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Autore: Jules_Weasley    17/04/2016    9 recensioni
Siamo nel Post Seconda Guerra Magica, qualche anno dopo la caduta di Voldemort: Hermione, tornata da un viaggio di qualche mese, bussa al negozio del vecchio Ollivander, con una richiesta molto strana. La sua vita non è come la vorrebbe e la guerra le ha fatto realizzare che ha una sola possibilità di essere felice, e non la vuole sprecare facendo quello che è opportuno o che ci si aspetta da lei. Ora, di nuovo in Inghilterra, decide di virare la rotta ed imparare a creare qualcosa con le proprie mani le farà riscoprire le piccole grandi gioie dell'esistenza. In tutto ciò dovrà anche fare i conti con una vita sentimentale... movimentata. Che fine ha fatto Ron? E quale sarà il ruolo di Fred nella sua vita? E quale sarà quello di Malfoy? Questa storia sarà una Fremione o una Dramione? O semplicemente la storia di una ragazza che cerca il suo posto nel mondo? Queste sono le domande, la risposta è la storia...
Genere: Angst, Commedia, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Draco Malfoy, Fred Weasley, Hermione Granger, Olivander | Coppie: Draco/Hermione, Fred Weasley/Hermione Granger, Harry/Ginny
Note: OOC | Avvertimenti: Incompiuta | Contesto: Dopo la II guerra magica/Pace, Da Epilogo alternativo
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CAPITOLO VENTIQUATTRO – Muri di gomma e foreste di legno





Alle sette e mezzo, dopo aver ricusato un invito di Draco via gufo, Hermione uscì dalla bottega, per niente desiderosa di tornarsene in quella che aveva creduto casa propria - se avesse putacaso incontrato Fred, non avrebbe proprio saputo cosa dire.

La strada buia e fredda le richiamava alla mente il momento di felicità che aveva provato quando Ollivander aveva accettato la sua insensata richiesta. La sera stessa si era verificato quello strano incontro tra lei e Fred, a casa di Harry – per la precisione, nel bagno di Harry.

In quel frangente, però, nonostante il freddo fosse lo stesso e il vento le sferzasse il viso in ugual misura, tutto si sentiva meno che felice. Arrivò a sperare che Fred fosse uscito con Sally, pur di non trovarselo di fronte. Il solo fatto di aver pianto per colpa sua, benché non vista, le faceva rabbia. Era rimasta ferita da un semplice, stupidissimo aggettivo possessivo. Casa mia.

Tentennò un attimo, sulla porta, quasi riconsiderando l'opzione di uscire con Draco, per poi scuotere la testa. Era talmente di cattivo umore che avrebbe rovinato la serata anche al Serpeverde. Voleva solo starsene in santa pace: Hermione, lei e se stessa – e magari un buon libro.

Infilò la chiave nella toppa ed entrò nell'ingresso buio e silenzioso. Nel richiuderla, sbattè forte la porta, provocando un gran fracasso. Udì una voce incerta provenire dal salotto.

"Granger?" Corti capelli rossi e occhi marroni, apparentemente contriti, fecero capolino sulla soglia della stanza.

Non tentò di ritrarsi, dato che ormai Fred la stava fissando. Le fece cenno di precederlo in salotto, come se parlare nell'ingresso fosse una cosa poco appropriata al momento. Hermione si chiese dove fosse finito il sorriso che Fred una volta sfoggiava in ogni occasione, perché erano giorni e giorni che non glielo vedeva comparire in volto. Era stata lei a togliergli quell'espressione che trovava fantastica? Se sì, era davvero giusto che la cacciasse, dopotutto. Hermione si rese conto con sgomento di non riuscire neppure più a governare i propri pensieri, che andavano ormai, sempre più spesso, a ruota libera.

Fred, nel frattempo, stava pensando a cosa dire; aveva moltissime idee in testa, ma nessuna opzione sensata su come esprimerle. Essere a corto di inventiva, per uno come lui, era una vera sconfitta.

Del resto, anche essere scavalcato da Malfoy era una vera sconfitta. Scosse la testa. Ormai aveva deciso; avrebbe chiesto a Hermione di rimanere. Non importava se l'avrebbe vista uscire con Malfoy giorno dopo giorno; era sempre meglio che rinunciare completamente a lei. Vivendoci insieme, almeno, poteva tenere la situazione 'sotto controllo', poteva provare a... riconquistarla...? Ma poi, si disse, l'aveva mai davvero conquistata? Improvvisamente, tutto ciò che aveva detto George quel pomeriggio e tutto ciò che aveva pensato di dover dire a Hermione, perse di senso. I contorni della situazione si sfumarono.

Vedeva solo la ragazza seduta di fronte a lui; notò il viso pallido e stanco, lo sguardo spento, i riccioli raccolti in una crocchia sfatta. Forse, la notte precendente, l'aveva passata in bianco, proprio come lui. La responsabilità era sua? Sperava proprio di sì, perché avrebbe significato che Hermione pensava a lui, che provava qualcosa. Come aveva detto a George, sapeva di piacerle, almeno un po'. Però gli aveva anche fatto presente che era con Malfoy che usciva, non con lui.

La ragazza tossicchiò, riportandolo alla realtà.

"Granger..." Hermione pensò che non fosse un esordio granchè confortante; aveva pronunciato il cognome con un tono funereo.

"Ti ascolto" rispose glaciale. Non ce la faceva proprio ad essere amichevole.

"Vedi..."

"Se è per ieri" lo interruppe, brusca, "me ne andrò il prima possibile". Lui sbattè le palpebre, confuso dalla piega improvvisa che il discorso aveva preso. George aveva ragione; la minaccia di Hermione di andarsene era un pericolo reale, più reale di quanto Fred avesse pensato fino a quel momento. "A quest'ora non posso trovarmi un albergo, Weasley" Fred non mancò di notare l'uso del cognome e il tono acidulo da cui era accompagnato. "Ti prometto che entro qualche giorno sarò fuori di qui".

"Stai farneticando" la zittì.

"Credevo avessi detto che non mi volevi tra i piedi".

"Io non ho..."

Si bloccò, di botto interessato alle vecchie pareti della stanza; osservò che andava proprio data una mano di bianco, prima o poi. Vedendolo ammutolito, fu Hermione a parlare.

"Ah, no?" lo rimbeccò. "Le tue parole suonavano esattamente come un non ti voglio tra i piedi!" Quasi gridò l'ultima parte della frase, perdendo la compostezza che si era ripromessa di mantenere.

Fred si era ripromesso di parlarle con calma e usare le parole giuste per portare acqua al proprio mulino – mai arrendersi, come diceva George – ma quella dannata ragazza gli rendeva il compito sempre meno facile.

"Sono stato poco cortese" ammise. "Ma da qui a dedurne che ti stessi mettendo alla porta, ce ne passa".

"Cortese?" sbottò Hermione. "Hai detto che questa è casa solo tua, verità, peraltro, oggettivamente inconfutabile" ammise. "Ora dici che non vuoi che me ne vada. Cosa diamine vuoi da me, Frederick?"

Gli occhi castani di Fred ebbero un lampo al sentire il suo nome pronunciato dalle di lei labbra e, senza neppure accorgersene, si avvicinò. Sentì l'impulso di stringerla, di chiederle di restare con lui e di lasciar perdere Malfoy e quella assurda relazione. Sarebbe stato così semplice – doveva solo lasciarlo. E basta.

Per lui era così naturale pensarla tra le proprie braccia; così giusto, che avrebbe voluto domandarle come poteva non vedere che sarebbe stato fantastico.

Era un cretino, certo. Non poteva pretendere, razionalmente, che Hermione la pensasse come lui. Magari, lei non aveva alcun dubbio che con Malfoy fosse mille volte meglio. Anzi, di sicuro.

"Io non riesco a sopportarlo" disse. "Tu e Malfoy nello stesso letto, è un'immagine che mi da il voltastomaco" dichiarò senza mezzi termini. Stavolta non c'era un briciolo di cattiveria o di accusa nella voce di Fred; era solo... triste. Hermione ne rimase colpita, ma tacque. "In realtà" continuò il rosso, "non è solo perché è Malfoy... non potrei sopportarlo ugualmente". Fece un altro passo verso Hermione che, malferma sulle gambe, era però decisa ad evitare qualsiasi contatto pericoloso. Era convinta che, se l'avesse lasciato avvicinare, sarebbe stato un errore per sè e per il rapporto con Fred. Si diede ad una precipitosa fuga su per le scale, senza neppure dargli il tempo di fermarla.

Non se la sentiva di ascoltare ancora ciò che Fred aveva da dire, timorosa che potesse non piacerle. Se le avesse ribadito le parole di ventiquattrore prima, seppure in maniera più gentile, ci sarebbe rimasta troppo male. Da quanto aveva detto non voleva cacciarla e non sembrava propenso a ripetersi in quel senso, ma l'istinto l'ebbe vinta sulla ragione.

Lo sentì ringhiare di frustrazione e lanciare qualcosa in vetro – forse un bicchiere – contro un mobiletto in legno del salotto. Era arrabbiato. Lui, era arrabbiato. Non ci pensava a lei? A quanto potesse stare da schifo?

Perché non l'hai fatto parlare, non l'hai fatto spiegare? Diceva una vocina nella sua testa che, stavolta, anzichè somigliare a quella di Ginny, o alla parte saggia di sè, somigliava spaventosamente alla voce di George Weasley.

La verità? Aveva avuto paura.

Paura che lui dicesse le parole sbagliate; paura che fosse lei stessa a dirle e che tutto si complicasse ulteriormente; paura di sentire che il malumore di cui le aveva parlato George era davvero dovuto al loro litigio (e di scoprire, quindi, che per Fred lei era solo fonte di problemi); paura, al contrario, che il malessere del suo coinquilino fosse invece legato a qualche diverbio con Sally; paura che Fred si avvicinasse troppo e, soprattutto, di come avrebbe potuto tradirla il suo stesso corpo.

Si spogliò e si mise sotto le coperte, sperando che il sonno arrivasse al più presto a strapparla via dalle paure e dall'ansia che le annebbiavano il cervello.







Il sonoro scampanellio avvisò Garrick dell'entrata di qualcuno. A quell'ora, di venerdì mattina, non poteva che essere Hermione a mettere piede nel negozio, perciò non si disturbò a sollevare lo sguardo. Udì dei passi leggeri e intuì che aveva posato gli abiti sull'attaccapanni e si stava dirigendo verso il retro, dove sapeva l'avrebbe trovato già al lavoro. Il negozio era composto di due ambienti: la bottega e il retro, dove veniva svolto il lavoro più grande. Perciò ad Hermione bastò fare capolino per notare l'espressione dell'uomo.

"Qualcosa non va, signore?" La ragazza si accostò immediatamente al vecchio dall'aria afflitta.

Non era stata una gran nottata per lei, quasi completamente priva di sonno e piena di riflessioni totalmente inutili.

"Mi sento inconcludente" replicò quello, strappandola al vortice di pensieri in cui stava per precipitare – di nuovo.

"Lei, inconcludente?" fece Hermione. "Per favore, non dica sciocchezze". Lui sollevò la testa, colpito dal tono con cui la sua apprendista l'aveva quasi redarguito. In effetti, riflettè Garrick, doveva avere un'aria da bambinetto insoddisfatto. Si ricompose velocemente.

"Non riesco a fare nulla per lei" spiegò, indicando la bacchetta poggiata lì accanto, sul tavolo da lavoro. Hermione si chiese come non si fosse accorta della sua presenza, troppo concentrata sul volto del fabbricante. A un rapido esame, era messa piuttostò male. Era stata spezzata quasi di netto, il legno era diviso in due parti, tenute unite solo da un sottile strato del nucleo – le pareva fosse crine di unicorno. Era una fortuna che non si fosse divisa del tutto. Avrebbe dovuto dirgli, a rigor di logica, che era più che ovvio che non fosse possibile risolvere il problema. Quella bacchetta era, effettivamente, un oggetto senza speranza. Hermione ne aveva vista solo un'altra in condizioni così disperate: quella del suo migliore amico. Era stata lei stessa a provocarne la frattura, lanciando la maledizione che era rimbalzata – ma l'aveva fatto per salvare se stessa e Harry da un enorme serpente posseduto da Voldemort e animato da intenzioni poco nobili nei loro confronti*. Era sicura che, nonostante ciò, Harry l'avesse odiata per un po'.

Perdere la bacchetta era, per un mago o una strega, un'esperienza traumatica. L'aveva appurato lei stessa a Malfoy Manor, quando le era stata strappata di mano da Draco*.

Perciò, era consapevole di come la colpa non fosse del vecchio. Lui stesso, anni addietro, a Villa Conchiglia, aveva asserito che non conosceva modo per aggiustare la bacchetta di Harry.

L'amico era riuscito a riottenere la sua fedele compagna solo riparandola con la Bacchetta di Sambuco di Silente – la più potente del mondo*.

Hermione non poteva certo andare a profanare la tomba dell'ex preside per riparare una bacchetta. Neppure Ollivander, che per riaggiustarne una avrebbe fatto i salti mortali, sarebbe arrivato a tanto.

Sebbene razionalmente comprendesse tutto ciò, Hermione non disse nulla di simile.

"Mi dispiace, signore" si limitò a dire. Probabilmente uno spettatore esterno, alle loro facce abbattute, avrebbe optato per una chiamata all'ospedale San Mungo e la richiesta di un urgente ricovero al reparto psichiatrico. Entrambi se ne rendevano conto, eppure, entrambi erano confortati nel sapere che si comprendevano a vicenda. Hermione si risparmiò di chiedergli se aveva tentato tutto, perché sapeva perfettamente che, se ci fosse stata una soluzione, lui l'avrebbe trovata. Aveva cieca fiducia in quel vecchio – e lei aveva cieca fiducia in pochissime persone.

"Non importa" Ollivander liquidò la faccenda con una lieve alzata di spalle. "E' stata spezzata con un duello, ma il proprietario ne ha sempre avuto poca cura: posso vedere i segni della sua negligenza" disse col tono duro di chi condanna un crimine.

"Dunque!" L'uomo raddrizzò le spalle e spostò gli occhi azzurri in quelli castani di Hermione, con una nuova luce nello sguardo. "Oggi è il gran giorno" annunciò.

"Mh, per cosa?" domandò lei. L'uomo alzò gli occhi al cielo, quasi che fosse lei ad essere tarda e non lui ad essere criptico.

"Oggi, ragazza mia, ha inizio il tuo vero apprendistato" le disse.

"O-oggi?" Improvvisamente, Hermione sbiancò. Non voleva che alle due nottate insonni e allo sconforto degli ultimi giorni si aggiungesse un ulteriore fallimento. D'altronde, sapeva che, prima o poi, quel momento sarebbe giunto.

"Oggi" confermò Ollivander. "Cappello e cappotto!" dichiarò alzandosi di slancio.

"Come?" fece, affrottando le sopracciglia.

"Si va a scegliere personalmente la materia prima".







I Tiri Vispi Weasley era, come sempre, affollato dai clienti. Che fossero serpi, grifoni, corvi o tassi, adulti o bambini, maschi o femmine, non aveva la minima importanza: quel posto non conosceva il significato della parola 'crisi'.

Non l'aveva sperimentato neppure quando a Diagon Alley ogni altra attività era stata sbarrata.

Le vetrine, allestite con sgargianti colori arancio e verde acido, sprizzavano allegria, e attiravano sempre i passanti.

All'interno del negozio, un ragazzo dai capelli rosso fuoco chiamò, per tre volte di fila, il fratello, senza ottenere risposta. Solo al quarto tentativo, scuotendolo per una spalla, riuscì a distoglierlo dai propri pensieri.

"Che c'è?" mugugnò Fred.

"Dimmelo tu" replicò George. "Sei praticamente una mummia". Fred bofonchiò qualcosa di indistinto che, per lui, doveva valere come risposta di senso compiuto.

"La tua faccia non è mai stata così poco da Fred".

"Lo hai già detto" sbuffò Fred, che nel contempo riordinava distrattamente il ripiano delle pasticche vomitose, uno dei prodotti più venduti della società Weasley.

"E lo ribadisco" rincarò George. "Durante la guerra contro Voldemort, avevi un'espressione più allegra". Fred sbuffò: in effetti il prodotto NO-PIPI'-NO-PUPU', ideato in quel periodo, era stato una sua idea.

Nemmeno l'Oscuro Signore era riuscito a smontare la creatività di Fred Weasley, eppure sembrava che Hermione Granger fosse più che qualificata per questo compito. Perché era a lei, quel giorno, che Fred stava pensando. Neppure gli stesse leggendo nel pensiero, George gli disse:

"Pensare alla Granger ti succhia via la creatività".

"Forse" rispose, mogio. "Meno male che ci sei tu a tenere alto l'onore del negozio!" George sbuffò e alzò gli occhi al cielo, palesemente irritato.

"Non per sempre" disse. Fred drizzò le antenne e si voltò verso il fratello:

"Abbiamo la stessa età" cominciò. "Stesso anno, mese, giorno; sei in salute; perché dovresti morire prima di me?" chiese, sarcastico.

"Non intendevo quello'" sbuffò. "Intendevo dire che non posso tenere il peso del negozio da solo; tutto perché tu sei troppo innamorato e non ti rendi conto di quel che ti succede sotto il naso" protestò.

"E quindi?" Fred era completamente passivo all'interno della conversazione, come se non avesse idea di cosa George stesse blaterando, il che era possibile, considerato che se n'era stato, fino a quel momento, a mettere a posto tranquillamente – quando di solito si aggirava per il negozio facendo battute ai clienti più giovani e scherzetti ai bambini; raccontava persino barzellette.

Perciò, vederlo sistemare scatole e scatolette di Pasticche Vomitose e Torrone Sanguinolento con quel viso cereo e gli occhi spenti, era uno spettacolo a dir poco indegno. George stava per rispondere al fratello, quando una ragazzina, apparentemente sulla quindicina, si avvicinò a Fred per chiedere consiglio. In mano teneva un filtro d'amore e, con assoluta nonchalance, iniziò a raccontare quella che a tutti gli effetti poteva sembrare la trama di una soap opera.

"... e, cioè, so che lui e io siamo perfetti insieme, ma Sam è convinto di amare Elly, che però non lo ricambia, perché in realtà ama Matt. Quindi, non faccio nessun danno se gli somministro questo, no?" chiese indicando la fialetta che stringeva tra le dita. Aveva un colore rosa acceso che Fred aveva sempre trovato vomitevole.

"Oppure è meglio l'altro?" e additò un'altra pozione, color rosa pallido, disposta tra gli espositori dedicati ai filtri d'amore. "Quale pensi faccia al caso mio? Insomma, io credo nell'amore, ma forse, se Sam mi notasse, potrebbe nascere qualcosa".

"Quei filtri provocano un'infatuazione, non l'amore" precisò George, da dietro le spalle del fratello. La ragazza scrollò le spalle, come se non facesse differenza.

Lo sguardo di Fred si assottigliò; sembrava fisso in contemplazione della boccetta tra le mani della quindicenne, come se non ne avesse mai vista una. George ebbe paura che scoppiasse e si mettesse a gridare o, addirittura, che le strappasse quella ridicola ampollina dalle mani e la fracassasse al suolo. In effetti, quel colore era davvero orribile, doveva ammetterlo.

"Non dovresti crederci" disse solo. Lei aggrottò le sopracciglia, senza capire.

"Come, scusa?"

"Hai detto che ci credi, che credi nell'amore..."

"Sì, l'ho detto" confermò lei, con aria ingenua.

"Fai molto, molto male" borbottò Fred. "E' una fregatura". Distolse lo sguardo e poi si voltò, sparendo nello sgabuzzino.

George aveva assistito alla scena con crescente disperazione; capì che Fred doveva aver tentato, la sera prima, di approcciare Hermione – evidentemente senza ottenere successo. Quella sorta di incomunicabilità tra lui e la Granger rendeva Fred frustrato e, a farne le spese, non era solo la salute mentale del diretto interessato, ma anche quella di George!

Pensò di parlargli nuovamente, come aveva fatto il giorno avanti, ma comprese che sarebbe stato uno spreco di energie, dato che il suo gemello aveva eretto un muro tra sè e il resto del mondo. Sì, suo fratello era un muro di gomma, e qualsiasi discorso sensato gli rimbalzava addosso.

Puntò lo sguardo sulla ragazzina, che appariva stordita, quasi l'avessero Confusa.

"Ehm" George si schiarì la voce. "Puoi dire a me" e le sorrise. "Mio fratello oggi non è in sè" spiegò, lievemente in imbarazzo. Lei aveva gli occhi spalancati, che saettavano tra lui, il punto dove fino ad un secondo prima Fred aveva pontificato, e la boccetta che teneva in mano. Non sembrava più così convinta di volerla comprare.

"Sì, l'ho notato".










Il parco che circondava la struttura era sempre stato la parte della villa che Draco preferiva. Il verde lussureggiante che la circondava lo rilassava molto più degli interni di casa Malfoy.

Il cielo era nuvoloso sopra la sua testa, quel pomeriggio. Si voltò verso l'imponente edificio. Se il parco era grandioso, la villa riportava prepotentemente alla mente di Draco gli antichi fasti della famiglia. Lì sua madre, un tempo, organizzava feste e grandi cene di gala, con le 'persone giuste'.

"Quelli che contano, avrebbe detto mio padre" mormorò al vento, che gli soffiava in faccia. Uno dei pavoni in giro per il giardino gli si fece insolitamente vicino, per poi allontanarsi. Uno dei vezzi di Lucius. Uno di quelli che Draco non aveva mai capito fino in fondo.

Più o meno come quello di tatuarsi il braccio sinistro, riflettè. Un amaro sorriso gli fece incurvare gli angoli delle labbra. No, fino in fondo non l'aveva ancora capito.

Merlino, quanto avrebbe voluto essere nel proprio appartamento – a casa. Nonostante, ufficialmente, Malfoy Manor fosse ancora la sua abitazione, Draco non poteva dire di considerarla 'casa'. Un posto in cui non sei libero di fare ciò che desideri non può esser chiamato così. Perciò, appena possibile, scappava da quella prigione e si catapultava a Londra.

Se da ragazzino gli avessero detto che avrebbe detestato quel luogo a tal punto da preferire un appartamento nella Londra babbana, avrebbe riso di gusto.

"Padron Malfoy" un esserino dalle orecchie a punta gli si rivolse in tono deferente, comparendo dal nulla. Draco aveva sempre trovato gli Elfi Domestici davvero antiestetici. Si appuntò mentalmente di non riferirlo ad Hermione: sarebbe stata capace di adirarsi. Del resto, però, quegli esseri erano palesemente orrendi.

"Tinky è qui per riferire che il tè è pronto e la signora la sta cercando".

"Grazie, Tinky" rispose con cortesia. L'esserino si inchinò ossequiosamente e scomparve.

Il rapporto con gli Elfi Domestici era piuttosto migliorato – in loro favore, s'intende – dalla fine della Seconda Guerra Magica. Non in tutte le famiglie, certo; però Draco aveva deciso di non trattarli più in maniera sgarbata, come fossero stracci da pavimento (come era solito fare prima).

La Granger dovrebbe essere orgogliosa di me, riflettè. Almeno per questo.

Infilò le mani in tasca e, a passi lenti e svogliati, giunse fino al salotto in cui sua madre aveva fatto preparare il tè. Non ne aveva proprio voglia, ad essere sinceri.

Non aveva voglia di tè, non aveva voglia di star lì e, soprattutto, di parlare con Narcissa. Sbuffò piano e la raggiunse, già seduta al tavolo. Era così austera, così diversa da quando era bambino... Continuava a volerle molto bene; era una delle poche persone importanti, per Draco.

"Ti stavo aspettando. Se non ti sbrighi si raffredderà" disse indicando il tè. Il ragazzo fece come gli era stato detto; sedette e iniziò ad osservare il suo tè verde, senza fiatare. Cosa avrebbe dovuto dirle?

Da quanto suo padre era finito ad Azkaban, Narcissa non era più la stessa; non era mai stata incline ad eccessive manifestazioni d'affetto materno. Del resto, neppure Draco era un tipo tutto abbracci e coccole. Però, in cinque anni, si era indurita molto; almeno tanto quanto il figlio si era ammorbidito.

Aveva salvato Potter con la sua bugia, e questo le aveva evitato la prigione, ma le sue convinzioni – al contrario di quelle di Draco – non erano cambiate. Sembrava ritenere ingiusta la sorte che era toccata al marito, mentre Draco, al contrario, avrebbe ritenuto opportuno essere sbattuto dentro a sua volta. Hermione non sarebbe stata d'accordo con lui. Lo avrebbe difeso da se stesso, come sempre.

Come si potesse essere così buoni, non gli era ancora chiaro. Grifondoro fin nelle ossa, come aveva spesso occasione di ricordarle.

"Draco...?" Il tono interrogativo di sua madre lo richiamò alla realtà. Guardò la donna negli occhi, in attesa che continuasse la frase. Fu solo allora che si rese conto che, sul tavolo, era posato un vecchio numero del Settimanale delle Streghe. Doveva prepararsi a sostenere una conversazione imbarazzante?

"Che mi dici di questa storia?" disse senza giri di parole.

"Quale storia?" Ovviamente, Draco sapeva a cosa si riferisse la domanda, ma non voleva darle la soddisfazione di vincere senza dargli qualcosa in cambio. Non aveva intenzione di facilitarle il compito.

"Lo sai" replicò seccamente. "Tu e la ragazza".

Draco si sentì infastidito da quelle quattro parole. La ragazza.

"Ha un nome" disse, la voce incolore. Lentamente, portò la tazza alle labbra e sorseggiò altro tè.

"Non fai sul serio con lei, vero?" domandò, tradendo un po' d'ansia nella voce. Draco si sarebbe già potuto dire soddisfatto di averle fatto perdere quel controllo che manteneva sempre. Più il tempo passava, e più somigliava a Lucius.

La mancanza di quell'uomo le faceva quest'effetto – e, secondo Draco, non era affatto salutare. La sentì inspirare ed espirare.

"Non capisco perché ti interessi" rispose, faticando a trattenere un ghigno.

"Non scherzare con me".

"Non lo sto facendo, te l'assicuro" ribattè lui. "Non ho la minima idea del perché tu stia affrontando quest'argomento ora, madre". Lei sospirò e Draco fu certo che, se non l'avesse trovato estremamente inelegante, avrebbe sbuffato apertamente.

"Finora ho lasciato correre" disse lei. "Gli articoli" e indicò la rivista, "i mormorii, i pettegolezzi..." elencò.

"Immagino ti sia costato molta fatica" replicò, caustico.

"Non fingerò con te, Draco. Penso sia stata un'ottima idea, dal momento che quelli come lei sono così benvoluti, ora". Lui non ribattè, intuendo che il discorso non era concluso e che, ad ogni modo, non ci sarebbe stato nulla da dire al riguardo. In occasioni come quella, da buon Serpeverde, il silenzio era sempre la miglior soluzione per uscirne pulito e senza graffi. Parole avventate e frettolose erano roba per Grifondoro; cose da San Potter, non da Draco Malfoy.

"Per quanto mi riguarda" proseguì Narcissa, "puoi continuare a frequentarla..."

"Grazie del permesso" affermò con tono ironico, che sua madre ignorò.

"Ciò non toglie che questo, per te, deve essere un passatempo".

Eccolo, il punto. Sapevo che ci saremmo arrivati, pensò, divertito. Aveva previsto dove la conversazione sarebbe andata a parare ancora prima che la madre la iniziasse.

"E perché mai?"

"Sai perfettamente i motivi che mi spingono a dirlo. Per quanto possa essere vantaggioso far credere che la famiglia Malfoy si sia 'ravveduta' tanto da arrivare a mischiarsi con la feccia, questo non dovrà mai accadere sul serio". La voce di Narcissa era dura e, in ogni parola, Draco poteva sentir risuonare quella di Lucius, e con essa le sue idee insane e obsolete.

"Che intendi dire?" le chiese ancora, pacato.

"Va bene, vuoi che lo dica apertamente" concluse lei. "Lo farò: la famiglia Malfoy non si legherà mai a gente del genere".

"Quale genere?" chiese, inarcando un sopracciglio, con espressione ignara.

"Sanguemarcio" lo accontentò lei. Era, almeno all'apparenza, impassibile.

"Credi sia contagioso?" le domandò, ghignando apertamente. Sapeva quanto potesse infastidirla, molto più che se si fosse messo a berciare o sbraitare – comportamenti che, ad ogni modo, non aveva alcuna intenzione di tenere.

"Non scherzare, te lo ripeto. Hermione Granger è una Sanguemarcio".

"Lo so, ma gradirei che non la chiamassi così". Per un momento risentì nella propria testa la voce di Silente che, sulla torre di Astronomia, con la bacchetta di Draco alla gola, aveva trovato il tempo di redarguirlo sulla terminologia corretta da utilizzare.*

"Perché non dovrei? Lei non è niente per me, e mai lo sarà. Ti deve essere chiaro fin dal principio che questa cosa non avrà un futuro. Non so quanto sia seria nè voglio saperlo. Semplicemente non mi interessa". Oh, Draco non ne dubitava affatto. A lei interessava solo il buon nome della casata, mantenere le apparenze e, ovviamente, una linea di successione linda e pinta. Le aspirazioni o i desideri del figlio, rispetto a queste priorità, erano argomenti di ordine secondario. Sua madre lo amava, Draco ne era certo, ma non abbastanza da allargare le proprie vedute per lui.

"Tutto quello che mi preme è che la cosa, ad un certo punto, si interrompa. Tu sposerai una strega Purosangue; una donna che possa darti dei figli degni di te".

Degni di te voleva dire 'degni di apparire nel nostro albero genealogico'. Se si concentrava poteva visualizzare suo figlio – un maschio, ovviamente – aggiunto all'arazzo che faceva bella mostra di sè in salone. Lì, appesi alla parete, generazioni di Malfoy osservavano coloro che avevano la sventura di fermarsi a rimirarlo.

Tutti quei cartigli con i nomi dei suoi antenati, collegati a facce sconosciute, lo mettevano a disagio – pensare che, da bambino, aveva passato ore a fissarle per imprimerle nella memoria! Era fiero di poter vantare una discendenza così pura.

Ora, il solo pensiero di avere un figlio da ficcare in mezzo ad altri cartigli, lo riempiva di ansia. Non poteva credere di essere cambiato a tal punto; eppure era ciò che sentiva. Probabilmente, fosse stato vivo, suo nonno Abrahaxas sarebbe corso nella stanza affianco a bruciare il tondino con il volto di Draco.

Gli 'indesiderati' della famiglia, come il cugino di sua madre, erano stati sapientemente 'eliminati' da ogni arazzo esistente.*

"E cosa ti fa credere che esista una donna Purosangue che, pur non amandolo, sposi un Mangiamorte? Che vantaggio ne trarrebbe la famiglia della suddetta signorina?" chiese con un sorrisetto.

Era una domanda estremamente logica, e Narcissa lo sapeva; ma Draco non subitava che, vista la sua diplomazia, sarebbe riuscita a convincere qualcuno che il cognome Malfoy, dopotutto, contava ancora qualcosa nel Mondo Magico. Forse era così, ma di sicuro non per persone come la Granger e, ad essere sinceri, oramai nemmeno per Draco.

"Sei un Malfoy, cosa direbbe tuo padre se ti sentisse?"

"Lui è ad Azkaban e ci resterà, devi fartene una ragione" replicò, meno composto. Si alzò e girovagò un po' per la stanza, finchè non decise di sedersi sul divano. Passò le mani sul tessuto e, a contatto con il velluto verde che lo rivestiva, si rilassò leggermente. Era un gesto che compiva spesso da bambino, quando veniva rimproverato o aveva combinato qualcosa. Lo calmava. "Non merita la mia considerazione, nè la tua".

"Non parlare così di tuo padre, Draco. Non osare addossargli colpe che..."

"...che cosa?" la interruppe. Si rizzò sulla schiena, abbandonando la posizione rilassata che aveva appena assunto. "Che non sono sue?! Era il braccio destro di Voldemort, gli è andata bene solo perché 'i buoni' hanno deciso di allontanare i Dissennatori da quel posto infernale, o a quest'ora sarebbe peggio che morto".

"Anche tu porti il Marchio!" A quelle parole, la mano destra di Draco scattò all'avambraccio sinistro; avrebbe voluto alzarsi, scappare e non tornare più. Andare via senza voltarsi mai indietro. Ma a sua madre rimaneva solo lui; non poteva fuggire.

"Infatti" disse invece. "E me ne vergognerò a vita, a differenza sua".

Sua madre non replicò, probabilmente a corto di risposte. C'era poco da dire: le loro posizioni erano differenti e sarebbero rimaste tali. Non era certo una discussione davanti ad un tè che poteva risolvere i loro problemi famigliari.

Come se poi le loro fossero 'discussioni'! Erano più uno scontro in cui ognuno erigeva un muro e concentrava tutti i propri sforzi per impedire all'altro di penetrarlo o anche solo di scalfirlo. A questo, dopo la guerra, si era ridotto il rapporto con Narcissa.

"Non so" riprese, calma, "come siamo arrivati a questo. Non era mia intenzione affrontare argomenti tanto spinosi" disse alzandosi da tavola. Draco la osservò.

La postura dritta, impeccabile, l'abito lungo, verde scuro, i capelli biondissimi raccolti in una elaborata acconciatura, rendevano la figura di sua madre, come sempre, elegante. Sebbene invecchiata, la vedeva bella proprio come quando era piccolo.

Avrebbe tanto voluto far coincidere la loro visione del mondo, ma sapeva che non era possibile. Ci aveva rinunciato da tempo.

"Ho espresso me mie opinioni" proseguì. "Non mi ripeterò, perché sono certa che tu abbia capito". Si diresse alla porta del salotto; sembrava proprio che la conversazione fosse conclusa. All'ultimo ci ripensò e Draco la vide tentennare sull'uscio e infine voltarsi a guardarlo.

"Sai da te cosa è opportuno e cosa non lo è" dichiarò. "Non voglio perdere anche te..." Narcissa non gli lasciò il tempo di elaborare una risposta, perché scomparve immediatamente, chiudendo la porta dietro di sè.

Draco non poteva negare di essere sorpreso; era da tempo che sua madre non esprimeva a parole, nè a gesti, l'affetto che provava per lui.

Quell'affetto, era il motivo per cui, benché provasse repulsione verso la casa, verso gli arazzi di famiglia, verso... suo padre... non riusciva a provarne per Narcissa. Perché sapeva che ogni cosa che aveva detto, dal suo sbagliato punto di vista, era per il bene della famiglia, ovvero, di suo figlio. Era la persona più vicina che avesse... l'unica... non le rimaneva altro che Draco. Non poteva lasciare che anche il suo ultimo legame di sangue, come tutti gli altri, naufragasse miseramente; però non poteva neppure condannare se stesso all'infelicità perpetua, no? Eppure, sapeva che Narcissa non avrebbe approvato nessuna delle sue scelte. Cioè, le scelte che avrebbe fatto se ne avesse avuto il fegato. Non solo non le avrebbe approvate, ma non si sarebbe neppure sforzata di accettarle.

Un lampo illuminò il cielo all'improvviso, strappandolo ai suoi pensieri, e fu subito seguito da un tuono. Draco si alzò dal divano e, lentamente, arrivò alla finestra. Dalle vetrate scorse altri lampi. Era in arrivo un temporale, e lui aveva voglia di uscire sotto la pioggia.






Non appena Hermione, quella mattina, aveva afferrato il braccio di Ollivander, aveva compreso dove erano diretti per cercare la 'materia prima' e, una volta Materializzata, ne ebbe conferma. Il vento soffiava forte, scompigliandole i capelli, e il sole filtrava tra le foglie verdi degli alberi. Mosse un passo e perfino lo scricchiolio di rami secchi sotto i piedi le parve famigliare.

"La foresta di Hitwood" sussurrò.

"Proprio così" fece Ollivander. "Dove volevi che ti portassi? Alle giostre?"

Hermione sorrise in risposta al tono burbero dell'uomo e si staccò da lui, continuando a guardarsi intorno. Dalla prima volta in cui c'erano stati le sembrava passato un secolo*. Nonostante, da allora, non si fosse più recata lì, sentiva una sorta di empatia con quel luogo; come se fosse stato creato per lei. Possedeva un effetto calmante che raramente Hermione aveva riscontrato in altri posti. Soprattutto, ora che la tensione del proprio battesimo – la prima volta in cui era stata chiamata a mettere alla prova le sue conoscenze sui legni da bacchetta – era scemata, poteva godersi appieno il canto degli uccelli appollaiati sugli alberi e i tiepidi raggi solari di una mattinata straordinariamente mite. Da sempre, come tutti gli inglesi, aveva rinunciato a contare sul bel tempo quotidiano. Proprio per questo, quando il sole faceva capolino, Hermione lo apprezzava molto di più di quanto avrebbe potuto farlo l'abitante di un Paese meditterraneo.

La foresta di Hitwood era un luogo incantevole e, improvvisamente, si pentì di non aver insistito per accompagnare il bacchettaio le volte in cui era tornato lì a fare 'rifornimento'. Si voltò e vide il sole battere sui capelli canuti e illuminare il viso lieto del vecchio accanto a sè. Sembrava un bambino in un parco giochi, e Hermione immaginò di avere più o meno la medesima espressione. Si chiese se, continuando a svolgere quel lavoro per anni, avrebbe mantenuto lo stesso entusiasmo dell'uomo. Era convinta di sì.

Il punto critico della questione era un altro; certamente era in grado di raccogliere legno da bacchetta, e lo aveva già fatto una volta, ma non era altrettanto certa di riuscire davvero a fabbricare una bacchetta.

"Smettila di rimuginare" ordinò la voce di Ollivander. "E mettiti a spulciare tra gli alberi; non c'è tempo da perdere. Sai cosa fare" disse poi, porgendole un sacchetto che conteneva Onischi. Hermione restò per un attimo imbambolata, senza riuscire a smettere di pensare.

"Beh, che ti aspettavi; uova di fata?" bofonchiò lui. Hermione comprese che l'intento era quello di distrarla, e ridacchiò sommessamente. Non c'era verso che quell'uomo provasse a tirarle su il morale senza però accompagnare il tutto con qualche borbottio in sottofondo.

"No, credo che gli Asticelli dovranno accontentarsi degli Onischi*".

"Perfetto, allora mettiti al lavoro" ordinò. Hermione non se lo fece ripetere e iniziò la ricerca degli alberi da bacchetta, riuscendo a scovarne un bel po' grazie alla presenza degli Asticelli – benedette creature! Li tenne a bada, come la volta precendente, grazie agli Onischi, evitando in tal modo che le tranciassero via un dito per difendere il proprio 'territorio'. La particolarità di quella foresta era proprio quella di racchiudere in sè tanti tipi di alberi – ed era per questo frequentatissima dai fabbricanti di bacchette – e, quindi, Hermione riuscì a raccogliere legni diversi tra loro e utili allo scopo. Nel frattempo, Ollivander aveva Evocato uno sgabello sul quale era rimasto comodamente seduto per tutto il tempo. Doveva sbrigarsela da sola, certo, ma Hermione sospettava ci fosse una vena di sadismo nello starsene immobile, a fissarla mentre si dava da fare.

Un lampo improvviso, seguito da un tuono, la distolse dal proprio lavoro; levò lo sguardo e si rese conto che il cielo era grigio e nuvolo (non se ne era neppure accorta, tanto era presa dal compito che stava svolgendo!). Si affrettò a tornare nel punto in cui Ollivander restava ancora fermo.

"Signore, credo stia per piovere".

"Stavo giusto per alzarmi" replicò lui, con calma. "Credo tu abbia raccolto abbastanza legno da fabbricare bacchette per un secolo, e inoltre non voglio tornare al negozio bagnato fradicio".

In un batter d'occhio lo sgabello era sparito ed Hermione era nuovamente attaccata al braccio del signor Ollivander, pronta alla Smaterializzazione.




Quella sera, dopo aver passato molto tempo ad ordinare secondo criterio il legno raccolto, Hermione uscì dal negozio, stanca ma soddisfatta.

Il vento le sferzò il volto e una fitta pioggia iniziò a inzupparle i vestiti. Poco importava; di lì a cinque minuti sarebbe stata al caldo. Stava per Evocare un ombrello, quando qualcuno le si accostò, coprendola con il proprio. Il profilo affilato e spigoloso alla sua sinistra non lasciava dubbi sull'identità dell'uomo.

"Draco..." Hermione occhieggiò la tela dell'ombrello, di un colore insolito e molto acceso. "Che ci fai qui fuori e, per giunta, con un ombrello giallo?"*

"Mi pare ovvio" rispose lui con un sorriso sornione. "Ti salvo dalla pioggia".








NOTE AL CAPITOLO


1) Nell'ultimo libro, quando Hermione e Harry si recano a Godric's Hollow a visitare la tomba dei Potter, Hermione, per salvarsi da Nagini, lancia un incantesimo che rimbalza, colpisce e spezza quasi di netto la bacchetta di Harry (le due metà restano unite solo da un filamento del nucleo di piuma di fenice). A Villa Conchiglia, perfino Ollivander dice che non c'è modo di riparare un danno simile.

2)Per molto tempo Hermione dice ad Harry che può abituarsi ad un'altra bacchetta e che basta fare pratica, ma quando la stessa sorte tocca a lei (e la bacchetta che ha rimane a casa dei Malfoy) si rende conto che con una bacchetta che scegli hai un legame speciale.

3) Con la Bacchetta di Sambuco, prima di rimetterla nella tomba di Silente, Harry ripara la sua vecchia bacchetta di agrifoglio.

4) Silente, alla fine del sesto libro, quando Draco minaccia di ucciderlo e dichiara di aver preso l'idea della comunicazione tra oggetti gemelli da Hermione (non so se ricordate le monete incantate con le quali comunicano i membri dell'ES), gli intima di non usare la parola 'Sanguemarcio' in sua presenza.

5) Sirius, quando a sedici anni scappa di casa, viene cancellato dall'arazzo di famiglia, da sua madre Walburga.

6) Nell'ottavo capitolo (Il battesimo di Hermione) lei e Ollivander si recano in una foresta speciale in cui si concentrano diversi tipi di alberi da bacchetta. Non ne avevo scritto il nome; ho optato per Hitwood perché mi sembra adatto. Hit significa successo, mentre wood vuol dire legno (la foresta, quindi, è un posto dove si trovano legni perfetti per costruire bacchette di successo). Boh, è stato il mio ragionamento.

7) Gli Onischi, come avevo scritto anche nell'ottavo capitolo, sono cibo per Asticelli, che mangiano anche Uova di Fata (ne sono ghiotti, ma è un cibo non molto facile da procurarsi).

8) Questa citazione dalla sit-com How I Met Your Mother non posso non dedicarla a CinderNella! L'ombrello giallo è praticamente il simbolo della serie.








ANGOLO AUTRICE


Lo so, lo so, sono una brutta persona e faccio sempre ritardo! Chiedo venia a tutti quanti. Spero che questo capitolo sia stato di vostro gradimento. Fred ha tentato di parlare a Hermione, con scarsi risultati, ed è abbattuto. Hermione è alle prese con la preparazione alla sua prima, e probabilmente disastrosa, creazione. Finalmente abbiamo intravisto Narcissa e le sue opinioni lusinghiere sui Nati Babbani. Non è poi tanto questo il punto, quanto la sua rigidità di vedute sulle scelte di Draco. Per Narcissa c'è una sola strada possibile, e deve essere quella da lei concepita. Per le opinioni del figlio non c'è posto.

Il prossimo capitolo riprenderà esattamente da qui, cioè da Draco che va a salvare Hermione dalla pioggia. Teoricamente doveva essere tutto un capitolo, solo che sarebbe uscita fuori una cosa di lunghezza spropositata e il capitolo è già lungo così.

Sono di fretta (spero non ci siano errori di battitura), quindi non aggiungo altro. La parola sta a voi, se vorrete lasciare un commento. Grazie mille a tutti coloro che leggono, seguono, preferiscono e, soprattutto, a coloro che recensiscono <3

A presto gente! Vostra,


Jules


  
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