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Autore: Schully    24/04/2016    2 recensioni
Capitoli in revisione.
Mi sono messa a pasticciare dopo un finale di metà stagione mooolto deludente... se vi piace sognare forse questa storia fa per voi... premetto che l'ho scritta e pubblicata... non le ho dato il tempo di riposare sono troppo arrabbiata se c'è qualcosa da aggiustare dite son tutta orecchi.
Genere: Angst, Drammatico, Erotico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Beth Greene, Carol Peletier, Daryl Dixon, Rick Grimes, Un po' tutti
Note: Lemon, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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 Ciao, come va?? Scusate per l’immenso ritardo con il quale aggiorno, avete ragione nel essere arrabbiate e magari anche deluse per cui mi punite non commentandomi… però dovete capire che questo per me è solo un hobby, e che non ho sempre tempo, voglia, ispirazione, per scrivere e che comunque i vostri commenti aiutano un autore a crescere, magari anche bastonandolo, confesso che mi sento un po’ abbandonata e quindi sono qui a chiedervi cosa non vi piace?? Siate brutalmente sincere, ho le spalle grosse… un bacio… see you.
P.s ringrazio sempre e cmq i lettori silenziosi e chi aggiunge tra le seguite, preferite ecc.. un bacione e buona vita!
Giada <3  
 
 

Il necrofilo
 
 

 

Ricontrollando i cassetti in cucina, ho trovato dei passe-partout, forse uno di loro aprirà la porta chiusa al secondo piano, potrebbe esserci qualcosa di utile, vale la pena controllare. Il funerale dei parenti di Noah non è ancora cominciato: i cadaveri dei suoi fratellini giacciono accanto alla pira funebre, mentre lui sta ricomponendo il corpo di sua madre. Ho ancora tempo. Mi dispiace per Noah, probabilmente è di cattivo gusto che io saccheggi ulteriormente la sua casa, però è anche vero che le nostre scorte sono ridotte all’osso, se vogliamo sopravvivere non dobbiamo andare troppo per il sottile. E poi, forse, è ora che io faccia i conti con la mia coscienza, ero un ladruncolo anche prima di tutto questo, la differenza sta solo nel fatto che prima me ne vergognavo. Ora so che è indispensabile per sopravvivere.
Negli stipetti, della cucina ho trovato solo un paio di bottiglie di coca cola, una decina di scatolette di tonno scadute da tre mesi, un pacco di cracker e un chilo di zucchero. È un magro bottino, ma ci dobbiamo accontentare. Sto per diventare padre e ancora non mi sembra vero.
Maggie è entrata come un uragano nella mia vita, sconvolgendomi totalmente. Prima di conoscerla ero solo un ragazzo, forse più intelligente e furbo della media, ma pur sempre un ragazzo, neanche l’apocalisse in un certo senso mi aveva fatto reagire come lei era stata in grado di fare.

Farei di tutto per tenerla al sicuro. Di tutto, persino uccidere. Finora non ho dovuto farlo, ringrazio Rick e la buona sorte per questo, ma so che prima o poi anch’io dovrò pagare il conto. Prendere una direzione, destra o sinistra? Uccidere o essere ucciso? Sono spaventato? Non più, ormai. 
Sono pronto a tutto.

Il crepitio del fuoco si fa prepotente, siamo pronti. Infilo velocemente le misere provviste che ho trovato nello zaino. Voltandomi, vedo Daryl che preoccupato mi viene incontro:
«Dove cazzo è Beth? Non la trovo da nessuna parte…» 
 
 
∞∞∞∞∞∞∞∞∞∞∞
 


L’alba finalmente è arrivata, non ne potevo più. Almeno ora ho una scusa per alzarmi, finora non ne ho avuto il coraggio, perché non volevo disturbare il sonno degli altri. Questa notte è stata infinita, non passava mai, almeno per me. Ma non solo: anche Daryl e Beth hanno passato la notte insonne, li ho visti.
Sono stanchi entrambi ma non vogliono darlo a vedere. “Stupidi” penso contrariata, forse è ora che mi faccia da parte e lasci che risolvano i loro problemi da soli. Forse così cresceranno, finalmente. Siamo pronti per riportare Noah a casa. L’importante è questo, ora. Rick fa l’appello e forma le squadre, con lui ci sono Daryl, Tyreese, Michonne, Beth, e Glenn. Mi aspettavo che mi portasse con sé ma mi basta una sua occhiata per farmi capire che gli servo qui!

Carl scalpita, sarebbe voluto andare con suo padre, ma Rick non ha voluto sentire ragioni ed io mi sono trovata d’accordo. Il ragazzo sta cullando Judith, camminando avanti e indietro e riservando occhiatacce a tutti, me compresa. Finché sei vivo, guardami male finché vuoi, non m’importa, penso. Magari potessi avere ancora gli occhi di Sophia addosso, seppur arrabbiati… mi volto e con voce dura gli dico:
«Visto che vuoi darti tanto da fare, molla Judith e controlla il perimetro, guarda se le trappole che ha messo Daryl ieri sera hanno prodotto qualcosa di commestibile.»  Si blocca e mi osserva inclinando il capo come se non credesse alle mie parole.
«Ti vuoi muovere?» esclamo sorridendo. Carl, finalmente sicuro delle mie parole, mi mette Judith in braccio e si fionda a eseguire gli ordini.
«Aspetta» gli urlo dietro. Lui si volta guardandomi con espressione interrogativa:
«Prendi questi» gli passo un involto. Mi guarda sorridendo e dopo avermi ringraziato si allontana.
«Un giorno tuo fratello sarà un capo fantastico» dico, guardando la bambina che ho in braccio. Lei stranamente mi guarda con occhi penetranti, sembra quasi che colga il significato nascosto dalle mie parole. Poi mi sorride, un sorriso sdentato… mi scappa una lacrima, e per un attimo mi perdo. Judith allunga una mano e me l’asciuga, lascia la sua piccola mano sulla mia guancia come a invitarmi a voltarmi. Finalmente lo faccio e contemplo la potenza dell’alba intorno a me. Rimango rapita da tutto questo per qualche secondo. Alzando gli occhi al cielo esclamo:
«Ok, ok… ho capito il messaggio…»  sorridendo, appoggio Judith sopra ad una coperta, «la sai lunga tu!! Vero, piccola?» Mi appresto a preparare la colazione per tutti, carne secca e fagioli. Maggie è la prima a raggiungermi:
«Sono già partiti, vero?»
«Sì» rispondo, mescolando i fagioli che si stanno scaldando. Non ho bisogno di aggiungere altro. Lei si mette a giocare con Judith, mentre l’odore della colazione si spande, risvegliando i vivi intorno a noi.
 
∞∞∞∞∞∞∞∞∞∞
 


Carol mi ha mandato a controllare il perimetro. “Cazzo” finalmente qualcuno si fida di me, penso euforico saltellando sul posto. Sperando che nessuno mi abbia visto, mi rimetto in testa il cappello, che è scivolato a terra durante il mio momento di euforia, e comincio la mia ricognizione. Il recinto di fortuna che abbiamo sistemato ieri sera è ancora a posto nessuna violazione. Vado avanti con passo sempre più deciso, la pistola spianata di fronte a me come mi ha insegnato papà. Le trappole disseminate da Daryl distano circa duecento metri dal lato esterno del perimetro. Lui e gli altri saranno al sicuro?  Devo convincermi che sia così, qualsiasi cosa accada sarò abbastanza forte da superarlo. In fondo sono io che ho… che ho… Mi fermo in mezzo al bosco, il fiato è sempre più corto, faccio fatica a respirare… sono io… Io che ho ucciso la mamma.
È ora che lo dica ad alta voce. Sarebbe morta comunque, si sarebbe trasformata, come Shane… Ora che ci penso ho dovuto uccidere anche lui per difendere papà, per difendere il gruppo. Nonostante questo mi considerano ancora un bambino, non si rendono conto…

Il sole si sta sempre più alzando, il bosco prende vita, è ora che mi muova, faccio pochi passi e vedo una delle trappole di Daryl. Con soddisfazione mi accorgo che ha funzionato e un paio di conigli penzolano dai piccoli cappi. Con il mio coltello taglio la corda che li ha soffocati e li infilo nello zaino. Proseguo sul mio cammino, nessun errante in vista, menomale. Che ore saranno? Le batterie del mio orologio hanno smesso di funzionare molto tempo fa e non sono ancora bravo a capire l’ora dalla luce del sole come Daryl… uffa, forse le nove, le dieci? Diciamo le nove e mezzo e tagliamo la testa al toro. Il mio stomaco brontola, apro l’involto che mi ha dato Carol: contiene carne secca e un paio di gallette.
Mi siedo sopra una roccia all’ombra, sorridendo do un morso a entrambe; non sono il massimo, mi impastano la lingua, però mi fanno tornare in mente le merende che mi preparava la mamma… sorseggio un po’ d’acqua per non soffocare e insieme alle gallette ingoio anche le lacrime.

Un rumore poco distante mi risveglia, mi alzo di scatto e mi nascondo dietro ad una grossa quercia. Da qui non riesco a vedere niente, “cazzo” devo spostarmi e non devo fare rumore. Rimanendo acquattato tra gli alberi, proseguo lentamente per circa una decina di metri, finché non sento delle voci; sono due uomini, a quanto pare hanno trovato una delle trappole di Daryl; sono arrabbiati per il fatto che sia vuota ma anche eccitati di aver trovato un gruppo da saccheggiare e distruggere. I loro discorsi mi mettono i brividi, devo avvertire gli altri subito, ma non posso neanche permettere che questi due tornino indietro a riferire di averci trovato. Che cosa faccio? Sono nervoso, ancora non mi hanno visto, è questione di attimi.
Prendo la mira e - bang - il primo cade, non faccio in tempo a sparare di nuovo che un secondo – bang - arriva da dietro le mie spalle e colpisce il secondo uomo, che a sua volta crolla a terra. Mi volto spaventato e mi trovo davanti Maggie e Carol: la prima ha ancora un’arma fumante tra le mani, mentre la seconda esclama:
«Ci stavi mettendo troppo! Eravamo… ero preoccupata per te!»  La guardo e non so cosa dire. Forse è vero, sono solo un ragazzino. L’unica parola giusta ora è:
«Grazie» lei mi dà un buffetto sulla testa e con un sorriso mi risponde: «Prego» Maggie intanto sta controllando i cadaveri, li rivolta come un calzino da capo a piedi in cerca di qualcosa di utile. La prima cosa che balza agli occhi di tutti noi è la W scritta con il sangue sulle loro fronti. Cosa diavolo significa?
«Non possiamo più rimanere qui, probabilmente abbiamo attirato erranti nel raggio di dieci miglia con quegli spari. Dobbiamo contattare Rick via radio per informarlo, ma dobbiamo anche lasciare il fienile il prima possibile. Non sappiamo se ce ne sono altri in giro, non sappiamo se siamo nel loro territorio. Dobbiamo andarcene, è meglio» dice Maggie.
«Intanto torniamo al campo, lì vedremo come organizzarci. Carl, nascondi i corpi come meglio riesci, dobbiamo essere pronti!» Risponde Carol.
Faccio come mi ha chiesto, aiutato da Maggie, dopodiché ci incamminiamo in silenzio verso il nostro accampamento.
 
∞∞∞∞∞∞∞∞∞∞
 


Il bosco filtra la luce prepotente del sole, ma da quello che riesco a vedere, non sono ancora passate le undici di mattina. In lontananza riecheggia un’eco… come di uno sparo, forse due, non è molto chiaro. Uno stormo di uccelli si solleva spaventato, oscurando ancora di più la luce. È da una mezzora buona che questo ragazzo albino mi sta trascinando per i boschi, blaterando frasi senza senso. Ogni tanto si ferma ad annusare l’aria manco fosse un cane, se non mi tremassero le gambe dalla paura mi scapperebbe da ridere per l’assurdità della situazione. Sembra che io attiri i guai come una calamita, e se con Dawn devo ammettere di essermela cercata, stavolta “Cristo di un Dio” volevo solo andare in bagno. Cosa ho fatto di male? Questo, a casa mia, si chiama accanimento terapeutico, penso contrariata alzando gli occhi al cielo. Me la vuoi far pagare, Signore? Ho ucciso due persone; la terza... avrei voluto, ma non ci son riuscita. Ho violato uno dei tuoi comandamenti! Quindi devo essere punita per pentirmi, vero? Mi dispiace, perdi tempo.

Non sono pentita, per nulla. Lo rifarei altre dieci, cento, mille volte, se questo significasse proteggere chi amo e me stessa. 
Mi consolo pensando che gli altri mi staranno già cercando. Se riesco a rallentarlo ancora, probabilmente mi troveranno prima che questo pazzo ottenga ciò che vuole… anche se devo ammettere che ancora non ho capito cos’è, e questo mi spaventa. Fingo di inciampare e mi butto a terra, devo guadagnare tempo. Lui mi è subito addosso e mi guarda con sguardo folle:
«Credi che così facendo darai loro il tempo di trovarti? Povera illusa! Ho capito il tuo gioco, non ti servirà a niente, NIENTE» urla con gli occhi spiritati. Strattona le corde con le quali mi ha legata mi afferra anche per i capelli, e mio malgrado mi scappa un urlo di dolore. Al Grady avevo capito come sopravvivere. Anche in questo folle mondo, grazie a Daryl, ho trovato il modo di cavarmela. Questo ragazzo invece mi spiazza: di fronte ho una persona malata, è evidente sia dal suo aspetto, che dal suo comportamento; senza contare il bracciale dell’ospedale dove era ricoverato che svetta sul suo polso. Anche se volessi, non potrei ignorarlo, al Grady ne ho portato uno simile per settimane e se avessi potuto me lo sarei strappato a morsi.

Le lettere sbiadite indicano un numero di matricola, anziché un nome, se non ricordo male questo vuol dire che non era un paziente bensì un detenuto, Probabilmente di un carcere psichiatrico. È ovvio che sia riuscito a fuggire e sia sopravvissuto in qualche modo, ma non mi spiego i cadaveri dei fratellini e della mamma di Noah. A cosa gli servivano? Non mi spiego i graffiti. O meglio... un’idea in testa l’avrei anche, ma è troppo assurda perché sia vera, troppo… Macabra? Forse ho visto troppe puntate di Criminal minds. All’epoca mi era venuta una mezza idea di fare la profiler e così mi ero documentata, avevo cominciato a fare ricerche. Nella biblioteca della scuola avevo trovato un libro interessante… era un libro strano… non finii di leggerlo, perché Maggie lo trovò, fece la spia e… i miei sogni di profiling andarono in frantumi. Di certo quello non sarebbe stato il mio destino, troppo assurdo.

D’altronde anche gli erranti erano assurdi, eppure sono arrivati. La prima cosa che avevo pensato, osservando quei macabri disegni, era che assomigliavano ai graffiti degli uomini primitivi, i quali disegnavano ciò che vedevano molto spesso senza capirlo. Poi però, osservandoli meglio, soprattutto quelli all’interno della casa, ero giunta alla conclusione che avessero una logica, sembrava quasi che raccontassero una storia. Da quel poco che ho capito da quelle immagini contorte, probabilmente non è stato il mio rapitore a uccidere la famiglia di Noah, ma qualcosa di ben più terrificante. Però è come se lui in qualche modo lo avesse celebrato, come se ne fosse fiero, come a specificare: tutto questo è merito mio. “Bah, forse sono io che sto dando semplicemente i numeri e vedo negli scarabocchi di un pazzo più di quel che c’è? Forse ho visto davvero troppe puntate di criminal minds.”

Il mio aguzzino strattona la corda, strappandomi dai miei pensieri, e mi intima di stare buona, mentre si guarda attorno nervoso. Potrei approfittarne, è distratto e di corporatura minuta, potrei colpirlo e fuggire. “Sì, con cosa?” mi domanda la mia coscienza con la voce di Daryl. “Ok, sono ufficialmente fottuta”, l’arciere è anche nella mia testa. “Perfetto!” Però mi dà modo di mettere le cose in prospettiva: non ho armi, se non le mie mani e… il mio cervello, è ora che li usi entrambi.
«I disegni li hai fatti tu, vero? Sono molto belli» dico fingendo un interesse che non provo. Anche se psicopatico è pur sempre un ragazzino e ormai ho imparato a fare colpo. Sfodero tutto il mio sex-appeal e gli sorrido sorniona, sperando che basti a fargli abbassare la guardia. Lui si blocca; sembra confuso dalla mia affermazione, quasi stranito dal complimento velato che gli ho rivolto, si tormenta con le dita sudice la crosta che ha intorno al polso, dove il braccialetto di plastica, sfregando in continuazione contro la carne tenera, ha lasciato un solco.
«Perché non te lo togli?» chiedo affabile «sta facendo infezione, potrebbe essere pericoloso» continuo fintamente preoccupata. Lui mi guarda, senza vedermi in realtà, e con voce incolore mi risponde:
«Loro non vogliono!»
«Loro chi?» Chiedo mio malgrado incuriosita e preoccupata. Il ragazzo si volta e mi guarda inclinando la testa di lato. Un sorriso sghembo mette in mostra alcuni denti mancanti.
«Non vuoi veramente saperlo» risponde. Mi intima di continuare a camminare, minacciandomi con la mia stessa pistola. Passano altri interminabili minuti, raggiungiamo una radura, dove al centro c’è accatastata della legna. Lui si ferma e mi guarda intensamente:
«Volevi sapere chi sono io, giusto? Volevi conoscere LORO, vero? Sarai presto accontentata» dicendo questo, tira fuori da chissà dove una tanica e cosparge la legna di benzina. Infine, con un rapido movimento del polso, scaraventa uno zippo acceso sul cumolo, causando un’intensa fiammata. Il crepitio delle fiamme è molto forte, ma il rumore non nasconde la sua voce, che giunge chiara alle mie orecchie:
«Quando avevo tre anni, mia madre mi regalò un gattino. Era carino, mi piaceva, mi leccava la faccia mentre dormivo, è cresciuto con me… ebbi la mia prima erezione mentre lo strozzavo. Dopo mi sentii in colpa e piansi, ma fu un attimo, avevo circa otto anni… Qualche anno dopo, mi divertii con il cane dei vicini, era una femmina di pastore tedesco. Credo di aver avuto undici, dodici anni, non ricordo molto bene. Presi una spugna da bagno, la buttai nell’olio bollente, la insaporii con del sale, gliela servii e la osservai mentre la mangiava. Ascoltai i suoi guaiti, mentre moriva per via della spugna che le si era gonfiata nello stomaco spaccandoglielo. I suoi rantoli di dolore mi eccitarono a tal punto che venni nelle mutande senza neanche toccarmi. In quell’occasione però fui più furbo, almeno con il vicinato… finsi talmente bene che nessuno sospettò. L’unica che aveva dei dubbi, perché in fondo sapeva, era mia madre. Era a conoscenza della mia natura, ma non voleva accettarla, così si risposò e rimase incinta, credendo che forse avere un padre mi avrebbe aiutato a guarire. Quando nacque la mia sorellina, credetti che mi avessero finalmente concesso il giocattolo che mi spettava. Purtroppo il mio patrigno mi sorprese mentre… sai… volevo introdurla nel mio mondo, era MIA! Il mio sollazzo personale. Credo che ci fosse anche portata. Ma il mio patrigno mi sgridò… mi parlò fin tropo comprensivo. Oh, sì, com’erano fintamente comprensivi! Mi disgustavano. Decisero di farmi entrare in terapia. Credevano di farmi guarire, illusi! Per un po’ tutto andò per il verso giusto, poi però una mattina mia sorella ed io sparimmo. Mia madre e il mio patrigno erano immensamente preoccupati, e avevano ragione di esserlo. Quando ci trovarono, lei era già morta ed io stavo usando la sua bocca da cadavere per farmi fare un pompino… Ti disgusto, vero, piccola Beth? E ti domandi come conosca il tuo nome?! Oh, povera, piccola, illusa Beth» dice, portandosi una mano alla bocca con fare malizioso. I suoi lunghi capelli bianchi ondeggiano alle sue spalle. 
«Prima di agire vi ho osservati. Appena avete messo piede in casa mia, tu mi sei piaciuta subito. Bionda con le trecce… Sai come si chiamava mia sorella?» Dalla mia bocca non esce alcun suono, sono ancora troppo concentrata sul suo racconto. Lui, incurante del mio silenzio, continua imperterrito:
«Si chiamava Elisabhet, anche lei era bionda, e aveva le trecce. Non credi che sia catartico?» Un ghigno sadico gli attraversa le labbra. «Non abbiamo tempo ora di crogiolarci… e se vuoi sapere il resto, devi prestare orecchio… vuoi essere pronta, vero? Per quando arriveranno?» 

Se prima volevo perder tempo, ora l’urgenza di finirla in fretta si fa prepotente. È stato molto più furbo di quanto prevedessi, credevo fosse solo un povero pazzo, ora mi rendo conto che c’è lucidità nella sua follia, e che questa è una dannata trappola. Mi guardo attorno alla ricerca di un’arma qualsiasi, ma l’unica nei paraggi è la mia pistola che il bastardo tiene saldamente tra le dita. Devo rientrarne in possesso:
«Ok… mi hai detto che devo prestare attenzione e lo sto facendo, volevi spaventarmi? Ci sei riuscito, contento? Comunque non ti sembra di essere un po’ maleducato?» Lui mi fissa stranito e io ne approfitto per avvicinarmi ad un ciocco di legno che ho visto poco distante.
«In che senso maleducato? Non ti seguo, piccola Beth, vuoi fregarmi?  Loro non saranno magnanimi se sarai stata cattiva e io non voglio che rovinino il mio nuovo giocattolo.» Sembra essere nervoso. Faccio un altro passo verso il ciocco, lui sembra non essersene accorto.
«Non mi hai ancora detto come ti chiami, tu sai quasi tutto di me ed io non conosco nemmeno il tuo nome, non mi sembra equo, e nemmeno educato, ecco!» Rispondo fintamente offesa, mentre afferro il ciocco di legno prima che lui se ne accorga; lo nascondo dietro la schiena, mi fingo stanca e mi siedo a pochi passi da lui.
«Ho capito che il falò è un segnale per i tuoi amici e che quando saranno arrivati per me non ci saranno speranze, quindi cosa ti costa essere gentile per un po’. In ogni caso devi dirmi ancora chi sono loro, mi avevi promesso la verità, giusto?»
«Immagino tu abbia ragione, e per la cronaca io mi chiamo Daryl» il mio cuore perde un battito nel sentir pronunciare quel nome. Non può essere, Cristo! Questo è accanimento terapeutico. 
«È un bel nome» rispondo mio malgrado, abbozzando un sorriso. Sono sempre più confusa, una volta credevo nei segnali divini… ora in cosa credo? Non ho il tempo però per soffermarmi su certe domande, ora devo solo agire; sono consapevole di avere un tempo minimo, a breve arriveranno i suoi alleati e sia io che il gruppo siamo vulnerabili. Non posso permetterlo. Anche perché per l’ennesima volta è colpa mia.
«Loro chi sono?» Chiedo stringendo le nocche contro la mia arma improvvisata.
«I miei Dei» risponde con sguardo folle. «Ho rivolto loro innumerevoli preghiere nel profondo della notte, li ho supplicati infinite volte nella mia cella, in quel manicomio dove mi avevano rinchiuso, e loro infine sono giunti. Ci sono voluti anni e molti sacrifici, non hai idea del impegno… della fatica!» Mi guarda adirato ed io mi rannicchio ancora di più su me stessa in un’apparente posa di prostrazione, mentre in realtà mi sto concentrando per colpirlo nel modo più duro e rientrare così in possesso della mia pistola. Lui non si è accorto di nulla e continua imperterrito il suo monologo:
«Prima hanno dato mostra della loro potenza, risvegliando i morti come avevo chiesto loro; poi, una notte, mentre me ne stavo nascosto ad osservare i patetici tentativi di sopravvivenza della gente del posto in cui mi avete trovato, quando ormai stavo perdendo la fede in loro, sono arrivati con il fuoco e la lussuria, hanno devastato, stuprato e ucciso come un unico corpo e un'unica mente. La “W” sopra le loro fronti luccicava alla luce della luna, era più che un segno, era “IL SEGNO”. Sono venuto più volte quella notte, è stato molto gratificante. La mattina dopo, ho portato loro i miei doni: tutto il cibo che avevo, le mie armi e me stesso. Mi sono presentato al loro cospetto nudo come un verme, com’era giusto che fosse, loro erano divinità, io non ero nulla. Mi hanno chiesto cosa volessi in cambio dell’eterna fedeltà, io gliel’ho detto. Volevo dei cadaveri da fottere, in cambio avrei fatto tutto quello che mi avessero chiesto. Mi hanno accontentato, in tutto e per tutto, in cambio dovevo essere sempre fedele, tenere solo il minimo indispensabile per sopravvivere e fargli da guardia; sono il loro cane.»
Si volta e mi guarda con occhi incavati e spenti.
Un brivido mi percorre la schiena, sono gli occhi di un morto.
SONO GLI OCCHI DI UN MORTO.

Per un attimo avevo pensato, sperato, di poterlo salvare, ora la verità mi balza agli occhi. Non m’importa più di sapere perché è diventato così, in questo mondo devastato non c’è posto per altro male, deve morire per mano mia. Non so ancora in che modo portare a termine la mia missione, al Grady è finita male, però ci devo provare comunque. Daryl... cazzo, mi suona così male questo nome! Il destino è proprio bastardo, a volte. Daryl si volta a osservare le fiamme, i capelli lunghi e bianchi ondeggiano alle sue spalle; alza le braccia come un direttore d’orchestra, le dita ossute sembra che vogliano dirigere le fiamme. Afferro meglio il ciocco e alzandomi mi sposto leggermente di lato. Lui è talmente perso nelle sue visioni che non si accorge di nulla, questo mi permette di avere una visione migliore del suo viso.
Credo di essermi sbagliata, non è un ragazzino, il suo pallore e le deformità mi hanno ingannato, probabilmente è più vecchio di me. Non m’importa, è tempo di agire. Lui mi dà ancora le spalle e io carico tutto il mio peso sulle braccia, come se dovessi battere un home run.
Corro verso di lui e sbang!  Lo colpisco con tutta la forza che ho. Lui si volta barcollando, mi guarda incredulo. Ricarico e lo colpisco, ancora e ancora, fin quando finalmente cade a terra privo di sensi. Mollo il ciocco e mi fiondo a cercare la mia pistola. Non appena la trovo, controllo che ci sia il colpo in canna e la punto alla sua testa, pronta a fare fuoco.
Lui si risveglia e mi guarda con occhi vacui:
«Beth, perché? Eravamo amici!» Non gli do il tempo di aggiungere altro, il colpo di pistola parte… e questo Daryl non esiste più. Poi succede tutto in un attimo: un’altra voce, a me ben più cara, giunge alle mie orecchie; dice solo una parola:
«Beth» alzo gli occhi e vedo il mio Daryl, l’uomo per il quale andrei all’inferno e, giuro su Dio, tornei indietro. Mentre mi guarda, molte emozioni attraversano il suo viso. Dei rumori poco rassicuranti giungono alle mie spalle, mi volto giusto in tempo per notare che, oltre il falò di segnalazione, stanno arrivando erranti e uomini armati. Non ho il tempo di analizzare nulla, dobbiamo solo correre:
«Scappa» urlo disperata, correndo verso di lui. Riesco ad afferragli la mano e lo costringo a correre con me nella direzione dalla quale è giunto.
 
Continua…
 
 
   
 
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