CAPITOLO 4
Quando finalmente suonò la campanella che sanciva la fine
delle lezioni, mi lanciai subito verso l’uscita della scuola, tenendo la testa
abbassata e pensando solo a raggiungere casa mia in fretta. Sul mio volto
aleggiava ancora il rossore per l’imbarazzo di quella repentina violenza
subita, mentre il mio naso sembrava a posto, per fortuna.
Nessuno dei miei compagni si era particolarmente preoccupato
per me, ed ero certo che la maggior parte di essi avesse assistito alla
violenta scena, ma in ogni caso nel corso dei quattro precedenti anni
scolastici non ero mai riuscito a farmi apprezzare da loro, forse per via della
mia eccessiva timidezza, che m’impediva di gettarmi in spacconate o in gesti
degni d’attenzione.
Poiché si sa che i soggetti maleducati molto spesso diventano
i più amati ed apprezzati, mentre coloro che sono timidi possono anche morire
immersi nei loro silenzi, poiché nessuno li nota. La timidezza era e rimane
sinonimo di emarginazione.
Scivolai lungo i corridoi pieni di gente come se fossi uno
spettro, pronto ad andarmi a rifugiare in casa mia, per poi magari chiudermi
nella mia piccola saletta e gettarmi subito sul mio pianoforte, in modo da
poter cercare di alleviare il mio dolore interno e la mia frustrazione.
Mai nessuno prima di quel giorno si era mai azzardato a
sottopormi a percosse fisiche o a violenze simili, e quella prima volta mi
aveva lasciato atterrito. Da quel momento, avevo la certezza che Federico era
una persona dalla quale dovevo stare lontano, poiché ne valeva della mia
incolumità.
Non avevo idea di come avrei fatto a sopportare il fatto di
doverlo rivedere anche tra qualche ora a casa, sotto il mio stesso tetto, ma
per quello avrei avuto modo di pensarci per bene. Avrei potuto inventare
qualche scusa, evitare la cena e i pasti. Ma forse quella non era la scelta più
appropriata.
Decisi quindi che avrei combattuto, e che la sua prepotenza
non l’avrebbe avuta vinta su di me. Me la sarei cavata da solo, e in un qualche
modo avrei saputo tenergli testa, nel caso che quel nuovo arrivato tentasse di
nuovo di farmi del male. Dovevo trovarne la forza.
Uscii rapidamente da scuola, a passo frettoloso, mentre tanti
altri studenti camminavano con minor fretta, chiacchierando tra loro e
lanciandomi una qualche occhiata, non appena passavo a loro fianco. Federico
era lì, a pochi passi dall’uscita, mentre chiacchierava e ridacchiava con quei
tre ragazzi che fino al giorno prima credevo fossero miei amici, ma che ormai
sembravano totalmente assorbiti e presi dal nuovo arrivato, che effettivamente
con loro pareva comportarsi da ragazzo esemplare, simpatico ed appariscente al
punto giusto.
Quando passai a loro fianco, non mi salutarono, facendo finta
di non vedermi, ed io stetti ben attento a non dire nulla e a non tentare neppure
di soffermarmi.
La mia camminata spedita si stava trasformando in una sorta
di fuga precipitosa, mentre potevo sentire gli occhi gelidi di Federico ben
incentrati su di me e sulle mie spalle.
Quando finalmente imbucai il vialetto che mi avrebbe condotto
a casa, rallentai il passo e mi sfiorai le guance, scoprendo che ancora
parevano essere in fiamme. Dovevo essere bordò.
Con un sospiro agitato, mi appoggiai con la schiena al tronco
di uno di quei grandi platani che fiancheggiavano la strada, coprendomi gli
occhi con le mani e riprendendo fiato, cercando di calmarmi.
Avrei voluto fermarmi lì per una manciata di minuti, così da
cercare di calmarmi e perdere un po’ quella tonalità violacea del mio volto, in
modo da non giungere a casa trafelato come una persona appena fuggita da chissà
cosa, ma fui violentemente preso dal timore che anche Federico avesse percorso
la mia stessa strada per fare ritorno alla nostra dimora, e provai
improvvisamente una grande paura; quella di incontrarlo di nuovo.
Eppure, nonostante tutte le mie paure, i miei tremiti e i
miei pensieri, continuai a restarmene così, immobile e appoggiato al tronco di
quel grande ed anonimo albero, mentre le auto scorazzavano attorno a me, e il
mondo continuava ad ignorare la mia sofferenza. Confidavo nel fatto che il
prepotente restasse ancora un po’ a chiacchierare con i suoi nuovi conoscenti.
In quel momento, avrei desiderato tanto avere qualcuno a mio
fianco, con cui poter parlare e confidarmi.
Odiando la mia timidezza, pressai con più forza i palmi delle
mie mani sugli occhi, continuando a cercare di regolare il respiro. Riconobbi
che quella mattina avevo subìto un vero e proprio trauma, poiché nella mia vita
nulla mi aveva mai colpito così tanto, fino a quel momento.
‘’Ho visto quello che ti ha fatto, questa mattina’’.
Una voce femminile, da ragazza, interruppe i miei pensieri. Qualcuno
si stava avvicinando alle mie spalle. Non trovai la forza per togliere le mani
da davanti agli occhi, sperando vivamente che si trattasse di una persona che
si stesse rivolgendo a qualcun altro, magari parlando al cellulare.
Invece, quella persona era interessata a me, e si avvicinò
ulteriormente. Sentii le mani della sconosciuta mentre si appoggiavano sulle
mie, togliendomele con delicatezza da sopra gli occhi.
Sorpreso, la lasciai fare.
‘’Come stai? Ti ha fatto molto male, vero?’’.
La ragazza che mi stava parlando era visibilmente
preoccupata, lo intuii dal suo tono di voce pacato e sincero, e quando mi
ritrovai a fissarla la riconobbi. Si trattava di Alice Casagrande, una
studentessa del mio stesso istituto scolastico, che frequentava la quarta
superiore nella sezione a fianco della mia.
Avevo avuto modo di vederla più volte nei corridoi, sempre
affiancata da qualche amica, e col fatto che viveva a due isolati da me, la conoscevo
di vista da sempre. Comunque, tra me e lei non si era mai andati oltre ad un
semplice e striminzito ciao, fino a quel momento, e non ci eravamo mai
soffermati a parlare né a conoscerci meglio.
Trovarmela lì di fronte, così preoccupata per me, mi sorprese
e mi fece una certa impressione.
‘’Non molto’’, risposi dopo un attimo di esitazione,
abbassando lo sguardo.
‘’Lo conoscevi già, quello stronzo?’’, tornò a chiedermi la
ragazza, sfiorandomi con delicatezza il volto.
‘’Sì, è il figlio dei nuovi inquilini di mia madre. È
arrivato ieri, assieme alla sua famiglia, e pare già intenzionato a rovinarmi
la vita’’, risposi, sempre tenendo lo sguardo ben fisso a terra. Avevo paura
che la mia vicina di casa potesse vedermi troppo turbato, o che magari
scorgesse troppo chiaramente quel rossore che continuava a tenere sotto scacco
il mio volto.
‘’Ma che gli hai fatto per trattarti così?’’, mi chiese
nuovamente Alice, sospirando con nervosismo.
Quella domanda mi riscosse dal torpore che mi avvolgeva, e
quasi sobbalzai. Non mi ero mai posto adeguatamente quel quesito, senz’altro
fondato. Federico aveva messo piede nella mia cittadina solo il giorno prima, e
con lui non avevo mai avuto nulla da spartire, non l’avevo neppure mai visto e
fino a ventiquattro ore prima non ero neppure a conoscenza della sua esistenza,
eppure lui mi aveva preso fin da subito di mira.
Non seppi darmi una risposta.
‘’Non ne ho idea. Non lo conosco neppure tanto bene… l’ho
visto ieri sera per la prima volta. Eppure, mi sa che mi ha preso in antipatia
fin da subito’’, mi limitai a rispondere, scrollando le spalle. Quel rancore
immotivato nei miei confronti non aveva alcun senso per me, in quel momento.
Alice fece una piccola smorfia dispiaciuta.
‘’E’ un pallone gonfiato, lo si vede da lontano. Ti consiglio
di lasciarlo perdere e di girargli alla larga, mi pare anche un po’ matto. Ti
va di compiere il tragitto verso casa assieme a me?’’, chiese poi la ragazza,
cortesemente, dopo aver espresso i suoi logici pensieri.
Mi scostai dal tronco su cui avevo appoggiato la mia schiena
e, per la prima volta in quella giornata, sorrisi blandamente.
Anche Alice rispose al mio sorriso, lasciando che la affiancassi
silenziosamente sullo stretto marciapiede, ormai rovinato dalle radici degli
alberi, che in alcuni punti l’avevano pure frantumato. La ragazza era alta
nella media, snella al punto giusto, con dei bei capelli castani a caschetto e
un paio d’occhi neri e penetranti.
Non attirava assolutamente l’attenzione, poiché sembrava
sempre molto tranquilla, come anche in quel preciso momento. Indossava una felpa
piuttosto pesante per il periodo ancora mite di fine settembre, che aggiunta ad
un paio di jeans attillati e ad una borsa blu pareva renderla più adulta,
abbagliando lievemente quell’aura da giovane e brillante diciassettenne che la
circondava ovunque essa andasse. La conoscevo di vista da sempre, ma mai
l’avevo osservata in modo così approfondito, e in un attimo compresi che non
era poi tanto male come ragazza.
La rabbia e l’imbarazzo per ciò che era accaduto a scuola
quella mattina iniziò pian piano a quietarsi, dentro di me, mentre riflettevo.
‘’Non mi piacciono i prepotenti, sai?’’, tornò a dire Alice,
stoppando tutti i miei pensieri.
‘’Neppure a me’’, risposi, di poche parole come sempre. Con
le ragazze poi, in genere la mia timidezza mi costringeva a riflettere troppo
prima di parlare, poiché non avevo alcuna idea di che dire.
Il genere femminile di solito mi metteva in assoluta
soggezione, cosa che però non stava capitando con Alice; con quella ragazza,
che conoscevo solo di vista e che era stata l’unica ad interessarsi un attimo a
me e a dedicarmi qualche piccola attenzione, mi sentivo a mio agio.
‘’Se si azzarda ancora a crearti problemi, fammelo sapere. Se
sono in giro per i corridoi e vedo un altro di quei gesti, giuro che
intervengo. Ti chiedo scusa se questa mattina non ho potuto far nulla, ma ero
troppo scossa, così come anche le mie amiche; non abbiamo mai visto nulla di
simile. Non siamo abituate a vedere gesti del genere e quel tizio ci ha colte
di sorpresa, ma ora sono, anzi siamo, pronte ad intervenire’’, tornò a dire la
ragazza, con spirito battagliero.
‘’Grazie’’, sussurrai, ma quella volta con fare poco deciso.
Non era che mi dispiacesse aver trovato per caso un’alleata, o forse più d’una,
ma ammetto che mi avrebbe fatto più piacere sapermi difendere da solo. Non mi
chiesi da che parte si fossero schierati quei tre che credevo miei amici;
immaginavo già la triste risposta a quella domanda, purtroppo.
Alice mi guardò, poi sorrise.
‘’Tranquillo, immagino che un mio intervento possa metterti
in imbarazzo. Però, se noterò qualcos’altro simile a ciò che è accaduto oggi,
niente e nessuno riuscirà a farmi star zitta. E se non lo farai tu, sarò io
stessa a dirlo con gli insegnanti’’, sibilò la ragazza con rabbia, per poi
tornare a rivolgermi un sorriso amichevole e tranquillo.
Se per un attimo avevo avuto il timore che lei mi avesse
raccattato per strada come se fossi un gatto randagio o una bestiola da
allontanare dopo avergli posto qualche curiosa domanda, in quel momento nei
suoi occhi lessi sicurezza e sincerità, e fui certo che si stava interessando a
me con tutta sé stessa. Mi pareva incredibile che una quasi sconosciuta si
preoccupasse realmente per me, e dovetti riconoscere il fatto che doveva essere
davvero una ragazza gentile.
Mi limitai solo a rivolgerle un sorrisetto insicuro e pieno
di timidezza, capendo che avrei dovuto dire qualcosa, ma senza poi riuscire a
trovarne il coraggio per farlo. Era in momenti come quello in cui comprendevo
quanto ancora dovevo migliorare e crescere sotto alcuni aspetti
comportamentali, almeno provando ad affrontare quella cappa di timidezza che a
volte pareva voler trattenere le parole, quasi come se me le rubasse prima che
io potessi pensarle e pronunciarle.
Mentre sorridevo timidamente, udii uno scalpiccio poco più
indietro, e voltandomi vidi distintamente l’alta e slanciata figura di Federico,
che procedeva spedito qualche metro dietro di noi, con una sigaretta accesa tra
le labbra e il cellulare in mano.
Feci un’impercettibile cenno con la testa ad Alice, ed
anch’essa lo vide.
‘’Sta andando a casa anche lui…’’, mugugnai, ben sapendo che
sarebbe rientrato assieme a me. Sperai che in casa non si azzardasse a cercare
di fare il prepotente, ma ne dubitavo.
Avevo sperato che si soffermasse un po’ assieme ai suoi nuovi
amichetti, invece a quanto pareva aveva tutta l’intenzione di rientrare in
fretta.
‘’Non è un problema. Se non ti va di stare in casa con lui o
di trovartelo sempre tra i piedi, non sarebbe un disturbo per me se volessi
venire a casa mia, questo pomeriggio. Potremmo studiare assieme, se ti va. So
che non affrontiamo lo stesso programma, però possiamo metterci lì sui libri insieme,
scambiando due parole di tanto in tanto e studiando in pace…’’, suggerì Alice,
stringendosi nelle spalle.
Rimasi stupito ascoltando quell’invito a casa sua, e tornai a
sorridere.
‘’Certo, va bene, se per te non è un problema’’, le dissi con
cortesia.
‘’Non è assolutamente un problema’’.
‘’Bene, allora… a che ora?’’, chiesi, timidamente.
‘’Uhm, vieni quando vuoi. Io sono sempre in casa’’, mi
rispose la ragazza, sorridendo.
Sembrava felice che io avessi accettato il suo invito, ed
ovviamente a quel punto fui felice anch’io. Ma fu solo una felicità passeggera,
poiché ci trovavamo già praticamente di fronte a casa sua.
‘’A dopo, allora’’, mi disse, continuando a sorridermi ed
entrando rapidamente nel piccolo giardinetto antistante la sua abitazione.
‘’A dopo’’, le dissi frettolosamente, congedandomi e
riprendendo a camminare un po’ più freneticamente.
Federico, che continuava a fumare pochi passi dietro di me,
proseguiva anch’esso spedito, e non volevo farmi raggiungere. Ormai, quel
ragazzo era diventato una sorta di fissa.
Fortunatamente, dopo pochi minuti mi ritrovai anch’io sotto
casa mia, e lasciando aperto il cancelletto dietro di me, quasi mi lanciai tra
le mura domestiche.
Una volta in casa, non attesi altro tempo; non avevo fame in
quel momento, e visto che avrei studiato più tardi da Alice, mi decisi a
recarmi al cospetto del mio pianoforte, in modo da poter suonare qualcosa e
sfogare finalmente tutta la tensione di quella lunga ed agitata mattinata.
Entrai nella mia saletta, richiudendo la porta dietro di me
ed appoggiando lo zaino a terra, per poi sedermi sul piccolo sgabello e
afferrare uno spartito a caso. Alla fine lasciai perdere, poiché ero talmente
tanto agitato che tutto mi tremava tra le mani, e decisi di lasciar perdere
quell’azione che mi pareva troppo burocratica, per gettarmi direttamente sui
tasti, abbandonando ogni limite che avesse potuto schiavizzare ciò che stavo
per suonare.
In quel momento, mi resi conto che cercavo solo quella
libertà assoluta che mi avrebbe permesso di rilassarmi e di raggiungere la mia
quotidiana armonia. Socchiusi gli occhi, e non appena udii la porta di casa
richiudersi, capendo che anche il mio nemico era rientrato, mi buttai sul
pianoforte come un avvoltoio affamato di musica, lanciatosi in picchiata verso
una carogna composta da tasti bianchi come la neve.
Iniziai a suonare lentamente, prendendoci gusto, per poi
cominciare a fare sul serio. Mi sentivo davvero realizzato a quel punto, e
tutto ciò che era accaduto quella mattina era ormai qualcosa di lontano,
qualcosa che non aveva bisogno di essere ricordato.
Non seppi per quanto tempo restai così, suonando tutto solo e
quasi in estasi. Seppi solo che a un certo punto udii lo scricchiolio della
porta della piccola sala mentre si apriva, e capii che qualcuno era entrato.
Non avendo visto nessuno in casa, e sapendo che mia madre era
al lavoro, temetti per un attimo che si trattasse di Federico, che ancora
indispettito ne voleva approfittare di quell’attimo in cui eravamo soli in casa
per colpirmi nuovamente, mentre udivo di nuovo lo stesso rumore sommesso,
sinonimo del fatto che la porta era stata nuovamente richiusa dall’invasore,
che si stava avvicinando poco dietro di me.
Nella mia mente balenò una visione oscura, la figura di quel
ragazzo mentre mi faceva di nuovo del male.
Non me ne importai molto, continuai a tenere gli occhi chiusi
e a suonare senza sosta; mi sentivo invulnerabile. Capivo che lui avrebbe
potuto farmi ancora del male, ma ero spinto da una voglia primordiale di
continuare a suonare e di fregarmene del resto del mondo e dell’invasore che
stava violando il mio territorio, muovendosi lentamente verso di me.
Mi sentivo assolutamente al sicuro, così immerso nella mia
roccaforte musicale, e la mia mente non aveva alcuna intenzione di abbandonare
quel suo momento di svago.
Mi rilassai un attimo solo quando udii distintamente il
cigolio delle molle della poltroncina alle mie spalle, segnale che qualcuno si
doveva essere seduto lì. A quel punto, seppi quasi con certezza che non ero in
pericolo, e anzi, che ero più al sicuro di prima.
Continuai a distendermi e ripresi a suonare con vigore,
sempre senza alcuna logica o schema, l’importante era solo che ne venisse fuori
una melodia accettabile, quindi feci fronte a qualche mia piccola e
inconsistente lacuna utilizzando quasi esclusivamente le note che conoscevo di
più.
Suonavo il pianoforte da sempre, e fin dalla più tenera età
mia madre aveva fatto tutto quello che poteva per lasciarmi seguire la mia
passione, pagandomi anche qualche lezione privata al pomeriggio e permettendomi
di fare un po’ di pratica. Ma ormai non avevo più bisogno di insegnanti,
fortunatamente. Non avevo alcun progetto futuro a riguardo, e quindi quel che
sapevo mi bastava per offrirmi il mio solito svago, e di ciò mi accontentavo.
Continuai a suonare fintanto che non fui ebbro di musica, e
fin quando capii che avrei dovuto iniziare a prepararmi per andare a casa di
Alice, se non volevo lasciar trascorrere tutto il pomeriggio, poiché molto
probabilmente doveva già essere passata più di un’ora da quando mi ero messo a
suonare. Quindi, con lentezza graduale, abbassai il ritmo delle mia dita e mi
riscossi pian piano, e nell’istante in cui conclusi tutto, premendo l’ultimo
tasto, spalancai gli occhi.
Sapevo che l’intruso era ancora lì, visto che non avevo udito
nessun altro rumore, e mi voltai con lentezza verso la poltrona, dopo essermi
assicurato che fosse tutto in ordine sul mio pianoforte, spartiti compresi.
Roberto era lì, occhiali da vista sul naso e il volto
rilassato, ben immerso nella lettura del suo solito quotidiano.
Non appena notò che non avrei ripreso a suonare, alzò gli
occhi dal giornale e si voltò anche lui verso di me, incrociando il suo sguardo
col mio.
‘’Bene, sei sempre più bravo. Ti dispiacerebbe continuare
ancora un po’?’’, chiese l’uomo, sistemandosi meglio gli occhiali sul naso.
‘’No, ma ora non posso. Devo uscire’’, risposi, tentennando
un attimo.
Sapevo che dovevo alzarmi e lasciare quella stanza, ormai
vittima di più di un’invasione nelle ultime ventiquattro ore, ma quella volta non
ero assolutamente indispettito dal fatto che Roberto avesse passato un po’ di
tempo lì con me. Mi aveva fatto sentire protetto, poiché se c’era lui, molto
probabilmente suo figlio non si sarebbe azzardato a darmi fastidio.
‘’Sei tornato a casa tutto trafelato, hai gettato a terra le
tue cose, non hai mangiato nulla… c’è qualcosa che non va?’’, tornò a chiedere
l’uomo, indicando con un cenno della testa il mio zaino, riverso malamente al
suolo a pochi passi da me.
Deglutii, incerto. Avrei voluto sputargli in faccia che suo
figlio era un prepotente, che mi aveva fatto del male davanti a tutti, ma non
ci riuscii.
Volevo tenere quell’umiliazione per me, poiché condividerla
con altri mi avrebbe fatto sentire nuovamente in imbarazzo, e sicuramente se
Federico fosse stato sgridato dal padre, avrebbe avuto un motivo in più per
deridermi ed offendermi una volta fuori casa e a scuola. E questo non potevo
permetterlo.
Mi era chiaro in quel momento che quella era una questione
che dovevo affrontare assolutamente da solo, senza commettere più altri passi
falsi o coinvolgere altre persone.
‘’E’ tutto a posto, non preoccuparti’’, gli dissi dopo aver
riflettuto un attimo, alzandomi e avvicinandomi mestamente al mio zaino.
‘’Beh, sappi che se c’è qualcosa che ti turba puoi parlarmene
tranquillamente… e spero di non avere disturbato, sedendomi qui mentre
suonavi’’, tornò a dire Roberto, con sincerità.
Per un attimo, quelle parole mi stupirono; mai nessuno prima
di quel momento si era offerto di ascoltarmi, poiché in genere non mi ascoltava
mai nessuno. Forse era anche per quel motivo che non riuscivo mai a far fronte
alla mia eccessiva timidezza.
‘’Va bene, lo terrò senz’altro presente. E comunque, non mi
hai assolutamente disturbato. Anzi, se anche altre volte vorrai entrare, e
farmi silenziosamente compagnia intanto che suono, beh, potrai farlo senza
problemi’’, dissi, arrossendo lievemente. In realtà gli stavo chiedendo
tacitamente di tornare ad ascoltarmi mentre suonavo solo perché temevo che in
quella stanza avesse potuto entrare suo figlio, ed avevo una leggera paura.
‘’Ti ringrazio’’, mi rispose lui, sorridendomi.
Mi misi il mio zaino in spalla e mi diressi verso la porta.
‘’A questa sera’’, gli dissi, cortesemente.
‘’A dopo’’.
Lo lasciai lì a leggere, nella mia saletta, sapendo che la
sua presenza avrebbe garantito l’integrità del mio pianoforte.
Forse, in quella casa, Roberto sarebbe potuto diventare una
specie di difesa, una sorta di scudo protettivo che mi avrebbe salvaguardato da
ogni possibile cattiveria, poiché ero certo che lui non avrebbe mai permesso a
Federico di comportarsi da bullo violento. E quell’uomo attirava
incredibilmente la mia attenzione, forse per il forte contrasto che generava
col figlio e per il fatto che i due, da quel che mi era parso, non andavano
molto d’accordo.
Con un sospiro, scesi nel piccolo giardinetto di casa, quasi
sbattendo la porta d’ingresso dietro di me, e uscii in strada con lo zaino
sulle spalle, diretto a casa di Alice.
Avevo il cuore in gola poiché anche quella sarebbe stata una
sorta di nuova avventura, visto che non ero abituato a stare con altri durante
il pomeriggio, e neppure a recarmi in visita ad altre case. Eppure, anche
quella ragazza mi aveva lasciato una buona impressione di sé, e in oltre le
avevo detto che le avrei fatto visita, quindi non potevo rimangiarmi la parola
o non presentarmi.
Pochi minuti dopo, infatti, mi trovavo già sotto il suo
portone, e con un sospiro teso suonai il campanello, sperando che Alice, quella
ragazza che non avevo mai avuto modo di conoscere meglio, si potesse rivelare
cortese e che avesse saputo mettermi a mio agio, nonostante la mia grande
timidezza.
NOTA DELL’AUTORE
Ciao a tutti! Grazie per aver letto anche questo capitolo, e
per continuare a seguire il racconto.
Siamo solo all’inizio ma la situazione generale pian piano inizia
a delinearsi. C’è ancora tanto, tantissimo da dire e non ho idea di quanto
verrà lunga la storia, per ora… beh, spero solo che la vicenda continui ad
essere di vostro gradimento.
Un grande grazie a tutti i gentilissimi recensori! I vostri
pareri e il vostro supporto sono per me ciò che mi dà una grande forza e
un’immensa voglia di proseguire con questa avventura.
Grazie di cuore! A lunedì prossimo J