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Autore: Sakurina    16/04/2016    5 recensioni
Dopo la devastante battaglia finale contro Papillon, Ladybug scompare nel nulla, lasciando Adrien nella disperazione.
Affranto, pentito e sconsolato, Adrien si trascina di giorno in giorno, finché un giorno Marinette torna a scuola.
Ma la situazione non è quella che Adrien si aspetta...
[Basically Adrinette]
Genere: Drammatico, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Adrien Agreste/Chat Noir, Marinette Dupain-Cheng/Ladybug
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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CHAPITRE 3.
 


 
“Maestro, Tikki è...?”
“No, mia cara. Scusa se ti disturbo a quest’ora ma in realtà... è per Adrien. È ridotto piuttosto male.”
 “Arrivo subito!”

 


10 ore prima...
Adrien salì in auto, rabbrividendo.
Dopo aver prestato il suo ombrello a Marinette, percorse il tragitto che lo separava dall’auto molto lentamente, percependo la pioggia fredda battergli sulla pelle, i capelli, i vestiti. In prossimità della portiera rallentò il passo, come se sperasse che il gelo della pioggia filtrasse fino a giungergli nell’anima, al centro del petto, desiderando che tutto il dolore che provava in quel momento potesse congelarsi e ibernarsi lì, per sempre.
Nathalie lo salutò e gli chiese qualcosa, ma lui non ci fece caso e la ignorò, cominciando a fissare il mondo uggioso al di là del finestrino. Non era giusto. Marinette lo trattava come se la colpa di tutto fosse unicamente sua, ed in parte era sicuramente vero, però lei non faceva nulla per venirgli incontro: aveva eretto un muro di rovi spinosi che gli impedivano di avvicinarsi a lei per spiegarle com’era davvero andata, per cercare di conquistare almeno una parte della sua empatia per riavvicinarla.
Nemmeno a casa riusciva a stare bene. Quella prigione era diventata ancora più asfissiante dopo la scomparsa di suo padre. Non lo credeva possibile. Non appena la porta della sua cameretta gli si fu chiusa alle spalle, Adrien ebbe uno scatto di ira che gli fece rovesciare a terra tutto ciò che gli capitava a tiro, finché non gli finì in mano il cellulare. Lo fissò per qualche secondo, esitante. Fece scorrere la rubrica telefonica e il suo dito si fermò immediatamente sul numero di Marinette. D’impulso, fece per premere il tasto di chiamata, ma all’ultimo momento deviò la traiettoria del suo polpastrello, premendo invece il numero sottostante.
Dopo mezzo squillo, un’allegra voce maschile rispose.
“Che succede, bro? Sarà un secolo che non mi chiami!” gli disse Nino dall’altro capo del telefono.
“Hai ragione, Nino. Per farmi perdonare stasera ce ne andiamo a divertirci. Che ne dici?”
“Cosa dico?! Alla grande amico! So giusto di una festa fantastica qui a Parigi. Ti passo a prendere io!”
“Fammi capire… hai il cuore a pezzi e quindi esci a festeggiare il lieto evento?” gli chiese Plagg con tono ironico, mentre dall’alto di uno scaffale si gustava un maleodorante pezzo di Camembert.
Chiudendo la chiamata, Adrien gli rivolse un sorrisino forzato.
“Si chiama ‘distrarsi’, Plagg. Sono sicuro che staccare un attimo il cervello non potrà farmi altro che bene. Ne sono sicuro.”

 

 
5 ore prima (e 5 dopo la telefonata)...

 
 “Ero sicuro che queeeeesta coooosaaaa non sarebbe andata beeeene. Loooo sapevo.” Sbiascicò Adrien, abbracciando una fredda statua di marmo dalle forme sinuose.
Di fronte ad Adrien si estendeva un giardino rigoglioso, ricolmo di alte piante verdeggianti e di archi fioriti. Ricordava che Nino gli aveva parlato di una mega festa in una lussuosa villa alle porte di Parigi. Si ricordava l’entrata incredibile della villa – che a confronto di casa sua pareva una reggia, doveva ammetterlo – e della festeggiata, Claire, una sottospecie di Chloé numero 2. Poi ricordava solo l’odore di alcol, i litri di vodka e di rum e di qualsiasi altra robaccia Nino l’abbia convinto a ingerire. Le gare di freccette alcolica, il torneo di scacchi alcolico, la sfida a poker alcolica. Le ragazze gli morivano letteralmente addosso, qualcuna stesa dal suo fascino, qualcuna stesa dalla tequila.
E poi tutto diventava confuso e nebuloso.
Una massa informe di momenti fugaci di risate prive di senso di scalini che spuntavano all’improvviso e di coppiette che si imboscavano negli angoli appartati a pomiciare e insomma lui era un po’geloso di quelle coppiette perché lui e Marinette non avevano mai avuto occasione di comportarsi come due semplici adolescenti ma avevano sempre dovuto fare i supereroi e comunque Marinette era Ladybug e Ladybug non si era mai lasciata andare minimamente a tutte le sue avances e insomma era complicato e avrebbe dovuto anche smetterla di pensare a tutte quelle cose ma i pensieri gli riempivano il cervello come una cascata senza fine ed era come se la sua mente vomitasse ricordi di lui e Ladybug e la verità era che non era solo il suo cervello a vomitare in quel momento perché la nausea era troppo forte e va beh insomma vomitare in un vaso di fiori non era poi così grave
Dal vomitare in un vaso di fiori Adrien era passato col ritrovarsi abbracciato a quella bella statua bianca. Il ragazzo appoggiò la testa contro il seno di marmo della statua e, non appena la superficie fresca ebbe incontrato la sua fronte sudata, iniziò a sentirsi immediatamente meglio. 
“Devoooo proprio trovarti una ragazza.” Commentò Nino, sbucando improvvisamente alle spalle di Adrien.
“Ioooo… vogliooo… Ladybuuug…” sbiascicò il biondino, strusciando la fronte contro il seno della statua.
“Ahahah, beh, dire che sei già a posto allora!” scoppiò a ridere Nino, inciampando e finendo a terra, dove continuò imperterrito la sua risata ubriaca.
“Ma cosa…?” chiese Adrien, staccando lievemente il volto dalla statua per capire chi ritraesse. “Ladybug…?” trasalì il ragazzo, allontanandosi con un balzo dalle sinuose forme di marmo di quella finta Ladybug.
Non si era minimamente accorto di aver abbracciato per tutto quel tempo una statua dell’eroina, e a ragion veduta: le forme di quella Ladybug in marmo erano decisamente troppo accentuate, a tratti anche volgari.
“Questa non è Ladybug…” commentò con una smorfia schifata il ragazzo, dando immediatamente le spalle alla raffigurazione dell’eroina.
“È Ladybug dopo il chirurgo plastico!” rise nuovamente Nino, prima di addormentarsi di colpo sul pavimento.
Adrien si allontanò dalla statua stizzito, immergendosi nella vegetazione rigogliosa del giardino, barcollante. La nausea era fortissima e la testa girava come se avesse una trottola al posto del cervello. Giunse in un angolo buio del cortile, attirato dal dolce suono dello scorrere dell’acqua. Una piccola cascatella artificiale scorreva lungo la parete di pietra del giardino, riversandosi in un piccolo stagno artificiale. Adrien si fermò a fissare il riflesso della luna che illuminava la piccola cascatella: non poté fare a meno di ricordare la caduta di suo padre nella cascata, e poi ancora Ladybug che diventava Marinette, e tutto il suo mondo che si sgretolava davanti ai suoi occhi.
Improvvisamente, una lieve increspatura dell’acqua gli fece notare che c’era qualcosa che si muoveva nel piccolo stagno: una grossa tartaruga nuotava placidamente, padrona indisturbata dello specchio d’acqua. Adrien sorrise lievemente, ma immediatamente un’idea gli fulminò la mente con un lampo che squarcia le tenebre. Ma certo, la tartaruga! Come aveva fatto a non pensarci prima…
Doveva solo uscire da quel posto e… ma come diavolo faceva a uscire da lì?

 

 

Qualcuno bussava insistentemente alla porta, anzi sembrava quasi che… grattasse?
Chi poteva essere a quell’ora di notte?
L’anziano maestro si alzò dal suo futon lentamente, dirigendosi verso la porta accompagnato dal fedele piccolo kwami della Tartaruga.
“Maestro, chi potrà mai essere? Avverto un potere familiare…” asserì il piccolo Wayzz, sospettoso.
Il Maestro Fu non badò alle parole del suo aiutante, ma si limitò a sospirare, esasperato.
“Sarà solo un povero gatto in amore…” lamentò il Maestro Fu, aprendo la porta con uno scatto secco.
Si trovò di fronte la silhouette sinuosa di Chat Noir che, facendo ruotare la coda con fare spavaldo, lo salutò con un sorriso sghembo.
“Miaaaao, Maestro Fuuuuu” esordì il ragazzo, regalando un’alitata carica di alcol che fece tossire il Maestro. “Posso entrare?” gli chiese poi, ma era già praticamente entrato nel salone dell’abitazione orientaleggiante.
“Chat Noir, mi sembra superfluo ricordarti che i tuoi poteri dovrebbero essere adibiti unicamente alla protezione del prossimo” iniziò con tono di rimprovero il Maestro, mentre si avvicinava al giovane eroe che aveva preso ad analizzare ogni oggetto della stanza.
“Sìììì sìììì lo soooo… solo che ero intrappolato, inscatolato come il gatto di Schroedinger, a proposito esiste in Cina il gatto di Schroedinger? Sa, a volte mi sento proprio come il gatto di Schroedinger, sia vivo che morto, un limbo senza uscita” iniziò a delirare il ragazzo, ancora vittima dei fumi dell’alcol. “E quindi sono venuto qui perché insomma, ero alla festa e c’era una statua di Ladybug ma non era davvero lei, capisce?”
Il Maestro gli rispose inarcando un sopracciglio, perplesso e scettico.
“E quindi lei non era Ladybug, e non voglio che Marinette non lo sia più, perché io e lei siamo una coppia di eroi perfetti e… Tikki è qui no? Volevo sapere come stava, perché se Tikki sta bene allora possiamo convincere Marinette a tornare ad essere Ladybug e poi puff, tutto finito, tutto a posto come prima! No?” continuò Chat Noir, camminando avanti e indietro come un ossesso.
Fu sospirò, sedendosi stancamente su una poltrona e incrociando le mani con fare esasperato.
“La prego Maestro, io—“
“Puoi calmarti solo un secondo, ragazzo?” sospirò il Maestro, invitandolo a sedersi accanto a lui.
Chat Noir si sedette goffamente su un bracciolo della poltrona, rischiando dapprima di cadere per via del suo equilibrio precario, poi incrociò le braccia e osservò l’anziano signore davanti a lui.
“Caro ragazzo, temo che Marinette non mi abbia detto tutta la verità. Mi ha detto che non le rivolgevi più la parola per quello che era accaduto a tuo padre per colpa sua” iniziò Fu, massaggiandosi lentamente il pizzetto.
“No! No, non è vero! Io mi sono depresso senza di lei e-e-e lei da quando è tornata dalla Cina mi evita come la peste!” protestò il ragazzo, balzando in piedi.
“Capisco…”
“Cosa capisce? Faccia capire anche a me, perché io non ci sto capendo più niente, nonnetto!” sbottò Chat Noir, accasciandosi sulla poltrona con fare esausto.
“Cosa ti ha detto di Tikki, esattamente?” chiese Fu.
“Cheeee… si sta riprendendo!”
“Mh. Mi spiace, ma non è così.” Asserì con voce grave il maestro. “In realtà, Tikki sta morendo.”
A quelle parole, Chat Noir balzò nuovamente in piedi, impallidendo.
“Come sarebbe a dire? Marinette mi ha detto che…”
“Marinette si sta nascondendo dietro un muro di bugie per non ferire nessun altro oltre a sé stessa, Adrien” disse il Maestro e, con uno schiocco della dita, sciolse la trasformazione di Chat Noir, richiamando anche Plagg nella stanza.
“Ma è terribile Maestro! Tikki non può morire!” trasalì il piccolo kwami nero, allarmato.
“Esattamente, Plagg…” sospirò il maestro “Se Tikki muore, l’equilibrio delle forze della natura verrà incrinato in modo irreparabile. Per questo Marinette è alla ricerca della Fonte, una sorgente di energia rigenerativa che permetterà a Tikki di rimettersi completamente in forze. Dobbiamo pregare affinché ci riesca, perché altrimenti… la soluzione diventerebbe drammatica.” Spiegò il Maestro, preoccupato.
“Ma Maestro, un kwami può passare la propria energia ad un altro kwami, non è vero?” domandò Plagg, preoccupato.
“Certo, Plagg, ma il potere di Wayzz non è sufficiente per ridare energia a Tikki, che è il kwami più potente di tutti insieme a te.”
“Beh, se è così prenda lui!” asserì Adrien, afferrando Plagg per la collottola e porgendolo al Maestro.
“Ahimè, non è possibile mischiare il karma della Fortuna con quello della Sfortuna. Non si può fare, mi dispiace” abbassò lo sguardo il Maestro, scostando Plagg con fare infastidito.
“E quindi Maestro Fu, cosa farà? Lascerà morire Tikki?” domandò Plagg.
“No, assolutamente, in quanto Maestro ho giurato di dare la vita pur di proteggere l’equilibrio degli elementi. Se solo la mia forza vitale non fosse ormai così avvizzita e stanca, avrei donato la mia vita per salvare quella di Tikki” continuò Fu, demoralizzato.
“La sua… vita?” domandò Adrien, sedendosi nuovamente sulla poltrona. Ora che la trasformazione era annullata, si sentiva stanchissimo e i sintomi della sbronza ricominciavano a farsi sentire più forti di prima.
“Già, Adrien. Un kwami può essere riportato in forze tramite il sacrificio di una vita umana, il cui spirito sia particolarmente forte e ricco di energia, ecco perché…” sospirò il Maestro, fissando Adrien intensamente negli occhi. “…ecco perché se Tikki non dovesse farcela, se non riuscissimo a trovare la Fonte in tempo, sarà Marinette a donare la propria vita per salvare quella della sua piccola kwami. Ecco perché non tornerà più ad essere Ladybug: perché si sacrificherà affinché possa esserlo qualcun altro”.
Adrien aprì la bocca, avvertì una nausea devastante risalirgli la gola, richiuse le labbra, le riaprì e le richiuse. Percepì il sangue ritrarsi dai capillari del viso, il sudore freddo iniziò a imperlargli la fronte, la gola si fece secca e impastata. Si alzò barcollante, vittima di una sensazione inspiegabile: rabbia, shock, paura, freddo, caldo, nausea, orrore, ansia, impotenza, debolezza, devastazione, inettitudine…
“Adrien, forse è meglio che tu ti sdrai un attimo” lo invitò il Maestro, avvicinandosi al ragazzo che intanto si era alzato in piedi.
Barcollante e pallido, Adrien si avvicinò alla finestra: aveva bisogno di aria fresca, aveva bisogno di uscire da quell’ennesima scatola di Schroedinger in cui si era infilato… aveva bisogno di capire se era vivo o morto.
“No… stammi lontano… com… come puoi…” ancora quella sensazione di soffocamento, come se qualcuno gli stesse premendo un pezzo di cellophane in faccia “…come puoi chiederle di far…e… questo… io non lo… permett…”
“Adrien, sdraiati.”
“NO! STAMMI LONTANO!”
“Non te lo sto chiedendo, Adrien. Fallo e basta.”
Con un rapido movimento, il Maestro aggirò il ragazzo e, approfittando dei suoi sensi offuscati dall’alcol, lo stese con un colpo da “maestro”.
Tutto ciò che Adrien percepì fu un potente colpo al collo, il pavimento duro sotto di sé e poi il mondo venne inghiottito dall’oscurità, come se qualcuno lo stesse rinchiudendo in una scatola.
 


Il risveglio fu strano. Un brusio fastidioso l’aveva destato. Non ricordava di aver dormito né di aver sognato. Era come se fosse andato in stand-by per un po’ di tempo, non riusciva a quantificare quanto. La testa gli faceva malissimo, una massa dolorosa e pesante appoggiata al suo collo, di cui non riusciva a ricordare l’utilità. Era sdraiato a terra, ma il pavimento sotto di lui era morbido, ed era avvolto da qualcosa di caldo. Gli ci volle qualche secondo per capire di essere adagiato su un futon, e gli ci volle un lieve movimento del collo, seguito da un forte dolore alla cervicale, per ricordare che il Maestro Fu l’aveva mandato a tappetto. Quel vecchietto se la cavava ancora egregiamente.
Adrien chiuse gli occhi e finalmente riuscì a capire cosa fosse quel brusio fastidioso: erano delle voci, una maschile e una femminile, che in un tono sommesso sembrano discutere al di là della porta della camera.
“Ubriaco? Ubriaco?! E si può sapere cosa è venuto a fare qui?!”
“Marinette, sono sicuro che se fossi stata sincera fin dall’inizio con lui...”
“Sincera?! Come avrei potuto esserlo?! Oh, guarda Adrien che se Tikki non si risveglia ho deciso di sacrificarmi per la causa. Non penso che l’avrebbe presa benissimo. O forse sì, non lo so, ma non credo...”
“Beh, ad ogni modo la situazione va gestita diversamente... tu e Chat Noir siete comunque una squadra, dov—“
“No! No Maestro Fu! Forse prima sì, ma ora che so che Chat Noir è Adrien... beh, semplicemente no!”
“Marinette, io capisco...”
“No, lei non capisce, Maestro... avrebbe dovuto interpellarmi prima di spifferare tutto ad Adrien!”
“Beh, onestamente dato il livello alcolico nel suo sangue, non mi stupirei se domattina non si ricordasse più nulla...”
Marinette tirò un profondo sospiro e, senza aggiungere altro, aprì lentamente la porta scorrevole che portava alla camera da letto. Adrien chiuse immediatamente gli occhi, fingendo un sonno profondo.
Il ragazzo percepì l’amica richiudere la porta, per poi avvicinarsi a lui con passi leggeri. L’avvertì inginocchiarsi al suo fianco, la sentì sospirare, percepì la sua piccola e delicata mano accarezzargli con dolcezza i capelli biondi. Quel contatto fu troppo.
Con uno scatto felino, Adrien la afferrò per le braccia e, con uno strattone, la attirò a sè, contro il suo petto, stringendola in un’abbraccio stritolante.
“A-ADRIEN?!” sobbalzò lei, imbarazzata.
Allarmato dall’urlo, il Maestro Fu aprì la porta, paralizzandosi però immediatamente non appena vide i due sdraiati uno sopra l’altro.
“Scusate. Fate pure con comodo.” Si congedò, richiudendosi la porta alle spalle.
“M-MAESTRO FU?!” trasalì Marinette, imbarazzatissima. “A-Adrien, cosa ti prende?!”
“Non ti lascerò andare ancora” le sussurrò Adrien, stringendola ancora più forte, un braccio intorno alle spalle e uno intorno all’esile vita.
Il corpo irrigidito di Marinette iniziò a lasciarsi andare lentamente, sciogliendosi nell’abbraccio del ragazzo e lasciando che la sua testa si appoggiasse sulla spalla di Adrien.
Il ragazzo non riusciva a guardarla in faccia da quella posizione, riusciva solo a percepire il dolce profumo dei suoi capelli e il petto della compagna stretto contro il suo, i loro cuori che battevano all’unisono.
“Adrien, io...” cercò di dire Marinette, ma Adrien la zittì dolcemente, facendo scorrere la mano dalla spalla verso il collo, risalendo dolcemente verso la nuca per accarezzarle i capelli. Percepì la ragazza gemere lievemente, il suo corpo longilineo scosso da un tremito, e la cosa non poté che rassicurarlo, spingendolo a non mollare la presa.
“Va tutto bene, Marinette. Non ti permetterò mai di sacrificarti per Tikki, non dopo quello che è accaduto per colpa mia. Domattina ci metteremo alla ricerca della Fonte e sono sicuro che andrà tutto bene. Non ti lascerò più fuggire via. Troveremo la Fonte, lo faremo insieme, come abbiamo sempre fatto. Nulla deve più dividerci, siamo fatti per combattere insieme, fianco a fianco. Senza di te non sono nulla, né da Chat Noir, né... da Adrien” le sussurrò dolcemente il ragazzo, percependo le calde lacrime di Marinette ricadergli sul collo e sulla maglietta. “Ti prego, torna a fidarti di me... my Lady.”
Marinette non rispose. Dopo qualche secondo passato in silenzio, la ragazza si limitò a sollevare leggermente la testa e ad avvicinare il suo volto a quello di Adrien.
Il ragazzo trasalì non appena avvertì il respiro caldo di Marinette sulle sue labbra.
“Adrien...” sussurrò Marinette, esitando un attimo prima di proseguire.

 


Ciao. Non odiatemi. <3 
Scusate il ritardo nell'aggiornare ma è stata una settimana lavorativa intensa (sob).
Spero di aggiornare al più presto. Grazie grazie a tutti per le vostre recensioni :3
Luv u!
  
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