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Autore: alessandroago_94    18/04/2016    13 recensioni
Antonio Giacomelli è un ragazzo molto timido e introverso, a cui piace trascorrere i pomeriggi suonando il pianoforte. Vive una vita assolutamente normale fintanto che viene a contatto con una famiglia, la famiglia Arriga. E da quel fatidico momento, da quando ha modo di incontrarsi per la prima volta e di scontrarsi con uno dei suoi tre componenti, la sua vita cambierà per sempre, poiché sarà proprio quella stessa famiglia Arriga, assieme ai pesanti segreti che porta con sé, a sconvolgere e a cambiare la sua esistenza, tra immensi drammi e gioie inaspettate.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna, Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate, Violenza
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Capitolo 4

CAPITOLO 4

 

 

 

 

 

Quando finalmente suonò la campanella che sanciva la fine delle lezioni, mi lanciai subito verso l’uscita della scuola, tenendo la testa abbassata e pensando solo a raggiungere casa mia in fretta. Sul mio volto aleggiava ancora il rossore per l’imbarazzo di quella repentina violenza subita, mentre il mio naso sembrava a posto, per fortuna.

Nessuno dei miei compagni si era particolarmente preoccupato per me, ed ero certo che la maggior parte di essi avesse assistito alla violenta scena, ma in ogni caso nel corso dei quattro precedenti anni scolastici non ero mai riuscito a farmi apprezzare da loro, forse per via della mia eccessiva timidezza, che m’impediva di gettarmi in spacconate o in gesti degni d’attenzione.

Poiché si sa che i soggetti maleducati molto spesso diventano i più amati ed apprezzati, mentre coloro che sono timidi possono anche morire immersi nei loro silenzi, poiché nessuno li nota. La timidezza era e rimane sinonimo di emarginazione.

Scivolai lungo i corridoi pieni di gente come se fossi uno spettro, pronto ad andarmi a rifugiare in casa mia, per poi magari chiudermi nella mia piccola saletta e gettarmi subito sul mio pianoforte, in modo da poter cercare di alleviare il mio dolore interno e la mia frustrazione.

Mai nessuno prima di quel giorno si era mai azzardato a sottopormi a percosse fisiche o a violenze simili, e quella prima volta mi aveva lasciato atterrito. Da quel momento, avevo la certezza che Federico era una persona dalla quale dovevo stare lontano, poiché ne valeva della mia incolumità.

Non avevo idea di come avrei fatto a sopportare il fatto di doverlo rivedere anche tra qualche ora a casa, sotto il mio stesso tetto, ma per quello avrei avuto modo di pensarci per bene. Avrei potuto inventare qualche scusa, evitare la cena e i pasti. Ma forse quella non era la scelta più appropriata.

Decisi quindi che avrei combattuto, e che la sua prepotenza non l’avrebbe avuta vinta su di me. Me la sarei cavata da solo, e in un qualche modo avrei saputo tenergli testa, nel caso che quel nuovo arrivato tentasse di nuovo di farmi del male. Dovevo trovarne la forza.

Uscii rapidamente da scuola, a passo frettoloso, mentre tanti altri studenti camminavano con minor fretta, chiacchierando tra loro e lanciandomi una qualche occhiata, non appena passavo a loro fianco. Federico era lì, a pochi passi dall’uscita, mentre chiacchierava e ridacchiava con quei tre ragazzi che fino al giorno prima credevo fossero miei amici, ma che ormai sembravano totalmente assorbiti e presi dal nuovo arrivato, che effettivamente con loro pareva comportarsi da ragazzo esemplare, simpatico ed appariscente al punto giusto.

Quando passai a loro fianco, non mi salutarono, facendo finta di non vedermi, ed io stetti ben attento a non dire nulla e a non tentare neppure di soffermarmi.

La mia camminata spedita si stava trasformando in una sorta di fuga precipitosa, mentre potevo sentire gli occhi gelidi di Federico ben incentrati su di me e sulle mie spalle.

Quando finalmente imbucai il vialetto che mi avrebbe condotto a casa, rallentai il passo e mi sfiorai le guance, scoprendo che ancora parevano essere in fiamme. Dovevo essere bordò.

Con un sospiro agitato, mi appoggiai con la schiena al tronco di uno di quei grandi platani che fiancheggiavano la strada, coprendomi gli occhi con le mani e riprendendo fiato, cercando di calmarmi.

Avrei voluto fermarmi lì per una manciata di minuti, così da cercare di calmarmi e perdere un po’ quella tonalità violacea del mio volto, in modo da non giungere a casa trafelato come una persona appena fuggita da chissà cosa, ma fui violentemente preso dal timore che anche Federico avesse percorso la mia stessa strada per fare ritorno alla nostra dimora, e provai improvvisamente una grande paura; quella di incontrarlo di nuovo.

Eppure, nonostante tutte le mie paure, i miei tremiti e i miei pensieri, continuai a restarmene così, immobile e appoggiato al tronco di quel grande ed anonimo albero, mentre le auto scorazzavano attorno a me, e il mondo continuava ad ignorare la mia sofferenza. Confidavo nel fatto che il prepotente restasse ancora un po’ a chiacchierare con i suoi nuovi conoscenti.

In quel momento, avrei desiderato tanto avere qualcuno a mio fianco, con cui poter parlare e confidarmi.

Odiando la mia timidezza, pressai con più forza i palmi delle mie mani sugli occhi, continuando a cercare di regolare il respiro. Riconobbi che quella mattina avevo subìto un vero e proprio trauma, poiché nella mia vita nulla mi aveva mai colpito così tanto, fino a quel momento.

‘’Ho visto quello che ti ha fatto, questa mattina’’.

Una voce femminile, da ragazza, interruppe i miei pensieri. Qualcuno si stava avvicinando alle mie spalle. Non trovai la forza per togliere le mani da davanti agli occhi, sperando vivamente che si trattasse di una persona che si stesse rivolgendo a qualcun altro, magari parlando al cellulare.

Invece, quella persona era interessata a me, e si avvicinò ulteriormente. Sentii le mani della sconosciuta mentre si appoggiavano sulle mie, togliendomele con delicatezza da sopra gli occhi.

Sorpreso, la lasciai fare.

‘’Come stai? Ti ha fatto molto male, vero?’’.

La ragazza che mi stava parlando era visibilmente preoccupata, lo intuii dal suo tono di voce pacato e sincero, e quando mi ritrovai a fissarla la riconobbi. Si trattava di Alice Casagrande, una studentessa del mio stesso istituto scolastico, che frequentava la quarta superiore nella sezione a fianco della mia.

Avevo avuto modo di vederla più volte nei corridoi, sempre affiancata da qualche amica, e col fatto che viveva a due isolati da me, la conoscevo di vista da sempre. Comunque, tra me e lei non si era mai andati oltre ad un semplice e striminzito ciao, fino a quel momento, e non ci eravamo mai soffermati a parlare né a conoscerci meglio.

Trovarmela lì di fronte, così preoccupata per me, mi sorprese e mi fece una certa impressione.

‘’Non molto’’, risposi dopo un attimo di esitazione, abbassando lo sguardo.

‘’Lo conoscevi già, quello stronzo?’’, tornò a chiedermi la ragazza, sfiorandomi con delicatezza il volto.

‘’Sì, è il figlio dei nuovi inquilini di mia madre. È arrivato ieri, assieme alla sua famiglia, e pare già intenzionato a rovinarmi la vita’’, risposi, sempre tenendo lo sguardo ben fisso a terra. Avevo paura che la mia vicina di casa potesse vedermi troppo turbato, o che magari scorgesse troppo chiaramente quel rossore che continuava a tenere sotto scacco il mio volto.

‘’Ma che gli hai fatto per trattarti così?’’, mi chiese nuovamente Alice, sospirando con nervosismo.

Quella domanda mi riscosse dal torpore che mi avvolgeva, e quasi sobbalzai. Non mi ero mai posto adeguatamente quel quesito, senz’altro fondato. Federico aveva messo piede nella mia cittadina solo il giorno prima, e con lui non avevo mai avuto nulla da spartire, non l’avevo neppure mai visto e fino a ventiquattro ore prima non ero neppure a conoscenza della sua esistenza, eppure lui mi aveva preso fin da subito di mira.

Non seppi darmi una risposta.

‘’Non ne ho idea. Non lo conosco neppure tanto bene… l’ho visto ieri sera per la prima volta. Eppure, mi sa che mi ha preso in antipatia fin da subito’’, mi limitai a rispondere, scrollando le spalle. Quel rancore immotivato nei miei confronti non aveva alcun senso per me, in quel momento.

Alice fece una piccola smorfia dispiaciuta.

‘’E’ un pallone gonfiato, lo si vede da lontano. Ti consiglio di lasciarlo perdere e di girargli alla larga, mi pare anche un po’ matto. Ti va di compiere il tragitto verso casa assieme a me?’’, chiese poi la ragazza, cortesemente, dopo aver espresso i suoi logici pensieri.

Mi scostai dal tronco su cui avevo appoggiato la mia schiena e, per la prima volta in quella giornata, sorrisi blandamente.

Anche Alice rispose al mio sorriso, lasciando che la affiancassi silenziosamente sullo stretto marciapiede, ormai rovinato dalle radici degli alberi, che in alcuni punti l’avevano pure frantumato. La ragazza era alta nella media, snella al punto giusto, con dei bei capelli castani a caschetto e un paio d’occhi neri e penetranti.

Non attirava assolutamente l’attenzione, poiché sembrava sempre molto tranquilla, come anche in quel preciso momento. Indossava una felpa piuttosto pesante per il periodo ancora mite di fine settembre, che aggiunta ad un paio di jeans attillati e ad una borsa blu pareva renderla più adulta, abbagliando lievemente quell’aura da giovane e brillante diciassettenne che la circondava ovunque essa andasse. La conoscevo di vista da sempre, ma mai l’avevo osservata in modo così approfondito, e in un attimo compresi che non era poi tanto male come ragazza.

La rabbia e l’imbarazzo per ciò che era accaduto a scuola quella mattina iniziò pian piano a quietarsi, dentro di me, mentre riflettevo.

‘’Non mi piacciono i prepotenti, sai?’’, tornò a dire Alice, stoppando tutti i miei pensieri.

‘’Neppure a me’’, risposi, di poche parole come sempre. Con le ragazze poi, in genere la mia timidezza mi costringeva a riflettere troppo prima di parlare, poiché non avevo alcuna idea di che dire.

Il genere femminile di solito mi metteva in assoluta soggezione, cosa che però non stava capitando con Alice; con quella ragazza, che conoscevo solo di vista e che era stata l’unica ad interessarsi un attimo a me e a dedicarmi qualche piccola attenzione, mi sentivo a mio agio.

‘’Se si azzarda ancora a crearti problemi, fammelo sapere. Se sono in giro per i corridoi e vedo un altro di quei gesti, giuro che intervengo. Ti chiedo scusa se questa mattina non ho potuto far nulla, ma ero troppo scossa, così come anche le mie amiche; non abbiamo mai visto nulla di simile. Non siamo abituate a vedere gesti del genere e quel tizio ci ha colte di sorpresa, ma ora sono, anzi siamo, pronte ad intervenire’’, tornò a dire la ragazza, con spirito battagliero.

‘’Grazie’’, sussurrai, ma quella volta con fare poco deciso. Non era che mi dispiacesse aver trovato per caso un’alleata, o forse più d’una, ma ammetto che mi avrebbe fatto più piacere sapermi difendere da solo. Non mi chiesi da che parte si fossero schierati quei tre che credevo miei amici; immaginavo già la triste risposta a quella domanda, purtroppo.

Alice mi guardò, poi sorrise.

‘’Tranquillo, immagino che un mio intervento possa metterti in imbarazzo. Però, se noterò qualcos’altro simile a ciò che è accaduto oggi, niente e nessuno riuscirà a farmi star zitta. E se non lo farai tu, sarò io stessa a dirlo con gli insegnanti’’, sibilò la ragazza con rabbia, per poi tornare a rivolgermi un sorriso amichevole e tranquillo.

Se per un attimo avevo avuto il timore che lei mi avesse raccattato per strada come se fossi un gatto randagio o una bestiola da allontanare dopo avergli posto qualche curiosa domanda, in quel momento nei suoi occhi lessi sicurezza e sincerità, e fui certo che si stava interessando a me con tutta sé stessa. Mi pareva incredibile che una quasi sconosciuta si preoccupasse realmente per me, e dovetti riconoscere il fatto che doveva essere davvero una ragazza gentile.

Mi limitai solo a rivolgerle un sorrisetto insicuro e pieno di timidezza, capendo che avrei dovuto dire qualcosa, ma senza poi riuscire a trovarne il coraggio per farlo. Era in momenti come quello in cui comprendevo quanto ancora dovevo migliorare e crescere sotto alcuni aspetti comportamentali, almeno provando ad affrontare quella cappa di timidezza che a volte pareva voler trattenere le parole, quasi come se me le rubasse prima che io potessi pensarle e pronunciarle.

Mentre sorridevo timidamente, udii uno scalpiccio poco più indietro, e voltandomi vidi distintamente l’alta e slanciata figura di Federico, che procedeva spedito qualche metro dietro di noi, con una sigaretta accesa tra le labbra e il cellulare in mano.

Feci un’impercettibile cenno con la testa ad Alice, ed anch’essa lo vide.

‘’Sta andando a casa anche lui…’’, mugugnai, ben sapendo che sarebbe rientrato assieme a me. Sperai che in casa non si azzardasse a cercare di fare il prepotente, ma ne dubitavo.

Avevo sperato che si soffermasse un po’ assieme ai suoi nuovi amichetti, invece a quanto pareva aveva tutta l’intenzione di rientrare in fretta.

‘’Non è un problema. Se non ti va di stare in casa con lui o di trovartelo sempre tra i piedi, non sarebbe un disturbo per me se volessi venire a casa mia, questo pomeriggio. Potremmo studiare assieme, se ti va. So che non affrontiamo lo stesso programma, però possiamo metterci lì sui libri insieme, scambiando due parole di tanto in tanto e studiando in pace…’’, suggerì Alice, stringendosi nelle spalle.

Rimasi stupito ascoltando quell’invito a casa sua, e tornai a sorridere.

‘’Certo, va bene, se per te non è un problema’’, le dissi con cortesia.

‘’Non è assolutamente un problema’’.

‘’Bene, allora… a che ora?’’, chiesi, timidamente.

‘’Uhm, vieni quando vuoi. Io sono sempre in casa’’, mi rispose la ragazza, sorridendo.

Sembrava felice che io avessi accettato il suo invito, ed ovviamente a quel punto fui felice anch’io. Ma fu solo una felicità passeggera, poiché ci trovavamo già praticamente di fronte a casa sua.

‘’A dopo, allora’’, mi disse, continuando a sorridermi ed entrando rapidamente nel piccolo giardinetto antistante la sua abitazione.

‘’A dopo’’, le dissi frettolosamente, congedandomi e riprendendo a camminare un po’ più freneticamente.

Federico, che continuava a fumare pochi passi dietro di me, proseguiva anch’esso spedito, e non volevo farmi raggiungere. Ormai, quel ragazzo era diventato una sorta di fissa.

Fortunatamente, dopo pochi minuti mi ritrovai anch’io sotto casa mia, e lasciando aperto il cancelletto dietro di me, quasi mi lanciai tra le mura domestiche.

Una volta in casa, non attesi altro tempo; non avevo fame in quel momento, e visto che avrei studiato più tardi da Alice, mi decisi a recarmi al cospetto del mio pianoforte, in modo da poter suonare qualcosa e sfogare finalmente tutta la tensione di quella lunga ed agitata mattinata.

Entrai nella mia saletta, richiudendo la porta dietro di me ed appoggiando lo zaino a terra, per poi sedermi sul piccolo sgabello e afferrare uno spartito a caso. Alla fine lasciai perdere, poiché ero talmente tanto agitato che tutto mi tremava tra le mani, e decisi di lasciar perdere quell’azione che mi pareva troppo burocratica, per gettarmi direttamente sui tasti, abbandonando ogni limite che avesse potuto schiavizzare ciò che stavo per suonare.

In quel momento, mi resi conto che cercavo solo quella libertà assoluta che mi avrebbe permesso di rilassarmi e di raggiungere la mia quotidiana armonia. Socchiusi gli occhi, e non appena udii la porta di casa richiudersi, capendo che anche il mio nemico era rientrato, mi buttai sul pianoforte come un avvoltoio affamato di musica, lanciatosi in picchiata verso una carogna composta da tasti bianchi come la neve.

Iniziai a suonare lentamente, prendendoci gusto, per poi cominciare a fare sul serio. Mi sentivo davvero realizzato a quel punto, e tutto ciò che era accaduto quella mattina era ormai qualcosa di lontano, qualcosa che non aveva bisogno di essere ricordato.

Non seppi per quanto tempo restai così, suonando tutto solo e quasi in estasi. Seppi solo che a un certo punto udii lo scricchiolio della porta della piccola sala mentre si apriva, e capii che qualcuno era entrato.

Non avendo visto nessuno in casa, e sapendo che mia madre era al lavoro, temetti per un attimo che si trattasse di Federico, che ancora indispettito ne voleva approfittare di quell’attimo in cui eravamo soli in casa per colpirmi nuovamente, mentre udivo di nuovo lo stesso rumore sommesso, sinonimo del fatto che la porta era stata nuovamente richiusa dall’invasore, che si stava avvicinando poco dietro di me.

Nella mia mente balenò una visione oscura, la figura di quel ragazzo mentre mi faceva di nuovo del male.

Non me ne importai molto, continuai a tenere gli occhi chiusi e a suonare senza sosta; mi sentivo invulnerabile. Capivo che lui avrebbe potuto farmi ancora del male, ma ero spinto da una voglia primordiale di continuare a suonare e di fregarmene del resto del mondo e dell’invasore che stava violando il mio territorio, muovendosi lentamente verso di me.

Mi sentivo assolutamente al sicuro, così immerso nella mia roccaforte musicale, e la mia mente non aveva alcuna intenzione di abbandonare quel suo momento di svago.

Mi rilassai un attimo solo quando udii distintamente il cigolio delle molle della poltroncina alle mie spalle, segnale che qualcuno si doveva essere seduto lì. A quel punto, seppi quasi con certezza che non ero in pericolo, e anzi, che ero più al sicuro di prima.

Continuai a distendermi e ripresi a suonare con vigore, sempre senza alcuna logica o schema, l’importante era solo che ne venisse fuori una melodia accettabile, quindi feci fronte a qualche mia piccola e inconsistente lacuna utilizzando quasi esclusivamente le note che conoscevo di più.

Suonavo il pianoforte da sempre, e fin dalla più tenera età mia madre aveva fatto tutto quello che poteva per lasciarmi seguire la mia passione, pagandomi anche qualche lezione privata al pomeriggio e permettendomi di fare un po’ di pratica. Ma ormai non avevo più bisogno di insegnanti, fortunatamente. Non avevo alcun progetto futuro a riguardo, e quindi quel che sapevo mi bastava per offrirmi il mio solito svago, e di ciò mi accontentavo.

Continuai a suonare fintanto che non fui ebbro di musica, e fin quando capii che avrei dovuto iniziare a prepararmi per andare a casa di Alice, se non volevo lasciar trascorrere tutto il pomeriggio, poiché molto probabilmente doveva già essere passata più di un’ora da quando mi ero messo a suonare. Quindi, con lentezza graduale, abbassai il ritmo delle mia dita e mi riscossi pian piano, e nell’istante in cui conclusi tutto, premendo l’ultimo tasto, spalancai gli occhi.

Sapevo che l’intruso era ancora lì, visto che non avevo udito nessun altro rumore, e mi voltai con lentezza verso la poltrona, dopo essermi assicurato che fosse tutto in ordine sul mio pianoforte, spartiti compresi.

Roberto era lì, occhiali da vista sul naso e il volto rilassato, ben immerso nella lettura del suo solito quotidiano.

Non appena notò che non avrei ripreso a suonare, alzò gli occhi dal giornale e si voltò anche lui verso di me, incrociando il suo sguardo col mio.

‘’Bene, sei sempre più bravo. Ti dispiacerebbe continuare ancora un po’?’’, chiese l’uomo, sistemandosi meglio gli occhiali sul naso.

‘’No, ma ora non posso. Devo uscire’’, risposi, tentennando un attimo.

Sapevo che dovevo alzarmi e lasciare quella stanza, ormai vittima di più di un’invasione nelle ultime ventiquattro ore, ma quella volta non ero assolutamente indispettito dal fatto che Roberto avesse passato un po’ di tempo lì con me. Mi aveva fatto sentire protetto, poiché se c’era lui, molto probabilmente suo figlio non si sarebbe azzardato a darmi fastidio.

‘’Sei tornato a casa tutto trafelato, hai gettato a terra le tue cose, non hai mangiato nulla… c’è qualcosa che non va?’’, tornò a chiedere l’uomo, indicando con un cenno della testa il mio zaino, riverso malamente al suolo a pochi passi da me.

Deglutii, incerto. Avrei voluto sputargli in faccia che suo figlio era un prepotente, che mi aveva fatto del male davanti a tutti, ma non ci riuscii.

Volevo tenere quell’umiliazione per me, poiché condividerla con altri mi avrebbe fatto sentire nuovamente in imbarazzo, e sicuramente se Federico fosse stato sgridato dal padre, avrebbe avuto un motivo in più per deridermi ed offendermi una volta fuori casa e a scuola. E questo non potevo permetterlo.

Mi era chiaro in quel momento che quella era una questione che dovevo affrontare assolutamente da solo, senza commettere più altri passi falsi o coinvolgere altre persone.

‘’E’ tutto a posto, non preoccuparti’’, gli dissi dopo aver riflettuto un attimo, alzandomi e avvicinandomi mestamente al mio zaino.

‘’Beh, sappi che se c’è qualcosa che ti turba puoi parlarmene tranquillamente… e spero di non avere disturbato, sedendomi qui mentre suonavi’’, tornò a dire Roberto, con sincerità.

Per un attimo, quelle parole mi stupirono; mai nessuno prima di quel momento si era offerto di ascoltarmi, poiché in genere non mi ascoltava mai nessuno. Forse era anche per quel motivo che non riuscivo mai a far fronte alla mia eccessiva timidezza.

‘’Va bene, lo terrò senz’altro presente. E comunque, non mi hai assolutamente disturbato. Anzi, se anche altre volte vorrai entrare, e farmi silenziosamente compagnia intanto che suono, beh, potrai farlo senza problemi’’, dissi, arrossendo lievemente. In realtà gli stavo chiedendo tacitamente di tornare ad ascoltarmi mentre suonavo solo perché temevo che in quella stanza avesse potuto entrare suo figlio, ed avevo una leggera paura.

‘’Ti ringrazio’’, mi rispose lui, sorridendomi.

Mi misi il mio zaino in spalla e mi diressi verso la porta.

‘’A questa sera’’, gli dissi, cortesemente.

‘’A dopo’’.

Lo lasciai lì a leggere, nella mia saletta, sapendo che la sua presenza avrebbe garantito l’integrità del mio pianoforte.

Forse, in quella casa, Roberto sarebbe potuto diventare una specie di difesa, una sorta di scudo protettivo che mi avrebbe salvaguardato da ogni possibile cattiveria, poiché ero certo che lui non avrebbe mai permesso a Federico di comportarsi da bullo violento. E quell’uomo attirava incredibilmente la mia attenzione, forse per il forte contrasto che generava col figlio e per il fatto che i due, da quel che mi era parso, non andavano molto d’accordo.

Con un sospiro, scesi nel piccolo giardinetto di casa, quasi sbattendo la porta d’ingresso dietro di me, e uscii in strada con lo zaino sulle spalle, diretto a casa di Alice.

Avevo il cuore in gola poiché anche quella sarebbe stata una sorta di nuova avventura, visto che non ero abituato a stare con altri durante il pomeriggio, e neppure a recarmi in visita ad altre case. Eppure, anche quella ragazza mi aveva lasciato una buona impressione di sé, e in oltre le avevo detto che le avrei fatto visita, quindi non potevo rimangiarmi la parola o non presentarmi.

Pochi minuti dopo, infatti, mi trovavo già sotto il suo portone, e con un sospiro teso suonai il campanello, sperando che Alice, quella ragazza che non avevo mai avuto modo di conoscere meglio, si potesse rivelare cortese e che avesse saputo mettermi a mio agio, nonostante la mia grande timidezza.

 

 

 

 

 

 

NOTA DELL’AUTORE

 

 

Ciao a tutti! Grazie per aver letto anche questo capitolo, e per continuare a seguire il racconto.

Siamo solo all’inizio ma la situazione generale pian piano inizia a delinearsi. C’è ancora tanto, tantissimo da dire e non ho idea di quanto verrà lunga la storia, per ora… beh, spero solo che la vicenda continui ad essere di vostro gradimento.

Un grande grazie a tutti i gentilissimi recensori! I vostri pareri e il vostro supporto sono per me ciò che mi dà una grande forza e un’immensa voglia di proseguire con questa avventura.

Grazie di cuore! A lunedì prossimo J

   
 
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