto con grande divertimento di turisti e abitanti.
- Yomi: è l’oltretomba della mitologia nipponica. Ha una sorta di continuità geografica con il mondo dei vivi, malgrado ciò una volta entrati non se ne può più uscire. Viene descritto e raffigurato come un luogo cupo e pieno di sofferenza in cui gli spiriti errano per l’eternità, secondo alcune leggende la sua entrata sarebbe posta nella provincia di Izumo dietro ad un grande masso.
- Cuochi: Sono i compagni di Shizaru per una parte del suo viaggio e scrivo questa nota non perché mi sia presa la briga di inventarmi aneddoti passati su di loro, ma semplicemente perché nella mia fervida fantasia sono coloro che prendono il posto a Marijoa dei fratelli Marley, personaggi originali del nostro caro Oda.






  
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