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Autore: eliseCS    04/04/2016    2 recensioni
Per "festeggiare" il fatto di aver finito gli esami ho deciso (invece di cominciare a concentrarmi sulla tesi) di cominciare a pubblicare questa ff che ho per le mani da un po' di tempo.
Dopo quella sui fondatori e quella su Draco e Astoria la new generation non poteva certo mancare, quindi eccola qui.
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Una ragazza comincerà a scoprire le sue potenzialità in modo alquanto singolare.
Ricordi torneranno pian piano a galla.
Una profezia (forse, l'autrice è ancora un po' indecisa al riguardo)
E ovviamente non si può chiedere ai Potter di restare fuori dai guai, no?
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[...] Non sapeva che invece quello era stato solo l’inizio, come non sapeva che quella crisi era in qualche modo collegata a quello che uno strano bambino dai capelli scuri e spettinati le aveva detto diversi anni prima dietro la siepe di un parco giochi.
Per Elise quello strano incontro era ormai diventato un vecchio ricordo sbiadito e senza importanza, nulla più di un insolito e confuso sogno.
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Un piccolo assaggio dal prologo
Buona lettura
E.
(Pubblicata anche su Wattpad)
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: James Sirius Potter, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nuova generazione
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1 – Come la storia ebbe inizio
 
 
 
-FLASHBACK (o era un sogno?)-
 
“James Sirius Potter! Vieni subito fuori!”
Una giovane mamma dai capelli rosso fiamma stava richiamando a gran voce il figlio che era riuscito a sparire dalla sua visuale, come d’altronde faceva ogni volta che gli si concedeva un minimo di libertà.
Possibile che anche in un comune parco giochi quella peste non riuscisse a comportarsi come tutti gli altri bambini?
Sospirò mentre si alzava dalla panchina dov’era seduta per andare a cercare il figlio: aveva già una mezza idea di dove cercare. Non era la prima volta che il bambino portava i nuovi amichetti conosciuti dietro ai cespugli al di là dello scivolo per fargli vedere cosa sapeva fare.
Così piccolo e già così esibizionista: chissà come sarebbe diventato una volta messe le mani sulla sua bacchetta magica…
Nonostante lei gli avesse spiegato e ripetuto più volte che non doveva assolutamente fare magie, alla fine ogni volta le capitava di sentire bambini entusiasti raccontare ai genitori di come un loro giocattolo avesse cambiato colore o di come un bambino fosse capace di sollevarsi da terra.
A soli tre anni James Potter si era preannunciato essere un terremoto, e adesso che di anni ne aveva otto era, se possibile, ancora peggio.
“James, dobbiamo…” incominciò facendo capolino da dietro la siepe da cui provenivano le risate del figlio, ma si interruppe bruscamente a corto di parole: quella volta aveva proprio esagerato.
 
Davanti a lui, sollevata a circa mezzo metro da terra, c’era una bambina con una folta chioma di capelli biondo cenere che James stava facendo girare come una trottola.
Ancora troppo sconvolta per dire qualcosa osservò la bambina mentre veniva riappoggiata sull’erba ridendo come una matta, o almeno, sperava che le sue fossero davvero risate.
Il figlio non si era ancora accorto della sua presenza.
Stava finalmente per intervenire quando la bambina, dopo aver smesso di ridere, ancora con le lacrime agli occhi disse: “Adesso tocca a te” e senza aspettare una risposta dal bambino incominciò a sollevarlo da terra riservandogli lo stesso trattamento che lei stessa aveva subito poco prima.
Ginny non potè impedirsi di tirare un sospiro di sollievo: almeno quella bambina era una di loro.
“James dobbiamo andare, è tardi” richiamò infine il figlio.
Le risate cessarono.
“Ma come, di già? Siamo stati pochissimo!” protestò il bambino che nel frattempo era tornato con i piedi per terra, un po’ barcollante. In realtà era piuttosto sorpreso che la madre non l’avesse rimproverato.
“Siamo stati qui tutto il pomeriggio Jamie. Lily, Al, e papà ci staranno aspettando. Sai che stasera siamo a cena dagli zii…”
Il bambino mise il broncio, salutò l’amichetta e prese riluttante la mano che la madre gli aveva offerto.
“E tu, piccola streghetta? Sei qui da sola?” disse la signora Potter prima di incamminarsi, rivolta alla nuova compagna di giochi del figlio.
La bambina scosse forte la testa, scompigliando ulteriormente la lunga chioma già arruffata. Tese il braccio e con il dito indicò una figura al di là della siepe.
Lo sguardo della signora Potter cadde così su una graziosa signora, giovane e bionda, seduta su una panchina intenta a scrutare i bambini che giocavano. Probabilmente anche lei stava cercando di individuare la figlia in mezzo a tutti quei terremoti urlanti.
“Forse anche per te è ora di andare a casa, sembra che tua madre ti stia cercando” commentò. “Ciao” la salutò poi, cominciando a incamminarsi trascinandosi dietro il figlio.
Non si era accorta che la bambina, alla sua affermazione, aveva aggrottato le sopracciglia, come se non avesse ben capito di cosa stesse parlando quella gentile signora dai capelli rossi.
In effetti però, la mamma del suo nuovo amichetto aveva ragione: si stava facendo tardi e più di qualche bambino aveva già lasciato i giochi, richiamato dai genitori.
 
La bambina uscì dalla siepe, si diresse verso la panchina dove la giovane donna bionda era ancora seduta e… la superò.
Una signora non molto più anziana con i capelli corvini rigorosamente stretti in uno chinion sulla nuca, gli occhi scuri e severi, le labbra strette e le mani appoggiate sui fianchi la accolse guardandola con disapprovazione.
“Si può sapere cos’hai combinato? Guardati! Sei tutta sottosopra… e i capelli! Hai idea di quanto ci vorrà stasera per sciogliere tutti quei nodi?” esclamò la signorina Clark –quello era il suo nome- squadrandola dalla testa ai piedi.
“Beh” sospirò infine “Almeno stavolta non ho dovuto venire a cercarti e sei tornata da sola… Dio solo sa dove vai a imbucarti ogni volta bambina mia!” Il tono di voce si era addolcito: la signorina Clark sembrava sempre molto severa in apparenza, ma alla fine era proprio una brava donna che ci sapeva pure fare con i bambini.
La bambina le sorrise con aria innocente, tradita dagli occhi verdi che però brillavano: andava sempre a nascondersi perché non reputava prudente farsi vedere dagli altri bambini mentre giocava. Non se i giochi prevedevano cose come arrampicarsi su un albero e poi planare fino a terra. Ma il bambino che aveva conosciuto quel pomeriggio era diverso, era come lei.
L’aveva osservato di nascosto mentre –convinto di non essere visto da nessuno- era saltato dall’altalena lasciando il seggiolino quando era nel suo punto più alto, e quando l’aveva visto planare fino a terra con leggerezza, invece di precipitare come avrebbe fatto un qualsiasi altro bambino, un grande sorriso le si era allargato sul viso. Si era assicurata a sua volta che nessuno stesse guardando nella loro direzione e aveva replicato l’acrobazia sotto lo sguardo dapprima sbalordito, in seguito euforico del bambino.
Quel pomeriggio aveva giocato con lui tutto il tempo.
 
 
La signorina Clark le strizzò l’occhio con aria complice per poi avvicinarsi ai giochi: “Forza ragazzi! È ora di andare!”
Una decina di bambini di età compresa tra i sette e gli undici anni si bloccarono e cominciarono a lasciare i giochi dirigendosi verso la signora che li aveva appena richiamati. Brontolando, chi più chi meno, si misero ordinatamente in fila per due. La signorina Clark finì di contarli, assicurandosi che non mancasse nessuno, dopodiché si mise in testa alla fila e tutti insieme lasciarono il parco.
 
 
L’orfanotrofio Wool distava poco più di dieci minuti a piedi dal parco: era un imponente edificio a pianta quadrata circondato da un’alta cancellata, ma non per questo poteva essere definito cupo o austero, anzi.
Il colore rosa pastello con cui i muri esterni erano stati riverniciati conferiva una certa serenità all’edificio, e il giardino esterno, che lo circondava lungo tutto il perimetro, era molto ben curato.
C’era anche un’ampia zona attrezzata con dei giochi, anche se la signorina Clark, quando era possibile, preferiva portare i bambini al parco in modo che potessero uscire un po’ dal solito ambiente.
Anche all’interno l’aria era familiare e accogliente: corridoi ampi e colorati portavano alle varie zone della struttura. Ogni cameretta ospitava due, massimo tre bambini, e poteva essere personalizzata a loro piacimento. La mensa era grande e spaziosa e quasi un’intera ala dell’edificio era stata convertita in zona scuola: era infatti previsto un programma di istruzione fino alla terza media.
Il tutto funzionava grazie a un notevole corpo di insegnanti ed educatori, la squadra di cuochi nelle cucine e la signora Collins, l’instancabile direttrice.
 
E proprio lei si trovava al momento dritta in piedi in cima alla scalinata in pietra, ingresso dell’edificio, mentre allungava il collo osservando la strada. Appena vide la fila di bambini capeggiati dalla Clark fare capolino dal cancello lasciò la sua posizione e andò loro incontro.
“Bene Cheryl, finalmente siete arrivati. Dov’è la piccola Elizabeth?” disse, cominciando a far scorrere lo sguardo sulla fila di bambini. “Oh, eccoti qua… santo cielo bambina mia, sembra che tu sia stata risucchiata in un tornado… Cheryl, potresti per favore darle una sistemata, preparare le sue cose e portarla nel mio ufficio?” aggiunse poi. “Arriveranno a momenti…”
La signorina Clark annuì sorridendo. “Molto bene ragazzi: rompere le righe! Confido siate in grado di tornare da soli alle vostre camere… mi raccomando: puntuali per la cena!”
Alle sue parole i bambini, che fino a quel momento erano rimasti fermi e zitti al cospetto della direttrice, si animarono di colpo e presero a correre verso l’ingresso ridendo e scherzando tra loro.
 
L’unica a non muoversi fu la bambina dai capelli biondi, che invece alzò lo sguardo verso la signorina Clark chiedendo spiegazioni: “Cosa succede? Ho fatto qualcosa di male?”
“Ma certo che no, tesoro! Tranquilla, c’è una sorpresa per te” rispose la donna mentre insieme entravano nell’edificio e si dirigevano verso la camera della bambina. “Ti ricordi quei due signori che sono venuti a farti visita nelle settimane passate? Hanno deciso di adottarti!”
La bambina accolse la notizia in silenzio: era stata adottata?
Un sorriso cominciò lentamente a illuminarle il visetto: “Davvero?”
“Davvero. Adesso da brava vai a farti un bagno, che io preparo le tue cose”.
Intanto avevano raggiunto la stanza.
La bambina non se lo fece ripetere due volte e si fiondò in bagno. Quasi subito cominciò a sentirsi lo scrosciare dell’acqua della doccia. Una decina di minuti dopo la bambina ne riuscì gocciolante e avvolta in un accappatoio due volte più grande di lei.
Nel frattempo la signorina Clark aveva già finito di preparare un piccolo baule con dentro le poche cose della bambina, lasciando fuori sono quello che avrebbe dovuto indossare e la spazzola.
La bambina guardò il vestitino appoggiato sul letto: era color indaco, molto semplice. Il collo a forma di ‘U’ comprendeva una fascia di tessuto un po’ più ampia che andava a formare anche le maniche. Appuntati sulla destra due fiocchetti dello stesso colore dell’abitino.
Storse il naso: il vestito non era brutto, ma era, appunto, un vestito.
La signorina Clark notò l’occhiata che la bambina aveva riservato all’indumento steso sul letto: “Non mi dirai che non ti piace già più? E meno male che sei stata tu a sceglierlo…”
 
Era vero: ogni bambino doveva sempre avere un vestito presentabile da usare in caso si presentasse l’occasione, e l’abitino blu steso sul letto era proprio nuovo di quell’anno, visto che quello rosa degli anni precedenti non le andava più bene. Questo però non toglieva il fatto che la bambina non amasse particolarmente le gonne, alle quali preferiva i ben più comodi pantaloni.
 
Dopo un altro quarto d’ora avevano finito, era pronta: sembrava di avere davanti un’altra bambina.
I pantaloni e la maglietta consumati dal tanto giocare erano stati sostituiti dal vestito. Ballerine ai piedi al posto delle scarpe da ginnastica. I capelli arruffati e annodati in modo inimmaginabile erano stati domati e raccolti in una bella treccia che le arrivava oltre la metà della schiena.
Dopo averlo chiuso la signorina Clark prese il baule, e trascinandoselo dietro accompagnò la bambina fino all’ufficio della direttrice.
Bussò, e dall’interno la invitarono a entrare.
 
“Bene, eccola finalmente” disse soddisfatta la direttrice uscendo da dietro la scrivania, avvicinandosi alla bambina –improvvisamente diventata più timida del solito- e spingendola avanti.
“Ecco qua la vostra Elizabeth Charlotte”
Un uomo e una donna si alzarono dalle poltroncine dov’erano accomodati fino a quel momento. Erano davvero i due che erano venuti a trovarla ogni settimana da qualche mese a quella parte.
Lei aveva i capelli castano scuro lunghi fino alle spalle, sciolti. Gli occhi marroni e un sorriso gentile.
Lui invece aveva capelli ancora più scuri, neri, e gli occhi blu. Anche lui aveva un’aria simpatica. Infatti si avvicinò alla bambina, si accovacciò e disse: “Piacere di rivederti Elizabeth. Io sono Rupert e lei è mia moglie, Diana. Ti ricordi di noi, no?”
Dal canto suo la bambina rispose: “Elise. Mi chiamo Elise”.
L’uomo sorrise: “Il nome Elizabeth non ti piace?”
Elise scosse vigorosamente la testa: “No, è troppo… serio” disse facendo sorridere ancora di più la giovane coppia. “Davvero verrò via con voi?” aggiunse poi.
“Ma certo” assicurò la direttrice Collins. “I signori Starlet sono venuti qui apposta per prenderti”
“Quando volete potete andare, avete già firmato tutti i documenti… la bambina è ufficialmente vostra ” disse poi rivolta ai due.
“Benissimo. Grazie di tutto signora Collins” rispose la signora Starlet stringendole la mano.
Nel frattempo il marito aveva recuperato il baule dalla signorina Clark che per tutto il tempo era rimasta in piedi vicino alla porta.
“Allora… andiamo Elise?” disse rivolto alla bambina aprendole l’uscio.
Elise salutò educatamente la signora Collins. Prima di uscire saltò al collo della signorina Clark, abbracciandola.
“Potrò tornare a trovarti?” chiese.
“Ma certo. Quando vuoi. Adesso vai, e mi raccomando: comportati bene piccola peste!” rispose sciogliendo l’abbraccio.
 
 
 
Più tardi quella sera, Elise giaceva distesa con gli occhi aperti sul suo nuovo letto, nella sua nuova camera.
Non si era mai sentita così sveglia.
Per festeggiare gli Starlet l’avevano portata a mangiare fuori, una cosa completamente nuova per lei, e aveva potuto ordinare tutto quello che voleva.
Quando poi avevano rincasato le avevano fatto fare il giro completo dell’appartamento, un enorme attico all’ultimo piano di un altrettanto enorme palazzo che aveva addirittura un portiere all’entrata: era proprio bello.

Nulla poteva comunque competere con la felicità che la pervadeva per il fatto di essere finalmente stata adottata.
Diana e Rupert sembravano ricalcare in pieno tutto quello che Elise aveva sempre immaginato quando si fermava a fantasticare su come sarebbe stato avere i genitori, avere una famiglia.
Quando si sarebbe svegliata il giorno seguente sarebbe cominciata una nuova parte della sua vita, e lei non vedeva l’ora.













Visto che sono buona e gentile ho messo subito il primo capitolo.
E sì, lo so che ancora non si capisce niente (per entrare nel vivo della storia vi toccherà aspettare il prossimo capitolo) ma almeno stavolta di mezzo ci sono anche personaggi non del tutto sconosciuti. James Sirius tanto per dirne uno... :)
A questo punto direi che, come da tradizione, tenderei ad aggiornare una volta alla settimana. Nello specifico direi il lunedì (eventualmente se qualcuno preferisse qualche altro giorno fatemi sapere).
Fatemi sapere cosa ne pensate (non serve che ribadisca che ci terrei davvero tanto, no?)
alla prossima settimana

E.

 
   
 
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