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Autore: alessandroago_94    04/04/2016    13 recensioni
Antonio Giacomelli è un ragazzo molto timido e introverso, a cui piace trascorrere i pomeriggi suonando il pianoforte. Vive una vita assolutamente normale fintanto che viene a contatto con una famiglia, la famiglia Arriga. E da quel fatidico momento, da quando ha modo di incontrarsi per la prima volta e di scontrarsi con uno dei suoi tre componenti, la sua vita cambierà per sempre, poiché sarà proprio quella stessa famiglia Arriga, assieme ai pesanti segreti che porta con sé, a sconvolgere e a cambiare la sua esistenza, tra immensi drammi e gioie inaspettate.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna, Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate, Violenza
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Capitolo 2

CAPITOLO 2

 

 

 

 

 

Trascorsi ore ed ore nel parchetto sotto casa, seduto su una panchina e con le cuffie nelle orecchie, gustandomi un po’ di bella musica.

La musica era la mia vita, e in quel momento la passione per l’alternative aveva iniziato a prendere sempre più forza dentro di me. Il rock classico non mi piaceva proprio per nulla, meglio se veniva mitigato da suoni più dolci e da voci meno scatenate.

Mi rilassai guardando il cielo limpido, mentre una lieve brezza mi sfiorava, quasi mi volesse fare delle dolci carezze.

Quando ebbi la forza di tornare a casa e di abbandonare quel mio piccolo paradiso all’aria aperta, era quasi buio.

Entrai in casa di soppiatto, sperando che nessuno mi notasse, nel vano tentativo di potermi gettare nuovamente a suonare il mio pianoforte senza che nessuno mi potesse ostacolare in un qualche modo. Eppure, non feci in tempo a muovere due passi verso la mia piccola sala che Roberto mi si parò davanti.

‘’Oh! Ecco il mio pianista preferito. Vieni, Federico!’’, disse l’uomo, sorridendo e facendomi cenno verso le scale che portavano al piano superiore.

Per un attimo rimasi perplesso, poiché non capii subito chi potesse essere quel Federico appena citato, ma quando un ragazzetto spocchioso ebbe concluso la rapida discesa delle scale, compresi che doveva trattarsi del figlio dell’uomo.

Il ragazzo mi guardò storto. Doveva all’incirca la mia età, eppure mi aveva già abbondantemente superato in altezza. Era forte e palestrato, con un tatuaggio irriverente per ciascun avambraccio. Nonostante fosse già autunno, era ancora a mezze maniche, insensibile all’aria frizzantina pur di poter mostrare i capolavori che si era fatto tatuare, e alcuni piercing brillavano distintamente dal lobo di entrambe le orecchie.

‘’Antonio, lui è Federico, mio figlio’’, disse Roberto, allungando una mano per cercare di sfiorare tra i capelli ribelli del nuovo arrivato, che si limitò a scostarsi e a sottrarsi al tocco paterno.

Con incredulità, notai che i due non si assomigliavano per niente; Federico era alto e antipatico, con una chioma folta e scura come la notte, mentre suo padre era basso e tarchiato, oltre che ormai calvo. Ma almeno di tanto in tanto sorrideva.

Porsi una mano al mio coetaneo, non sapendo far di meglio in quella situazione, ma lui la deviò e si gettò in cucina.

Seguii il ragazzo con lo sguardo, allibito da tanta scortesia. Nessuno prima di allora si era mai comportato in un modo così maleducato nei miei confronti, tranne mio padre, ma quello era un altro discorso. Un discorso molto più delicato e complicato.

‘’Chiedo scusa, noi due abbiamo appena avuto una discussione… ed ora è molto scontroso’’, disse Roberto, cercando di minimizzare il comportamento del figlio. Ma io potei leggergli in faccia con chiarezza che la sua espressione era mutata; ero sicuro che avrebbe ripreso e sgridato Federico per il modo in cui si era comportato.

Io mi trovai sempre più in difficoltà in quella situazione non proprio tranquilla, e decisi di tirarmene fuori con una falsa ed ipocrita indifferenza.

‘’Non fa nulla, capita di essere nervosi. A dopo’’.

E così dicendo, voltai frettolosamente le spalle all’uomo e mi diressi verso la mia camera dal letto, al piano superiore.

Potei udire qualche frase di rimprovero proveniente dalla cucina, ma non mi degnai di preoccuparmene, e senza rallentare minimamente mi fiondai nella mia stanza, ribattendo subito la porta dietro di me. Con un intenso sospiro, mi gettai sul letto, che mia madre aveva amorevolmente messo in ordine prima di andare al lavoro, sprofondando nel caldo abbraccio del mio soffice materasso.

Io amavo quel calore e quella morbidezza, e molto spesso ero costretto a riconoscere che mai nella mia vita qualcuno mi aveva accolto con maggior amore tra le sue braccia. Quindi, in mancanza abbracci umani, non mi dispiaceva affatto di restare così, sprofondato nel mio soffice giaciglio, circondato da altrettanto soffici cuscini.

Crogiolandomi nel mio attimo di riposo prima del pasto serale, udii un chiacchiericcio sommesso, proveniente alla stanza attigua alla mia, quella affittata dalla coppia Arriga. La signora, a quanto pareva, si stava già dando alle telefonate, ed io non avevo affatto voglia di udire quel continuo parlottio.

A volte, la convivenza con degli sconosciuti sapeva essere molto dura e difficile, ma non avevo alcun modo, e soprattutto nessun pretesto per dire a mia madre che la smettesse di affittare le due stanze da letto in più della casa. Io mi ritenevo solo un peso, un mangiapane e nient’altro, e per salvaguardare il mio stomaco, la dispensa e quei pochi beni che erano rimasti in nostro possesso, non potevo far altro che accettare ogni scelta materna.

Sbuffando, mi alzai dal letto, affrettandomi ad uscire dalla stanza e a dirigermi nuovamente verso il piano inferiore della casetta, per andare a suonare un po’ il mio pianoforte, prima di cena. Poi, avrei dovuto studiare, e quindi il relax delle ultime ore sarebbe brutalmente svanito.

‘’Antonio! Antonio, vieni qui!’’.

La voce di mia madre, che giunse dall’adiacente cucina, mi fermò nel bel mezzo della porta della piccola sala dove soggiornava il mio pianoforte, costringendomi quindi a lanciare una triste occhiata al mio ingombrante strumento musicale e a fare dietrofront, facendo poi frettolosamente capolino nella cucina.

Mia madre, una donnina piccina e gracile, si stava dando da fare ai fornelli, in modo da poter dignitosamente soddisfare l’appetito dei soggiornanti. Poiché, per racimolare qualche soldo in più, quella povera donna offriva anche il vitto, oltre che l’alloggio.

Insomma, casa nostra era ormai per davvero una sorta di pensione clandestina, e questo a volte mi turbava, ma solo per brevi periodi, poiché in genere i pensionanti se ne andavano nel giro di qualche settimana.

‘’Sono qui, mamma. Cosa vuoi?’’, chiesi cortesemente, ma con un po’ di fretta.

Con una rapida occhiata nella stanza, potei constatare che Roberto e Federico erano seduti poco distante, attorno al tavolo. Il primo mi guardava sorridendo, mentre il secondo non mi degnò neppure di una minima attenzione, continuando a smanettare col cellulare, un magnifico Samsung di ultima generazione, mantenendo sempre rigido il suo broncio insoddisfatto, ben impresso sul viso.

Risposi frettolosamente al sorriso dell’uomo e mi affrettai a distogliere lo sguardo dal tavolo imbandito, evitando quindi di continuare a soffermarmi su quel ragazzo sbruffone. Mi stava già più che antipatico.

‘’Oh, Antonio, questi sono i nuovi affittuari! Non so se hai già avuto modo di conoscerli’’, disse mia madre, alzando gli occhi dai fornelli e sorridendomi anch’essa.

Indossava ancora l’abito con cui si era recata al lavoro quella mattina, con un lungo grembiule bianco appena appoggiato sopra, mentre sul suo volto scuro e abbronzato appariva una qualche ruga, a ricordare che quella era stata l’ennesima lunghissima giornata lavorativa precaria e mal pagata. I capelli, di un moro scuro naturale, quella sera erano anche evidentemente scarmigliati, e gli occhi verdi e vivaci erano adombrati.

I giorni si stavano facendo sempre più lunghi e faticosi, per lei. Per un attimo, mi sentii in colpa, d’altronde lavorava e stava faticando anche per me, per mantenermi gli studi e sfamarmi, ed io spesso e volentieri non facevo altro che darle insoddisfazioni, portando a casa voti bassi o pessimi.

Mi ripromisi di migliorare a partire da quell’anno scolastico, che era cominciato da appena un paio di settimane. Volevo davvero renderla felice e soddisfatta del mio operato per una volta, poiché senza dubbio se lo meritava.

Mia madre aveva quarant’anni, e mi aveva partorito che era poco più che una ragazzina. Una ragazza costretta a diventare una donna forte, dopo essere stata dapprima disprezzata e in seguito abbandonata dal marito, lasciata poi sola con un figlio ancora piccolo da crescere e da accudire.

‘’Certo, mamma. Ho già avuto il grandissimo piacere di far la conoscenza del gentilissimo signor Roberto e di Federico’’, le risposi dopo un attimo, smettendo di pensare come un forsennato e sorvolando sul quanto quelle conoscenze fossero state brusche.

‘’Rivolgiti a me in modo più confidenziale, Antonio, te l’ho già chiesto. Per favore. Grazie signora Maria per averci presentato suo figlio, comunque’’, rispose cortesemente Roberto, agitandosi sulla sua sedia. Federico non represse un sospiro irritato e continuò a guardare lo schermo del suo cellulare.

Mamma Maria sorrise compiaciuta, e continuò a preparare il contorno per la carne che stava cucinando.

‘’Tra poco avrò modo di presentarvi anche mia moglie. Vi prego di perdonarla, ma è ancora chiusa in camera, poiché è sempre assillata dalle chiamate di lavoro…’’, buttò lì l’uomo, dopo un attimo di esitazione.

Io e mia madre ci limitammo ad annuire, sorridendo entrambi allo stesso modo, quasi fossimo anime sincronizzate. Da parte mia però, pensai che quelle chiamate che avevo udito qualche istante prima avevano davvero poco di professionale, ma naturalmente tacqui, sfruttando quell’attimo in cui mia madre continuava a pensare al pasto per allontanarmi prontamente e raggiungere il mio pianoforte, lo strumento della mia felicità.

‘’Dove credi di andare?! Torna qui!’’, sibilò dolcemente mia madre, non appena vide con la coda dell’occhio che mi stavo allontanando dalla soglia della cucina.

Non capendo quel che volesse, e iniziando ad arrossire lievemente, feci di nuovo capolino nella cucina, imbarazzato. Ero un ragazzo timidissimo, ed essere al centro dell’attenzione mi faceva sempre arrossire.

‘’Cosa c’è, mamma?’’, chiesi cortesemente, ma con grande impazienza di svignarmela.

‘’Tra poco ceniamo. Il signor Roberto ha detto che non rechiamo alcun fastidio alla sua famiglia, quindi mangiamo assieme, allo stesso tavolo. Oh, ancora grazie! Lei non sa quanto io sia stanca alla sera, e preparare per due volte la tavola e per due volte la cena mi sfianca’’, tornò a dire mia madre, prolungandosi in fastosi ringraziamenti rivolti a Roberto, che con un cenno della mano face capire che non doveva neppure pensarci, e che era tutto a posto.

Essendo piccola la nostra casa, e godendo di una sola cucina con tanto di tavolo per consumare i pasti, senza alcun muro a separare i due ambienti e a trattenere gli odori, per lasciare un po’ di riservatezza agli affittuari mia madre preparava prima la cena per loro, poi quella per noi due, che in genere consumavamo dopo che i primi si erano già ritirati nelle loro camere da letto che avevano affittato.

Di certo, quel prospetto di cena condivisa fu per me una grande novità, e il rossore lieve che aveva iniziato ad imporporare le mie guance ben presto divenne il colore del mio intero volto. Non ero abituato a cenare con estranei, e dovetti ammettere anche che il fatto di dovermi sedere attorno allo stesso tavolo di Federico mi metteva in soggezione. Quel mio coetaneo proprio non m’ispirava fiducia.

‘’Ecco, è tutto pronto’’, mormorò dopo un istante mia madre, tra sé e sé e molto soddisfatta, per poi indicarmi un posto a tavola col dito, proprio a fianco di Federico. Per me fu l’inizio di un incubo.

Mia madre mise il pasto in tavola, mentre io mi dirigevo verso la mia sedia alla velocità di un bradipo e Roberto si alzava bruscamente dal tavolo.

‘’Chiamo mia moglie’’, disse l’uomo, mentre io lo guardavo con sorpresa. Inutile dire che il figlio non alzò neppure gli occhi dal suo cellulare.

‘’Non serve, se ora non può scendere, gli preparerò qualcosa quando ne avrà voglia’’, si affrettò a dire mia madre, preparandosi a servire in tavola. Era sempre così quella donna, estremamente disponibile. Forse fin troppo.

‘’Scherza, signora!? Ora la chiamo subito’’, disse di rimando Roberto, per poi uscire dalla cucina e incamminarsi nel corridoio.

Sotto l’attento sguardo di mia madre, presi posizione, sedendomi a fianco di Federico, mentre lei preparava le porzioni nei piatti con gesti lenti e calibrati, che esprimevano una grande stanchezza.

‘’Allora, Federico, com’è stato questo primo giorno in questa cittadina?’’, tornò a chiedere la mia cara mamma, forse per voler rompere quel momentaneo velo di silenzio che opprimeva la stanza.

Il ragazzo, ben seduto a mio fianco, si limitò a scrollare le spalle, senza degnarsi di rispondere e continuando a guardare lo schermo del suo Samsung. Io guardai da tutt’altra parte, mentre notavo che mia madre non osava replicare altro, imbarazzata.

Da quel momento, iniziai a provare un disgusto incredibile nei confronti di quel mio coetaneo molto maleducato.

Ma proprio mentre continuavo a riflettere sul comportamento di Federico, Roberto fece il suo ingresso in cucina, tenendo a braccetto colei che doveva essere sua moglie. La donna, alta una spanna in più del marito e con una testa di capelli biondi rigorosamente tinti ed arricciati, aveva ben dipinta sul viso la stessa smorfia odiosa di suo figlio, e così potei facilmente intuire da dove provenisse tutta quella sua antipatia.

‘’Questa è Livia, mia moglie’’, la presentò platealmente Roberto, scostandone la sedia dal tavolo e facendola accomodare tra mille attenzioni.

Livia sorrise e bofonchiò un paio di parole di cortesia rivolte a mia madre, ma a quel punto mi era tutto più chiaro.

Seduto sulla mia sedia, allo stesso desco di quella gente che fino a quella mattina erano perfetti sconosciuti, e tuttavia lo erano quasi ancora, mi sentii a disagio come non mai. Guardando il volto di Livia, che si era seduta al lato opposto del tavolo, e osservando come articolava le finte parole di cortesia che rivolgeva a mia madre, compresi che quella donna si sentiva anch’essa fuor d’acqua, in un posto che non l’aggradava, così come non aggradava neppure suo figlio.

Ero sicuro che quelle erano persone con la puzza sotto al naso, dei veri e propri aristocratici moderni che non volevano assolutamente abbandonare quel loro piedistallo di grandezza e di superiorità sul quale si erano posati. Era evidente che si sentivano a disagio, con a fianco me e mia madre e in quella squallida casetta.

A quel punto, non facevo altro che chiedermi il perché del fatto che una famiglia così fosse finita proprio in casa nostra. Avevano tutta l’aria di possedere molti soldi, e mentre Federico indossava solo abiti firmati e perfettamente in ordine, sua madre era tutta ingioiellata e ben truccata, manco dovesse partecipare ad un gran galà.

L’unico di quella stramba famiglia che sembrava a suo agio era proprio Roberto; l’uomo ringraziava con sincerità ed era rilassato e solare. Un ometto positivo, senz’ombra di dubbio, ma allo stesso tempo diversissimo dagli altri componenti della sua famiglia.

Una marea di domande presero a vorticarmi in testa, e mentre il mio imbarazzato rossore se ne andava in fretta dal mio volto, capii che quella curiosa famiglia doveva avere dei segreti. Neppure quando mia madre mi servì, praticamente per ultimo, distolsi la mia mente dai quesiti e dalla curiosità provocatami da quei nuovi arrivati.

Solo quando iniziai a sbocconcellare la mia cena compresi che stavo sbagliando, e che qualsiasi segreto stesse nascondendo quella famiglia a me non doveva importare. Cercai quindi di riprendere fiato e di concentrarmi solo sul mio piatto e sul cibo, e al massimo di rivolgere un breve pensiero al mio pianoforte e alla musica, anche se tutto ciò mi risultava difficile.

Non mi era mai capitato di sentirmi attratto dagli inquilini di mia madre, ma forse semplicemente per il fatto che essi si limitavano ad essere molto schivi e di una gentilezza normale, e nessuno aveva mai voluto comunque cenare assieme a noi e tentare di renderci partecipi del loro breve soggiorno, come invece aveva cercato di fare Roberto.

L’uomo, che in quel momento stava consumando anch’esso la sua cena e di certo aveva compreso che qualcosa stava prendendo la piega da lui non voluta, visto che nessuno fiatava e tutti se ne stavano con gli sguardi fissi sul cibo, e sembrava a disagio anch’esso, a quel punto.

‘’Antonio, come va con il tuo pianoforte? Hai suonato ancora, oggi?’’, chiese tutto d’un tratto, ammiccando con la testa e sorridendo cortesemente.

Io, bruscamente sottratto ai miei più intimi pensieri, quasi ebbi un tremore.

Poi, deglutendo a vuoto, mi arrischiai a rispondere. Non sapevo perché Roberto dovesse proprio chiedere qualcosa a me, quando poteva benissimo fare un’osservazione a suo figlio o parlare con sua moglie.

Nel frattempo, Federico continuava a mandar giù cospicui bocconi di cibo, mentre di tanto in tanto afferrava il suo cellulare e riprendeva a smaneggiarci quasi con avidità. Stava indubbiamente facendo una pessima figura ai miei occhi.

‘’No, non ho più avuto modo di suonare, per oggi’’, risposi, la voce ridotta ad un tremito. Ero davvero molto timido, e parlare di me di fronte a Livia e Federico mi metteva in soggezione. Non che quei due mi degnassero di uno sguardo, anzi, però era comunque qualcosa che m’intimidiva. Anche perché capivo che non gradivano la mia presenza a quel desco.

‘’Peccato. Hai un grande talento, sai? Dovresti seriamente pensare di iscriverti a un istituto musicale. Non sciupare le tue grandi capacità’’.

‘’Vedo che ha già avuto modo di udire mio figlio mentre suonava’’, si crogiolò mia madre, tutta contenta.

‘’Oh, mi ha anche concesso di osservarlo. Ha suonato un po’ anche per me, intanto che leggevo il giornale’’.

La frase buttata lì da Roberto fece cedere definitivamente la mascella di mia madre.

La mamma mi guardò quasi a bocca spalancata per lo stupore e con un’espressione alquanto sbalordita sul volto, abbandonando per un attimo gli strumenti con cui stava preparando le ultime porzioni da servire in tavola. Io la guardai sorridendo di sbieco, e non osai dire nulla a riguardo, mentre lei riprendeva a svolgere le sue mansioni come se nulla fosse successo.

Arrossii, sapendo quanto mia madre dovesse essere rimasta sbigottita di fronte a quella notizia, visto che non le avevo mai concesso di osservarmi mentre suonavo. Le avevo sempre detto che m’imbarazzava essere osservato mentre stavo di fronte al pianoforte.

‘’Spero che abbia suonato bene. Sa, mio figlio è molto timido, e più volte mi ha impedito di osservarlo mentre suonava’’, disse mia madre, continuando a svolgere le sue ordinarie mansioni come se nulla fosse.

‘’Oh, beh, certo. È timido, sì, ma ha talento’’, biascicò Roberto, tornando poi a mangiare.

Io continuai a tenere gli occhi ben fissi sul mio piatto, bordò in volto. Ero in uno di quei momenti dove l’imbarazzo e la timidezza quasi mi paralizzavano.

‘’Certo, ha talento, lo riconosco. Spero che abbiate modo di udirlo suonare ancora, durante la vostra permanenza’’, affermò cortesemente la mamma, riprendendo poi il suo posto a sedere e ricominciando a mangiare.

‘’La nostra permanenza sarà molto lunga, quindi immagino che avrò, anzi avremo, modo di poterlo udire suonare altre volte’’, tornò a dire l’uomo, lanciandomi un sorrisetto di sottecchi.

Mi sorpresi a fissare quel sorriso pieno di complicità con sorpresa, e tornai a riabbassare di nuovo la testa. Stranamente, nonostante l’imbarazzo che mi offuscava la mente, non potei non provare una qualche sorta di sensazione involontaria nello scoprire che la permanenza di quella famiglia in casa mia sarebbe stata piuttosto lunga. E questa scoperta m’imbarazzò ancor di più.

Immerso nel silenzio surreale della cucina, dove non volò neppure una mosca dopo lo scambio di quelle tre o quattro frasi su di me tra mia madre e Roberto, finii il mio pasto in fretta, deglutendo fino all’ultimo boccone del buon passato di verdure che aveva preparato mia madre solo per me. Sapeva quanto amavo le verdure, e non mancava mai un’occasione per metterle nel mio piatto ed inserirle nei miei pasti.

Quando discostai la sedia dal tavolo, mi sembrò quasi di aver provocato un rumore talmente forte da aver provocato un terremoto, dal tanto che il silenzio regnava nella stanza.

Mia madre masticava a testa bassa, così come faceva anche Roberto, mentre Federico si divideva ancora tra il suo pasto e il cellulare, sempre a portata di mano. Era stato seduto a mio fianco per tutta la durata della cena, e neppure mi aveva mai degnato di uno sguardo, così come sua madre, la signorona aristocratica che pareva davvero che avesse una gran puzza sotto il naso.

Quella donna e suo figlio non mi convincevano affatto, mi sembravano davvero due tipi loschi.

‘’Vado in camera. Buona serata’’, mormorai, frantumando definitivamente il silenzio che mi circondava.

Tutti risposero al mio congedo con qualche parola pronunciata a bassa voce, ed io mi allontanai in fretta, ben sapendo che l’indomani mattina avrei dovuto affrontare la prima interrogazione di scienze dell’anno scolastico e non avevo studiato ancora nulla.

Dopo essermi fatto le scale praticamente di corsa, mi fiondai nella mia cameretta ed affondai tra i libri scolastici, soffocando ogni mio imbarazzo o pensiero che non riguardasse la scuola. Eppure, quella era stata davvero una giornata curiosa per me, ed avevo come la vaga sensazione che da quel momento in poi qualcosa nella mia vita sarebbe irrimediabilmente cambiato.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

NOTA DELL’AUTORE

 

 

Ciao a tutti, e grazie per aver letto anche questo capitolo.

Vi sono grato per aver dedicato tanta attenzione al primo capitolo di questo racconto, e spero che anche quest’ultimo sia stato di vostro gradimento.

Devo dire che non mi aspettavo di ricevere così tanto apprezzamento con questa storia, e spero che non si riveli una noia per qualcuno di voi.

Il racconto ho iniziato a scriverlo(e lo scrivo tuttora) per divertimento personale, sfruttando la voglia che ho di scrivere qualcosa di totalmente diverso da quello che ho scritto finora. Spero davvero che il risultato possa essere positivo.

Nell’intero racconto cercherò di utilizzare un linguaggio abbastanza semplice, più simile a quello parlato e senza particolari termini complessi, poiché così cercherò di essere più verosimile e di esprimere meglio le varie rapide sequenze di pensieri del protagonista.

Per ora non posso far altro che ringraziarvi infinitamente per tutta l’attenzione che mi state rivolgendo.

Grazie di cuore per tutto J a lunedì prossimo J

   
 
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