CAPITOLO 2
Trascorsi ore ed ore nel parchetto sotto casa, seduto su una
panchina e con le cuffie nelle orecchie, gustandomi un po’ di bella musica.
La musica era la mia vita, e in quel momento la passione per
l’alternative aveva iniziato a prendere sempre più forza dentro di me. Il rock
classico non mi piaceva proprio per nulla, meglio se veniva mitigato da suoni
più dolci e da voci meno scatenate.
Mi rilassai guardando il cielo limpido, mentre una lieve
brezza mi sfiorava, quasi mi volesse fare delle dolci carezze.
Quando ebbi la forza di tornare a casa e di abbandonare quel
mio piccolo paradiso all’aria aperta, era quasi buio.
Entrai in casa di soppiatto, sperando che nessuno mi notasse,
nel vano tentativo di potermi gettare nuovamente a suonare il mio pianoforte
senza che nessuno mi potesse ostacolare in un qualche modo. Eppure, non feci in
tempo a muovere due passi verso la mia piccola sala che Roberto mi si parò
davanti.
‘’Oh! Ecco il mio pianista preferito. Vieni, Federico!’’,
disse l’uomo, sorridendo e facendomi cenno verso le scale che portavano al
piano superiore.
Per un attimo rimasi perplesso, poiché non capii subito chi
potesse essere quel Federico appena citato, ma quando un ragazzetto spocchioso
ebbe concluso la rapida discesa delle scale, compresi che doveva trattarsi del
figlio dell’uomo.
Il ragazzo mi guardò storto. Doveva all’incirca la mia età,
eppure mi aveva già abbondantemente superato in altezza. Era forte e
palestrato, con un tatuaggio irriverente per ciascun avambraccio. Nonostante
fosse già autunno, era ancora a mezze maniche, insensibile all’aria frizzantina
pur di poter mostrare i capolavori che si era fatto tatuare, e alcuni piercing
brillavano distintamente dal lobo di entrambe le orecchie.
‘’Antonio, lui è Federico, mio figlio’’, disse Roberto, allungando
una mano per cercare di sfiorare tra i capelli ribelli del nuovo arrivato, che
si limitò a scostarsi e a sottrarsi al tocco paterno.
Con incredulità, notai che i due non si assomigliavano per
niente; Federico era alto e antipatico, con una chioma folta e scura come la
notte, mentre suo padre era basso e tarchiato, oltre che ormai calvo. Ma almeno
di tanto in tanto sorrideva.
Porsi una mano al mio coetaneo, non sapendo far di meglio in
quella situazione, ma lui la deviò e si gettò in cucina.
Seguii il ragazzo con lo sguardo, allibito da tanta
scortesia. Nessuno prima di allora si era mai comportato in un modo così
maleducato nei miei confronti, tranne mio padre, ma quello era un altro
discorso. Un discorso molto più delicato e complicato.
‘’Chiedo scusa, noi due abbiamo appena avuto una discussione…
ed ora è molto scontroso’’, disse Roberto, cercando di minimizzare il
comportamento del figlio. Ma io potei leggergli in faccia con chiarezza che la
sua espressione era mutata; ero sicuro che avrebbe ripreso e sgridato Federico
per il modo in cui si era comportato.
Io mi trovai sempre più in difficoltà in quella situazione
non proprio tranquilla, e decisi di tirarmene fuori con una falsa ed ipocrita
indifferenza.
‘’Non fa nulla, capita di essere nervosi. A dopo’’.
E così dicendo, voltai frettolosamente le spalle all’uomo e
mi diressi verso la mia camera dal letto, al piano superiore.
Potei udire qualche frase di rimprovero proveniente dalla
cucina, ma non mi degnai di preoccuparmene, e senza rallentare minimamente mi
fiondai nella mia stanza, ribattendo subito la porta dietro di me. Con un
intenso sospiro, mi gettai sul letto, che mia madre aveva amorevolmente messo
in ordine prima di andare al lavoro, sprofondando nel caldo abbraccio del mio
soffice materasso.
Io amavo quel calore e quella morbidezza, e molto spesso ero
costretto a riconoscere che mai nella mia vita qualcuno mi aveva accolto con
maggior amore tra le sue braccia. Quindi, in mancanza abbracci umani, non mi dispiaceva
affatto di restare così, sprofondato nel mio soffice giaciglio, circondato da
altrettanto soffici cuscini.
Crogiolandomi nel mio attimo di riposo prima del pasto
serale, udii un chiacchiericcio sommesso, proveniente alla stanza attigua alla
mia, quella affittata dalla coppia Arriga. La signora, a quanto pareva, si
stava già dando alle telefonate, ed io non avevo affatto voglia di udire quel
continuo parlottio.
A volte, la convivenza con degli sconosciuti sapeva essere
molto dura e difficile, ma non avevo alcun modo, e soprattutto nessun pretesto
per dire a mia madre che la smettesse di affittare le due stanze da letto in
più della casa. Io mi ritenevo solo un peso, un mangiapane e nient’altro, e per
salvaguardare il mio stomaco, la dispensa e quei pochi beni che erano rimasti
in nostro possesso, non potevo far altro che accettare ogni scelta materna.
Sbuffando, mi alzai dal letto, affrettandomi ad uscire dalla
stanza e a dirigermi nuovamente verso il piano inferiore della casetta, per
andare a suonare un po’ il mio pianoforte, prima di cena. Poi, avrei dovuto
studiare, e quindi il relax delle ultime ore sarebbe brutalmente svanito.
‘’Antonio! Antonio, vieni qui!’’.
La voce di mia madre, che giunse dall’adiacente cucina, mi
fermò nel bel mezzo della porta della piccola sala dove soggiornava il mio
pianoforte, costringendomi quindi a lanciare una triste occhiata al mio
ingombrante strumento musicale e a fare dietrofront, facendo poi
frettolosamente capolino nella cucina.
Mia madre, una donnina piccina e gracile, si stava dando da
fare ai fornelli, in modo da poter dignitosamente soddisfare l’appetito dei
soggiornanti. Poiché, per racimolare qualche soldo in più, quella povera donna
offriva anche il vitto, oltre che l’alloggio.
Insomma, casa nostra era ormai per davvero una sorta di
pensione clandestina, e questo a volte mi turbava, ma solo per brevi periodi,
poiché in genere i pensionanti se ne andavano nel giro di qualche settimana.
‘’Sono qui, mamma. Cosa vuoi?’’, chiesi cortesemente, ma con
un po’ di fretta.
Con una rapida occhiata nella stanza, potei constatare che
Roberto e Federico erano seduti poco distante, attorno al tavolo. Il primo mi
guardava sorridendo, mentre il secondo non mi degnò neppure di una minima
attenzione, continuando a smanettare col cellulare, un magnifico Samsung di
ultima generazione, mantenendo sempre rigido il suo broncio insoddisfatto, ben
impresso sul viso.
Risposi frettolosamente al sorriso dell’uomo e mi affrettai a
distogliere lo sguardo dal tavolo imbandito, evitando quindi di continuare a
soffermarmi su quel ragazzo sbruffone. Mi stava già più che antipatico.
‘’Oh, Antonio, questi sono i nuovi affittuari! Non so se hai
già avuto modo di conoscerli’’, disse mia madre, alzando gli occhi dai fornelli
e sorridendomi anch’essa.
Indossava ancora l’abito con cui si era recata al lavoro
quella mattina, con un lungo grembiule bianco appena appoggiato sopra, mentre
sul suo volto scuro e abbronzato appariva una qualche ruga, a ricordare che
quella era stata l’ennesima lunghissima giornata lavorativa precaria e mal
pagata. I capelli, di un moro scuro naturale, quella sera erano anche
evidentemente scarmigliati, e gli occhi verdi e vivaci erano adombrati.
I giorni si stavano facendo sempre più lunghi e faticosi, per
lei. Per un attimo, mi sentii in colpa, d’altronde lavorava e stava faticando
anche per me, per mantenermi gli studi e sfamarmi, ed io spesso e volentieri
non facevo altro che darle insoddisfazioni, portando a casa voti bassi o
pessimi.
Mi ripromisi di migliorare a partire da quell’anno scolastico,
che era cominciato da appena un paio di settimane. Volevo davvero renderla
felice e soddisfatta del mio operato per una volta, poiché senza dubbio se lo
meritava.
Mia madre aveva quarant’anni, e mi aveva partorito che era
poco più che una ragazzina. Una ragazza costretta a diventare una donna forte,
dopo essere stata dapprima disprezzata e in seguito abbandonata dal marito,
lasciata poi sola con un figlio ancora piccolo da crescere e da accudire.
‘’Certo, mamma. Ho già avuto il grandissimo piacere di far la
conoscenza del gentilissimo signor Roberto e di Federico’’, le risposi dopo un
attimo, smettendo di pensare come un forsennato e sorvolando sul quanto quelle
conoscenze fossero state brusche.
‘’Rivolgiti a me in modo più confidenziale, Antonio, te l’ho
già chiesto. Per favore. Grazie signora Maria per averci presentato suo figlio,
comunque’’, rispose cortesemente Roberto, agitandosi sulla sua sedia. Federico
non represse un sospiro irritato e continuò a guardare lo schermo del suo
cellulare.
Mamma Maria sorrise compiaciuta, e continuò a preparare il
contorno per la carne che stava cucinando.
‘’Tra poco avrò modo di presentarvi anche mia moglie. Vi
prego di perdonarla, ma è ancora chiusa in camera, poiché è sempre assillata
dalle chiamate di lavoro…’’, buttò lì l’uomo, dopo un attimo di esitazione.
Io e mia madre ci limitammo ad annuire, sorridendo entrambi
allo stesso modo, quasi fossimo anime sincronizzate. Da parte mia però, pensai
che quelle chiamate che avevo udito qualche istante prima avevano davvero poco
di professionale, ma naturalmente tacqui, sfruttando quell’attimo in cui mia
madre continuava a pensare al pasto per allontanarmi prontamente e raggiungere
il mio pianoforte, lo strumento della mia felicità.
‘’Dove credi di andare?! Torna qui!’’, sibilò dolcemente mia
madre, non appena vide con la coda dell’occhio che mi stavo allontanando dalla
soglia della cucina.
Non capendo quel che volesse, e iniziando ad arrossire
lievemente, feci di nuovo capolino nella cucina, imbarazzato. Ero un ragazzo
timidissimo, ed essere al centro dell’attenzione mi faceva sempre arrossire.
‘’Cosa c’è, mamma?’’, chiesi cortesemente, ma con grande
impazienza di svignarmela.
‘’Tra poco ceniamo. Il signor Roberto ha detto che non
rechiamo alcun fastidio alla sua famiglia, quindi mangiamo assieme, allo stesso
tavolo. Oh, ancora grazie! Lei non sa quanto io sia stanca alla sera, e
preparare per due volte la tavola e per due volte la cena mi sfianca’’, tornò a
dire mia madre, prolungandosi in fastosi ringraziamenti rivolti a Roberto, che
con un cenno della mano face capire che non doveva neppure pensarci, e che era
tutto a posto.
Essendo piccola la nostra casa, e godendo di una sola cucina
con tanto di tavolo per consumare i pasti, senza alcun muro a separare i due
ambienti e a trattenere gli odori, per lasciare un po’ di riservatezza agli
affittuari mia madre preparava prima la cena per loro, poi quella per noi due,
che in genere consumavamo dopo che i primi si erano già ritirati nelle loro
camere da letto che avevano affittato.
Di certo, quel prospetto di cena condivisa fu per me una
grande novità, e il rossore lieve che aveva iniziato ad imporporare le mie
guance ben presto divenne il colore del mio intero volto. Non ero abituato a
cenare con estranei, e dovetti ammettere anche che il fatto di dovermi sedere
attorno allo stesso tavolo di Federico mi metteva in soggezione. Quel mio
coetaneo proprio non m’ispirava fiducia.
‘’Ecco, è tutto pronto’’, mormorò dopo un istante mia madre, tra
sé e sé e molto soddisfatta, per poi indicarmi un posto a tavola col dito,
proprio a fianco di Federico. Per me fu l’inizio di un incubo.
Mia madre mise il pasto in tavola, mentre io mi dirigevo
verso la mia sedia alla velocità di un bradipo e Roberto si alzava bruscamente
dal tavolo.
‘’Chiamo mia moglie’’, disse l’uomo, mentre io lo guardavo
con sorpresa. Inutile dire che il figlio non alzò neppure gli occhi dal suo
cellulare.
‘’Non serve, se ora non può scendere, gli preparerò qualcosa
quando ne avrà voglia’’, si affrettò a dire mia madre, preparandosi a servire
in tavola. Era sempre così quella donna, estremamente disponibile. Forse fin
troppo.
‘’Scherza, signora!? Ora la chiamo subito’’, disse di rimando
Roberto, per poi uscire dalla cucina e incamminarsi nel corridoio.
Sotto l’attento sguardo di mia madre, presi posizione, sedendomi
a fianco di Federico, mentre lei preparava le porzioni nei piatti con gesti
lenti e calibrati, che esprimevano una grande stanchezza.
‘’Allora, Federico, com’è stato questo primo giorno in questa
cittadina?’’, tornò a chiedere la mia cara mamma, forse per voler rompere quel
momentaneo velo di silenzio che opprimeva la stanza.
Il ragazzo, ben seduto a mio fianco, si limitò a scrollare le
spalle, senza degnarsi di rispondere e continuando a guardare lo schermo del
suo Samsung. Io guardai da tutt’altra parte, mentre notavo che mia madre non
osava replicare altro, imbarazzata.
Da quel momento, iniziai a provare un disgusto incredibile
nei confronti di quel mio coetaneo molto maleducato.
Ma proprio mentre continuavo a riflettere sul comportamento
di Federico, Roberto fece il suo ingresso in cucina, tenendo a braccetto colei
che doveva essere sua moglie. La donna, alta una spanna in più del marito e con
una testa di capelli biondi rigorosamente tinti ed arricciati, aveva ben
dipinta sul viso la stessa smorfia odiosa di suo figlio, e così potei
facilmente intuire da dove provenisse tutta quella sua antipatia.
‘’Questa è Livia, mia moglie’’, la presentò platealmente
Roberto, scostandone la sedia dal tavolo e facendola accomodare tra mille
attenzioni.
Livia sorrise e bofonchiò un paio di parole di cortesia
rivolte a mia madre, ma a quel punto mi era tutto più chiaro.
Seduto sulla mia sedia, allo stesso desco di quella gente che
fino a quella mattina erano perfetti sconosciuti, e tuttavia lo erano quasi
ancora, mi sentii a disagio come non mai. Guardando il volto di Livia, che si
era seduta al lato opposto del tavolo, e osservando come articolava le finte
parole di cortesia che rivolgeva a mia madre, compresi che quella donna si
sentiva anch’essa fuor d’acqua, in un posto che non l’aggradava, così come non
aggradava neppure suo figlio.
Ero sicuro che quelle erano persone con la puzza sotto al
naso, dei veri e propri aristocratici moderni che non volevano assolutamente
abbandonare quel loro piedistallo di grandezza e di superiorità sul quale si
erano posati. Era evidente che si sentivano a disagio, con a fianco me e mia
madre e in quella squallida casetta.
A quel punto, non facevo altro che chiedermi il perché del
fatto che una famiglia così fosse finita proprio in casa nostra. Avevano tutta
l’aria di possedere molti soldi, e mentre Federico indossava solo abiti firmati
e perfettamente in ordine, sua madre era tutta ingioiellata e ben truccata,
manco dovesse partecipare ad un gran galà.
L’unico di quella stramba famiglia che sembrava a suo agio
era proprio Roberto; l’uomo ringraziava con sincerità ed era rilassato e
solare. Un ometto positivo, senz’ombra di dubbio, ma allo stesso tempo
diversissimo dagli altri componenti della sua famiglia.
Una marea di domande presero a vorticarmi in testa, e mentre
il mio imbarazzato rossore se ne andava in fretta dal mio volto, capii che
quella curiosa famiglia doveva avere dei segreti. Neppure quando mia madre mi
servì, praticamente per ultimo, distolsi la mia mente dai quesiti e dalla
curiosità provocatami da quei nuovi arrivati.
Solo quando iniziai a sbocconcellare la mia cena compresi che
stavo sbagliando, e che qualsiasi segreto stesse nascondendo quella famiglia a
me non doveva importare. Cercai quindi di riprendere fiato e di concentrarmi
solo sul mio piatto e sul cibo, e al massimo di rivolgere un breve pensiero al
mio pianoforte e alla musica, anche se tutto ciò mi risultava difficile.
Non mi era mai capitato di sentirmi attratto dagli inquilini
di mia madre, ma forse semplicemente per il fatto che essi si limitavano ad
essere molto schivi e di una gentilezza normale, e nessuno aveva mai voluto
comunque cenare assieme a noi e tentare di renderci partecipi del loro breve
soggiorno, come invece aveva cercato di fare Roberto.
L’uomo, che in quel momento stava consumando anch’esso la sua
cena e di certo aveva compreso che qualcosa stava prendendo la piega da lui non
voluta, visto che nessuno fiatava e tutti se ne stavano con gli sguardi fissi
sul cibo, e sembrava a disagio anch’esso, a quel punto.
‘’Antonio, come va con il tuo pianoforte? Hai suonato ancora,
oggi?’’, chiese tutto d’un tratto, ammiccando con la testa e sorridendo
cortesemente.
Io, bruscamente sottratto ai miei più intimi pensieri, quasi
ebbi un tremore.
Poi, deglutendo a vuoto, mi arrischiai a rispondere. Non
sapevo perché Roberto dovesse proprio chiedere qualcosa a me, quando poteva
benissimo fare un’osservazione a suo figlio o parlare con sua moglie.
Nel frattempo, Federico continuava a mandar giù cospicui
bocconi di cibo, mentre di tanto in tanto afferrava il suo cellulare e
riprendeva a smaneggiarci quasi con avidità. Stava indubbiamente facendo una
pessima figura ai miei occhi.
‘’No, non ho più avuto modo di suonare, per oggi’’, risposi,
la voce ridotta ad un tremito. Ero davvero molto timido, e parlare di me di
fronte a Livia e Federico mi metteva in soggezione. Non che quei due mi
degnassero di uno sguardo, anzi, però era comunque qualcosa che m’intimidiva. Anche
perché capivo che non gradivano la mia presenza a quel desco.
‘’Peccato. Hai un grande talento, sai? Dovresti seriamente
pensare di iscriverti a un istituto musicale. Non sciupare le tue grandi
capacità’’.
‘’Vedo che ha già avuto modo di udire mio figlio mentre
suonava’’, si crogiolò mia madre, tutta contenta.
‘’Oh, mi ha anche concesso di osservarlo. Ha suonato un po’
anche per me, intanto che leggevo il giornale’’.
La frase buttata lì da Roberto fece cedere definitivamente la
mascella di mia madre.
La mamma mi guardò quasi a bocca spalancata per lo stupore e
con un’espressione alquanto sbalordita sul volto, abbandonando per un attimo
gli strumenti con cui stava preparando le ultime porzioni da servire in tavola.
Io la guardai sorridendo di sbieco, e non osai dire nulla a riguardo, mentre
lei riprendeva a svolgere le sue mansioni come se nulla fosse successo.
Arrossii, sapendo quanto mia madre dovesse essere rimasta
sbigottita di fronte a quella notizia, visto che non le avevo mai concesso di
osservarmi mentre suonavo. Le avevo sempre detto che m’imbarazzava essere
osservato mentre stavo di fronte al pianoforte.
‘’Spero che abbia suonato bene. Sa, mio figlio è molto
timido, e più volte mi ha impedito di osservarlo mentre suonava’’, disse mia
madre, continuando a svolgere le sue ordinarie mansioni come se nulla fosse.
‘’Oh, beh, certo. È timido, sì, ma ha talento’’, biascicò
Roberto, tornando poi a mangiare.
Io continuai a tenere gli occhi ben fissi sul mio piatto,
bordò in volto. Ero in uno di quei momenti dove l’imbarazzo e la timidezza
quasi mi paralizzavano.
‘’Certo, ha talento, lo riconosco. Spero che abbiate modo di
udirlo suonare ancora, durante la vostra permanenza’’, affermò cortesemente la
mamma, riprendendo poi il suo posto a sedere e ricominciando a mangiare.
‘’La nostra permanenza sarà molto lunga, quindi immagino che
avrò, anzi avremo, modo di poterlo udire suonare altre volte’’, tornò a dire
l’uomo, lanciandomi un sorrisetto di sottecchi.
Mi sorpresi a fissare quel sorriso pieno di complicità con
sorpresa, e tornai a riabbassare di nuovo la testa. Stranamente, nonostante
l’imbarazzo che mi offuscava la mente, non potei non provare una qualche sorta
di sensazione involontaria nello scoprire che la permanenza di quella famiglia
in casa mia sarebbe stata piuttosto lunga. E questa scoperta m’imbarazzò ancor
di più.
Immerso nel silenzio surreale della cucina, dove non volò
neppure una mosca dopo lo scambio di quelle tre o quattro frasi su di me tra
mia madre e Roberto, finii il mio pasto in fretta, deglutendo fino all’ultimo
boccone del buon passato di verdure che aveva preparato mia madre solo per me.
Sapeva quanto amavo le verdure, e non mancava mai un’occasione per metterle nel
mio piatto ed inserirle nei miei pasti.
Quando discostai la sedia dal tavolo, mi sembrò quasi di aver
provocato un rumore talmente forte da aver provocato un terremoto, dal tanto
che il silenzio regnava nella stanza.
Mia madre masticava a testa bassa, così come faceva anche
Roberto, mentre Federico si divideva ancora tra il suo pasto e il cellulare,
sempre a portata di mano. Era stato seduto a mio fianco per tutta la durata
della cena, e neppure mi aveva mai degnato di uno sguardo, così come sua madre,
la signorona aristocratica che pareva davvero che avesse una gran puzza sotto
il naso.
Quella donna e suo figlio non mi convincevano affatto, mi
sembravano davvero due tipi loschi.
‘’Vado in camera. Buona serata’’, mormorai, frantumando
definitivamente il silenzio che mi circondava.
Tutti risposero al mio congedo con qualche parola pronunciata
a bassa voce, ed io mi allontanai in fretta, ben sapendo che l’indomani mattina
avrei dovuto affrontare la prima interrogazione di scienze dell’anno scolastico
e non avevo studiato ancora nulla.
Dopo essermi fatto le scale praticamente di corsa, mi fiondai
nella mia cameretta ed affondai tra i libri scolastici, soffocando ogni mio
imbarazzo o pensiero che non riguardasse la scuola. Eppure, quella era stata
davvero una giornata curiosa per me, ed avevo come la vaga sensazione che da
quel momento in poi qualcosa nella mia vita sarebbe irrimediabilmente cambiato.
NOTA DELL’AUTORE
Ciao a tutti, e grazie per aver letto anche questo capitolo.
Vi sono grato per aver dedicato tanta attenzione al primo
capitolo di questo racconto, e spero che anche quest’ultimo sia stato di vostro
gradimento.
Devo dire che non mi aspettavo di ricevere così tanto
apprezzamento con questa storia, e spero che non si riveli una noia per
qualcuno di voi.
Il racconto ho iniziato a scriverlo(e lo scrivo tuttora) per
divertimento personale, sfruttando la voglia che ho di scrivere qualcosa di
totalmente diverso da quello che ho scritto finora. Spero davvero che il
risultato possa essere positivo.
Nell’intero racconto cercherò di utilizzare un linguaggio
abbastanza semplice, più simile a quello parlato e senza particolari termini
complessi, poiché così cercherò di essere più verosimile e di esprimere meglio
le varie rapide sequenze di pensieri del protagonista.
Per ora non posso far altro che ringraziarvi infinitamente
per tutta l’attenzione che mi state rivolgendo.
Grazie di cuore per tutto J a lunedì prossimo J