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Autore: Himenoshirotsuki    01/04/2016    5 recensioni
[Fantasy Steampunk]
La Dogma e la Chiesa, le colonne portanti di questo mondo. L'una che agisce con il favore dell'ombra, chiamando a raccolta i suoi cacciatori, gli Slayers, per combattere i mostri; l'altra che muove le sue armate di luce contro le vessazioni e i miscredenti in nome di un dio forte e misericordioso.
Luce e ombra, ying e yang che si alleano e si scontrano continuamente da più di cinquant'anni.
Ma è davvero tutto così semplice? La realtà non ha mai avuto dei confini netti e questo Alan lo sa. In un mondo dove nulla è come sembra e dove il male cammina tranquillo per le strade, il cacciatore alla ricerca della sua amata si ritroverà coinvolto in un qualcosa di molto più grande, un orrore che se non verrà fermato trascinerà l'umanità intera nel caos degli anni precedenti l'industrializzazione. Perchè, se è vero che la Dogma e la Chiesa difendono gli umani dai mostri, non è detto che non sarebbero disposte a crearne per difendere i loro segreti.
Genere: Dark, Horror, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Slayers '
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Slayers
Act. 2 - Fairyland



La mattina dopo Alan fu il primo a svegliarsi. Sgusciò fuori dalle coperte senza fare il minimo rumore, stando bene attento a non svegliare Samuelle. La osservò dormire per qualche secondo, prima di imboccare il corridoio per dirigersi in bagno. Era una stanzetta di pochi metri quadrati, con una vasca di rame posta nell’angolo tra la finestra ovale e il lavandino. Controllò la lancetta dello scaldabagno e, dopo aver appurato che ci fosse abbastanza acqua calda, si spogliò. Si strofinò per bene e a lungo, godendosi ogni singola goccia di quella carezza liquida. Non appena percepì il freddo sulla pelle, uscì dalla vasca. Si rivestì rapidamente e tornò nello studio, dove sorprese Samuelle mentre indossava un paio di pantaloni marroni strappati sulle cosce. Alla vista delle cosce nude, percepì di nuovo la morbidezza della sua pelle sotto le dita e avvertì l'impulso di toccarla, ma si trattenne. La luce del giorno aveva spazzato via l'intimità che aveva permeato quel piccolo ambiente durante la notte, come se le tenebre avessero voluto creare le condizioni perfette per renderli complici di qualcosa che i raggi del sole non avrebbero mai concesso.
Rimasero in silenzio per qualche istante, poi la ragazza ruppe il ghiaccio.
Bonjour, dormito bene? - domandò sorridendo.
- Sì, direi proprio di sì. - rispose sbuffando e fece scrocchiare il collo.
- Anche se siamo andati a dormire tardi? -
Il cacciatore stirò le labbra in un ghigno e si aggiustò il soprabito. Samuelle si infilò una canottiera bianca e lanciò sulla poltrona tutti i vestiti sparpagliati per terra.
- Hai bisogno di qualcosa? -
- Se avessi un cambio da darmi, te ne sarei immensamente grato. -
- Uhm… - Samuelle si mordicchiò le labbra e si ravvivò i capelli con un’espressione meditabonda, - Penso di sì, dovresti cercare nel baule in camera mia, anche se non sono sicura siano della tua misura. Mio fratello non era certo uno stangone come te. -
- Non c’è che da provare. -
- Se poi non ti stanno non ti lamentare, eh! -
- Non oserei mai. - ridacchiò schermendosi e strappò una risata a Samuelle.
- Bussa prima di entrare, sia mai che Rachel si stia cambiando. -
- Sissignora. -
Ovviamente, quando fu davanti alla porta si premurò di bussare, anche se continuava a chiedersi perché dovesse avere tutte queste attenzioni nei confronti della cacciatrice. Quando era alla Rocca, si cambiavano tutti nello stesso spogliatoio, maschi e femmine, e non era di certo la prima volta che vedeva una donna nuda, anche se a ben pensarci definire Rachel una donna era come dire che una rosa e una patata erano la stessa cosa.
- Rachel, sono Alan. Posso entrare? -
- Sì, vieni pure. - disse Gabriel.
Alan si accigliò e rimase interdetto per qualche attimo. Quindi aprì la porta e, se prima era solo confuso, adesso era decisamente allibito. Sbatté le palpebre una o due volte, giusto per sincerarsi di non stare ancora dormendo. Rachel era seduta davanti allo specchio e dietro di lei c'era Gabriel, che le pettinava i capelli, tutto concentrato a districarle i nodi con delicatezza. Le setole della spazzola accarezzavano gentilmente la lunga chioma bionda di Rachel, che non sembrava affatto turbata.
- Se avete da fare, torno dopo. -
- No, no, abbiamo quasi finito. -
Gabriel afferrò un elastico e cominciò a intrecciare le ciocche, fermandosi ogni volta che lo reputava necessario per bloccarle i ciuffi ribelli con delle forcine.
Sul letto c’erano dei calzini spaiati e una o due camicie a manica corta, e, nascosti sotto un tappeto di maglioni, sbucava l’orecchio morbido di un coniglio di peluche. Aguzzando la vista, Alan ne scorse ben sei sotto le lenzuola, più due o tre coperti da una maglietta rossa che giaceva abbandonata come un panno sporco sotto il davanzale della finestra.
Senza ulteriori indugi, si diresse verso il baule rosso vicino all’armadio, zigzagando agile tra i libri e i vestiti buttati a terra. Si inginocchiò astenendosi dal commentare e spalancò il baule. All’interno c’erano magliette, canottiere e pantaloni, tutti piegati con estrema cura. Se non avesse saputo che il farsetto viola e i pantaloni neri di Gabriel erano stati presi da lì, avrebbe pensato che erano anni che quella cassa non veniva aperta. Cominciò a tirare fuori gli abiti, stando ben attento a non sgualcirli e a ripiegarli qualora non incontrassero i suoi gusti. Alla fine optò per una semplice maglia nera a maniche lunghe di cotone pesante e un paio di braghe di pelle in tinta. Il fratello di Samuelle doveva essere un alquanto tipo stravagante. Lisciò le pieghe tra i ricami dorati di un farsetto rosso acceso che, assieme a molti altri vestiti dai colori improbabili, costituiva la maggior parte del corredo del baule. Ma forse era solo lui a trovarli eccentrici e di pessimo gusto, visto che Gabriel non si era posto nessun problema a indossare una camicia di un beige scolorito con le maniche a sbuffo, un paio di pantaloni e un gilè color merda.
“Anzi, color Russet.”
Tossicchiò per nascondere una risata perché la voce che aveva sentito nella sua testa non era la sua, ma quella stizzita di Frejie. Sì, in effetti non era mai stato un amante della moda e, nonostante la maga lo avesse torturato per anni per insegnargli tutte le tinte esistenti, per lui c’erano solo due sfumature di marroni e quel gilè era tutto furchè color cioccolato.
Nel frattempo Gabriel aveva terminato l'opera e adesso stava osservando soddisfatto la treccia. Rachel si allungò sul tavolino, passandosi con attenzione un lucidalabbra rosa pescato da chissà dove, dopodiché si sistemò un nastro rosa tra i capelli. Legò le Bladegun nelle fondine ben strette alle cosce e poi si girò, scrutandoli entrambi con i suoi occhi inespressivi. Era tornata la cacciatrice che lo Slayer conosceva, fredda e scostante come una statua di ghiaccio. Il turbamento del giorno prima pareva svanito senza lasciare traccia.
- Ci metteremo qualche ora ad arrivare alle miniere. - esordì con voce piatta, - Andare a cavallo è scomodo, perché, considerando il pericolo di crolli e visto che non sappiamo quanto la galleria sia stabile, il soffitto potrebbe franarci addosso in qualsiasi momento. In tal caso dovremo essere liberi di muoverci senza alcun impedimento e gli animali sono un peso in più che non possiamo permetterci. Quindi prenderemo il treno fino a Ferwal e da lì proseguiremo a piedi. -
- Intendi davvero entrare in una miniera abbandonata da più di cinquant’anni? - la interrogò il compagno.
- Hai per caso paura. -
Alan la guardò di traverso e schioccò la lingua infastidito: - Esprimevo solo il mio disappunto per il fatto che stai decidendo tutto da sola. Gabriel, sei sicuro che questo sia l’unico modo per arrivarci? -
- Sì, ne sono sicuro. Meredith non sbaglia mai. - asserì solenne.
- Meredith è un fantasma. -
- Cosa stai insinuando, eh? Che, solo perché non è più viva, sia una bugiarda? - si accalorò, gli occhi verdi ridotti a fessure e le labbra storte in una smorfia arrabbiata, - No, perché se è questo che stai insinuando, ti ricordo che lei ha deciso di accompagnarvi e… -
- Nessuno sta dicendo questo. - si intromise pacata Rachel, - Però Alan ha fatto una giusta osservazione. È un fantasma. Se la sua è stata una morte violenta, come ha detto, potrebbe aver perso o confuso alcuni ricordi. Non è una un caso strano, capita spesso, ed è poi uno dei tanti motivi per cui questi spiriti inquieti non riescono ad abbandonare questo mondo. -
- Uh, hai fatto i compiti! - la sbeffeggiò Alan, ma la sua compagna non diede peso alle sue parole.
Gabriel si torse le dita a disagio, tenendo gli occhi fissi sul pavimento.
- Io mi fido di quello che dice Meredith. - mugugnò con voce incerta.
- Nessuno lo sta mettendo in dubbio. Però c’è comunque questo rischio e lo ha detto anche lei di non ricordare granché. Quando la possessione è finita non ti ha detto altro. - chiese Rachel.
- No… no, non mi pare. Però... aspetta. - si massaggiò le tempie e si batté una mano sulla fronte, - Non so se può essere utile, ma durante il primo periodo che ho trascorso con Meredith la sentivo spesso canticchiare una filastrocca. -
- Che filastrocca. -
Il ragazzo si mordicchiò un attimo le labbra, come se stesse cercando di ricordare le esatte parole.
- Quale filastrocca, Gabriel. - ripeté la cacciatrice.
Prima che potesse dire qualcosa, Samuelle entrò nella stanza.
- Se state parlando delle filastrocche delle fate, le conosco anche io. - commentò con un sorrisetto saputo, facendo sussultare Gabriel per lo spavento.
- Stavi origliando? - la prese in giro Alan, che si era accorto già da un po’ della sua presenza dietro la porta.
- Nessuno usciva più da questa camera, mi sono preoccupata. - rispose scrollando le spalle.
- Nascondi dei mostri nell’armadio? -
- Solo alcuni gatti di peluche e un Gemren a forma di lupo. Sì, beh, in effetti quello è un po’ macabro, considerando che gli manca una gemma del potere, ma non penso si possa definire “mostro”. - si appoggiò al muro e si schiarì la voce, - Comunque sì, conosco alcune filastrocche delle fate. -
Rachel fissò Gabriel, che si fece piccolo piccolo.
- Io… io non sapevo che fosse una cosa risaputa. - piagnucolò.
- Certo. - Rachel si avvicinò lentamente al ragazzo, che scattò a rintanarsi nell’angolo opposto della stanza.
Le dita della cacciatrice si chiusero a pugno e si apprestò ad avanzare verso di lui, ma dopo un attimo ci ripensò, tornando a sedersi sulla sedia davanti allo specchio senza dire o chiedere nulla.
L’altro si affrettò comunque a dare spiegazioni: - Ho detto la verità, lo giuro! Io sono un investigatore da poco e non mi sono mai arrivate richieste dal popolo delle fate! E… e non ho sempre vissuto a Chasterm! -
- E da dove verresti. -
- Calmati, chérie. - intervenne Samuelle preoccupata.
- Io sono calmissima. - sibilò, mentre inceneriva Gabriel con un'occhiata assassina.
Alan si mosse d'istinto e si spostò verso la porta, tenendo sotto controllo la sua compagna per scansare eventuali attacchi e darsela a gambe per tempo.
Gabriel rimase in silenzio, così Rachel si innervosì ancora di più.
- Allora, hai intenzione di parlare. -
- Vengo da Dranlon… - farfugliò, - Se mai un giorno andrete lì, potete chiedere di mia madre, la Farfalla Bianca. Non volevo prendervi in giro, credevo davvero che la filastrocca vi sarebbe stata d’aiuto! -
- Recitala. -
Senza avere il coraggio di alzare la testa, Gabriel si strinse le gambe al petto e recitò.
 
Tra le braccia freschi fiori e biondo grano,
rossi frutti tra le ossa di una mano
portano vento che ha odor di marcio
con la bocca aperta da uno squarcio
 
Cantano mentre ballano in tondo
A nord sopra il cadavere del moribondo
In mezzo alle pietre brillanti
Con gli occhi verso le stelle calanti.
 
Camminano sull’altra sponda
Tenendo sulla destra la caduta profonda
Stanno lontane dal nudo sentiero
Così da salvarsi dall’inverno nero.
 
Poi a destra passan vicine al fuoco
Attente al triste sussurro fioco
Aggirano le acque e schivano i Venti
Seguono al calar delle ombre le luci latenti
Senza guardare i boccioli nascenti.
 
Alla fine alzan la mano
e inneggiano ai Guardiani dell’Arcano.
 
Samuelle, Alan e Rachel si guardarono, cercando nei reciproci sguardi una conferma.
- Samuelle, la conosci? - domandò Rachel.
Non, mai sentita. - la ragazza scosse il capo, esibendosi in una smorfia di disappunto, - Che dire, sembra un indovinello più che una filastrocca. -
- Già. -
Quando Rachel si voltò di nuovo verso Gabriel, questi si appiattì contro il muro, quasi desiderasse sparire e diventare parte dell'arredamento.
- Ricordi altro. -
- N-no. No, davvero, lo giuro, non sto mentendo. - balbettò a raffica.
- Allora direi che non c’è altro da aggiungere. Andiamo alle miniere e lì vedremo di riflettere su come venire a capo di questo indovinello. Samuelle, hai sistemato Sebastian. -
- Oui! -
L'amica corse nello studio per recuperare il Gemren e tutti la seguirono.
Et voilà! - esclamò consegnandolo nelle mani della sua padrona, - Non aveva niente di che, solo qualche cavo un po’ usurato, ma nulla che avesse seriamente compromesso le gemme e i collegamenti. -
- Ottimo. Quanto ti devo. -
- Nulla, lo sai che ti sono debitrice. -
- Ma... -
- Niente “ma”. Insisto. -
Rachel si arrese e strinse Sebastian al petto.
Samuelle, invece, si spaparanzò a gambe aperte sulla poltrona, sbuffando e massaggiandosi il collo. Alan fissò scontento le sue gambe ossute fasciate dai pantaloni, deluso di non poterle contemplare prive di veli come la notte precedente. Dovette farsi bastare il ricordo delle sue cosce nude e oscenamente aperte per lui, ancora vivido e impresso a fuoco nella memoria. Si umettò le labbra e le rivolse un'occhiata carica di sottintesi. La ragazza sorrise di rimando e, come per provocarlo, accavallò le gambe, facendo ciondolare un piede con disinvoltura.
- Vi ho preparato qualcosa da mangiare. Non avevo molto in casa, ma penso che due panini con formaggio possano bastarvi per un pasto. -
- Grazie, Samuelle. - rispose Rachel.
- Di niente, chérie. Il treno per Ferwal parte tra dieci minuti, vi conviene sbrigarvi. -
Gabriel, che nel frattempo aveva racimolato abbastanza coraggio per alzarsi e avvicinarsi ai due cacciatori, aggiunse: - Sì, meglio. Non è sicuro muoversi quando cala il sole nel mondo delle fate. -
- Bene, diamoci una mossa. - dichiarò Rachel.
- Vi accompagno alla porta. - sorrise Samuelle, balzando in piedi e afferrando la giacca grigia lunga fino alle ginocchia.
Attraversarono il cortiletto fangoso in fila indiana, fino a raggiungere la bottega. Non appena Samuelle entrò, prese un paio di chiavi da uno sportello incassato nel muro, aprì la pesante porta di ferro che si affacciava sulla strada e tirò su le saracinesche. Un timido sole faceva capolino da dietro le nuvole e tutti quanti si ritrovarono a sperare che non piovesse.
Alan lasciò che Rachel e Gabriel lo sorpassassero e uscissero dal negozio per rimanere da solo con Samuelle. Si girò a guardarla e lei ricambiò con un sorriso sghembo, uno stiramento di labbra che poteva dire tutto e niente. Lui si limitò a scrutarla in silenzio, aspettando che fosse lei a parlare.
La tecnomante tacque a lungo, poi d’un tratto gli si accostò esitante, sfregandosi le mani con nervosismo. Gli sfiorò appena le dita con le sue già sporche d’olio e di polvere.
- Ti ringrazio. - sussurrò, mordicchiandosi l'interno di una guancia.
Alan non rispose, annuì e basta. Quindi le diede le spalle e scomparve oltre la porta di ferro senza proferire verbo, mentre qualcosa di indefinito gli pungolava qualcosa di altrettanto indistinto nello sterno.
 

*

Arrivarono alle miniere di Ferwal circa dopo due ore di viaggio, durante il quale la conversazione si era ridotta all’essenziale. Nessuno, Gabriel escluso, aveva avuto molta voglia di parlare. Quando si era reso conto che i suoi compagni non erano in vena, aveva appoggiato la fronte contro il finestrino e aveva osservato il paesaggio correre veloce oltre il vetro.
Il cielo, da grigio che era, si era fatto sempre più azzurro. Una leggera brezza soffiava tra gli alberi scuotendo le loro fronde e l’erba si piegava dolcemente, un mare color giada accarezzato dalle dita delicate del vento.
Di tanto in tanto anche Alan si era messo a guardare il panorama. Non era la prima volta che percorreva quella tratta, eppure aveva dovuto ammettere che fosse sorprendente come la natura fosse riuscita ad adeguarsi all’uomo pure in quelle zone. Vide la pianura declinare verso le miniere, dove la terra era brulla, l'aria pesante e il verde inesistente, con cumuli di ciottoli accatastati qua e là per far posto ai pali del telegrafo e alle rotaie.
Scesero alla dodicesima fermata e seguirono il sentiero che si dirigeva verso ovest.
- È lontano da qui. - domandò Rachel.
- No. - Gabriel indicò un punto imprecisato al di là di una carrucola arrugginita, - Dobbiamo andare in questa direzione e poi imboccare la vecchia strada, quella piena di casolari. Poi sempre dritti. -
- Che tu sappia, c’erano dei mostri particolari? - domandò Alan.
Gabriel piegò la testa di lato, come faceva quando il fantasma gli diceva qualcosa.
- Meredith non se lo ricorda, ma crede di no. -
“Il che significa che ci sono. Perfetto. Che gioia.”
I due cacciatori si scambiarono un’occhiata significativa e sotto lo sguardo smarrito del ragazzo sguainarono le armi, Rachel le Bladegun, Alan la sua balestra.
L’aria si fece umida e il terreno sempre più instabile a causa del tappeto di foglie marce che lo ricopriva. Stavano facendo troppo rumore e Alan si impose di trattenersi dall’imprecare ogni volta che sentiva il suono degli anfibi che affondavano in quella fanghiglia informe. Continuava a guardarsi attorno, scrutando attraverso la fitta boscaglia che delimitava il sentiero. Anche Rachel era concentrata sull’ambiente che li circondava e non c’era suono che le sfuggisse. L’unico che sembrava tranquillo era Gabriel. A un certo punto, quando si mise a fischiettare “La donna al palo”, una canzone da taverna nota per la sua volgarità, Alan avvertì l'impulso di mettergli le mani al collo, e lo avrebbe anche fatto se questo non avesse significato lasciar cadere la balestra.
Si inoltrarono nelle stradine della miniera, zigzagando tra i resti delle rotaie arrugginite, i picconi abbandonati e le carrucole a pezzi, costeggiando i casolari in rovina finché non si trovarono a un bivio. Gabriel girò a destra con sicurezza. Quando arrivarono davanti alla galleria designata, dovettero fermarlo prima che la imboccasse. Lo tirarono dietro di loro e arrestarono il passo. Alan e Rachel drizzarono le orecchie e aguzzarono la vista, senza però scorgere nulla.
Vedendoli immobili, Gabriel si schiarì la voce: - Perché ci siamo fermati? -
I suoi accompagnatori non si degnarono di rispondere a quella domanda così stupida. Il ragazzo sbuffò e avanzò, ma Alan lo afferrò prima che entrasse, fulminandolo con uno sguardo minaccioso.
- Io non vedo niente. - dichiarò Rachel.
- Nemmeno io. - concordò Alan.
- Meredith dice che non ci sono mostri! - insisté scocciato.
“È un idiota.”
- Volevamo solo riposarci un attimo. - borbottò Alan.
- Abbiamo fatto solo pochi metri! -
- Eh, sai com’è, siamo vecchi. -
Gabriel inarcò un sopracciglio: - Avrete sì e no venticinque e quattordici anni. -
Sebastian, che svolazzava sulla testa della sua padrona, rispose: - In verità la signorina ha ben duecentocinquantasei anni, sei mesi e… -
- Sì, va bene, andiamo avanti. - lo interruppe Alan, riponendo la balestra sulla schiena e sguainando la spada.
Gabriel sgranò gli occhi e squadrò da capo a piedi Rachel, boccheggiando incredulo. Poi si decise a far loro strada, addentrandosi nel tunnel con una certa esitazione. Sopra la sua spalla si era posato Sebastian, gli occhi accesi di rosso che gettavano un alone inquietante sulle pareti e sulle stalattiti sul soffitto, dando l’impressione di star camminando nella gola di un mostro dalle zanne snudate.
Alan poteva sentire il cuore di Gabriel battere all’impazzata in preda alla paura. Più e più volte lo vide asciugarsi il sudore freddo sul collo con le maniche a sbuffo di quella ridicola camicia, mentre parlottava tra sé e sé cercando di farsi coraggio. Rachel sembrava indifferente come al solito e l’unico indizio della sua tensione era il lento movimento delle pupille, che ora erano solo due fessure verticali. Se era vero che era un Sannan e che uno dei suoi genitori era un vampiro, Alan scommetteva che ci vedesse anche meglio di lui al buio.
Proseguirono per quasi tre ore, fermandosi una volta per mangiare e un'altra per togliere i massi che ostruivano la via. Presero dei picconi dagli scheletri dei minatori, ma furono costretti a spostare a mano le rocce più grosse. Il pericolo di frana c’era sempre, ma contro ogni pronostico riuscirono a sgomberare il passaggio senza incidenti.
Uno spiffero freddo annunciò loro che erano vicini all'uscita. Sbucarono in riva a un fiume, con le canne e i giunchi che arrivavano fino al polpaccio. La luce li accecò per qualche istante, soprattutto Alan e Rachel, che indugiarono qualche momento per riaversi dallo shock.
Gabriel si asciugò le mani sudate sui pantaloni e fissò gli alberi spogli sulla riva opposta. Il terrore aveva lasciato il posto all'ansia e, nonostante avesse smesso di tremare, era rigido come un pezzo di ghiaccio. I due cacciatori lo affiancarono, ma a parte lo starnazzare di un’anatra spaventata dalla loro presenza e il gracidare annoiato delle rane non sentirono niente. Era come se la natura fosse ammutolita e li stesse osservando trattenendo il respiro.
- Cosa diceva la prima strofa dell’indovinello? - domandò Alan, guardandosi intorno circospetto.
Gabriel, senza staccare gli occhi dalle alghe smosse dalla corrente, recitò nuovamente la filastrocca a mezza voce.

 
Tra le braccia freschi fiori e biondo grano,
rossi frutti tra le ossa di una mano
portano vento che ha odor di marcio
con la bocca aperta da uno squarcio.
 

- Direi che l’odore di marcio c’è. - commentò caustico Alan.
- Oserei dire che ci potrebbero essere pure i fiori e il grano. - Rachel indicò uno spiazzo piuttosto ampio vicino a una tana di un castoro, con dei fiori dalla corolla incrostata di fango e terra, - Vedi quei rametti tagliati. Secondo me sono quel che rimane di un campo di grano. -
- Oh, ti intendi di agricoltura? -
La cacciatrice alzò un sopracciglio: - Il frumento selvatico esiste. -
Alan sbuffò e cominciò a guadare il fiume e gli altri lo seguirono a breve distanza. Non aveva ancora rinfoderato la spada, quindi si muoveva a fatica, ma non ci pensò neanche a privarsene. Si rendeva conto che là, in mezzo al fiume, con l’acqua nera che gli arrivava a metà coscia, era un bersaglio facile, ma una gamba o un braccio poteva farseli ricrescere in qualche modo, mentre tornare in vita era decisamente più complesso. L’unica cosa che lo consolava era che non era il solo a doversi sporcare e, quando giunse sulla riva opposta, si gustò con la coda dell’occhio la scena di Rachel che annaspava con le pistole strette in mano, il corpetto e i pantaloni ormai luridi.
Quando Gabriel mise piede a terra, si inoltrarono nella foresta. La luce obliqua del sole filtrava appena attraverso le fronde degli alberi, avvolgendo ogni cosa in un inquietante penombra dove ogni suono sembrava amplificarsi, echeggiando nel silenzio innaturale.
Alan si guardava costantemente intorno, occhieggiando inquieto attraverso la foschia che pian piano gli aveva inghiottito i piedi, preceduto da Gabriel e da Rachel, che scrutava nella nebbia con i sensi vigili. A un certo punto si fermò e Alan la imitò. Non ci mise molto ad individuare lo scheletro di un umano a qualche metro da loro. Le ortiche spuntavano dalla gabbia toracica e un rampicante dai fiori di un verde intenso aveva invaso le orbite e gran parte della bocca. I vestiti laceri penzolavano dalle ossa lisce e bianche, ma ce n’erano altre lì vicino, animali e umane, tanto da far supporre che fossero stati sbranati da una bestia feroce.
A quella vista, Gabriel trasalì e distolse lo sguardo, mentre i due cacciatori esaminavano il corpo. Solo quando si furono accertati che non avesse nessun segno particolare riconducibile a qualche tipo di mostro decisero di ripartire.
Camminarono ancora per un bel po’ e si rivolsero la parola giusto per ripassare nuovamente la seconda strofa dell’indovinello, ma per il resto del tragitto decisero di non rischiare la sorte e attirare l'attenzione di qualcosa di indesiderato. Nei paraggi non avevano scorto nessuno e nel silenzio potevano udire anche il minimo scricchiolio, però non era da escludere che i nemici si stessero nascondendo aspettando l’occasione propizia per attaccare. In più avevano il sentore di essersi persi, perché il paesaggio era sempre lo stesso.
Alan si bloccò sbuffando e richiamò con un cenno Rachel e Gabriel, arricciando il naso per il fetore: la melma del fiume si era solidificata sui loro abiti e adesso emanavano tutti un odore sgradevole. L’unico che sembrava non farci caso era Gabriel, che evidentemente doveva essere abituato a puzzare.
- Stiamo procedendo alla cieca. - esordì il cacciatore.
- No, stiamo solo seguendo la strada. - ribatté atona Rachel.
- Quale strada? No, perché io, a parte alberi e nebbia, non vedo altro. -
- Quella che conduce alle pietre brillanti. -
- E dove si troverebbero queste… pietre brillanti? Qualcuno di voi lo sa? Non so se ve ne siete accorti, ma qui non c’è nessuna cazzo di strada! - ringhiò esasperato.
- Io non lo so. Meredith non si fa sentire e non posso costringerla a manifestarsi… - balbettò intimorito Gabriel e, per sicurezza, arretrò di un passo.
Il cacciatore lo fissò in cagnesco. Inspirò profondamente e rinserrò la stretta sull’elsa della spada.
- Quindi dobbiamo avanzare nella nebbia sperando di arrivare in un posto che non sappiamo nemmeno come sia fatto? -
- La filastrocca dice che queste fate “danzano a nord sopra il cadavere del moribondo”. Prima abbiamo visto degli scheletri. Sappiamo che le fate tengono molto ai loro luoghi sacri, non sarebbe così strano pensare che, una volta concluso il ballo, abbiano trasportato i corpi lontano. - disse Rachel.
- Sono solo supposizioni campate per aria. -
- Sì, ma sono le uniche sensate. -
- Su questo avrei i miei dubbi. -
- Se hai un’idea migliore, esponicela, Alan. - calcò sul suo nome con un tono gelido.
A quel punto Gabriel si mise in mezzo: - Dovremmo andare avanti e basta. Litigare non serve a nulla. -
Alan sputò a terra e cercò di non alimentare ulteriormente il cattivo umore, altrimenti sarebbe esploso. La cacciatrice lo guardò con il suo viso inespressivo ancora per un secondo, poi allentò la presa sulle Bladegun.
- Meredith comunque mi ha parlato… cioè, non mi ha parlato, mi ha solo detto che è giusto. -
- Cosa è giusto. -
- Non me lo ha detto, ma penso… penso si riferisse alla direzione. -
- E perché non ce lo hai riferito subito? -
La domanda ringhiata di Alan lo fece sussultare: - Stavate litigando e… e lei si è svegliata proprio in quel momento e… -
- Va bene, ho capito. - lo liquidò infastidito.
Senza aggiungere altro si rimisero in marcia.
Il sole stava tramontando e la foschia sempre più fitta ricopriva il terreno in un velo lattiginoso, diramandosi tra gli sparuti ciuffi d’erba in fumosi tentacoli evanescenti.
In quell’atmosfera cupa e pesante, il ricordo di quello che era successo la notte prima con Samuelle riaffiorò a tradimento nella mente di Alan, ma invece di portargli conforto e calore gli chiuse lo stomaco in una morsa. Era stato solo sesso, eppure più ci pensava, più quella parola lo turbava, insieme all'immagine del corpo della ragazza sotto il suo, con il viso contorto in un’espressione estatica di puro piacere. Un piacere che gli aveva permesso di lasciarsi andare e che adesso si era trasformato in una belva che gli affondava le fauci nel cuore, togliendogli il respiro e riempiendogli la bocca del sapore acido della bile. Si artigliò il petto nel vano tentativo di decomprimere i polmoni, ma, per quanto massaggiasse, non riusciva ad incamerare abbastanza ossigeno, come se ci fosse un ostacolo a impedirne il passaggio. Alzò gli occhi e sobbalzò appena quando incrociò quelli neri di un corvo, che lo osservava appollaiato su un ramo. Sembrava che gli stessero scavando nell’anima, pieni di biasimo. Sentiva di aver deluso Eluaise, di averla in qualche modo tradita, ma non sapeva spiegarselo bene.
In quel momento si accorse che gli alberi si erano si erano diradati e che davanti a lui c’era un’immensa radura dall’erba di un verde talmente intenso da risultare accecante persino in mezzo alla nebbia. In mezzo, arroganti e orgogliose come statue di antichi dei, dodici pietre d’acquamarina si ergevano contro il cielo, catturando e disperdendo la luce in tenui bagliori azzurrini. Poco lontano udì lo scrosciare dell'acqua di un ruscello.
Allora Gabriel recitò la seconda strofa della filastrocca.

 
Cantano, mentre ballano in tondo
Sopra il cadavere del moribondo
In mezzo alle pietre brillanti
Con gli occhi verso le stelle calanti. 

  
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