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Autore: effe_95    21/04/2016    7 recensioni
Questa è la storia di diciannove ragazzi, i ragazzi della 5 A.
Questa è la storia di diciannove ragazzi e del loro ultimo anno di liceo, del loro affacciarsi a quello che verrà dopo, alla vita. Questa è la storia di Ivan con i suoi tatuaggi , è la storia di Giasone con le sue stelle da contare, è la storia di Italia con se stessa da trovare. E' la storia di Catena e dei fantasmi da affrontare, è la storia di Oscar con mani invisibili da afferrare. E' la storia di Fiorenza e della sua verità, è la storia di Telemaco alla ricerca di un perché, è la storia di Igor e dei suoi silenzi, è la storia di Cristiano e della sua violenza. E' la storia di Zoe, la storia di Zosimo e della sua magia, è la storia di Enea e della sua Roma da costruire. E' la storia di Sonia con la sua indifferenza, è la storia di Romeo, che non ama Giulietta. E' la storia di Aleksej, che non è perfetto, la storia di Miki che non sa ancora vedere, è la storia di Gabriele, la storia di Lisandro, è la storia di Beatrice che deve ancora imparare a conoscersi.
Genere: Generale, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago, Scolastico
Capitoli:
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I ragazzi della 5 A
 

40. Lo rispetterò, Benedizione e Cicatrice.

 

Febbraio

Era strano per Cristiano quel tepore che gli accarezzava la nuca passando attraverso il vetro del finestrino sporco. Il paesaggio non offriva altro che strade macchiate di bianco, persone avvolte da giubbotti pesanti, sciarpe colorate, eppure quel singolo raggio di sole, così impudente e testardo, debole attraverso i fiocchi di neve silenziosi, era arrivato fino a lui.
E gli scaldava i capelli, senza arrivare al cuore.
C’è troppo veleno perché possa scaldarsi, vero?
Cristiano sorrise amaramente di quel pensiero e distolse lo sguardo dalla strada che lenta sfrecciava alla sua destra, c’era un odore fastidioso nell’abitacolo di quel vecchio pullman, i sedili avevano la vernice scorticata ed erano imbrattati di scritte strane, alcune illeggibili.
Non voleva cercare di capire perché alla fine fosse salito, perché avesse compiuto quell’atto di fede non lo sapeva, probabilmente non l’avrebbe capito mai.
<< La nostra fermata è la prossima >> Annunciò Zosimo sorridente, era seduto accanto a lui su un altro sedile scorticato e sembrava rilassato, tranquillo. Cristiano non replicò nulla, gli tremavano leggermente le mani perché aveva riconosciuto la strada benissimo, anche se ci era passato solo una volta << C’è anche tua madre qui, vero? >>.
La domanda di Zosimo non lo colse di sorpresa, perché dopotutto Cristiano aveva sempre sospettato che il folletto lo sapesse benissimo, l’aveva saputo fin dall’inizio …
Si ritrovò a sorridere amaramente, non era più andato a trovarla dal giorno del funerale, da quando l’avevano seppellita sotto tutto quello strato di terra e lui aveva provato il desiderio bruciante di gettarsi e scavare fino a spezzarsi le ossa delle braccia.
Fammi venire con te, fammi un po’ di spazio mamma! Non lasciarmi indietro.
<< Già … sai Zosimo, mi fa proprio male … >>
Zosimo contrasse leggermente le sopracciglia quando sentì quelle parole, lanciò un’occhiata al viso stanco di Cristiano e lo trovò con lo sguardo incastonato sulle mura che delimitavano il cimitero della città.
Cos’è che faceva male?
Il cuore, la testa, le braccia, i sentimenti, gli occhi, il sangue …
Il vecchio pullman fermò proprio davanti ai cancelli spalancati, Cristiano e Zosimo furono i soli a scendere sulla strada innevata, dalle alte mura che delimitavano il perimetro si scorgevano gli abeti sempreverdi spruzzati di bianco, e un piccolo chiosco di fiori se ne stava all’angolo come una tavolozza di colori gettati malamente alla rinfusa su una tela bianca.
Lo sguardo di Cristiano era inevitabilmente attratto da quella matassa di colori.
Infilò le mani nelle tasche del jeans e si avviò senza pensarsi troppo su, spinto dallo stesso desiderio sconosciuto che gli aveva fatto fare quel gesto avventato di seguire Zosimo.
<< Ehi Cris, che fai? >> Lo richiamò il compagno di banco, ma Cristiano non si fermò.
Avanzò con passo spedito fino al piccolo chiosco variopinto, guardò impassibile l’uomo anziano che se ne stava seduto tutto imbacuccato su una sedia, sorridendogli con gli occhi, e tirò fuori il portafoglio che portava sempre nella tasca del giubbotto.
 << Un mazzo di margherite >>
L’uomo si tirò in piedi con una certa fatica, aveva grandi mani callose e scure, come quelle di una persona che aveva lavorato per tutta la vita spaccandosi la schiena.
<< Sono finte ragazzo >> Replicò con voce burbera a dispetto degli occhi, mentre si affrettava con agilità a confezionare una sorta di busta con i fogli di vecchi giornali.
<< Non importa … >>
Tanto nessuno verrà a cambiare questi fiori.
Quando raggiunse Zosimo dopo aver pagato, l’amico se ne stava appoggiato con la schiena su uno dei muri interni e osservava con fare distratto il mare di silenzio e candele che si estendeva davanti ai loro occhi, non disse nulla quando Cristiano gli si presentò davanti con quel mazzo un po’ rude, con quei fiori che non avevano nessun odore se non quello della plastica da quattro soldi con cui erano stati fabbricati.
Zosimo lo condusse attraverso un dedalo di stradine, i loro passi rimbombavano terribilmente sull’asfalto macchiato di neve appena caduta, il suono si amplificava battendo sulle pareti e la luce tenue delle candele proiettava ombre allungate su quei nomi sconosciuti a cui Cristiano non stava dando minimamente attenzione.
Faceva terribilmente freddo quando si fermarono.
La tomba di Emilia Marino era in marmo grigio tempestato di nero, era curata, un mazzo di fiori freschi riempiva un vaso di bronzo consumato, e il ramo troppo pesante di un salice piangente pendeva come il braccio stanco di un angelo custode sulla foto della donna, oscurandone l’immagine.
Cristiano non si avvicinò troppo, rimase con il suo mazzo di fiori finti stretto tra le mani a qualche centimetro di distanza, mentre Zosimo si chinava sulla tomba e la ripuliva dalla neve in eccesso bagnandosi le mani già intirizzite.
Il folletto si inginocchiò accanto alla foto della madre e spostò con delicatezza il ramo, aveva un sorriso sereno sulle labbra, un sorriso che non lo aveva mai abbandonato.
<< Ciao mamma, fa freddo oggi, vero? >> Cristiano sobbalzò quando lo sentì parlare, provava uno strano disagio nell’osservare l’amico allungare le dita per accarezzare il volto oltre il vetro, quella carezza era talmente carica d’affetto da fargli stringere lo stomaco, da dargli come la sensazione di essere completamente inadeguato << Lui è Cristiano >> Continuò Zosimo, indirizzando a lui il suo sorriso, Cristiano non si mosse di un passo << E’ un po’ burbero, scontroso, ma alla fine credo sia un bravo ragazzo >>.
<< “Bravo ragazzo” non me l’aveva mai detto nessuno >>.
Brontolò Cristiano facendo qualche passo avanti, fino a quando inconsapevolmente non si mise inginocchiato come Zosimo, con le margherite schiacciate sulle cosce, la neve a bagnargli il jeans e il selciato a graffiargli i polpastrelli su cui si reggeva.
<< Ti assomiglia >>
Commentò, osservando con occhi stanchi l’immagine sorridente di Emilia, lo stesso sorriso del figlio, i folti capelli ricci sul viso e gli occhi vispi e accesi, carichi di vita.
<< Vero eh? Hai sentito mamma? >> Le labbra di Cristiano si sollevarono agli angoli quando Zosimo fece l’occhiolino al ritratto della madre, era un gesto così spontaneo che ebbe quasi la sensazione che Emilia stesse replicando << La prossima volta ti porto i fiori nuovi d’accordo? Facciamo le primule? Aggiudicato, allora! >>
Zosimo si sollevò da terra e lasciò ricadere il ramo che aveva trattenuto fino a quel momento, Cristiano lo imitò, spolverando con una sola mano le ginocchia sporche.
<< Quante volte vieni qui? >> Porgendogli quella domanda, evitò in tutti i modi di guardare il folletto negli occhi, i jeans ormai li aveva puliti del tutto, ma continuava a passarvi le mani sopra pur di avere una scusa per non ascoltare una riposta che in realtà già conosceva.
<< Tre volte a settimana >> Zosimo rispose immediatamente, con naturalezza, aveva infilato le mani nelle tasche del giubbotto e lo fissava come se si aspettasse qualcosa.
Cristiano smise di torturare le ginocchia, raddrizzò la schiena, e traendo un respiro profondo cercò quella forza necessaria che non aveva per ricambiare quello sguardo carico di vita.
<< Dov’è tua mamma Cris? Andiamo a trovarla, si sentirà sola >>
Cristiano aspettava la domanda, ma sentirla fu come essere investito da un pullman, fu come un pugno troppo forte nello stomaco.
Dov’è tua madre?
Dove sei mamma? Dove sei? E io? Io dove sono?
Mi hai fatto un po’ di posto? Se io … se io scavassi fino a farmi sanguinare le mani, con la terra incastrata tra le unghie e le ossa indolenzite … troverei qualcosa?
Troverei … te?
Cristiano strinse più forte il mazzo di fiori finto tra le mani, la carta del giornale che li avvolgeva era quasi completamente stropicciata, alcuni petali di plastica si erano piegati in maniera innaturale sotto la pressione eccessiva delle dita, alcuni petali erano caduti a terra.
Non rispose alla domanda di Zosimo, si limitò a camminare ripercorrendo una strada che aveva fatto una sola volta, ma che ricordava alla perfezione.
Un po’ come se fosse stata la strada della sua vita.
La tomba di Margherita Serra era di un marmo bianco ed anonimo, era sporca di neve e fango, incrostata, il vaso dei fiori era completamente vuoto, probabilmente non era stato mai riempito nemmeno una volta.
Cristiano non trovò nessun salice piangente, nessun angelo custode, solamente una candela mezza sciolta che qualcuno doveva aver posato per pietà.
La foto che ricambiava il suo sguardo era la stessa del funerale.
Si ritrovò bloccato, a pochi centimetri da quello scempio, e non osò fare quel passo avanti che Zosimo compì senza alcuna difficoltà, accostandosi alla foto per pulirla dallo sporco che aveva macchiato il vetro.
<< Non farlo Cristiano … >>
<< Cosa? >> Cristiano sobbalzò quando sentì le parole di Zosimo, che lo stava fissando con una tale intensità ed una serietà che non gli aveva mai visto.
Zosimo non stava sorridendo più.
<< Non desiderare di essere anche tu lì dentro, sotto quella terra che ti opprime il respiro non c’è niente per te. Non troverai nessuno. E nessuno ti tirerà fuori >>
Cristiano avrebbe voluto rispondere in malo modo, mettersi a ridere e mandarlo a quel paese, dirgli qualcosa di cattivo e nascondere magistralmente tutti i suoi sentimenti, proprio come aveva imparato a fare benissimo nel corso di quegli anni.
Ma con Zosimo non ci riusciva, aveva capito che con lui non serviva a nulla fingere.
L’avrebbe smascherato nel giro di pochi secondi con uno di quei suoi sorrisi disarmanti.
<< Sto già soffocando ormai … >> Mormorò, e la consapevolezza gli fece riempire gli occhi di quelle lacrime che mai nessuno, a parte Sonia, aveva visto scorrere sul suo viso.
<< Perché sei tu ad esserti arreso. Cosa credi … che tua madre voglia questo per te? Che voglia vederti sotterrato lì con lei? Può averti lasciato solo, può non essere stata la persona migliore del mondo … ma anche lei a modo suo ti ha amato. Ti ha dato alla luce perché tu vivessi, come non è importante, ma sono sicuro che lei vorrebbe soltanto questo … che tu vivessi >> Cristiano chiuse gli occhi, passò la mano libera sul viso bagnato dalle lacrime, sospirò pesantemente, li riaprì, e con passo stanco si accostò alla tomba della madre.
Si inginocchiò esattamente come aveva fatto Zosimo pochi istanti prima, sollevò le maniche del giubbotto dopo aver posato i fiori finti a terra, e con le stesse mani con cui avrebbe voluto sollevare quella terra fredda e sterile, ripulì il marmo di tutta la neve e di tutto il fango. Svuotò il vaso gettando via le foglie morte che il vento aveva trasportato e che ne erano rimaste intrappolate all’interno, vi sistemò dentro i fiori finti e lo ripose.
Aveva le mani sporche, i jeans macchiati e la faccia striata di terra ma non gli importava.
<< Mi dispiace mamma, non so pregare … >> Mormorò accarezzando il volto sorridente di Margherita Serra, un sorriso triste e rassegnato << Ma ti prometto che farò il bravo … e il debito che ho con te per avermi dato la vita, lo rispetterò >>
Cristiano non trovò altre parole quel giorno, ma ebbe come la sensazione, quando si rialzò ed incrociò il volto sorridente di Zosimo a qualche metro di distanza, di aver fatto un passo avanti.
 
Gabriele aveva un raffreddore con i controfiocchi.
Il naso era talmente chiuso che gli risultava piuttosto difficile respirare anche con la bocca, le labbra screpolate non facevano altro che spaccarsi a sangue e aveva soffiato talmente tanto nei fazzolettini che la pelle del viso era completamente screpolata.
Aveva gli occhi arrossati ed un cerchio alla testa.
Era piuttosto sicuro che tutte queste cose fossero sufficienti per evitare di andare a quella maledetta festa di compleanno, credeva che rischiare di beccarsi la febbre fosse sufficiente per convincere sua madre a lasciarlo a casa sotto le coperte a dannarsi.
Ma quello era il giorno del quindicesimo compleanno di Katerina e Jurij, e ovviamente doveva scontare fino in fondo la sua punizione.
Doveva presentarsi alla festa con il mal di testa, il naso chiuso e quella voce terribilmente roca, doveva fingere che andasse tutto bene, sorridere a tutti e far finta di non vedere.
Non si era mai sentito scoraggiato come in quel momento, mentre se ne stava seduto sul sedile posteriore della macchina di famiglia, con il giubbotto stretto al petto a causa dei forti tremori che gli percorrevano tutto il corpo, cercando di controllare la stizza ogni volta che sentiva i suoi genitori ridacchiare o alzare troppo la voce.
<< Mi sono innamorato di te, perché non avevo niente da fare … >>
Gabriele sobbalzò leggermente quando Alessandra prese a canticchiare, era seduta accanto a lui, ma non riusciva a guardarla in viso perché l’aveva rivolto verso il finestrino, picchiettava distrattamente con le dita sulla coscia per seguire il ritmo e scuoteva la testa a destra e sinistra. Gabriele produsse un grugnito degno dell’uomo di Neanderthal e con la punta del piede la colpì più volte sulla caviglia per incitarla a tacere, Alessandra si voltò a guardarlo con un’espressione contrariata sulla faccia e le sopracciglia aggottate.
<< Cosa c’è? >> Domandò rivolgendogli un’occhiataccia.
<< Spegni quella radio, mi fa male la testa! >>
Gabriele rispose con totale mancanza di flemma, limitandosi a spostare lo sguardo oltre il finestrino, senza prestare troppa attenzione alla strada, e a stringersi maggiormente nel cappotto pesante, anche se non gli dava nessun sollievo dal freddo pungente.
<< Stasera sei più intrattabile del solito >>
Lo stuzzicò Nicola, che nel frattempo aveva smesso di parlare con Lara per prestare attenzione alla diatriba appena nata tra i due figli.
Gabriele sbuffò pesantemente e non si prese nemmeno la briga di replicare, aveva diciannove anni, era prossimo ai venti, e ancora doveva sottostare alle decisioni dei suoi genitori. Quando l’aveva fatto presente, Nicola aveva replicato che finché si fosse trovato sotto il suo tetto, a ripetere l’ultimo anno di liceo per la seconda volta all’età di quasi vent’anni, quei diritti diventavano nulli per principio …
Gabriele non aveva potuto replicare nulla, il che lo aveva messo ancora più di cattivo umore.
<< Più del solito? Perché, non è sempre così? >>
Il commentò inacidito di Alessandra non lo smosse di un millimetro, in altre circostanze si sarebbe infuriato, avrebbero finito con il prendersi a parole per poi azzuffarsi, ma i dolori per il corpo, il naso chiuso e il cerchio alla testa erano troppo fastidiosi.
<< Vi costava tanto lasciarmi a casa? Zia Iliana e zio Francesco non avrebbero detto nulla! >>
Sbottò tirandosi a sedere, aveva assoluto bisogno di soffiare il naso, infilò le mani nelle tasche del giubbotto ed estrasse un pacchetto di fazzolettini ancora immacolato.
<< Ma Katerina e Jurij ci sarebbero rimasti male, per non parlare di Aleksej! >>
Lo incalzò sua madre, girandosi a guardarlo con un bel sorriso stampato sulle labbra, sorriso che Gabriele ricambiò con un’occhiataccia e una soffiata di naso.
<< Cosa c’entra Aleksej?! Non è mica la sua festa! >> Brontolò irritato, mentre appallottolava il fazzoletto sporco e lo riponeva in una delle tasche già stracolme del suo giubbino.
<< Ma non avevate fatto pace voi due? >> Si intromise Alessandra sporgendosi verso di lui per guardarlo in faccia, Gabriele sollevò gli occhi al cielo e deciderò con tutto se stesso di arrivare il prima possibile solo per liberarsi di quell’inquisizione suprema.
<< Sai una cosa Alessandra? Torna pure ad accendere la radio, almeno così ti fai i fatti tuoi no? >>
Al commento acido del fratello, Alessandra spalancò la bocca per replicare prontamente, ma venne bruscamente anticipata da Lara, che si girò completamente sganciando la cintura di sicurezza e si sporse dietro per osservare meglio il figlio maggiore.
<< Ma avete fatto pace, no? >> Insistette tornando cocciutamente sull’argomento.
Gabriele si accoccolò maggiormente nel suo giubbotto e grugnì qualche parolaccia tra i denti, senza importarsi minimamente dell’eventualità che potessero sentirlo.
<< Si e no >> Mugugnò, e vide immediatamente sia Alessandra che sua madre aprire la bocca contemporaneamente per fargli una partaccia, a salvarlo fu suo padre.
Un evento più unico che raro, ma provvidenziale e manifestatosi al momento giusto.
<< Siamo arrivati! >>
Quando zia Iliana aprì la porta, la casa era già invasa da tantissimi invitati, e Gabriele si rese conto che a causa dei suoi capricci e della discussione che aveva avuto con i suoi prima di scendere, avevano fatto ritardo di parecchi minuti ed erano gli unici a mancare all’appello.
La casa era calda e confortevole, piena di parenti e piena di ragazzini che lui non conosceva.
Avrebbe tanto voluto evitare i momenti dei saluti e degli auguri, ma si rendeva perfettamente conto che non era possibile, sarebbe stato strano e quanto meno maleducato.
<< Che faccia assurda che hai! >>
Il commento poco lusinghiero di suo cugino Andrea lo fece girare con l’espressione più arcigna che possedesse, aveva il mal di testa ancora più martellante e il naso sempre più chiuso, si rendeva perfettamente conto di non star dando il meglio di se.
<< Parla per te! Che hai fatto alla testa? >>
Replicò immediatamente picchiettando con un dito la fronte del cugino, proprio lì dove aveva una grosso cerotto macchiato di sangue secco.
<< Si è schiantato nella porta della sua stanza >>
Intervenne Aleksej appoggiandogli con malagrazia un braccio attorno alle spalle, Gabriele non lo aveva visto quando era entrato in casa, il biondo sembrava tranquillo, rilassato, fastidioso come al solito e tremendamente irritante.
Tutto nella norma.
<< Un buco di quattro centimetri nella porta e tre punti di sutura >> Gabriele sobbalzò leggermente quando la voce sottile di Pavel, il fratello tredicenne di Aleksej, lo raggiunse alle spalle, scostò leggermente la testa e incrociò la figura composta del cugino, appoggiato con le spalle alla parete. << Ciao! >> Lo salutò sollevando una mano, Gabriele si liberò con malagrazia del braccio di Aleksej e schiacciò il cinque con Pavel.
<< Hai il naso più rosso che abbia visto, amico! >>
Gabriele era stanco di sentirselo dire, da quando si era svegliato quella mattina era la ventiquattresima volta che glielo facevano notare, le aveva contate tutte.
Fece il dito medio in direzione di suo cugino Ivan, il secondogenito Ivanov con i capelli più rossi che avesse mai visto, e accompagnò il gesto con un sorriso da prendere a schiaffi.
<< Ma guarda che opera d’arte ho appena visto! >> La voce allegra di Francesco Scotti, il padre dei due festeggiati, lo colse talmente alla sprovvista che nascose le mani dietro la schiena proprio come un bambino che era appena stato colto con le mani nella marmellata.
Gabriele imprecò mentalmente, aveva sempre provato una certa soggezione per quell’uomo, e non solo perché aveva avuto una relazione segreta con la figlia fino a poco tempo prima, Francesco aveva una presenza molto forte, era alto, magro, e osservava tutto con un paio di occhi talmente freddi che sembravano volessero congelare anche gli organi interni.
<< Ai nostri tempi mi sembra di avertene fatte vedere un paio anche io! >>
Gabriele adorò suo zio Yulian in quel momento, quando si avvicinò con la sua faccia birichina e appoggiò un braccio sulle spalle di Francesco.
Era ridicolo come quei due continuassero a battibeccare come se avessero ancora diciassette e diciotto anni a testa, il loro rapporto non era cominciato proprio bene, erano diventati amici solamente con il tempo, quando si erano resi conto di avere troppo in comune.
Lasciò i due adulti a confabulare tra di loro e si orientò nel grande salotto, non conosceva i compagni di classe di Katerina e Jurij, e aveva come l’impressione che quella sarebbe stata una delle serate peggiori della sua vita, ma non aveva scelta.
Doveva fare gli auguri ai due gemelli anche se gli fosse costato la vita.
Non fu difficile trovarli, erano talmente biondi ed alti che avrebbe potuto riconoscerli anche a decine di metri di distanza, sospirò pesantemente, infilò le mani nelle tasche del pantalone assicurandosi che il braccialetto non si vedesse, e avanzò con passo strascicato.
Si trovavano vicino all’enorme vetrata che dava sul terrazzo e stavano parlando con un ragazzo che Gabriele aveva già visto a scuola, in compagnia di Katerina nella stanzetta delle macchinette.
Era il suo nuovo ragazzo.
Tipico.
Gabriele non aveva alcun dubbio sul fatto che per tutta la serata sarebbe stato capace di beccarla solamente in situazioni imbarazzanti come quella.
<< Ehi gocce d’acqua, tanti auguri! >>
 Salutarli con quell’appellativo che detestavano da morire non era certamente il modo migliore per cominciare una conversazione che probabilmente sarebbe stata già spiacevole, e infatti i due gemelli non aspettarono nemmeno un secondo per girarsi con uno sguardo omicida, solo che quando si accorsero che era stato lui a parlare ebbero due reazioni differenti. Jurij mise su un sorriso a trentadue denti e corse ad abbracciarlo, Katerina arrossì.
<< Ehi Gab, che hai fatto alla faccia? >>
Gabriele mise su un sorriso tirato, tentando di trovare un contegno che non aveva più.
<< Ha il raffreddore, non lo vedi? >>
Sobbalzò sorpreso quando sentì le parole di Katerina, spostò lo sguardo su di lei e desiderò di non averlo mai fatto.
Quella sera era bellissima.
Gli occhi truccati risaltavano come un pugno nello stomaco, i capelli corti le mettevano in mostra il viso spigoloso ed il rossetto rosso esaltava la forma a fragola delle sue labbra carnose. Indossava un paio di jeans strettissimi, degli anfibi neri con le borchie e una camicetta bianca attraverso cui si intravedeva la fascia bianca del reggiseno.
<< Davvero? E sei venuto lo stesso da noi?! >>
La voce squillante di Jurij lo distrasse dai suoi pensieri lascivi, aggrottò le sopracciglia, mise su un broncio degno del bambino più capriccioso del mondo e annuì distrattamente, con un certo imbarazzo, il cugino acquisito ridacchiò divertito e gli pizzicò il braccio.
Fu solo quando sollevò nuovamente gli occhi scostando con malagrazia la mano di Jurij che si accorse dello sguardo indagatore del fidanzato di Katerina, lo scrutava con freddezza attraverso gli occhi castani e Gabriele si rese conto che probabilmente doveva aver notato il modo insistente con cui aveva osservato Katerina.
Tuttavia non abbassò lo sguardo, non con un bambino di sedici anni.
<< Ah già, non vi conoscete voi due … >> Intervenne ancora una volta Jurij, resosi conto della situazione << Carlo Gabriele, Gabriele Carlo. E’ il fidanzato di Katerina >>.
<< Piacere >> Gabriele non ci pensò un solo istante a sollevare la mano per stringergliela, Carlo non parlò, non disse nulla, si limitò a ricambiare la stretta con forza.
Aveva solo sedici anni, ma doveva aver capito tutto.
Bastava guardare il modo con cui Katerina non riusciva a sollevare lo sguardo su quella scena, che probabilmente non avrebbe voluto vedere nemmeno nei suoi incubi peggiori, per trarre tutte le conclusioni necessarie e completare il puzzle.
Il ragazzo di cui era innamorata, salutava il ragazzo con cui stava per dimenticarlo.
C’era qualcosa di terribile e comico in tutta quella situazione, e Gabriele doveva finirla.
Doveva dare il colpo di grazia, perché solo lui avrebbe potuto farlo.
Si girò verso Katerina mettendo su un sorriso finto e cattivo allo stesso tempo, la bionda sollevò lo sguardo con le sopracciglia aggrottate e sobbalzò leggermente quando Gabriele le mise una mano sulla testa, accarezzandole i corti capelli biondi.
<< Brava! Hai trovato proprio un bel ragazzo, chi l’avrebbe mai detto? Mi raccomando, non farlo fuggire a gambe levate, va bene? >>
Ti do la mia benedizione, e così ti tarpo le ali per sempre.
Ti tolgo ogni speranza che hai con me. Ogni illusione.
Gabriele sentì il corpo di Katerina irrigidirsi sotto il suo tocco, spostò velocemente la mano e la rinfilò in tasca, non si fermò a guardarla ancora, riportò la sua attenzione su Carlo e fece un sorriso finto e forzato anche a lui.
<< Qualche volta dovresti unirti a me e Jurij nelle nostre maratone alla play station >>
Commentò con tono allegro, non credeva di poter essere un così bravo attore, Jurij non si era accorto di nulla e Carlo aveva spalancato gli occhi leggermente sorpreso.
<< Certo, sarebbe fantastico! >> Era saltato su il cugino acquisito saltellando come un grillo.
<< Adesso vi lascio agli altri invitati >>
Gabriele non si prese la briga di verificare se l’avessero realmente ascoltato, se gli avessero dato il permesso di allontanarsi, fece di tutto per non guardare Katerina negli occhi perché sapeva che non avrebbe potuto farle più male di così, perché sapeva che era troppo tardi.
Da quello non poteva tornare indietro mai più.
Le aveva dato la sua benedizione per stare con un altro e aveva rinunciato del tutto a lei.
L’aveva lasciata andare e le aveva fatto credere che a lui non importasse nulla.
Aveva architettato un piano davvero perfetto, ce l’aveva messa tutta a farsi del male.
Era stato talmente bravo che gli veniva quasi da piangere.
 
Quando quella sera Fiorenza corse ad aprire la porta di casa rischiando di scivolare con i calzini sul parquet appena lucidato, si sarebbe aspettata chiunque tranne lui.
Nella frazione di secondo che ci aveva impiegato a correre dalla sua stanza all’ingresso, rischiando di schiantarsi lunga dritta a terra, aveva immaginato potessero essere i suoi genitori appena scesi che avevano dimenticato qualcosa prima di raggiungere il teatro, aveva pensato potesse essere Zoe che si presentava sempre agli orari più improbabili.
Telemaco non era tra le sue opzioni e probabilmente non lo sarebbe stato mai.
Eppure era proprio lui, lì fermo sullo stipite della porta con una felpa pesante addosso, il cappuccio calato sui capelli biondi leggermente oscurati dall’assenza di luce sul pianerottolo, e le mani nascoste dietro la schiena, sintomo di un imbarazzo che non aveva mai saputo dissimulare. Fiorenza ebbe quasi come la sensazione di essere tornata indietro nel tempo a quando stavano insieme e lui la andava a prendere fin sotto la porta per uscire.
Credeva che da quella vigilia di Natale fosse tutto finito, che non ci fosse più nulla da dire.
<< Posso entrare? Oppure non è il caso? >>
La voce di Telemaco la fece sobbalzare, doveva essere rimasta come una scema a fissarlo con la bocca spalancata, bloccata sulla soglia con le mani strette attorno al pomello, ma quando si riebbe dalla sorpresa si rese conto che Telemaco era terribilmente imbarazzato.
Che si aspettava di essere cacciato a calci nel sedere e che credeva di meritarselo anche.
<< Entra, ma guarda che i miei non ci sono e … >>
<< Si lo so, li ho visti uscire >>
Si affrettò a rispondere il ragazzo entrando in casa, Fiorenza non riuscì a guardarlo in faccia mentre pronunciava quelle parole, ma non ebbe bisogno di chiedere altro per capire che voleva parlare con lei, e voleva farlo in privato, senza che ci fosse nessun filtro.
Senza dire nulla lo condusse nella sua camera, Telemaco la seguì in silenzio, continuando a tenere il cappuccio tirato sulla testa e le mani nelle tasche nei jeans, fingendo di non conoscere a memoria la strada per arrivarci, proprio come se tutto quello che avevano vissuto non avesse più senso, come se avesse premuto il tasto di cancellazione dei ricordi indesiderati.
Cinque minuti dopo erano seduti uno di fronte all’altra con parecchi metri di distanza a dividerli, lei sul letto all’indiana, lui sulla sedia con i gomiti appoggiati sulle ginocchia e i pugni chiusi premuti sulle guance, nel silenzio più assoluto.
Telemaco aveva tirato via il cappuccio e i capelli mossi e scombinati sembravano avessero combattuto una battaglia piuttosto cruenta con il vento.
<< Ti ho perdonata >>
<< Cosa? >>
Calò nuovamente il silenzio.
Sia Telemaco che Fiorenza trattennero il fiato ed arrossirono quando si resero conto di aver parlato quasi contemporaneamente, solo con pochi secondi di distanza, quasi come se non avessero aspettato altro che interrompere quel silenzio che si era ripresentato.
Telemaco sciolse la sua posizione, passò con agitazione una mano sulla fronte e scostò lo sguardo imbarazzato altrove, ovunque tranne che su di lei, non poteva nemmeno credere di aver cominciato il discorso in quel modo, non dopo tutte le prove che aveva fatto davanti allo specchio del bagno e poi, in seguito, nell’ascensore.
<< Cioè … ecco … insomma si, ho pensato che dopotutto io … >>
<< Lascia stare Telemaco, se non è nulla di importante puoi anche andare! >>
Fiorenza si alzò di stacco dal letto quando notò il modo in cui Telemaco si contorceva le mani e cominciava a sudare, in imbarazzo, non avrebbe sopportato un’altra discussione insensata senza conclusioni, e tanto meno avrebbe sopportato di essere presa in giro.
Fece per precipitarsi verso la porta ed aprirla, quando Telemaco l’afferrò bruscamente per entrambi i polsi, Fiorenza trattenne il respiro quando si sentì abbracciare da dietro.
La stringeva con tale forza che riusciva a sentire i muscoli del suo petto aderirle sulla schiena, il respiro caldo solleticarle tutto il collo lì dove non lo coprivano i capelli, riusciva a sentire chiaramente il suo profumo muschiato da uomo.
Il cuore le batteva talmente forte che avrebbe potuto scappare dal petto.
<< Non cacciarmi … oddio, lo so che me lo merito! Non dovrei nemmeno permettermi di toccarti, ma .. Non … non sono bravo con le parole dannazione! Io … io ti ho perdonato sul serio. Tutto sommato mi sono reso conto … mi sono reso conto che di smettere di amarti non ne sono capace e che non mi importa. Non mi importa se sei stata con lui o meno, se sia vero o meno, se gli altri mi prenderanno in giro … Dell’orgoglio smisurato che mi porto dietro non me ne faccio nulla dopotutto … Tu sei più importante no? Non … non ce la faccio più a sopportare questo peso qui, qui nel petto, e quindi … se vuoi .. tu … puoi perdonarmi anche tu? Possiamo far finta che … insomma si, possiamo far finta che non sia successo nulla? No, no, no ti sto chiedendo troppo lo so! Lascia stare davvero, non fa nulla …
Però … però ti amo sul serio eh! E non mi importa! Si un po’ si ma … Maledizione Igor, ma perché dovevi parlare per forza? Comunque, davvero io … >>
<< Telemaco! >>
Tacquero entrambi e calò nuovamente un silenzio opprimente, ma né Fiorenza né Telemaco si mossero di un solo passo, assorbendo quelle parole appena pronunciate.
E poi Fiorenza scoppiò a ridere, rise talmente di gusto che le vennero le lacrime agli occhi.
<< Sei sempre il solito imbranato … Come faccio a non ridere? Come faccio? Come faccio a perdonarti dopo quello che mi hai fatto passare eh? Come? >>
E quella risata isterica, piano piano si trasformò in un pianto silenzioso, un pianto che Telemaco accolse in silenzio a sua volta, continuando a tenerla stretta tra le braccia come, si rendeva conto solo in quel momento, aveva desiderato fare per tutto quel tempo.
<< Non dovresti, non dovresti perdonarmi perché sono cattivo, perché non ti credo ancora nel profondo del mio cuore, perché ti ho fatto male. Non dovresti farlo, perché sono stato con altre due ragazze dopo di te, e perché non faccio altro che farti piangere >>
Fiorenza ridacchiò, quello era il discorso più lungo e sensato che Telemaco avesse mai fatto.
<< Così non mi aiuti >>
<< Non ti sto aiutando, ti sto dicendo quello che sono e quello che ho fatto. Ti sto dicendo che sono così … un disastro umano. Non puoi perdonarmi ma … puoi amarmi lo stesso? Anche se sono così sbagliato? Testardo? Cocciuto? Cattivo? >>
Il silenzio che era stato già troppo presente quella sera tra di loro, tornò a farsi sentire con prepotenza, opprimente, passarono minuti che sembrarono ore, poi Fiorenza sospirò pesantemente, asciugò gli occhi con le mani e le appoggiò su quelle di Telemaco.
<< Ma si … dopotutto, non è che io abbia mai smesso di farlo >>
Telemaco lasciò finalmente andare la presa e Fiorenza si girò a guardarlo negli occhi, gli appoggiò le braccia intorno al collo, si sollevò sulla punta dei piedi e gli diede un bacio a timbro sulle labbra, non era sicura che sarebbe andato tutto bene, si erano procurati a vicenda una ferita così profonda che avrebbe lasciato una cicatrice indelebile.
Tornare indietro non era possibile.
Avrebbero potuto solo guardare avanti, e prendersi cura di quella cicatrice affinché con il tempo cominciasse quanto meno a sbiadire. 


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Effe_95

Salve a tutti.
Lo so che sono terribile, ho fatto un ritardo pazzesco questa volta.
Il capitolo mi ha portato parecchi problemi, ho avuto ad un certo punto quello che viene chiamato "blocco dello scrittore", ma fortunatamente sono riusciva a risolverlo in tempo "breve" :S
Comunque, spero che questo non abbia condizionato la qualità, vi prometto che eviterò il più possibile che un ritardo di questa portata si verifichi di nuovo u_u
Allora, la prima parte di Cristiano e Zosimo è stata difficile da scrivere, per tutto il tempo non ho fatto altro che avere paura di affrontare un momento così delicato, quindi ci terrei mi faceste sapere com'è venuto. Gabriele è stato terribile anche in questo capitolo e probabilmente ha proprio superato il limite concesso, sono curiosa di vedere le vostre reazioni al riguardo ;)
Per la parte di Fiorenza e Telemaco, che è anche quella dove mi sono bloccata xD, lascio a voi la parola. Grazie mille a tutti come sempre, grazie per il supporto davvero di cuore.
Alla prossima spero :)

 
  
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