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Autore: Himenoshirotsuki    15/04/2016    6 recensioni
[Fantasy Steampunk]
La Dogma e la Chiesa, le colonne portanti di questo mondo. L'una che agisce con il favore dell'ombra, chiamando a raccolta i suoi cacciatori, gli Slayers, per combattere i mostri; l'altra che muove le sue armate di luce contro le vessazioni e i miscredenti in nome di un dio forte e misericordioso.
Luce e ombra, ying e yang che si alleano e si scontrano continuamente da più di cinquant'anni.
Ma è davvero tutto così semplice? La realtà non ha mai avuto dei confini netti e questo Alan lo sa. In un mondo dove nulla è come sembra e dove il male cammina tranquillo per le strade, il cacciatore alla ricerca della sua amata si ritroverà coinvolto in un qualcosa di molto più grande, un orrore che se non verrà fermato trascinerà l'umanità intera nel caos degli anni precedenti l'industrializzazione. Perchè, se è vero che la Dogma e la Chiesa difendono gli umani dai mostri, non è detto che non sarebbero disposte a crearne per difendere i loro segreti.
Genere: Dark, Horror, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Slayers '
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Slayers
Act. 2 - Lehcar



Per un istante tutto rimase uguale: gli alberi, i Trerant dormienti, il cielo stellato sopra la sua testa. Persino il silenzio era lo stesso, denso e grumoso come il fango secco degli acquitrini. Rachel restò ferma e vigile a osservare i Guardiani della foresta, in attesa che accadesse qualcosa, ma tutto pareva immerso in un'eterna e snervante immobilità. Solo quando si accorse di essere sola si voltò.
- Alan. Gabriel. -
Strinse le Bladegun e scrutò alla ricerca di un indizio che l’aiutasse a capire dove fossero andati a finire. Sebastain volteggiava sopra di lei, sbattendo le ali più velocemente del solito, come se fosse agitato, inquieto. Poi il Gemren alzò la testa verso il cielo e gli occhi si spensero all’improvviso, così come il suo cuore verde e il meccanismo che gli permetteva di volare. Rachel scattò rapida, afferrandolo sottobraccio un istante prima che la sua enorme testa sbattesse al suolo.
Un brivido freddo le fece accapponare la pelle, come un riflesso, una reazione spontanea del suo corpo al pericolo, ma, per quanto si sforzasse, non riusciva a percepire nessuna presenza ostile. Fu proprio l’istinto a suggerirle di guardare il cielo e le nuvole che si addensavano a una velocità innaturale, oscurando una dopo l’altra le costellazioni. Si spense l’Unicorno, i due Cani, si spense il Toro e con essa anche i Gemelli. Infine fu il turno di Orione, che quella notte brillava più forte delle altre.
All'orizzonte Rachel vide il breve chiarore di un lampo e alle orecchie le giunse il sordo rimbombo di un tuono. Il vento sferzò l’erba con la violenza di una frusta, alzando nell’aria foglie secche, polvere e piccole zolle di terra. Rachel indietreggiò, strinse le armi e fece saettare lo sguardo da un’ombra all’altra senza trovare nulla, eccetto oscurità e contorni indistinti.
All'improvviso nella sua testa esplosero due voci profonde, che parlavano all'unisono. Si girò a fronteggiare i due Trerant e notò che i loro occhi erano aperti, che le loro iridi di un verde incandescente la fissavano.
Sin an aisling a 'fàs an lann mo bhana-mhaighstir.”
Rachel sollevò le pistole e, senza esitare, prese la mira e premette il grilletto. Il proiettile fendette l’aria, ma stranamente non colpì mai il bersaglio. La cacciatrice si irrigidì, sbarrò le palpebre e abbracciò Sebastian. Quando un lampo rischiarò la volta celeste e un tuonò le ferì i timpani, avvertì le forze venirle meno. In un attimo cadde a terra svenuta, prigioniera dell'oblio, mentre sopra di lei il cielo ruggiva furioso. 
 
Quando Rachel riaprì gli occhi, i due Trerant erano svaniti, così come la sensazione d’opprimente pericolo. Gli alberi che circondavano il prato non c’erano più e ora l’erba si estendeva fino alla linea dell’orizzonte, punteggiata dai petali rossi, gialli e viola dei papaveri, bocche di leone e lupini. Un sole estivo splendeva nel cielo, mentre nell’aria calda e immobile svolazzavano libellule e farfalle dalle ali bianche quasi quanto le nuvole sfilacciate trasportate da una brezza impercettibile.
Poco lontana da lei, una donna con i capelli biondi legati in una stretta treccia suonava delle ariette vivaci con un flauto. Rachel la fissò sospettosa, stringendo le sue Bladegun fino a farsi sbiancare le nocche, e sbirciò alle proprie spalle per accertarsi non ci fossero nemici a tenderle un agguato approfittando della sua distrazione.
- I tuoi amici non sono qui. - esordì la donna con voce melodiosa, attirando la sua attenzione.
Rachel la vide posare lo strumento sull'erba e rivolgerle un sorriso gentile. Aveva gli occhi allungati e azzurri quasi come il cielo sopra le loro teste, lo stesso colore di quelli di Qayin. E dei suoi.
- Sei spaventata? Non credevo che questa visione ti avrebbe scioccata così tanto. -
- Non sono spaventata. -
- E allora perché non rinfoderi le tue pistole? -
- Dove siamo. -
La donna sorrise e allungò le gambe. Da sotto la lunga gonna nera sbucarono due scarpe di pregiata fattura, con un laccio di pietre opache e filigrana argentata che si avvolgeva più volte attorno alla caviglia.
- Siamo in un'altra dimensione, più precisamente in quello che gli umani chiamano “aldilà”. - rispose, sistemandosi lo scialle di sciamito bianco che le copriva le spalle.
- Sono morta, quindi. -
- Non sempre è necessario esserlo per arrivare qui. -
- Non capisco. -
La sconosciuta sorrise di nuovo, mettendo in mostra un paio di lunghi canini.
- Non è importante che tu capisca, non ora almeno. Coraggio, Rachel. Non eri tu che volevi parlarmi? -
Rachel ammutolì e fece un passo verso di lei, mentre un vento di tempesta soffiava irruento nel fondo della sua anima.
- Sei Seanna. - esalò, gli occhi sbarrati e il corpo rigido come un tronco.
L'altra annuì e schiuse le labbra in un ghigno divertito. Con il cuore che le martellava nelle orecchie, la cacciatrice si avvicinò ancora cercando di richiamare alla mente i discorsi che si era preparata, ma essi non vollero saperne di farsi afferrare.
- Mi sembri sorpresa. Non mi immaginavi così? Sei forse delusa? - indagò Seanna.
Rachel dovette costringersi a non correrle incontro. Era da più di cento anni, da quando aveva scoperto di non essere una semplice Slayer, che desiderava incontrarla. Specialmente da quando aveva cominciato a fare degli strani sogni.
- Non sono delusa. - disse in tono calmo e forzatamente neutro, - Non ti immaginavo così, ma va bene. Ho tante cose da dirti… da chiederti… -
- Oh, qui abbiamo tutto il tempo del mondo. - sorrise di nuovo e protese la mano verso di lei, - Dai, avvicinati, non ti mangio. -
Rachel si sentì attratta come una calamita, ma qualcosa dentro di lei l’obbligò a fermarsi: la sensazione di pericolo era tornata senza apparente motivo, pietrificandola sul posto e impedendole di continuare. A vederla così tesa, un’ombra infastidita adombrò lo sguardo di Seanna, ma poi la mascella si rilassò e le labbra si arcuarono di nuovo in un’espressione rilassata.
- Non ci credo che non hai mai fantasticato su di me. Dopo quei sogni, il mio ricordo non ha mai abbandonato i tuoi pensieri. -
- Un ricordo. -
- Sì. Scommetto che ho la stessa voce che aveva quella figura indistinta. -
- Non so di cosa tu stia parlando. -
- Oh, bambina, non mentire. Non serve. Sai bene che i sogni non sono solo frutto della nostra mente. E tu sei una ragazza speciale, vero? -
Rachel non commentò e assunse l’espressione più imperturbabile che conosceva, cercando di placare il galoppo impazzito del cuore e il suo pulsare martellante che le invadeva le orecchie. Serrò le dita attorno alle Bladegun e inspirò profondamente. La tensione che le tendeva i muscoli sembrava divertire quella donna, che aveva l’aspetto di sua madre.
- Un tempo si credeva che il sogno fosse un fiume che scorreva attraverso i mondi. Le sue acque bagnavano anche i lidi al di là della vita. Tutti potevano sognare, persino i morti. Nessuno ormai ci crede più e molti hanno perduto la capacità di esplorare il mondo onirico, eccetto forse gli Oracoli. Tuttavia, i pochi che sono sopravvissuti sono additati come pazzi e perseguitati alla stregua di mostri. Buffo come la scienza moderna abbia portato via uno dei beni più potenti. - curvò le labbra e scoccò a Rachel una lunga occhiata raggelante, - Ma ci sono alcune persone speciali che sanno ancora sognare. Sanno come navigare su quelle acque perigliose senza farsi completamente trascinare. E una notte scommetto che mi hai vista. Ero così reale da sembrare vera, viva, anche se è da molto tempo che la mia anima ha abbandonato il tuo mondo. Avanti, perché non ti avvicini? -
Rachel chiuse gli occhi e sospirò, lasciando vagare lo sguardo. Quella sensazione di pericolo persisteva e le annodava lo stomaco. Colse un movimento al limitare sul campo visivo, ma quando si girò vide solo l’ombra di un coniglio che fuggiva a nascondersi dentro un cespuglio.
- Hai paura? - sibilò Seanna, minacciosa e suadente al medesimo tempo.
- No. Però stai certa che non farò un passo. -
- E perché? -
- Perché tu non sei mia madre. - dichiarò con in tono freddo.
Seguì un lungo minuto di silenzio, durante il quale la cacciatrice e la donna si studiarono.
Non era Seanna, eppure, nonostante sentisse la pressione del lyinum sull’indice, Rachel non riusciva a premere il grilletto. Arretrò con il cuore pesante e la vista annacquata, cercando invano in quegli occhi così simili ai suoi qualsiasi cosa le permettesse di ritrattare la sua ultima frase.
- Sei molto perspicace, figlia mia. - si complimentò Seanna, alzandosi, - In realtà non avevo dubbi, sei una cacciatrice molto forte, tuo padre sarebbe orgoglioso di te. Ma se pensi che io sia solo un’illusione, ti sbagli. -
Rachel si morse forte le labbra nel tentativo di contrastare il filo spinato che sentiva soffocarle il cuore. Era doloroso.
- Cosa sei davvero. - domandò.
Ancora una volta seguì una lunga pausa. Seanna levò gli occhi verso il cielo, osservando una nuvola oziosa che si faceva trasportare dal venticello.
- Sono un ricordo, frutto della tua mente e lascito della vita di colei che cerchi. -
- Come una proiezione. -
- Una specie. -
- E dimmi, conservi ancora la sua memoria. -
- Una parte, ma questo mio corpo è fatto per lo più da sensazioni. - raccolse il flauto, mentre un sorriso maligno le arcuava le labbra, - E sai cosa pensava Seanna di te?  Della sua figlia mezzosangue? Nel tuo mondo venite chiamate Sangue Sporco, se non erro. - scandì con disprezzo.
Rachel rimase immobile, impietrita, con una marea oscura che le cresceva dentro, le ostruiva la gola e le bruciava i polmoni mozzandole il fiato.
- Ah, sì, ora ricordo: non ti ho mai voluta. L’idea di mettere al mondo un ibrido mi disgustava, ma quel bastardo di uno Slayer mi ha convinta che era la cosa giusta da fare, che se poi ti avessimo venduta alla Dogma loro ci avrebbero lasciati in pace. Come puoi vedere, il nostro piano, anzi il mio piano, ha fallito miseramente. - in un battito di ciglia le fu di fronte, con i canini snudati, - Lui ci ha vendute entrambe, sia me che te. E pensare che mi aveva promesso amore eterno! Sciocca io che gli ho creduto, avrei dovuto saperlo che il suo era un sentimento di convenienza, una recita per convincermi a risparmiargli la vita. -
- Smettila… -
- Ma come, adesso che ti sto mettendo davanti alla verità non vuoi ascoltare? Mi hai cercata per così tanto tempo e ora mi rifiuti? -
Rachel si premette le mani sulle orecchie e indietreggiò barcollando. Non era vero, era solo un’illusione. Come l’aveva chiamata Alan? Illusione realistica, sì, e quell’essere non poteva farle davvero del male.
Il filo spinato intorno al suo cuore si strinse ancor di più, perforandolo con le sue punte acuminate. Quasi le parve di sentire il sapore del sangue in bocca.
- Vattene. -
Una risata violenta e sguaiata proruppe dalle labbra di Seanna. L’afferrò per il collo e la sollevò da terra come se non avesse peso, inchiodandola con quei suoi occhi azzurri, l’unica cosa che non era mutata su quel viso ora deturpato dalle fiamme e dalle ustioni che premevano da sotto la pelle annerita.
Rachel si dimenò, scalciò e con gli occhi umidi le scaricò addosso entrambi i caricatori delle Bladegun. I proiettili le fecero saltare un occhio, le ridussero il corpo a una massa di carne sanguinante, ma la creatura non mollò la presa. La sua risata stridente divenne sempre più forte, assordante, cattiva.
- Non puoi fare niente contro di me, Rachel. - disse sputando un grumo nero, che le scivolò sulla mandibola scoperta e sul collo.
Seanna la scaraventò a terra e le schiacciò il viso sotto le scarpette di pregiata fattura. Da sotto le ciglia umide, la cacciatrice vide quella che doveva essere sua madre alzare le mani al cielo e subito dopo udì il fragore di un tuono. Poi percepì il violento ticchettio della pioggia sulla pelle, gocce pesanti, nere, dense e appiccicose come catrame.
- Non puoi uccidermi, perché io vivo dentro di te, bambina mia. -
Un fulmine squarciò il cielo, illuminando i fiori anneriti del prato e innumerevoli cadaveri di animali putrefatti e mangiati dai vermi. La luce bianca avvolse tutto e, prima che Rachel potesse capire cosa stesse accadendo, le orecchie cominciarono a ronzarle e sui suoi occhi calò di nuovo l’oscurità.
 
Si ridestò piano piano con la sensazione di aver dormito per anni. Avvertì la freschezza delle lenzuola e il tepore della lana sotto i polpastrelli. Si guardò intorno frastornata e notò che era distesa su un letto in una stanza di pietra, con il soffitto a costoni e le finestre piombate chiuse da pesanti grate. Una cassapanca antica, di legno intagliato con rose e cigni, era stata sistemata sotto un quadro sbiadito di una natura morta. Le due sedie a zampa di leone che attorniavano un basso tavolino erano occupate da un Alan dalla faccia annoiata e da un Gabriel pensieroso, tutto assorto nella lettura di un tomo dall’aria difficile.
Fu proprio il ragazzo ad accorgersi per primo che si era svegliata. Si alzò di scatto, richiamando con un cenno Alan, e andò a sedersi sul bordo del letto con un’espressione sollevata.
- Per Shamar, ci hai fatto prendere un bello spavento! Non so cosa diamine ti sia successo, ma quando vi ho visti svenire entrambi ho quasi avuto un infarto e… -
- Dove siamo. -
- Mi sembra ovvio, no? -
- No, non è ovvio se te lo ha chiesto. - borbottò Alan mentre li raggiungeva e andava ad appoggiarsi al muro.
Gabriel sbuffò, poi intavolò un discorso su quanto fosse importante la gentilezza nei rapporti umani che Rachel non ascoltò, intenta ad osservare il cacciatore. Sul viso Alan portava la solita maschera d'indifferenza, come se non gli importasse niente di ciò che gli accadeva intorno. Non che la cosa la toccasse, ma l’occhiata che le rivolse in qualche modo la infastidì.
Si tirò su e si appoggiò allo schienale del letto, massaggiandosi le tempie per scacciare il ronzio nelle orecchie. Forse aveva l'emicrania. Ignorò il dolore e il vuoto che sentiva nel petto e si impose di respirare normalmente.
- Dove siamo. - ripeté.
- Siamo nel castello di Seanna. - rispose Gabriel.
A quelle parole, il suo cuore mancò un battito. Strinse forte le lenzuola, trasse un profondo respiro e rimise in ordine le immagini che le vorticavano nel cervello.
- Mi avete portata voi qui. -
- In verità ti ha potata lui sulle spalle. Eri svenuta e non riuscivamo a svegliarti, così Meredith e Maxwell ci hanno suggerito di trasportati direttamente qui e… -
- Maxwell. - chiese stranita.
- Sì, è un lupo gigantesco. - 
Rachel fissò lo sguardo in quello di Alan, la testa che le girava come se fosse su una giostra, ma il cacciatore non si scompose. Si spostò semplicemente una ciocca ribelle dal viso, una di quelle rosse, poi afferrò una sedia e la trascinò vicino al letto.
- Gabriel, vai a dire ai padroni del castello che la bella addormentata si è svegliata. -
- Sì, vado subito. - balbettò nervoso.
Il ragazzo si defilò in fretta e chiuse la porta alle sue spalle. Solo quando il rumore dei suoi passi svanì, Alan si sedette e intrecciò le dita davanti al naso.
- Cosa hai visto? - la interrogò.
Rachel distolse lo sguardo e impercettibilmente affondò le unghie nelle lenzuola. Vedeva ancora il viso insanguinato della creatura, e le sue parole le riecheggiavano nella sua testa, impedendole di pensare lucidamente. Non riusciva a spiegarsi da dove venisse la tensione che la irrigidiva, o a cosa fosse dovuta quella sensazione di gelo che le attanagliava le viscere e le comprimeva i polmoni. Era simile alla stanchezza, qualcosa che rendeva le palpebre pesanti e le faceva desiderare di abbandonarsi ad un eterno oblio.
- Seanna. - disse a fatica, pronunciando quel nome con voce flebile.
Non si curò del motivo per cui gli stesse rispondendo, in quel momento non aveva importanza. Non più delle parole che sua “madre”, perché non riusciva a chiamarla in altro modo, le aveva rivolto.
Alan sospirò e le mise una mano sulla spalla. Rachel inclinò la testa, sfiorando appena con l’orecchio le nocche screpolate del suo compagno.
- Come siete carini. -
Rachel riconobbe all’istante la voce di colui che aveva parlato. Non si stupì quando, voltandosi, incrociò due iridi di un giallo quasi dorato. Erano passati più di quarant’anni, ma Maxwell era rimasto l’uomo attraente che ricordava, con gli stessi capelli nero pece e il sorriso beffardo che gli dava quell’aria da bello e dannato. Nonostante la cicatrice che gli deturpava l’occhio destro, qualcosa nel suo viso, al di là della coda e delle orecchie da lupo, era cambiato, qualcosa che ora gli dava un’aria più selvaggia, animalesca.
- Non pensavo che ti fossi messa in coppia con quel ritardato del mio allievo. Non che la cosa mi dispiaccia, Alan non sarebbe capace di trovare il suo culo con due mani e una torcia e la tua compagnia non può fargli che bene. - disse, avvicinandosi al letto.
- Ritardato a chi? - ringhiò Alan, ma nella sua voce non c’era rabbia.
Rachel si sedette e si chinò per indossare le scarpe.
- Dov’è Sebastian. - chiese a Maxwell.
- L’ho lasciato a Lehcar. Quando l’ho raccolto, emetteva del fumo, come se fosse andato in corto circuito, e ho pensato di lasciare che fosse lui ad occuparsene, dato che sembrava sicuro di sé. -
A sentir pronunciare quel nome, Rachel divenne di sale.
Lehcar, colui che aveva ucciso sua madre. Lo Slayer che poteva darle tutte le risposte.
Chiuse la mano a pugno e contrasse la mascella. Improvvisamente, la stanchezza evaporò davanti all’incendio che adesso le faceva ribollire il sangue. A quella sensazione sapeva dare un nome: rabbia. Oscura e fredda rabbia.
Maxwell inarcò un sopracciglio, ma non si scompose. Rachel lo studiò per un lungo momento, valutando i pro e i contro se avesse deciso di ammazzarlo subito. Le Bladegun erano appoggiate sul tavolino, le sarebbe bastato un rapido scatto per agguantarle, ma qualcosa le diceva che la sua velocità non avrebbe potuto competere con quella di Maxwell, non nelle condizioni in cui versava. Si sentiva ancora debole, non sarebbe stata abbastanza in forze per una lotta. Accantonò l'idea, superò Alan con passi aggraziati e si fermò di fronte al tavolino senza tradire alcuna emozione. Appena ebbe infilato le armi nelle fondine, giurò di aver udito un lieve sospiro provenire dalla direzione del compagno.
Dal canto suo, Maxwell rilassò le spalle e le rivolse un mezzo sorriso. Rachel scrollò le spalle e lo osservò da sotto le ciglia, soppesando l’espressione quasi divertita dipinta in faccia.
- Non si fissano così le persone, signorina. - la rimproverò Maxwell in tono scherzoso e, prima che potesse dire altro, le diede le spalle, - Muovetevi, c’è qualcuno che vuole parlare con voi. -
Scesero un’ampia scalinata che attraversava due piani illuminati da vecchi candelabri. Giunti al piano terra, passarono tra due file di statue collocate in piccole alcove e percorsero un lungo corridoio.
Alan camminava tranquillo, assorto in chissà quali pensieri, le pupille ridotte a due fessure verticali che si muovevano pigramente da una parte all’altra. Rachel lo vide indugiare spesso su Maxwell, ma nessuno dei ruppe il silenzio. Dal canto suo, la cacciatrice si limitava a seguire il loro accompagnatore, senza pensare a niente. Il fuoco che sentiva ardere nel petto era preferibile a qualunque altra sensazione. Così lasciò che divampasse, alimentando le fiamme con il pensiero di quello che avrebbe fatto a quell’uomo una volta che lo avesse avuto davanti.
Quando giunsero davanti a una pesante porta in ferro e lynium, Maxwell l’aprì, ma fermò Alan prima che potesse fare un solo passo all’interno.
- Mi ero scordato di dirti che l’invito era solo per una persona. - ghignò, spingendolo indietro.
- Sei sempre il solito. -
Maxwell scoppiò in una grassa risata. Era una risata vera, notò Rachel, come tutte le altre emozioni che aveva mostrato fino a quel momento.
Lanciò un’occhiata di sbieco ad Alan, cercando di capire cosa avesse intenzione di fare. Anche se fremeva dalla voglia di testare i suoi nuovi proiettili su Lehcar, aveva un debito con lui.
- Stai tranquilla, Rachel. Andrà tutto bene, non hai nulla da temere. - la rassicurò Maxwell accorgendosi della sua rigidità.
Rachel scrollò le spalle e, dopo aver scambiato un'occhiata intensa con Alan, oltrepassò Maxwell e la porta senza voltarsi indietro, le dita già avvolte attorno alle Bladegun.
Quando le ante si chiusero alle sue spalle, due occhi rosso sangue si fissarono nei suoi e per un attimo si sentì mancare la terra sotto i piedi. L’essere che la fissava dallo scranno di marmo e onice nera non aveva più niente di umano. Lo percepiva da come la guardava, dallo sguardo gelido che le aveva piantato addosso. Aveva i capelli innaturalmente bianchi, la carnagione candida, i muscoli tesi sotto l’armatura di pelle nera. Molte fate sedevano ai suoi piedi a capo chino, come sudditi di fronte al proprio re.
Una parte di Rachel sapeva che non poteva essere né un Primigineo né un Antico, l’odore era troppo diverso, eppure la forza che emanava la sua figura la teneva inchiodata lì. La consapevolezza di trovarsi al cospetto di un avversario che non avrebbe potuto battere le piombò addosso con la violenza di una valanga.
Un tetro silenzio ammantava l'ambiente e la luce bronzea del sole calante che filtrava attraverso le alte finestre accarezzava il marmo del pavimento, rendendolo simile ad una superficie ricoperta di lava.
Ad un tratto, Lehcar si alzò in piedi. Sul fianco portava uno stocco dalla guardia finemente lavorata.
- Immagino tu sappia chi sono. - esordì all’improvviso con voce autoritaria.
Rachel annuì. Avrebbe voluto fare un passo indietro, ma il suo corpo si rifiutò di ascoltare gli ordini del suo cervello.
- Non devi avere paura, non ho intenzione di farti del male. - disse, per poi fare un cenno in direzione delle fate, - Perdonale, sono state addestrate a intrappolare tutti coloro che tentano di arrivare qui e quando vi hanno visto si sono prodigate per fermarvi. Maxwell vi ha seguito fin da quando siete entrati, voleva proteggervi. Aveva fiutato l’odore del suo allievo e non vi avrebbe lasciati morire in nessun caso. -
La cacciatrice si morse le labbra senza sapere che dire.
- Assomigli molto a tua madre, sai? Oserei dire che hai preso tutto da lei. - mormorò sorridendo.
Si avvicinò a lei lentamente e, appena fu a meno di un braccio di distanza, le prese una ciocca tra le dita e l’arrotolò attorno all’indice. Rachel si ritrasse ed estrasse una delle Bladegun, puntandogliela alla gola.
- Non osare parlare di lei. - ringhiò.
Lehcar non si scompose, anzi sostenne il suo sguardo ostile senza timore continuando a sorridere.
- Tu l’hai uccisa. -
- È una domanda o una costatazione? -
- Rispondi o ti faccio saltare la testa. -
- Noto che hai ereditato anche l’irritabilità di Seanna. -
Rachel prese la mira e premette il grilletto. Agile come un gatto, Lehcar si spostò di lato evitando il colpo. L’esplosione dello sparo rimbombò sui muri, rimbalzando contro le statue e le vetrate, e il proiettile si conficcò nel trono. Il marmo si crepò e un sottile filo di fumo fuoriuscì dal foro. Prima di poter reagire, Rachel si sentì afferrare per i polsi e, in una frazione di secondo, si ritrovò a terra.
- Vorrei avere un dialogo civile. - la rimproverò, poi calciò le armi lontano da loro e torreggiò su di lei, - Se avessi voluto ucciderti, non respireresti già più, te lo assicuro. -
La cacciatrice si issò sui gomiti con uno strano calore che le infiammava le guance, mentre una fastidiosa sensazione di disagio le serpeggiava nello stomaco. Lehcar la studiò curioso da sotto le ciglia bianche, perfettamente padrone della situazione. Niente nella sua postura lasciava trasparire una minaccia e Rachel non poté fare a meno di sentirsi confusa.
 - Perché l'hai ammazzata. -
Lehcar scosse la testa con aria cupa: - Perdonami... -
- Quindi lo ammetti. - sibilò a denti stretti.
- Sì, è solo colpa mia se tua madre è morta. - la voce gli si incrinò appena, - Quando mi si è presentata l’occasione, ho vacillato e ho temuto per la mia vita. Per questo lei è morta. -
- Non me ne faccio niente delle tue scuse, non la riporteranno qui. -
- Nemmeno uccidendomi la potrai riabbracciare. - ribatté pacato e stirò le labbra in un sorriso triste, - Sei cresciuta bene, Kreilel, seppur senza una madre o un padre. Nessuno ti ha insegnato niente all’infuori della caccia e mi dispiace che tu sia diventata com'ero io. Certo, forse non sarei stato un buon genitore, ma avrei fatto del mio meglio per non far mancare niente né a te né a Seanna. -
- Come conosci il mio vero nome… -
L’espressione di Lehcar si addolcì: - C’è solo un’altra persona oltre a tua madre che può conoscerlo. -
- Mio padre. - completò la frase in un sussurro.
Rachel si portò una mano alla bocca. Aveva la gola chiusa e le ginocchia molli, tanto che, se avesse provato ad alzarsi, era sicura che non ci sarebbe riuscita.
- Non ci somigliamo molto, lo so, ma è meglio così. - sospirò e tornò davanti allo scranno, mentre una squadra di otto fatine gli veniva incontro trasportando Sebastian.
Quindi si voltò e le porse il pipistrello meccanico. Lei lo strinse forte al petto e fissò Lehcar dal basso, ancora incredula.
- Cos'è successo veramente a Seanna. - chiese turbata.
- È successo molto tempo fa. - rispose in tono cupo, - Io ero un semplice Slayer, nel cui corpo era stata impiantata la carne di un vampiro puro, un Primigineo. Del mio gruppo ero stato l’unico bambino a sopravvivere. Vista la mia forza, la Dogma mi ha sempre affidato compiti difficili, di solito missioni che avevano a che fare con necrumanoidi. Ero bravo nel mio lavoro: le Rune del Comando mi impedivano di perdere il controllo e l’Essenza dell’Anima mi aveva tolto la paura della morte. Non la cercavo, ma se fosse arrivata la mia ora non l’avrei respinta. La mia vita era la caccia e avrei continuato a uccidere mostri finché uno di loro non mi avesse divorato. Avevo appena ritirato la ricompensa per la testa di una sirena quando la Dogma mi ordinò di eliminare Seanna. Non so chi avesse messo una taglia sulla sua testa, ma poco importava. Il mio lavoro era uccidere, non fare domande. Le informazioni erano vaghe, nessuno sapeva molto su questo vampiro, a parte il fatto che dimorava in un castello avvolto dalla nebbia. Decisi dunque di pedinare una mia vecchia conoscenza, un vampiro a cui avevo risparmiato la vita un bel po’ di tempo prima. -
- Il barone Andrzej Harward. -
Lehcar sgranò gli occhi e fece un mezzo sorriso: - Adesso si fa chiamare barone? E dire che non mi è mai sembrato molto intraprendente. L’hai incontrato, deduco. -
- È stato lui a dirmi dove trovarti. -
- Sempre il solito chiacchierone. - sbuffò nostalgico, - All’epoca era un povero elfo che aveva avuto la sfortuna di trovarsi nel posto sbagliato al momento sbagliato. Era riuscito a nascondere di essere stato morso alla sua famiglia, ma non aveva il controllo delle sue pulsioni. Quando arrivai a Ferwal, lo vidi in una locanda del centro, mi sedetti davanti a lui e gli ricordai che mi doveva un favore. -
- Perché l’avevi risparmiato. - indagò Rachel.
- Non c’era una taglia sulla sua testa all’epoca del nostro primo incontro e lui non mi sembrava così pericoloso da meritare di morire. Comunque, si ricordava perfettamente di me e delle minacce che gli avevo rivolto prima di andarmene, ma nonostante tutto negò di essere al servizio della Matrona. Avrei potuto metterlo sotto torchio, ma preferii aspettare che mi guidasse lui fino al castello. D’altronde, prima o poi sarebbe dovuto tornare. Dopo una settimana di appostamenti, lo seguii attraverso la palude, percorrendo la sua stessa strada passo a passo. Sai, allora non c’era nessun indovinello e gli unici a conoscere la strada erano i servi più fedeli di Seanna. Avevo già escogitato un piano, certo che lei non fosse diversa da tutti gli altri vampiri con cui mi ero misurato, ma quando varcai la soglia del castello non ebbi nemmeno il tempo di sguainare la spada. Tua madre, ancor prima di essere un vampiro, era una maga e aveva passato tutti i secoli precedenti a studiare gli incantesimi più disparati. Non le fu difficile sconfiggermi. -  ridacchiò e scosse la testa, - Non so quanto tempo passai nelle sue prigioni, giorni, settimane, forse mesi, non aveva importanza, il tempo aveva smesso di esistere per me. Poi, una mattina Seanna venne nella mia cella e mi morse senza che io potessi opporre resistenza. All’inizio non sentii nulla, ma poi, pian piano… beh, spero non ti capiti mai di essere morsa da un vampiro puro. -
- So solo che è molto doloroso. -
- Già. -
Incrociò le braccia al petto e spostò i capelli per mostrare due piccoli fori rossi.
- Persi i sensi. Per la prima volta in vita mia desiderai davvero di morire, pregai che la Dama Nera mi venisse a prendere per porre fine a tutto quel dolore, ma ogni volta che la sentivo vicina il mio corpo riprendeva a lottare. Quando mi risvegliai, notai che la temperatura era diventata più mite e la primavera aveva già sciolto la neve. Seanna tornò nella mia cella e mi disse che aveva cancellato una parte delle Rune del Comando e che ero diventato un vampiro. -
- Non è possibile cancellarle, non una volta che si sono cicatrizzate. - obiettò Rachel sbalordita.
- Anch'io non le credetti, ma quando mi osservai allo specchio, mi resi conto che non mi stava prendendo in giro. Non erano completamente sparite, però sentivo molto meno il loro influsso. Inoltre, mi ero unito completamente con il vampiro che era in me e mi erano stati restituiti pure i sentimenti. -
- Non è possibile. -
- Lo stai sperimentando sulla tua stessa pelle. -
Rachel non replicò, non avrebbe avuto senso negare, anche se in quel momento avrebbe tanto voluto non sentire niente per avere la mente sgombra e riflettere sulla situazione. Invece si trovava in balia della confusione, sommersa da sensazioni di cui aveva solo sentito parlare. Riconobbe una di queste macchie di colore, era una cosa che Samuelle le aveva descritto quando finalmente si era tolta le bende dal viso: sollievo. Comprese di non essere strana o un esperimento fallito, di non essere sola in tutto quello, e come per magia percepì un grosso peso scivolarle via dalle spalle.
Lehcar sorrise lievemente e riprese: - All’inizio la odiai per quello che mi aveva fatto diventare. Non nego di aver più volte pensato di ucciderla, magari durante il giorno, quando il suo potere era meno forte, ma capii ben presto che non sarei riuscito comunque a scappare: se non mi avesse ammazzato lei, sarebbero stati i suoi seguaci. Così mi arresi a vivere con lei e ad obbedire ai suoi ordini. Alla fine, mi dicevo, non era poi tanto diverso dal combattere al soldo della Dogma. Tuttavia, Seanna non mi obbligava a fare nulla. Solo una volta mi mandò assieme ad Andrzej in città a sedare una rivolta e poi a controllare come stava suo figlio Qayin, che sarebbe anche il tuo fratellastro. La maggior parte del tempo la passavamo insieme, o meglio lei mi cercava per parlare. Era una gran chiacchierona, sai? Poteva aprire una dissertazione filosofica sul perché il cielo era azzurro e continuare per ore, interrogandosi su quali fossero i motivi per cui un dato fenomeno aveva luogo. La sua sete di conoscenza era insaziabile. Non mi resi conto subito di quanto fosse diversa, ma pian piano il mio odio per lei cominciò a svanire, così come la mia voglia di scappare e tornare a essere uno Slayer. Poi un giorno mi resi conto che mi piaceva la sua compagnia, era bello discutere, farsi domande e cercare le risposte per il puro gusto di farlo, e non perché era necessario per portare a termine il mio dovere. Ritrovai quella parte umana che l’Essenza dell’Anima mi aveva strappato e, inevitabilmente, mi innamorai di lei. -
Si lasciò ricadere pesantemente sul trono e si passò una mano sul viso, con le spalle incurvate da un peso invisibile.
- Cosa è successo dopo. - insisté Rachel.
Lehcar si raddrizzò. Ora sembrava solo un uomo stanco, inerme e abbattuto. Un guerriero che aveva perso la battaglia e il suo regno.
- Seanna era già incinta di te quando arrivarono. Io ero andato e Ferwal a prendere Qayin, poiché tua madre voleva rivederlo e raccontargli perché lo aveva lasciato, ma non feci in tempo a bussare alla porta dei suoi genitori adottivi, che Andrzej corse da me per avvertirmi che una squadra di Slayer era penetrata di forza nella foresta e avevano assediato il castello. Corsi più velocemente che potevo. Sapevo di essere in svantaggio con tutti quei cacciatori, però volevo che almeno voi vi salvaste. Combattei contro i miei vecchi compagni e mi feci strada tra i loro corpi, ma erano troppo numerosi e troppo forti. Mi scontrai poi con una mia vecchia conoscenza, un cacciatore abile, ma non quanto me. Eravamo stati partner durante molte missioni, ma in quel momento non importava. Lo odiavo, lo odiavo dal profondo della mia anima perché, per quanto gli urlassi di fermarsi, lui continuava a incalzarmi e ad esortarmi ad arrendermi. Più di una volta individuai una falla nella sua difesa, eppure non fui in grado di ucciderlo. Poco dopo, mi furono addosso, mi disarmarono e mi inchiodarono a terra. Catturarono me e Seanna e ci portarono alla sede centrale della Dogma, a Dranlon. Pensavo ci avrebbero ucciso, ma quando ci misero nella stanza delle torture capii che quello che cercavano da noi erano informazioni, lo capii nell’esatto momento in cui cominciarono a infilarmi dei pezzi di legno ardenti sotto le dita, domandandomi dove fosse il portale. Andò avanti per circa tre giorni. Gli Slayer sopravvissuti all’assalto si davano il cambio tra un’ora e l’altra e ogni volta mi chiedevano la stessa cosa. Per ogni mio “no” mi veniva staccato un dito, rotto un osso, reciso un legamento. Le pareti erano spesse, ma non abbastanza per i nostri sensi acuti. Lei poteva sentire le mie urla e io i suoi singhiozzi come se fossimo stati nella stessa stanza. Alla fine, Seanna cedette e disse loro che il cerchio di acquamarina era il portale. -
Gli occhi di Rachel luccicavano alla luce del tramonto. Serrò la mascella, inspirò profondamente e sentì il sangue affluire al viso e pulsare violento nelle tempie.
- Pensavo fosse un’illusione. -
- Seanna non me ne aveva mai parlato e io non ho mai approfondito, dando per scontato che fosse solo il frutto di una qualche magia delle fate. In realtà, quello era un portale costruito dagli Imperiali e doveva permettere loro di viaggiare tra le dimensioni. Non mi ero mai preso la briga di chiedermi perché la Dogma stesse cercando questi ruderi e quando lo scoprii ero già scappato e tua madre già morta. - chiuse gli occhi, strinse i pugni e scosse il capo come a scacciare delle immagini orribili, poi tornò a raccontare con voce tremante, - Ricordo che la trascinarono sotto il sole cocente, la legarono a un palo e mi obbligarono a guardare mentre bruciava. Fu un processo lungo, doloroso, straziante, quasi quanto le sue grida disperate. Non appena lo ritennero opportuno, la tirarono giù. Un alchimista le aprì il ventre con un falcetto e ti tirò fuori dal suo corpo ancora vivo. -
Rachel strinse ancora di più Sebastian al petto, mentre un sordo dolore al petto le mozzava il fiato.
- Sono scappato come un codardo due giorni dopo. Lo Slayer che faceva la guardia era giovane e inesperto, l’ho attirato nella cella con una scusa e gli ho spezzato il collo. Poi mi sono gettato a rotta di collo attraverso quel dedalo di corridoi stretti e claustrofobici che una volta erano la mia casa. Sono fuggito infischiandomene di tutto il resto, non ho nemmeno provato ad andare a controllare se tu o Seanna foste ancora vive. Sono semplicemente andato via e i miei piedi mi hanno di nuovo condotto in questo dannato castello. - mormorò con voce rotta, scoccandole un'occhiata carica di rimorso e senso di colpa.
- Perché. -
- Non lo so. Forse perché le fate potevano ancora darmi l’illusione che Seanna fosse qui, o forse perché consumarsi nel luogo dove avevo ottenuto e perso tutto era la giusta punizione per un crimine inespiabile. Non ti chiedo di perdonarmi, Kreilel, non mi merito altro se non il tuo disprezzo. Vorrei solo che tu non fossi una Slayer. -
- Non posso essere altro. - rispose con voce atona.
- No, ti sbagli. Questo è quello che la Dogma vuole farti credere, perché per loro è più facile se ti convinci che il destino ti sia già stato cucito addosso, che le tue chiavi non possono aprire nessuna porta. - le andò vicino e le strinse le spalle, - C’è sempre un’alternativa. -
Rachel sorrise involontariamente a quel contatto e un piacevole calore la pervase ovunque.
All'improvviso la porta si aprì e Maxwell e Alan entrarono nella stanza, il primo con un ghigno soddisfatto sulle labbra, l’altro con i capelli scompigliati e un brutto livido sull’occhio destro, più altri svariati segni di lotta sparsi sul viso e su ogni parte del corpo scoperta.
- Avete finito con la riunione di famiglia? Il ritardato vuole parlare con te. - esordì Maxwell ammiccando a Lehcar.
Alan si fece avanti. Sbatté le palpebre sorpreso alla vista delle mani di Lehcar sulle spalle della sua compagna, ma decise di rimandare le spiegazioni.
- Max mi ha detto che sai qualcosa sui Viandanti. È vero? -
Lehcar lo squadrò per interminabili secondi, studiandolo con attenzione. Non appena Maxwell gli fece un cenno di assenso, decise di parlare.
- Quando tornai qui, mi rifugiai nella biblioteca di Seanna in cerca di risposte. È così che ho appreso dell’esistenza del portale. A quanto pare, durante l’Era del Fuoco gli Imperiali vollero provare a costruire dei passaggi per spostarsi da una dimensione all’altra, ma non ottennero nulla. Almeno finché sul corpo dell'imperatore Terrasen I non apparve una runa sconosciuta. -
- Una runa sconosciuta? -
- Sì. L’alfabeto runico ne conta ufficialmente solo ventiquattro, ma in realtà ve ne sarebbe una venticinquesima: Raedo. La sua funzione rimase ignota fino alla prima adolescenza del giovane imperatore, allorché davanti a tutta la corte egli sparì nel nulla, per poi ritornare un istante dopo coperto di brina e ghiaccio. -
- È solo un aneddoto. - sbuffò Alan.
- Non so se sia una fantasia o meno, so soltanto che questa runa esiste e che è stata usata per costruire i portali. Perché mi guardi così? Non mi credi? -
- Mi viene difficile senza uno straccio di prova. - commentò ironico.
- Non ti sei mai chiesto perché talvolta sogni cose che sono già accadute? O cose che si verificano subito dopo, magari a distanza di qualche giorno? - lo provocò Lehcar.
Alan impallidì: - Come fai a saperlo? -
- Perché è un fenomeno che accade a tutti gli Slayer, nessuno escluso. Le Rune del Comando sono formate da sei caratteri: Thurs, Ur, Iss, Algiz, Tyr e infine Perth, il segreto. Quando Seanna ha cancellato quest'ultima, al di sotto c'era Reid, il viaggio. Per quale motivo un incantesimo di semplice controllo dovrebbe includere una runa che garantisce protezione durante i viaggi? -
- Dove vuoi arrivare? -
- I piani alti della Dogma sono sempre stati ossessionati dalla ricerca di questi portali. Non so a cosa servono, ma sono più che certo che gli Slayer siano cavie, in principio nate con lo scopo di proteggere l’umanità dai mostri, mentre adesso per ricreare i Viandanti, gli unici capaci di attivare i portali e spostarsi attraverso lo spazio e il tempo. Reid deriva da Raedo, è una variante sporca, immensamente più debole dell’originale. -
Rachel fece saettare lo sguardo su Alan. Loro erano Sannan, non avevano le Rune del Comando, eppure entrambi potevano sognare, vedere il passato e, forse, anche il futuro.
- Tutto ciò non ha senso. - si intromise, ma l’espressione seria di Lehcar non lasciava adito a dubbi.
Maxwell si fece avanti e si tolse la maglia, mettendo in mostra le Rune del Comando impresse a fuoco sulla schiena.
- Non sta mentendo. - con la mano toccò la cicatrice alla base della schiena, - Non si vede più molto bene, ma quando ho perso il controllo anche la mia capacità di sognare se n'è andata. Quando poi sono riuscito a tornare in me, Lehcar ha confermato i miei sospetti. -
Alan si massaggiò la testa e trasse un profondo respiro: - Va bene, aspetta un attimo. Hai parlato al plurale, hai detto “Viandanti”. -
- Corretto. I testi antichi non sono precisi, ma i libri che Seanna aveva raccolto parlavano di quattro Viandanti, due capaci di muoversi nel tempo, altri due nello spazio. Purtroppo non so dirti molto, non c’erano sufficienti informazioni a riguardo. L’unica cosa di cui ho certezza è che chiunque abbia ricevuto questo potere possiede la runa di Raedo sul corpo. E la Dogma li sta cercando. -
Rachel scorse Alan sussultare. Quando lo aveva pedinato ad Hargitay, lo aveva visto fare domande in giro a proposito di una certa Eluaise e anche durante la notte che avevano passato da Samuelle lo aveva di nuovo sentito nominare quella donna. Sembrava tenerci molto e, a giudicare dalla tensione dei suoi muscoli, doveva essere preoccupato.
- Tu sai dove si trovano? Sto cercando Eluaise, temo che sia invischiata in qualcosa di grosso, temo che... -
- No, mi dispiace. Se Seanna fosse ancora viva, avremmo potuto chiedere a lei, sicuramente avrebbe saputo aiutarti. - rispose Lehcar con un sospiro.
Nel frattempo, all'esterno si era scatenato un temporale e la stanza era piombata nella semioscurità, un grigiore che gettava sull'ambiente un alone cupo. Lehcar si incantò ad osservare le leggere goccioline d'acqua che si infrangevano e scivolavano lungo il vetro della finestra.
- Se la tua Eluaise sta tentando di scappare dalla Dogma, avrà preso la prima nave diretta a Narmalyana. - dichiarò sicuro.
- Non ci arriveremo mai, i Giardinieri Grigi ci fermeranno al confine con la Waldstӓtte. -
A quel punto Maxwell ghignò e gli diede una pacca sulla spalla: - Non ti preoccupare, c'è qualcuno che mi deve ancora un favore a Dranlon. -
- Bene, allora mi accompagnerai fino a lì e… -
- Accompagneremo. - lo interruppe Rachel.
Sebastian aveva ripreso a muovere le alette meccaniche e adesso svolazzava sopra la testa di Alan, emettendo i soliti sbuffi dalle cannule ramose.
- Quello che la signorina intende è che anche lei verrà con te. Pensa che potrà esserti utile il suo aiuto. -
Il cacciatore la squadrò perplesso, ma Rachel raccolse le sue Bladegun e le rinfoderò con aria impassibile. Non era necessario che Alan scoprisse perché aveva deciso di seguirlo. Nessuno l’avrebbe fermata dal raggiungere il suo obiettivo.
- Andate ora. Le fate vi scorteranno fuori dalla foresta. - li incoraggiò Lehcar.
Senza aggiungere altro né salutare, Alan e Maxwell uscirono a passo svelto.
Quando si accinse a seguirli, Rachel venne bloccata per le spalle e in un attimo si trovò prigioniera di due braccia forti, la schiena premuta su un torace ampio e muscoloso. Eppure non si sentiva in trappola, anzi. Quell'abbraccio era carico di tristezza, solitudine e affetto, poteva quasi avvertirli strisciare sotto la pelle. Gli occhi cominciarono a pizzicare in maniera fastidiosa.
- Lasciala andare, Kreilel. -
- Non posso arrendermi. -
Udì Lehcar sospirare contro il suo collo e credette che si sarebbe allontanato con un'espressione delusa stampata in faccia, ma inspiegabilmente lui rimase lì e la strinse ancora di più.
- Il tuo nome lo ha scelto tua madre, ma sono stato io a scriverlo sulla sua pancia, così che fossi solo tu a conoscerlo. E sai cosa ho pensato in quel momento? -
- Cosa. -
- Che era il nome adatto alla creatura che aveva ridato speranza alla mia vita. Non sprecare la tua, Kreilel. -
Rachel restò in silenzio, combattuta. Poi, lentamente, scivolò via dalle braccia di suo padre. Varcò la soglia accompagnata da due fatine con le ali azzurre di farfalla e non si voltò mai indietro, anche se avrebbe desiderato affogare nello sguardo colmo d'amore che le accarezzava la pelle.
 
  
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