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Autore: Roscoe24    25/04/2016    1 recensioni
Questa è la storia di Natalie Duvall (nipote di Bobby, figlia di una sua presunta sorella venuta a mancare in un incidente d'auto insieme al marito. Bobby l'ha presa con se e cresciuta) che è una presenza costante della vita dei Winchester. Si conoscono fin da piccoli, sono cresciuti insieme e cacciano insieme. Presumibilmente, Natalie ha vissuto tutte le esperienze che hanno vissuto i fratelli nel corso delle cinque stagioni che riguardano l'Apocalisse.
Nella storia sono presenti dialoghi che risulteranno familiari, quindi sappiate che sono volutamente ripresi, anche se non sono proprio precisissimi.
La trama della sesta stagione non verrà seguita in maniera perfetta, potrebbero esserci degli avvenimenti nominati che accadono prima o dopo e che, invece, in questa storia sono posizionati in modo diverso, o riferiti a personaggi diversi da quelli originali.
Non so cos'altro aggiungere, quindi credo che mi fermerò qui xD
Buona lettura! (Spero) :)
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Bobby, Castiel, Dean Winchester, Nuovo personaggio, Sam Winchester
Note: OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Sesta stagione
Capitoli:
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È come se fosse diventato sordo. Non sente più niente, solo un fischio lontano. Intorno a lui tutto diventa improvvisamente bianco e sfuocato, come se fosse circondato solo da nebbia spessa. Non reagisce subito, prima passa del tempo a metabolizzare le parole di Castiel.
La sua anima. Non c’è più.
Il panico gli attanaglia le viscere, la preoccupazione che questa volta si trovino davanti a qualcosa di irrimediabile lo assale e improvvisamente è come se avesse dei blocchi di ghiaccio che gli scorrono a fatica nelle vene.
Si guarda intorno e tutto d’un tratto, la stanza torna a prendere colore, forma, mette di nuovo a fuoco le facce dei presenti. Natalie è il primo viso che vede, poi guarda Bobby, Castiel e infine Sam che lo guarda di nuovo con quegli occhi supplicanti e confusi.
“Cosa vuol dire che la sua anima non c’è più, dov’è?”
Si stupisce di quanto la sua voce esca ferma e decisa, senza la minima traccia di ansia, così in contrasto con le reali emozioni che sta provando.
Castiel non risponde subito. Guarda prima Sam poi di nuovo Dean.
“All’Inferno.”
Quella risposta è come una sentenza di morte. Dean si sente soffocare. Gli fa male il petto e una nuova ondata di panico lo assale accompagnata da un crescente moto d’ansia, che sembra infinito. Deve calmarsi. Assolutamente. O non caverà un ragno dal buco. Fa un profondo sospiro, resistendo all’impulso di andare ad attaccarsi alla prima bottiglia di whiskey che trova per tracannarne almeno la metà tutto d’un fiato. Non lo fa, perché sa che ubriacarsi non servirebbe a niente, non risolverebbe la soluzione.
“Bene, vai a prenderla.”
È la prima cosa che gli viene da dire, la più plausibile. Partire con la soluzione più semplice, per vedere cosa succede.
“Non posso.”
“Cosa vuol dire non puoi? Hai tirato me fuori dall’Inferno, ricordi? Puoi farlo anche con l’anima di Sam!”
Castiel fa un cenno di negazione con la testa.
“È diverso. Tu eri all’Inferno, la sua anima è nella Gabbia con Lucifero e Michele. Se entrassi per prenderla, non riuscirei a impedire anche a loro di uscire. Non sono abbastanza potente. E poi, sei sicuro di volerla prelevare? È più di un anno che Michele e Lucifero la stanno usando come valvola di sfogo, hai almeno una vaga idea di come potrebbe essere ridotta?”
“Si, ma non mi importa. Sam ha bisogno della sua anima!”
“Ha davvero bisogno di qualcosa fatto a brandelli?”
Dean fissa l’angelo con decisione: “Si.”
“Ci saranno delle conseguenze tremende per lui, lo sottoporrai ad una sofferenza disumana, se non alla morte. Vuoi davvero farlo?”
Dean rimane in silenzio, pensando alla peggiore delle ipotesi: la morte. Vuole davvero questo per suo fratello, la morte? È disposto a rischiare che arrivi nell’aldilà solo per averlo indietro? Ma la morte non è l’unica soluzione, Sam potrebbe anche riuscire a superare tutto questo e tornare quello che era prima..
“Quante possibilità ci sono che invece possa tornare come prima?”
“Non lo so. È difficile dirlo.”
“Dobbiamo almeno tentare.”
Castiel sospira, le braccia lungo il corpo, le spalle leggermente ricurve, segno che si è arreso alla volontà di Dean. Come sempre. La fedeltà che sente nei confronti di quell’uomo lo spinge a fare cose che non si sarebbe mai immaginato di fare, come per esempio approvare un piano del genere senza battere ciglio più di tanto, o come ribellarsi al Paradiso, rifiutare di scegliere di allearsi con le forze celesti di Michele, o Zaccaria, o Uriel ogni volta che invece, poteva mettersi dalla parte di Dean. Castiel è consapevole che sceglierà sempre Dean, nel bene e nel male. E che si fiderà sempre di lui, che asseconderà sempre le sue decisioni. Anche se non le condividerà sempre, come in questo caso. L’angelo non è sicuro che questa sia la soluzione appropriata. Il rischio di danneggiamento permanente, nel caso in cui Sam non muoia, è altissimo. Ma se Dean ha deciso, lui lo asseconderà. Nel caso dovesse succedere qualcosa, troveranno una soluzione ad un ulteriore problema quando esso si presenterà. Castiel questo ormai l’ha imparato: gli umani, e in particolare i Winchester, cercano soluzioni ai problemi quando si presentano. Inizialmente sono angosciati dall’idea del problema, dalle possibili conseguenze, ma poi scelgono lo stesso di fare quella cosa e, se ci saranno delle conseguenze, le risolveranno quando esse si presenteranno. Non gli sembra un modo saggio di affrontare le cose, sarebbe molto più semplice pensare alle conseguenze prima che esse accadano ed evitare di farle accadere. Ma forse, non ha ancora capito fino in fondo come funziona la logica umana.
“C’è un’unica persona in grado di entrare e uscire dalla Gabbia senza che ci siano conseguenze catastrofiche.”
“Chi?”
“Morte.”  
Il silenzio cala come una scure sulla testa dei presenti.
Nessuno ha il coraggio di parlare per un bel po’, fino a quando Castiel alza gli occhi al cielo, come se avesse sentito una chiamata che solo lui è in grado di sentire. Dean, notando quel particolare, ha portato la sua attenzione su di lui, aspettando che Castiel proferisca parola.
Lo sguardo dispiaciuto dell’angelo fa intuire al cacciatore la sua necessità di dover andare.
“In Paradiso mi stanno chiamando, necessitano la mia presenza.”
“Certo, vai.”
L’angelo lancia un’ultima occhiata a Dean. Se potesse, rimarrebbe con lui e Dean lo sa.
“Informatemi sui vostri piani.” Dice Castiel, prima di sparire lasciando dietro di se solo il rumore delle piume che si alzano in volo.

                                                                                                              ***

La situazione rimane pietrificata per un po’. Natalie sente un nodo allo stomaco, la sensazione di avere qualcosa di pesante su di esso, come un grosso macigno che non riesce a scendere giù e le rimane bloccato lì, impedendole persino di respirare.
Questa situazione è piuttosto grave, forse più di quanto si aspettassero, ma almeno adesso sanno con cosa hanno a che fare.
Ignora momentaneamente la sensazione di oppressione che prova per concentrarsi su Dean. Lo vede guardare Sam, lo osserva dirigersi verso di lui, togliergli la cintura dalla bocca e slegarlo lentamente. Lo fa così lentamente che sembra in trance. Quando ha liberato suo fratello del tutto, si alza in posizione eretta, fa per allungare una mano verso Sam, ma la ritrae quasi subito. Natalie non sa come interpretare quel gesto, visto che Dean non ha mai accarezzato suo fratello, o almeno lei non gliel’ha mai visto fare. Rimane lì, davanti a Sam. Il minore rimane seduto, guardando verso l’alto in direzione di Dean. Sembra che la sua arroganza sia svanita del tutto, lasciando spazio ad un profondo disorientamento. Natalie non sa come interpretare nemmeno questo. Se deve essere sincera, questo cambiamento improvviso di Sam la spaventa.
Dean sposta lo sguardo fuori dalla finestra. Sta pensando.
Si massaggia le tempie e poi preme le dita sulle palpebre. Le spalle tese, il respiro regolare ma non rilassato, quasi come se si stesse sforzando di respirare normalmente. Probabilmente, pensa Natalie, se Dean non si sforzasse di respirare in quel modo, sarebbe in iperventilazione.   
Probabilmente, Dean sta annegando. Probabilmente, vorrebbe riempire i suoi polmoni di una salubre boccata d’aria, ma ogni volta che ci prova, l’unica cosa che entra nella sua bocca, nel suo naso, è acqua. Acqua fredda, gelida, potente, crudele, prepotente, invasiva, letale. Non gli lascia scampo. Lo riempie sempre di più fino a farlo cedere, fino a che non sarà costretto a lasciarsi trascinare giù, nei fondali neri e gelati, dove vivono le carcasse delle navi. Dean è schiacciato dai suoi pensieri come una nave lo è dall’acqua che entra nella stiva e la fa affondare. È un processo lento, ma sai già come andrà a finire non appena inizia: non c’è via d’uscita quando situazioni del genere prendono il sopravvento, si può solo accettare di finire a fondo.
Ma Dean non è una nave. E non è solo.
Gli si avvicina, appoggiandogli delicatamente una mano tra le scapole.
“Dean.” Sussurra così piano che teme possa non averla sentita. Ma quando lo vede aprire gli occhi e voltarsi verso di lei, si rende conto che l’ha sentita, l’ha percepita.
“Sto bene.”
Bugiardo.
I suoi occhi sono lucidi, come se si stesse sforzando di non piangere. Passa i denti sul labbro inferiore, facendolo entrare all’interno della bocca per un secondo e facendolo riemergere subito dopo.
“Hai davvero intenzione di riprendere la mia anima e rimettermela dentro come se niente fosse?” domanda Sam, recuperando un po’ dell’arroganza che nell’ultimo periodo è stata così tipica del suo essere. Si alza dalla sedia, ergendosi in tutta la sua altezza e mettendosi di fronte a Dean. Occhi negli occhi, di nuovo. Come la sera precedente. Natalie istintivamente si posiziona tra i due, senza toccarli. Pronta ad intervenire nel caso arrivino nuovamente alle mani.
“Si.”
Sam si volta verso Bobby, sconvolto: “Diglielo anche tu che è una stronzata, ti prego!”
Bobby, con le braccia incrociate al petto, il cappello pigiato in testa con così tanta decisione che quasi gli nasconde le sopracciglia, si stacca dal muro dove era stato appoggiato fin’ora.
“Non possiamo lasciarti così.” Comincia il vecchio cacciatore.
“Siete pazzi! Siete tutti pazzi!” sbotta Sam, alzando le braccia e iniziando a girare in tondo come un animale selvatico dentro ad una gabbia troppo piccola.
“No. Non se ne parla. Non metterete qualcosa che può uccidermi dentro di me!”
“Rifletti, Sam! Tornerai te stesso. Ricomincerai a dormire, a provare emozioni, a ridere, a fare qualsiasi cacchio di cosa facessi prima!”
Alle parole di Dean, Sam si ferma, smettendo di girare per la stanza con fare irrequieto. Non ha nessuna intenzione di farsi mettere l’anima dentro di se, ma sa benissimo che continuare a porre resistenza non lo porterà da nessuna parte. Deve far credere di volere la sua anima indietro, solo così, quando tutti saranno impegnati a fare in modo che la riceva, potrà trovare un modo affinché, invece, la sua anima rimanga esattamente dov’è.
“Proverò di nuovo emozioni..” sussurra, impegnandosi affinché il suo tono risulti sincero.
Rimane in silenzio e con lui tutti gli altri.
Fa passare qualche minuto, prima di guardare di nuovo Dean con occhi bisognosi d’aiuto, supplicanti.
“Mi manca provare emozioni.” Confessa, cercando di risultare credibile. Fa una piccola pausa, guardando Dean dritto negli occhi: “Facciamolo. Voglio la mia anima indietro.”

                                                                                                              ***

Dean è uscito da quella casa non appena ne ha avuto l’occasione, con la scusa di dover sistemare Baby.
Nat sa benissimo che quella macchina è a posto, e probabilmente lo sanno anche tutti gli altri. Dean voleva solo un momento per riflettere. Il che è strano per Natalie, conoscendo l’impulsività di Dean. A meno che lui non abbia già qualcosa in mente e stia solo metabolizzando la cosa, accettando l’idea che ciò che si è prefissato di fare sia la cosa giusta.
Sarà sicuramente qualcosa di folle.
Nat sospira.
Alza gli occhi dal tomo che sta leggendo, in sala, seduta sul divano con le gambe incrociate. Lei, Bobby e Sam hanno momentaneamente lasciato le ricerche sulla Madre per concentrarsi a trovare un modo per evocare Morte e scendere a patti con lui. Purtroppo, le cose che fin’ora hanno trovato non erano per niente rassicuranti. Cerca di concentrarsi sul libro sulle sue gambe, ma il pensiero torna su Dean.
Lui ha già deciso cosa fare, ne è sicura. E questo la spaventa.
Ricorda benissimo cosa è successo anni fa, quando Sam era stato pugnalato a morte e Dean aveva venduto l’anima. Era stato silenzioso, taciturno, aveva già deciso cosa fare e stava solo aspettando il momento giusto per farlo.
Si passa una mano tra i capelli. Stare qui a rimuginare su Dean e le sue possibili intenzioni non la porterà da nessuna parte. Deve affrontarlo. Chiude il libro e si incammina di buon passo verso l’uscita. Una volta fuori casa, si dirige verso il garage dove entra piano, per non disturbarlo. Appena mette piede dentro al garage, trova Dean sotto l’Impala, sdraiato sopra ad un carrello, di quelli che vanno sotto le auto. Le gambe che sbucano, una tesa, l’altra piegata con il ginocchio rivolto in alto. Si avvicina ancora un po’, piano. Le piace guardarlo lavorare, o almeno sapere che sta lavorando, anche se per metà non lo vede.
Quando è abbastanza vicina, nota che ha la maglietta un po’ rialzata – probabilmente conseguenza dei movimenti con le braccia che sta facendo sotto l’auto – e il suo sguardo ricade involontariamente sulla pancia, dove fanno mostra gli addominali più bassi e la V non troppo marcata che caratterizza il suo ventre.
Scuote la testa, ricomponendosi.
“Dean.” Lo chiama, non a voce troppo alta, per non spaventarlo.
Il cacciatore esce da sotto la macchina facendo scorrere il carrello con le gambe. Ne emerge sudato, macchie d’olio gli colorano di nero il viso in modo disordinato e la maglietta è chiazzata da macchie di sudore e sbavature scure – olio anche quello.
Si alza, facendo mostra della sua altezza. Improvvisamente, Nat si sente più bassa del solito. Indugia sui tratti del suo volto, sulle labbra piene e sugli occhi resi ancora più brillanti dalle macchie scure che sporcano il suo viso. D’istinto, alza una mano per pulirgli una guancia, ma si blocca a metà lasciandola sospesa in aria.
“Che c’è?” chiede lui, strizzando gli occhi con fare interrogativo.
“Niente.” Nat ritira bruscamente la mano. “Sono venuta per chiederti una cosa..”
“Chiedi.” Alza le spalle e afferra un asciugamano, appoggiato sopra al frigo portatile – situato proprio vicino all’Impala –, che usa per strofinarsi le mani sporche.
Nat si passa le mani sui jeans, per asciugare i palmi improvvisamente umidi. Quel gesto non sfugge a Dean che si sofferma sulle sue cosce un po’ troppo, prima di tornare a guardarla in viso.
“Quanto è suicida il tuo piano da uno a dieci?”
Dean non le risponde subito, il che le conferma i suoi dubbi. Lo osserva chinarsi sul frigo, aprirlo ed estrarne una birra. La stappa con fare esperto e se la porta alle labbra. Ne beve un lungo sorso prima di rivolgersi nuovamente a lei.
“Abbastanza suicida.”
Nat lo guarda male, incrociando le braccia al petto.
“Cosa hai intenzione di fare? Intrappolare Morte? Sai che l’unico che ci è riuscito – senza poter subire l’ira funesta e devastante di uno dei Cavalieri dell’Apocalisse – è stato Lucifero, vero?”
“Certo che lo so!”
“Bene!” afferma, agitandosi. Senza rendersene conto, Nat ha iniziato a camminare avanti e indietro, tracciando un solco immaginario: “Perché, non vorrei fare la guastafeste, ma tu non sei Lucifero e non hai la sua potenza! Come credi di poter fare, eh?”
“Ti vuoi dare una calmata?”
Nat si blocca e alza le sopracciglia, guardandolo sorpresa.
Dean porta di nuovo la bottiglia alle labbra, bevendo un sorso di birra con una calma quasi esasperante, prima di risponderle.
“Non ho intenzione di intrappolare Morte. Credi che sia stupido? Il mio piano è un altro.”
“Ah si, e quale sarebbe?”
Dean alza gli occhi al cielo: “Vuoi smetterla di interrompermi?”
Nat si morde l’angolo sinistro del labbro inferiore. Dean prende quel gesto come segno di poter continuare a spiegare.
“Conosco un uomo, il dottor Roberts, che mi può aiutare. Ha curato mio padre un sacco di volte e diciamo che è esperto anche in cose meno.. naturali. Andrò da lui e gli chiederò di uccidermi per cinque minuti, evocherò Tessa, le chiederò di chiamare Morte e, quando lui comparirà, gli chiederò l’anima di Sam in cambio del suo anello.”
Nat rimane momentaneamente in silenzio.
“È effettivamente un piano suicida.” Esordisce, poi.
“Già, ma solo per cinque minuti.”
“E se Morte non volesse ascoltarti?”
“Ho il suo anello, lo userò come merce di scambio. Mi ascolterà.”
Nat arriccia le labbra, riflettendo. Vale la pena tentare. Odia l’idea che Dean rimarrà morto per qualche minuto, anzi, è terrorizzata da questa idea, ma sa che non lo può fermare. Quando si tratta di Sam, nessuno può persuadere Dean dalle sue intenzioni. Però può aiutarlo.
“Bene, verrò con te. E il dottor Roberts farà ciò che deve fare ad entrambi.”
A Dean sfugge una risata sarcastica: “Non pensarci nemmeno.”
“Perché no?”
“Perché non voglio che tu venga nello stesso luogo dove ci sarà Morte! E soprattutto, non voglio tu muoia!”
 Nat abbassa lo sguardo per un momento e poi torna a guardare Dean.
“Nemmeno io voglio che tu muoia. Ti ho già visto morire, ricordi? Non voglio ripetere l’esperienza.” la voce si incrina, l’immagine di Dean dilaniato dal segugio infernale allo scadere del suo anno è ancora troppo vivida nella sua mente, le sue grida le risuonano nelle orecchie, la sensazione di impotenza, la consapevolezza che se ne stesse andando per sempre. Deglutisce per ingoiare la biglia enorme che le si è formata in gola.
“Verrò con te e faremo questa cosa insieme.” Afferma, questa volta con voce più perentoria.
Dean la guarda dritta negli occhi. Quello sguardo le fa sentire le gambe molli e per un momento, si dimentica di tutto. Della Madre, del Purgatorio, di Sam senz’anima, di Crowley che li tiene per la gola, dell’ultimo anno e delle loro scelte che li hanno portati a separarsi. Lui si avvicina, riducendo notevolmente la distanza tra loro e lei non riesce a muoversi, come se fosse incantata, come se le avesse fatto una magia da cui le è impossibile sottrarsi. Le posa una mano sulla guancia, poi scende fino a prenderle il mento con le dita, tra l’indice e il pollice. È un contatto delicato, ma Natalie sente i brividi che le percorrono la schiena e le coprono le braccia. Ringrazia il cielo di avere ancora lo spolverino addosso.
“D’accordo, signorina. Come desideri.”
Gli occhi di Dean percorrono ogni centimetro del viso di Natalie. Il cacciatore resiste al tremendo impulso di accarezzarle il labbro inferiore con il pollice e, invece, dopo aver lasciato la presa sul mento, le scosta una ciocca di capelli dal viso. La vede arrossire lievemente, dopo quel gesto.
“Sai, se non sapessi come stanno le cose, direi che, in fondo, ti importa ancora di me.”
“Indipendentemente da come andranno le cose, mi importerà sempre di te. I miei sentimenti non cambiano.”
“Allora perché sei stata con lui?”
Quella frase spezza la magia, catapultando Nat rovinosamente nella realtà, vomitandole addosso tutti i loro veri problemi. Come ha potuto anche solo pensare che sarebbe stato così semplice? Che bastasse solo uno sguardo per riempire il vuoto cosmico tra di loro?
“Ne parleremo a tempo debito, Dean. Quando anche tu sarai disposto a dirmi perché te ne sei andato.”
Fa un passo indietro, creando nuova distanza tra loro. Ma quel gesto, le strappa il cuore, come se per un attimo avesse di nuovo assaporato cosa vuol dire averlo vicino, sentirlo vicino. Per un attimo, è stato come se i loro cuori non si fossero mai allontanati, come se il loro rapporto non fosse stato squarciato dalle loro scelte. Per un attimo, tutto le è sembrato come sempre. Ma non è così. E adesso, è come se avesse gettato sale su una ferita troppo profonda, troppo aperta, provocando un dolore fin troppo intenso, quasi vivo.
“Fammi sapere quando vuoi partire, ok?”
Si incammina verso l’uscita senza aspettare una risposta, lasciando Dean in mezzo al garage.
“Ok.” Sussurra lui, guardandola dirigersi verso la porta.
Una domanda lo colpisce all’improvviso, anche se è tanto che gli frulla in testa, ma l’ha sempre accantonata.
“Nat.” La chiama. Lei si blocca sulla soglia, una mano sopra alla maniglia della porta. Non si volta.
“Me l’avresti mai detto?” la domanda rimane sospesa nell’aria, echeggiando tra quelle mura, “Almeno questo dimmelo.” Continua, ed è quasi una supplica.
Vede le spalle di Nat incurvarsi, lascia la maniglia e si volta, incrociando i suoi occhi: “Certo, avrei trovato il modo. L’ultima cosa che volevo era nascondertelo. Ma non avrei nemmeno voluto che Sam te lo dicesse in modo, come posso definirlo.. schietto?.. brutale? Sai, ho l’impressione che non abbia cercato di addolcirti la pillola.”
“Ad essere sinceri, è stato Christian Campbell a dirmelo. Poi ho chiesto a Sam se fosse vero e come se niente fosse ha confermato, con tanto di alzata di spalle.”
La mente di Dean viene momentaneamente invasa dal ricordo di lui e Sam vicini all’Impala, proprio la sera in cui Christian aveva sputato il rospo: Dean che domanda a Sam se ciò che gli ha detto Campbell sia vero, l’espressione indifferente di Sam, il suo modo menefreghista di alzare le spalle, come se niente fosse. Come se non avesse appena confessato un torto. Ricorda come si era fiondato su di lui senza pensarci due volte. Se n’erano date di santa ragione. Dio solo sa quante se n’erano date. Avevano ancora i segni sul viso, quando Natalie aveva varcato la soglia di casa. I loro visi colorati da lividi violacei e segnati da ferite che iniziavano a rimarginare. Probabilmente, se dovesse descrivere il colore della discordia sarebbe il viola, come quello dei lividi – gli unici inconfondibili segni che se hai fatto del male, è perché volevi farlo, perché c’erano delle circostanze che ti hanno portato a voler colpire quella persona. Non sa a che colore potrebbe associare il perdono, invece. Non sa bene nemmeno se è capace di perdonare. Forse si, se si tratta degli altri, o meglio di chi reputa la sua famiglia. Di certo, non è mai stato in grado di perdonare se stesso, in nessuna occasione.
“Campbell..” riflette Natalie. “Non mi stupisco. Non mi sono mai piaciuti i suoi modi. Comunque, non stava a lui dirlo. Stava a me, e io un modo più gentile l’avrei trovato.”
“Come?”
“Non lo so, Dean. Ma stavo pensando di farlo non appena ho messo piede in casa, proprio il giorno che sei salito in camera mia per chiedermelo. Magari non l’avrei fatto quello stesso giorno, ma quello dopo.” La sua voce si altera un poco, come se non riuscisse più a controllare le emozioni, come se tenerle pacate risulti sempre più difficile. “Mi chiedo, invece, se tu mi avresti mai detto dov’eri finito. Sei fuggito..” Portando con te tutto ciò che rimaneva di me, vorrebbe aggiungere, ma non lo fa.
Dean abbassa lo sguardo, colpevole.
“Mi dispiace.”
Rialza lo sguardo su di lei ancora in piedi in quel garage, vicino alla porta, gli occhi lucidi che cercano di trattenere un pianto. E ancora una volta, Dean vorrebbe prendersi a pugni anzi che sapere di essere la causa della sua sofferenza. Quando se n’è andato, pensava che fosse la cosa migliore per tutti. Escludeva categoricamente un ritorno di Sam – un po’ per le circostanze che si erano presentate, un po’ perché Morte era stato piuttosto chiaro riguardo al non provare a portare indietro suo fratello – quindi, ridotto a pezzi com’era, con quel profondo desiderio di morire che provava, pensava che allontanarsi da lei fosse la cosa migliore. Allontanandosi, avrebbe evitato di trascinarla a fondo con se – perché l’avrebbe fatto, ne è sicuro. E non avrebbe sopportato l’idea di farle del male, di trascinarla nei luoghi più dannati della propria anima. Natalie l’ha sempre capito, sempre supportato, e l’avrebbe fatto anche quella volta. Si sarebbe messa da parte, avrebbe messo da parte il suo dolore, per aiutarlo a superare la morte di Sam, ma così facendo, lui si sarebbe lasciato andare nel modo più malsano possibile, trascinandola in un cerchio senza fine dove lei avrebbe solo finito per soffrire, schiacciata dal peso dell’oscurità che Dean si portava dentro. Il dolore della sua perdita avrebbe soffocato tutto ciò che c’era di buono tra di loro, consumando i loro bei ricordi, facendo marcire il loro futuro sul nascere. Non puoi costruire qualcosa su una piattaforma instabile e sperare che regga. E Dean era così instabile che lui e Natalie sarebbero finiti sotto alle macerie della sua lacerante agonia, schiacciati da notti insonni plasmate dai ricordi in cui avrebbe rivisto Sam gettarsi nella Gabbia, affogati dai fiumi di alcol in cui Dean si sarebbe tuffato per annebbiare la mente e alleviare almeno per un po’ la fitta al cuore, che lo trafiggeva con così tanta violenza che gli sembrava di sentirlo sanguinare. E Natalie questo non lo meritava. Non lo merita. Natalie doveva essere libera, riprendersi dalla perdita e continuare a vivere.
Andare avanti.
Stare senza Dean e la sua parte corrotta dalla perdita.
Stare senza Dean e quella parte di lui che senza Sam non ci sa stare. Non sa vivere senza Sam e questo Natalie lo sapeva. E avrebbe fatto di tutto per aiutarlo. Lui non voleva farsi vedere in quelle condizioni da lei. Il fondo doveva toccarlo da solo, raschiarlo con le proprie mani, escludendo Natalie da tutto ciò. È convinto che se fosse rimasto, l’avrebbe avvelenata. Anche se, forse, andandosene, ha fatto la stessa cosa.
Con Lisa sarebbe stato completamente diverso, questo lui lo sapeva. Con lei non si sarebbe mai lasciato andare perché sapeva benissimo che non avrebbe capito. Quindi, quando è andato da lei desiderava solo che quella parte che dentro di se stava marcendo non venisse fuori, lasciando emergere quella che invece, all’apparenza, era più sana. È stato un comportamento così egoista,  il suo, e di questo non si perdonerà mai. Ha fatto male a delle persone a cui vuole bene, perché indipendentemente da tutto, a Lisa e Ben vuole bene. Anche se loro ormai non ricordano più chi è, non ricordano che ha fatto parte della loro vita, ma forse è meglio così, almeno adesso sono al sicuro. E ha fatto male a Natalie.
Ora, con il senno di poi, si rende conto che non avrebbe dovuto scappare, che avrebbe dovuto affrontare le conseguenze della sofferenza.
“Anche a me.” risponde Natalie, la voce ridotta ad un sussurro, strangolata dal groppo in gola. Smette di guardarlo e si volta di nuovo verso la porta, prima di uscire, però, si gira per guardarlo un’altra volta.
“Tornerai da lei? Almeno questo dimmelo.” Fa eco, usando le stesse parole di Dean.
L’uomo fa un cenno di negazione con la testa.
Le parole di Sam le risuonano nelle orecchie: Quando tutto questo sarà finito, Dean tornerà da Lisa. Probabilmente, Sam mentiva.
“Perché?”
Dean stringe le labbra, evidenziando le fossette ai loro lati: “Perché la mia vita non è quella. È questa. Lisa e Ben sono importanti per me, ma non posso coinvolgerli in tutto questo. Sai, quando Sam è tornato e Lisa ha evidenziato quanto morboso sia il nostro rapporto, ho capito che non potevo stare da tutte e due le parti, non potevo essere Dean Winchester il cacciatore e Dean Winchester l’uomo di casa. La mia vita è cacciare. E non voglio che ci vadano di mezzo loro o che soffrano per colpa mia. Quindi ho chiesto a Castiel di cancellare il ricordo che hanno di me dalla loro memoria.” La voce si incrina, tradendo l’emozione. Non è stata una scelta facile, per niente. Ma è meglio così. Lo deve a Lisa e a Ben, che l’hanno accolto nelle loro vite a braccia aperte, quando ha bussato alla loro porta. L’hanno protetto quando lui si sentiva perso, adesso è quello che deve fare lui: proteggerli dal suo mondo.
“Capisco. Mi dispiace, dico davvero.”
E, a quel punto, Natalie esce definitivamente dal garage. Questa volta, senza guardarsi indietro.

                                                                                                                  ***

“Tu hai sempre avuto idee stupide,” sbotta Bobby, guardando Dean, “ma tu!” indica Natalie “Con te pensavo ci fossero delle speranze!”
Natalie lo guarda, offesa: “Che intendi dire? Ho sempre avuto idee brillanti!” O quasi, vorrebbe aggiungere, ma non le sembra il caso. Vista l’espressione furiosa di Bobby, è meglio ricordare solo le idee che hanno avuto successo.
“Già, finché non hai deciso di dare retta a questo qui!”
“Ora sono diventato questo qui?” si lamenta Dean, “Bobby, è l’unica opzione ragionevole!”
“Ti è andato di volta il cervello, ragazzo?”
 È sera. Dopo una giornata passata a cercare informazioni di qualsiasi tipo su come portare indietro l’anima di Sam, Natalie e Dean hanno deciso di parlare con Bobby. Anche se Nat, in piedi nello studio del vecchio cacciatore, si sta pentendo amaramente di aver insistito tanto per renderlo partecipe del loro piano.
“Ha ragione.” Dice.
Bobby la guarda con le sopracciglia aggrottate: “Sei impazzita? Ti prego, dimmi che in questi giorni ti è andato di volta il cervello e questo è la conseguenza della tua improvvisa uscita di senno!”
Natalie sbuffa.
Il suo sguardo cade su Sam immobile in un angolo della stanza. Non muove un muscolo, non alza un fiato. Semplicemente ascolta. È tutto così strano che le da i brividi.
Torna a rivolgersi a Bobby: “Rifletti. Cosa abbiamo trovato fin’ora, mh? Solo modi crudeli per venire a contatto con Morte. E, a meno che tu non sia disposto a sacrificare una vergine o fare riti magici che non rientrano nelle tue competenze, io dico che questo è il piano migliore che abbiamo.”
“Pensa un po’ come siamo messi male, se la cosa migliore che elaboriamo comporta la vostra morte!”  
“Sarà solo per cinque minuti.” Si intromette Dean. È appoggiato alla scrivania, le braccia – fasciate dentro ad una camicia rosso mattone –  incrociate al petto e il piede destro sovrapposto a quello sinistro.
Bobby lo fissa, sgomento. Conosce la cocciutaggine di entrambi. Sa benissimo che se hanno deciso di imbarcarsi in questa impresa, niente potrà fermarli e la cosa lo spaventa tremendamente.
“Morirete. E subito dopo verrete a contatto con Morte. Se a Mr. Volendo Posso Uccidere Anche Dio viene voglia di lasciarvi stecchiti, voi rimarrete stecchiti. Una morte stupida, dettata dalla fretta! Io dico di aspettare e di cercare una soluzione nei volumi!”
“E intanto l’anima di Sam continua a stare all’Inferno insieme a quei gran simpaticoni di Lucifero e Michele che tanto amano usarla come punch ball!” Sbotta Dean, staccandosi dalla scrivania e avanzando verso Bobby.
“Ascolta,” continua il maggiore dei Winchester con tono più calmo,dopo aver notato l’occhiataccia di Bobby. Sa bene che non gli piace quando gli si parla in quel modo, “so che questa idea ti preoccupa, ok? Ma è l’unica soluzione. Lasciaci tentare.”
Il vecchio cacciatore chiude gli occhi e fa un profondo respiro prima di riaprirli e rivolgersi a Dean: “D’accordo. Provate. Ma vi prego, tornate.”
“Certo, torneremo.” Afferma Natalie, avvicinandosi per abbracciarlo. “Sta’ tranquillo.” Gli sussurra all’orecchio.
Bobby la stringe.
Vorrebbe dirle che non potrà mai stare tranquillo, quando si tratta di lei che va a caccia.
Vorrebbe dirle che lei, Dean e Sam, sono i suoi ragazzi e che tutta questa situazione lo terrorizza così tanto che crede di non aver mai provato una paura simile in vita sua.
Vorrebbe dirle moltissime cose, ma lui non è il tipo che esterna troppo i suoi sentimenti, quindi la stringe ancora più forte a se.
“Mi raccomando.” È l’unica cosa che riesce ad aggiungere. E spera davvero che questo piano stupido, non risulti poi una catastrofe.

                                                                                                           ***

Partire con lei in auto aveva tutto un altro significato, all’inizio.
Guardarla mentre, seduta al posto del passeggero, non stava ferma un attimo gli faceva più compagnia di quanto già la sua semplice presenza non facesse. Era capitato più di una volta che partissero per un caso senza Sam e quando lui non c’era il posto davanti lo occupava Natalie.
Sorride.
Natalie che si accovacciava con i piedi sopra al sedile e che tirava immediatamente giù quando lui le lanciava un’occhiata omicida perché nessuno calpesta la mia bambina, abbassa quei piedi.
Lei li abbassava, senza prendersela troppo per l’occhiataccia. Con gli anni si era abituata. Dean pensa che forse lo facesse semplicemente per gioco, dopo un po’, solo per vedere la sua reazione.
Scuote la testa, pensando a quando l’abitacolo – ora estremamente silenzioso – era riempito dalle sue risate, o dalla sua voce che cantava le canzoni alla radio, sbagliando le parole ogni tre per due.
Perché canti le canzoni, se non le sai?
Io so le canzoni, sono gli artisti che sbagliano le parole!
Rideva, con la sua risata cristallina, tirando leggermente la testa all’indietro. In quei momenti, era così raggiante che avrebbe potuto benissimo essere il sole.
Certo, è ovvio che chi ha scritto le canzoni non sappia le parole! Scherzava, lui.
Quanto sei petulante! E puntualmente alzava il volume della radio, riempiendo di musica l’ambiente intorno a loro. Poi si metteva a muovere la testa a ritmo e a mimare le parole.
Parlavano dei casi, lei prendeva il computer e se lo metteva sulle gambe, cercando già informazioni per farsi un’idea di cosa dovevano cacciare, e cercava ogni modo per toccarlo: il ginocchio troppo vicino al cambio, di modo che ogni volta che lui cambiava marcia la sfiorava; la mano appoggiata vicino alle gambe di Dean, in modo che quando la strada era rettilinea, lui potesse tenere il volante con una sola mano mentre con l’altra teneva la sua.
Gli mancano queste cose: tenersi per mano, sfiorarsi. Il contatto per loro è sempre stato importante e mai sprecato. C’era sempre una necessità profonda di percepire l’altro che sfociava in un contatto fisico di qualsiasi tipo, che fosse più diretto o solo accennato. Era un modo per far sentire all’altro la propria presenza. Era un modo per dirsi Sono qui per te. Sarò sempre qui per te.
Si rende conto di quanto lei gli manchi e gli manca il fiato.
Non è mai stato smielato con lei, crede anche di non averle mai detto esplicitamente che la ama, e di questo si pente. Come si pente di essersene andato.
Ci sono momenti, come nel garage, dove si sente invadere dalla voglia di spiegarle tutto, di renderla partecipe del perché se n’è andato. Questi momenti capitano ogni volta che incrocia i suoi occhi e ci legge uno sguardo diverso, ferito, arrabbiato. L’ha delusa. Le ha fatto del male nonostante avesse promesso che non avrebbe permesso a nessuno di ferirla.
È lui l’unico che ha infranto quella promessa e questo lo consuma.
Forse lo consuma più dell’idea che sia stata con un altro uomo, che sia stata con Sam.
Non nega la gelosia cieca che prova ogni volta che ci pensa, ma ultimamente, quella rabbia sciama per lasciare il posto ad una sensazione di.. comprensione.
Se lei è stata con Sam è solo perché lui se n’è andato.
Le azioni di Natalie sono una conseguenza di una sua scelta.
Sospira. Ancora.
Si volta verso destra per osservarla. Guarda il suo profilo, il naso piccolo che si arriccia quando lei ride, le labbra soffici, le lentiggini sulle guance.
Nat guarda fuori dal finestrino, adesso. È silenziosa e sta tutta composta. È così diversa.
L’ha persa e adesso se ne rende conto più che mai.
L’ha persa e adesso si rende conto di quanto disperatamente la rivoglia indietro. Sa che lei è lì da qualche parte, in mezzo alle macerie del suo cuore infranto, che sta solo cercando di risalire dal pozzo in cui è finita. Vorrebbe che gli permettesse di risalire insieme. Vorrebbe dirle che ciò che fa soffrire lei, uccide lui. Vorrebbe dirle di parlare, chiarire, cercare di capirsi, e finire per ritrovarsi. Non pretende certo che ripartano da dove erano, perché hanno rotto qualcosa tra di loro e questo li seguirà sempre: l’unico fantasma che non saranno mai in grado di eliminare, le cui ossa non potranno mai essere coperte di sale e bruciate. Ma possono avere un nuovo inizio. Ritrovarsi per cominciare qualcosa di nuovo.
Qualsiasi cosa purché lei voglia tornare a stare al suo fianco, purché voglia stare di nuovo con lui, purché lo guardi di nuovo come se fosse una persona che vale.
L’ha sempre fatto sentire così: un uomo con cui vale la pena stare. E Dio solo sa quanto lui abbia bisogno di provare quel sentimento.
Non si è mai sentito alla sua altezza, in questo caso. Ha sempre temuto che lei non si sentisse abbastanza apprezzata, o ammirata, o amata. Per questo si impegnava per farle sentire la sua presenza: c’era sempre per lei perché voleva che lei lo percepisse, che capisse quanto lei contasse per lui e quanto era – è –  disposto a fare per lei. Aveva bisogno che capisse. Perché lui non è bravo a parole, per niente. Ama prendersi cura di chi ama, ma con i gesti. E questo, Natalie, l’ha capito e rispettato. Ha preso Dean con i suoi pregi e i suoi difetti e l’ha amato con tutta se stessa. Dean questo lo sa.
Un groppo improvviso gli si forma in gola ed è così difficile da mandare giù che sembra si sia pietrificato nella sua trachea. L’idea di perderla lo terrorizza. Non vuole vivere una vita senza di lei. Non l’ha mai voluto, anche se il fatto che se ne sia andato potrebbe indurre a pensare il contrario.
Nat che si stiracchia lo porta a smettere di pensare e rivolgere la sua attenzione tutta su di lei.
“Dovresti dormire.”
“Anche tu. Non puoi guidare tutta la notte.”
“Come se non l’avessi mai fatto.”
“Questo non vuol dire che ti faccia bene.”
“Sai cosa potresti fare, allora? Dormire. Dormire così tanto da farlo anche per me!”
Nat accenna una sorriso, alzando solo un angolo della bocca.
“Mi riposo solo un’oretta. Svegliami, ok?”
“Ok.”
Ma non lo farà. Sa che Natalie non ha dormito molto negli ultimi giorni. Anzi, probabilmente ha passato molte notti in bianco e riposare è quello di cui ha maggiormente bisogno. Per cui, quando la vede stringersi in se stessa, appoggiare la testa al finestrino e chiudere gli occhi, con un movimento tutt’altro che fluido – perché spogliarsi mentre si guida è complicato (e chi dice il contrario, mente) –  si toglie il giubbotto e la copre. Perché non smetterà mai di provare a prendersi cura di lei, della sua Natalie. Non smetterà mai di cercare di dimostrarle quanto lei per lui sia importante.


                                                                                                          ***

La prima cosa che sente appena si sveglia è l’odore di Dean. Improvvisamente, una sensazione di sicurezza si diffonde dentro di lei e una calma la pervade. Le ha sempre fatto questo effetto. L’ha sempre fatta sentire al sicuro, anche nelle situazioni più pericolose. Apre piano gli occhi, capendo che il suo profumo proviene dal giubbotto che ha addosso. Si rende conto in quel momento, che i dolori che sente al collo sono provocati da più di un’ora di sonno e visto il sole che entra dal finestrino e le inonda gli occhi, Dean l’ha lasciata dormire un bel po’.
Tipico suo.
Sorride.
Si guarda intorno: la macchina è parcheggiata in una zona di sosta e Dean non è seduto al posto del guidatore. Lo sguardo vaga fuori dal finestrino, fino a trovare il cacciatore dentro ad una tavola calda, dall’altra parte della strada. Probabilmente, dopo aver guidato tutta la notte ha bisogno di barili di caffeina per stare sveglio. Se non fosse così perentorio sul fatto che nessuno guida la sua bambina, tranne lui avrebbe potuto dargli il cambio, almeno adesso sarebbe riposato.
Quella frase le ricorda un episodio specifico, dove circostanze simili si erano verificate. Stavano lavorando ad un caso, uno dei primi in cui erano insieme, uno di quelli che poteva essere risolto semplicemente con identità false e qualche ricerca sulla storia locale. Si stavano dirigendo a Portland per dare la caccia ad un vampiro e Dean aveva guidato tutta la notte, nonostante sia lei che Sam si fossero offerti di dargli il cambio. Ovviamente, lui aveva risposto che nessuno guida la sua macchina, al di fuori di lui.
Dean, devi rallentare. Aveva annunciato Natalie dal sedile posteriore dell’Impala.
Dean, salterai anche questo motel se non ti decidi a rallentare! Devi curvare adesso!
La sua voce era uscita più alterata di quanto in realtà avrebbe voluto, ma ricorda che erano più di dieci ore che si trovavano chiusi in quella macchina e la stanchezza iniziava a farsi sentire.
Smettila di dirmi quello che devo fare!
Aveva gridato Dean, reso nervoso dalla troppa caffeina ingurgitata nelle ultime ore.
Se non sai da solo quello che devi fare, qualcuno te lo deve dire!  
Dean, a quel punto, aveva fatto una manovra suicida, curvando all’ultimo minuto – per di più in quarta – e scatenando un concerto di clacson che celavano insulti da parte degli automobilisti dietro di loro.
Fottetevi!  Aveva urlato in risposta Dean fuori dal finestrino.
Senza perdere il controllo dell’auto, era entrato nel parcheggio del Blue Steel Motel e aveva parcheggiato nel primo posto disponibile.
Eccoci. – Aveva affermato, trionfante
Certo, tra un po’ ci fai ammazzare, ma eccoci qui. È il quarto motel da quando siamo entrati a Portland, ma eccoci qui! Hai esagerato con la caffeina, Dean. Eri così iperattivo che non ti sei nemmeno accorto di dover rallentare quando eravamo in prossimità di qualche motel!! – Aveva sputato lei, nervosa, uscendo dalla macchina e dirigendosi verso la bauliera per prendere la borsa con le armi e gli strumenti necessari.
Dean e Sam avevano fatto lo stesso.
Senti un po’, signorina, abbiamo o no raggiunto Portland in dieci ore, come avevi chiesto? – Aveva detto Dean, mentre afferrava la sua borsa.
Certo, – aveva risposto lei, fulminandolo,  dopo aver notato il tono tutt’altro che disponibile con cui Dean le si era rivolto – e suppongo anche dovremmo ringraziarti per non esserci schiantati contro quel camion, o non aver investito quei due pedoni, o aver rischiato di finire, due volte, contro il guardrail in autostrada!
Ragazzi.. –
Si era intromesso Sam, il suo tono era estremamente stanco, Natalie lo ricorda bene. Quelle dieci ore erano state una tortura per lui, soprattutto perché lei e Dean avevano cominciato a punzecchiarsi con commenti sarcastici per due ore di fila, concludendo il tutto con una bella litigata. Nat, ancora oggi, si sorprende che non si siano scannati.
‘Nessuno guida la mia Piccola, tranne me!’ Ti ricorda qualcosa? Cristo Santo, Dean. Se non fossi stato così cocciuto avremmo potuto fare turni di guida, ma tu no, non hai voluto!
Non mi fido degli altri! –
Aveva esclamato, allargando le braccia.
Nemmeno io mi fido di qualcuno che ha i colpi di sonno mentre è al volante!
Oddio come la fai lunga,
– Dean aveva alzato gli occhi al cielo – sono state delle sviste, mi sono ripreso subito! Quanto sei pesante!
Io pesante? Sei tu che ragioni come un bimbo di cinque anni!

Erano andati avanti per un bel po’. Sam si era incamminato verso la reception, dopo aver deciso di ignorarli. Dean continuava a sostenere il suo punto di vista, mentre lei lo accusava che non permettere a nessuno di guidare una macchina è stupido.
Rimangiatelo. – aveva detto, affilando lo sguardo e puntandole l’indice contro – Rimangiatelo, o ti do in pasto al nido del vampiro che stiamo per andare ad uccidere.
Non puoi negare che non abbia senso, andiamo! È solo una macchina!

Dean aveva cominciato a boccheggiare, si era messo una mano sul petto e aveva chiuso gli occhi, come se volesse cercare di calmarsi.
Non è solo una macchina, intesi? – Aveva detto, riaprendoli – Lei è la mia Piccola. Portale rispetto.
Natalie aveva sbuffato e concluso lì la discussione. Era troppo stanca per continuare.
Scuote la testa, tornando alla realtà.
Lo osserva.
Lo guarda indicare qualcosa esposto in una vetrinetta, sorridere cordiale alla cameriera – che probabilmente gli lascerà il suo numero – allungarsi per prendere il sacchetto che lei gli porge e due caffè.
Due caffè.
Ne ha preso uno anche per lei, pensa Natalie.
Era solito farlo, quando lui si svegliava prima di lei: usciva e tornava con la colazione. Lei si svegliava sempre con l’aroma di caffè che riempiva la stanza del motel pulcioso di turno. Si sentiva coccolata, forse anche un po’ viziata.
Lo guarda attraversare la strada. La camicia grigia, aperta sopra ad una maglietta nera, i jeans chiari che evidenziano le sue gambe ad arco – che a lei sono sempre piaciute in maniera particolare – la camminata sicura, decisa. Il fatto che trasudi mascolinità anche quando semplicemente porta dei caffè la destabilizza. Percepisce la sua forza in ogni movimento che fa. Percepisce la sensazione di sicurezza in ogni cosa che fa. Dean riesce a farla tremare, ma allo stesso tempo a farla sentire salda. E anche se ha passato tutta la vita a bastarsi, a sentirsi forte anche da sola, avere qualcuno vicino con un’aura del genere, le può fare solo del bene. Avere vicino Dean è come avere della benzina vicino ad un fuoco, che già di per se è potente: lo alimenterà a tal punto da farlo diventare così alto da sembrare indistruttibile. La sua forza, ha sempre avuto questo effetto su quella di Natalie.
Dean entra in macchina e si siede al sedile del guidatore, con il busto rivolto verso di lei.
“Buongiorno.” La saluta con un enorme sorriso luminoso. I suoi occhi, però, non sono tranquilli. Vorrebbe provare a rassicurarlo, dirgli che andrà tutto bene, ma la verità è che anche lei non è molto tranquilla, quindi non solo mentirebbe a lui, ma mentirebbe anche a se stessa.
“Buongiorno. Perché non mi hai svegliata?”
“Perché avevi bisogno di dormire!”
“Anche tu. Avremmo potuto fermarci da qualche parte almeno per un’oretta o due.”
“Nah. Ho preferito fare una tirata e arrivare prima.” Porta la sua attenzione sui bicchieri che tiene in mano: “Ho preso il caffè. Il tuo è nero, appena macchiato di latte e con una puntina di zucchero.”
“Come piace a me..” un sorriso spontaneo si apre sul suo viso. Si sente così sciocca, nemmeno avesse quindici anni da emozionarsi per queste piccolezze. Eppure.. eppure si emoziona lo stesso. La cura dei dettagli di Dean è una delle tante cose che ama di lui. Non ti dirà mai parole smielate, ma si ricorderà come prendi il caffè e appena ne avrà l’occasione te ne porterà uno. È un modo per dire che sei importante a tal punto che si ricorda i tuoi gusti, che pensava a te quando è entrato nella caffetteria e ha voluto dimostrartelo.
“Come piace a te.” ripete lui, porgendoglielo. “Ho preso anche le ciambelline, quelle con la glassa. Ti ricordi che le facevi anche te? Dio, quanto mi piacevano!”
Natalie arrossisce. È vero, era solita fare delle ciambelline glassate, quando aveva tempo. Le piaceva ricoprirle con la glassa di vari gusti: vaniglia, cioccolato, fragola, banana – che a Dean non piaceva molto. Una volta ha persino provato con la pera.
“Grazie.” Prende il sacchetto e lo mette in mezzo a loro due, con i bordi arrotolati fino a formare un’apertura abbastanza larga e riuscire a scegliere la ciambellina senza infilare la mano troppo in profondità.
Nat ne prende una alla vaniglia.
Dean nota quel gesto e sorride, ma non dice niente. Sapeva che lei avrebbe preso quella, visto che ama la vaniglia.
“Quanto manca?” chiede Nat, addentando il dolcetto.
“Poco, due chilometri al massimo.” Beve un sorso di caffè.
Natalie annuisce: “Sei preoccupato?”
Dean sorride con ancora il bicchiere tra le labbra: “Nah, ho visto di peggio.”
“Peggio di Morte?”
“Ho già avuto a che fare con Morte!”
“Mi ricordo, avete mangiato una pizza. Ma quella volta era lui disposto a parlare con te. Questa volta non sai quanto sarà disposto a farlo.”
Dean stringe le labbra, facendole momentaneamente sparire all’interno della bocca.
“Sai, una delle tante cose che mi sono sempre piaciute di te, è la tua capacità di evidenziare sempre tutto, soprattutto le cose che potrebbero andare storte!”
“Non puoi negare di averci pensato anche tu!” da un altro morso alla ciambella.
“Vero, ma penso anche che funzionerà. Voglio essere positivo!” pesca un dolcetto dal sacchetto e lo infila tutto in bocca. gli si gonfiano le guance così tanto che sembra uno scoiattolo. Natalie scoppia a ridere e Dean, dopo aver ingoiato, la segue a ruota. Gli è mancata così tanto la sua risata, che quando la sente esplodere così spontanea, non può fare a meno di lasciarsi contagiare.


Quando arrivano a destinazione, il sole ha già fatto capolino sul mondo. I suoi raggi riempiono le strade e accendono i colori di qualsiasi cosa venga accarezzata dal calore salubre della stella più importante per la terra.
Dean parcheggia davanti ad una bottega con delle strane scritte cinesi – o sono giapponesi? – e scende dalla macchina. Natalie fa lo stesso. Intorno a loro, la strada brulica di gente indaffarata, impegnata nelle attività della routine quotidiana. Si scambiano un’occhiata e, uno vicino all’altra, entrano dentro alla bottega.
Un uomo asiatico rivolge loro un sorriso e poi, come se li riconoscesse, indica loro una porta in fondo al corridoio. Dean e Natalie lo ringraziano con un cenno del capo e si incamminano nella direzione indicata.
La porta che Dean apre si affaccia su una rampa di scale, la ringhiera polverosa e piena di ragnatele, come se non venisse pulita da.. sempre, in pratica. Inizia a salire, seguito da Natalie – la quale bada bene a non toccare nulla abbia a che fare con ragnatele, ragni e aracnidi in generale. Detesta quelle bestie, con le loro otto terribili zampe che li rendono estremamente veloci e bravissimi a sparire quando decidi che è arrivata l’ora di farli fuori. Rabbrividisce. Trova assurdo che riesca ad ammazzare esseri che sono tre, se non quattro, volte più forti di lei senza batter ciglio, ma si paralizzi davanti ad un minuscolo esserino. Le fobie sono strane, bizzarre e insensate. Ma altrimenti non sarebbero fobie.
Guarda di fronte a se, focalizzandosi sulle spalle di Dean per non concentrarsi sulle matasse di ragnatele, grigie e deformate, che pendono dal soffitto. Deglutisce, cercando di non dare retta all’orribile sensazione di avere un ragno tra i capelli, sotto la maglietta, dentro ai pantaloni. È solo una tua impressione, continua a ripetersi mentre uno strano formicolio le riempie tutto il corpo. Si strofina le braccia per mandarlo via.
Arrivano alla fine delle scale e si trovano davanti ad un bivio. Rimangono momentaneamente immobili, fino a quando il dottor Roberts non esce dal corridoio di destra.
“Dean!” lo chiama, andandogli in contro con le braccia spalancate, per poi stringerlo quando è abbastanza vicino. Il dottor Roberts è un uomo che ha superato la mezza età, ha i capelli bianchi ed è abbastanza alto.
“Tuo padre è venuto qui Dio solo sa quante volte! Allora, sei sicuro di volerlo fare?”
“Sicurissimo.”
Solo in quel momento sembra che il dottor Roberts noti Natalie. Le sorride, cordiale.
“Non pensavo saresti venuto in compagnia.”
“Mi sottoporrò anche io al trattamento, dottore.” Spiega Nat, “Sono Natalie, una sua amica.” Gli porge la mano e il dottor Roberts gliela stringe.
“Piacere di conoscerti, cara. Forza, venite.”

Lo studio del dottor Roberts è nettamente in contrasto con il corridoio in cui si trovavano prima. Le pareti bianche, l’odore di pulito e di disinfettante, gli strumenti ordinati sopra ad un tavolo di metallo talmente splendente da sembrare uno specchio, i due lettini coperti da un sottile lenzuolo anch’esso bianco. Tutto quel bianco, per un momento destabilizza Natalie, facendole provare una strana morsa allo stomaco. Qualcosa di simile al panico inizia a farsi strada dentro di lei, e forse, inizia a pensare che non è il bianco che la agita, ma quello che sta per fare. Sta per morire. L’idea, ora che si trova in questo studio, assume una concretezza che prima non aveva, prima di mettere piede qui dentro era come se ciò di cui stesse parlando fosse una cosa lontana, quasi a lei estranea, ma adesso, con l’odore di alcol etilico che le riempie le narici e le fa bruciare un poco il naso, la sua morte è così concreta che la morsa allo stomaco si è fatta più stretta, così stretta da non far passare nemmeno una briciola.
Chiude le mani a pugno stese lungo i fianchi per non far vedere che hanno iniziato a tremare e si avvicina al lettino.
Deve farlo. È venuta fin qui per un motivo ben preciso e non può lasciare che la paura, proprio adesso, prenda il sopravvento. Deve essere coraggiosa e aiutare Dean.
Si sdraia su uno dei lettini. Dean è al suo fianco. Sembra teso, ma quando si volta verso di lei le fa un cenno con la testa e un sorriso che dovrebbe essere rassicurante. Ma non lo è. Sono entrambi spaventati. Questo perché nessuno dei due è stupido a tal punto da non avere paura di morire, o di Morte, anche se forse sono abbastanza stupidi da elaborare un piano del genere e portarlo addirittura a termine.
Espira, cercando di rilassarsi. Chiude gli occhi e li riapre.
“Rilassati, Natalie. Non te ne accorgerai nemmeno.” La voce del dottor Roberts è dolce e un po’ la tranquillizza.
Sente l’ago affondare nel suo braccio, ma non dice niente. È solo un pizzico che può sopportare. Ha sopportato cose peggiori di un ago in vena.
Mano a mano che il liquido entra in circolo, gli occhi di Natalie diventano sempre più pesanti, sente il suo corpo che si abbandona sempre di più a quel torpore tipico del sonno. È come dormire, pensa. Bastano pochi minuti per lasciarsi andare del tutto. Il mondo diventa nero e Natalie non sente più nulla.

Non ha mai vissuto un’esperienza extracorporea, quindi non sapeva bene cosa aspettarsi. Ma quando i suoi occhi hanno percepito di nuovo la luce e ha iniziato a sbatterli per farli abituare nuovamente a quel bianco accecante, Nat si è resa conto che la sua non è stata un’esperienza extracorporea, ma piuttosto una dormita. Lei non è morta. Ciò vuol dire che Dean l’ha ingannata. Stupido idiota. Non appena mette a fuoco la stanza intorno a se, si siede sul lettino, con le gambe a penzoloni, strappando la carta che lo ricopre.
“Piano, cara.”
Per un momento vorrebbe prendersela anche con il dottor Roberts che l’ha bellamente presa in giro, su questo non ha dubbi: probabilmente sapeva già che lei sarebbe arrivata insieme a Dean e lui aveva già informato il dottore di fare due trattamenti diversi.
“Ce la faccio.” Dice, poi. Alla fine, non ha senso prendersela con il dottor Roberts, ha fatto solo quello che Dean gli aveva chiesto. Ciò non vuol dire che non possa prendere Dean a pugni fino a che non si pente di aver agito alle sue spalle.
Imbecille.
“Dov’è Dean?” chiede, notando l’altro lettino vuoto.
“Ti aspetta in corridoio.”
Natalie scende dal suo lettino e saluta il dottore con una stretta di mano. Non appena i suoi piedi toccano terra e si sente di nuovo stabile l’unica cosa che le viene voglia di fare è inveire contro Dean. Dean che l’ha presa in giro, le ha fatto credere che avevano un accordo e poi ha fatto come diavolo gli pareva. Tipico.
Si incammina verso la porta dello studio e la apre con troppa veemenza, ma è così arrabbiata che non se ne rende nemmeno conto. Varca l’uscio e trova Dean ad aspettarla. È appoggiato al muro, le braccia incrociate, la testa bassa. È pallido e sicuramente l’incontro con Morte non è stato poi così rose e fiori come si aspettava, ma l’unica cosa che Nat vuole adesso è una spiegazione. Più tardi potrà pensare a cosa ha detto Morte.
“Winchester!” pronuncia quel nome come se fosse un cane rabbioso. Il sangue le bolle nelle vene e le affluisce alle guance. Quando Dean alza lo sguardo, non sembra tanto stupito di vederla andare verso di lui come un ciclone.
“Nat, senti...” comincia, ma prima che possa proferire altra parola, la cacciatrice gli molla un destro dritto sulla mascella. Il viso di Dean segue la traiettoria del pugno e la sua testa si sporge verso destra. È sicuro che se non fosse appoggiato al muro avrebbe persino barcollato all’indietro. Non ricordava quanto facessero male i pugni di Natalie, anche perché sono rare le volte che sono destinati a lui. Ciò vuol dire solo una cosa: Natalie è furiosa. Non che non se lo aspettasse, anzi, era sicuro che si sarebbe arrabbiata, ma preferisce di gran lunga un pugno che vederla alla mercé di Morte.
Il dolore alla mascella inizia a farsi sentire, così si massaggia la parte lesa per cercare di alleviarlo un po’.
“Mi hai fatto male!”
Nat lo fissa con gli occhi sgranati. Il dolore alle nocche che pulsa, vivo.
“Te lo sei meritato. Ti meriteresti anche di peggio!” ringhia a denti stretti. È così furiosa con lui in questo momento che vorrebbe urlargli contro, ma non le sono mai piaciute le scenate in un luogo pubblico. Anche se quel corridoio è vuoto, il dottor Roberts, o i clienti nella bottega, potrebbero sentire.
“Mi hai preso in giro per tutto il tempo!” sibila, tagliente “Scommetto che mi hai fatta dormire solo per poter chiamare il dottor Roberts e spiegargli cosa avrebbe dovuto fare!”
Dean si stacca dal muro e si avvicina di più a Natalie, sovrastandola. Il punto della mascella che è stato leso inizia già ad arrossarsi. Probabilmente gli verrà anche un livido. Bene, pensa Nat, se lo merita.
“Non solo puoi scommetterci, puoi proprio giurarci!” lo dice con una naturalezza tale, senza tentare minimamente di nascondere ciò che ha fatto, che a Nat viene voglia di tirargli un altro pugno, magari sul suo bel nasino dritto o su quei denti perfettamente bianchi e allineati. Lo detesta. Detesta questo suo modo di fare, prendere decisioni senza interpellare l’interessato, fare di testa propria senza ascoltare le opinioni altrui.  
“Sei un egoista. Un fottuto egoista, Dean! Avevamo un accordo!” presa dalla frustrazione gli colpisce il petto con una mano chiusa a pugno.
“Ho fatto quello che dovevo fare. E smettila di picchiarmi!”
Nat serra la mascella e lo fulmina, accigliata.
“Tu non cambierai mai, non è vero? Sarai sempre lì, in prima fila, a sacrificarti per gli altri ogni volta che se presenta l’occasione!”
A quelle parole, Dean scatta in avanti, riduce così tanto la distanza tra loro che Nat deve alzare la testa per riuscire a guardarlo in viso. Dean le punta l’indice contro, i suoi occhi saettano di rabbia.
“Stammi bene a sentire. Tu non capisci: non permetterò mai a nessuno di uccidere la mia famiglia, e non mi importa se per impedirlo debba essere io a morire! E che ti piaccia o no, tu sei parte della mia famiglia! Prima che Morte ti prenda, o si avvicini a te, dovrà passare sul mio cadavere!”
Gli occhi di Dean guizzano a destra e a sinistra, nonostante l’unica cosa che stiano guardando è il viso di Natalie.
Nat incrocia le braccia al petto, arrabbiata.  
“Non ci vorrà molto, allora. Visto che basta una minima cosa e tu sei pronto a morire. Potrebbe essere un atteggiamento nobile, per te, ma io lo vedo solo come qualcosa di estremamente egoistico. Non permetti agli altri di lasciarti, di morire, perché non lo sopporteresti, ma non pensi mai come si sentirebbero gli altri, la tua famiglia, se fossi tu quello ad andartene per sempre.” E nessuno più di lei sa quanto sia distruttiva l’assenza di Dean, quanto la sua assenza sia una presenza anche troppo evidente, dolorosa, lacerante. Oserebbe definirla assordante, un grido acuto che squarcia l’aria e disintegra tutto ciò che trova con la sua potenza, che rimbomba nel petto dove si incastra nel cuore e lo consuma sempre di più, una nota stridula che riecheggia nelle mura di qualsiasi luogo riempiendo quel vuoto da lui lasciato con la consapevolezza che non tornerà. Nessuno lo sa meglio di lei, che prima sapeva che stava bruciando nelle fiamme dell’Inferno, e dopo, beh, dopo se n’era andato senza dire niente. Tutte e due le volte pensava che non l’avrebbe rivisto. Si ricompone e continua: “Credi che non avessi paura? A Morte non piaci. Hai sconvolto l’ordine naturale, quante volte, Dean? Troppe. Arriverà il giorno che deciderà di lasciarti nell’aldilà..”
“Se quel giorno sarete tutti vivi, potrò definirmi in pace con me stesso.” La interrompe Dean.
“E che ne sarà di noi, mh?”
“Vivrete la vostra di vita. Ecco cosa sarà.”
Nat scuote la testa, rassegnata.
“Non mi scuserò per quello che ho fatto, Nat. Non volevo che Morte ti vedesse, che rischiasse di portarti via solo perché non gli sto simpatico. Sarebbe stata una mossa stupida e troppo rischiosa.”
“Non stava a te decidere. Non avevi il diritto di decidere al posto mio. Ma è inutile dirlo, no? Tu fai così da sempre, scegli e agisci. Non pensi alle conseguenze, non rifletti su cosa potrebbero portare le tue azioni avventate. Lo fai e basta. Poi se dovessi morire, tanto ci sarà qualcuno che raccoglie i cocci, giusto?”
Le si spezza la voce. La rabbia che prima la infuocava, lascia posto ad una tristezza profonda, ad una consapevolezza fin troppo limpida: sa che Dean è disposto a tutto pur di salvare chi ama, sa che non la vedrà mai una cosa egoistica salvare gli altri sacrificando se stesso, perché non pensa a cosa potrebbe portare il suo sacrificio nelle vite degli altri, pensa solo che il suo sacrificio renderà possibile per gli altri continuare a vivere. Ma è vivere, quando qualcuno che ami se n’è andato per sempre? Quando ogni angolo della tua vita ti ricorderà la sua assenza?
“Sei sempre stato convinto di non essere degno di essere salvato. Pensavo che con gli anni, che con ciò che ha fatto Castiel portandoti fuori dall’Inferno, avessi anche solo un minimo iniziato a pensarla diversamente. Ovviamente, mi sbagliavo.”
“Castiel mi ha tirato fuori dall’Inferno solo perché dovevo combattere una guerra. Non scordarti cosa ho fatto mentre ero laggiù.”
“Non scordarti che hai fatto anche cose buone, nella vita, Dean.”
Dean abbassa gli occhi e si allontana da lei di qualche passo.
“È tardi,” dice “dobbiamo andare.” 
“Certo.” Sussurra Nat.
Si incamminano per le scale in silenzio, senza dire una parola. Entrano ed escono dalla bottega velocemente e salgono in macchina. Dean mette in moto e poco dopo, sono nuovamente diretti a Sioux Falls.


Sono in viaggio da mezz’ora. Nessuno dei due ha proferito ancora una sola parola, troppo preso dal suo punto di vista in disaccordo con quello dell’altro. Natalie seduta al fianco di Dean osserva il viso del cacciatore pallido e preoccupato. Sicuramente Morte non è stato poi così accondiscendente come Dean credeva, anzi. Probabilmente gli ha fatto vedere i sorci verdi. Si passa una mano tra i capelli e appoggia il gomito al finestrino. Anche se la rabbia non è ancora sbollita del tutto, non vuol dire che non possano parlare del motivo per cui sono venuti qui. Alla fine, semplificando al massimo la situazione in cui si trovano, è il loro caso. E i casi vanno risolti a prescindere dalle condizioni emotive in cui ti trovi.
“Si può sapere che ti ha detto Morte?”
Dean non toglie gli occhi dalla strada, ma alza un angolo della bocca. Un mezzo sorriso vittorioso. Probabilmente crede di averla avuta vinta, visto che è stata lei la prima a parlare. Natalie alza gli occhi al cielo. Pallone gonfiato.
“Non eri arrabbiata con me?”
“Non usare quel tono canzonatorio, sono ancora arrabbiata con te. Furiosa, adirata, direi più appropriatamente. Ma hai una aspetto così orribile che non posso non pensare a quanto possa essere stato pessimo l’incontro con Morte.”
“Grazie per avermi fatto notare che ho un aspetto orribile, sei sempre così carina e gentile.”
“Non fare l’offeso. Allora, che ti ha detto?”
Dean stringe le mani sul volante, chiude per una frazione di secondo gli occhi e sospira.
Dev’essere qualcosa di terribile, pensa Natalie. Qualcosa di così grave che Dean ne è tremendamente spaventato, tanto da non riuscire a dirlo apertamente.
Vorrebbe toccarlo, per provare a dargli conforto, ma non crede sia una buona idea. In un momento simile, potrebbe solo irritare Dean più di quanto non lo sia già, quindi rimane in silenzio, lasciandogli tutto il tempo necessario affinché decida di parlare.
Fa un altro sospiro, prima di prendere parola.
“La formula ha funzionato, Tessa è comparsa e poco dopo anche Morte. Gli ho detto che avevo il suo anello e che se lo rivoleva indietro doveva fare una cosa per me. Ovviamente, non ha gradito il mio tono. Mi ha guardato in un modo che per un momento ho seriamente temuto mi incenerisse. Comunque, gli ho detto che se lo rivoleva indietro doveva far uscire dalla Gabbia l’anima di Sam e Adam.”
Adam.
Il fratello minore di Dean e Sam, il piccolo Winchester.
Pensare alla fine che ha fatto, fa nascere in Natalie un profondo senso di disagio: Adam, una vittima degli Angeli. È così assurdo anche solo pensare una frase del genere perché quegli stronzi alati dovrebbero essere i buoni, eppure è quella la verità. Lei ha sempre avuto fede, ha sempre creduto nell’esistenza degli Angeli come vengono dipinti nelle storie, custodi fedeli che si prendono cura dell’umanità, vestiti di bianco con soffici ali bianche che ti aiutano a non avere paura, si occupano del tuo bene e fanno in modo che ti senta al sicuro. Non avrebbe mai immaginato che esseri celestiali che dovrebbero essere la rappresentazione del bene superiore, il bene puro, possano essere così spietati, così meschini e arroganti, assetati e ossessionati dal potere, vili e altezzosi. Non avrebbe mai immaginato che gli Angeli assomigliassero così tanto all’essere umano, che molti di loro disprezzano.
Adam  è stato raggirato da Zaccaria – solo pensare quel nome le fa sentire un bruciore su tutto il ventre, la cicatrice biancastra, che si porta dietro ormai da tempo, le pizzica sotto la maglietta, anche se sa che è solo un’impressione. Rivive persino nella sua mente l’esperienza di essere quasi vicina alla morte – manipolato dall’angelo solo perché accettasse di essere il nuovo tramite di Michele, promettendogli che avrebbe rivisto sua madre, la sua defunta madre. E Adam aveva detto si. Quando ti portano via l’unica cosa a cui tieni e ti promettono che facendo una determinata cosa potrai riaverla indietro, per quanto questa cosa sia pazza e folle, vuoi farla lo stesso, vuoi comunque rischiare pur di poter avere chi ami indietro. E così Adam, posseduto da Michele, era saltato dentro alla Gabbia, insieme a Sam, posseduto da Lucifero. Due forze opposte chiuse dentro ad uno spazio che sarà sempre troppo piccolo per contenere la loro apocalittica potenza, la loro celestiale forza, la loro ira incandescente, esplosiva. E Adam è chiuso lì dentro con loro. Vittima di un bene superiore che non ha avuto pietà di lui.
È un Winchester, è già maledetto.
Sam aveva ragione. Tremendamente ragione. Ad Adam è toccato un destino crudele, vittima delle circostanze. L’innocente agnello che viene sacrificato sull’altare di un Dio troppo impegnato ad ignorare il suo creato per rendersi conto che tutti i suoi figli – angeli e uomini – si stanno uccidendo tra di loro. Un Padre assente troppo preso dal suo disegno della Vita per assicurarsi che chi merita effettivamente di viverla, la viva.
Forse sta diventando troppo cinica, troppo scettica.
Forse le cose che ha visto e vissuto le hanno indebolito la fede che si portava dentro.
Forse è anche lei caduta in quella visione tipica dell’uomo secondo cui se esistesse davvero un Dio, in certe occasioni interverrebbe. Avrebbe voluto evitare questa parte. Ha sempre pensato che Dio fornisca ogni essere umano di una buona dose di bontà, di razionalità, di buon senso affinché capisca da solo ciò che è giusto e ciò che non lo è – ma chi è che stabilisce questi concetti, di per se troppo soggettivi? – e che agisca di conseguenza. I genitori educano i figli e i figli si comportano di conseguenza, ma crescendo la loro indole si sviluppa e hanno comportamenti che possono non coincidere con l’educazione inculcatagli dai genitori stessi. Di chi è la colpa o il merito, quindi? Dei genitori? Nat non crede. La colpa o il merito o qualsiasi altra cosa, rimane dei figli. I genitori crescono i figli che diventano individui a se e come tali, agiscono secondo la loro natura.
Ha sempre esteso questo concetto anche a Dio, il Padre per eccellenza. Ma adesso è così arrabbiata con Lui, che le risulta difficile credere che non abbia avuto tempo anche solo per tentare di venire in loro aiuto. Per tentare di aiutare Adam.
“Il tuo silenzio mi preoccupa.” Esordisce Dean, guardandola con un sopracciglio alzato.
Natalie si scuote dal torpore dei suoi pensieri.
“Stavo solo aspettando che continuassi.”
Dean annuisce e torna a guardare la strada: “Mi ha fatto scegliere. Mi ha detto che avrei potuto salvarne uno solo. Uno solo. E io ho scelto Sam.” Chiude di nuovo gli occhi solo per un attimo. Quando li riapre, Nat nota un luccichio, ma non glielo fa notare. La sua espressione sofferente dice anche troppo. Si sente in colpa per aver lasciato Adam insieme a Lucifero e Michele, ma non si sarebbe mai perdonato, se avesse lasciato l’anima di Sam dentro alla Gabbia. Alla fine, è cresciuto con Sam, si è occupato di Sam, è stato sia suo fratello che suo padre che sua madre. Dean, per Sam, è stato sempre molto più che un fratello, è stato qualcuno che si è sempre preso cura di lui, e l’ha aiutato a crescere. Dean non avrebbe mai lasciato che la sua anima marcisse all’Inferno.
Natalie lo comprende in pieno, anche se capisce la sua sofferenza nell’aver lasciato Adam nella Gabbia.
“Dopo che ho espresso la mia decisione, ha detto che l’avrebbe fatto ad una condizione.”
“Quale?”
Dean deglutisce e risponde: “Devo indossare il suo anello per ventiquattro ore e sostituirlo.”
“Sostituirlo nel senso che diventerai tu Morte?”
“Si,  devo eseguire il suo compito, senza ribattere. Eseguire i suoi ordini e basta.”
È una cosa piuttosto dura da digerire, Nat non sa nemmeno esattamente che parole usare per provare a rassicurarlo, perché non crede nemmeno che ne esistano di parole in grado di rassicurare qualcuno su una cosa simile.
“Hai intenzione di farlo?”
Lo chiede, nonostante sappia già la risposta.
Quando Dean annuisce, infatti, non si sorprende per niente.  

                                                                                                              ***

Sono i cambiamenti che spaventano di più le persone. Sam lo sa bene. Lui stesso è stato spaventato dai cambiamenti così tante volte che ha perso il conto, ma mai lo è stato tanto quanto è tornato dalla Gabbia. Ricorda che la sensazione di spaesamento e diversità navigava dentro di lui, conquistando e divorando ogni fibra del suo corpo. Aveva paura di ciò che sentiva dentro, o meglio che non sentiva dentro. Era come se fosse vuoto. E quel vuoto, all’inizio, lo terrorizzava. È bastato veramente poco affinché, invece, lo apprezzasse. Si era reso conto di quanto stesse bene, in realtà. Non aveva più sensi di colpa, non aveva più rimorsi, nessun ricordo che gli provocasse dolore, nessuna necessità di mantenere almeno un briciolo di onestà per sentirsi almeno per una minima parte una persona migliore. Era riuscito a stare con la ragazza di suo fratello traendone solo piacere, se avesse avuto l’anima non ci sarebbe riuscito. Se avesse avuto l’anima era sicuro che non l’avrebbe nemmeno pensata una cosa del genere. Natalie è sempre stata una sorella, per lui. Ma senz’anima.. beh senz’anima era tutta un’altra cosa e quel corpicino atletico veniva messo sotto un’altra ottica. Era riuscito a dare in pasto ad un vampiro suo fratello solo per risolvere un caso, con l’anima non l’avrebbe mai fatto. Ma queste azioni non gli provocavano il minimo disagio. Niente di niente. La sua testa era così leggera, il suo cervello aveva smesso di arrovellarsi in pensieri contorti che gli avvelenavano il cuore con la loro verità crudele. Non pensava più alla sua dipendenza dal sangue demoniaco, provando disgusto per se stesso; non vedeva più il drogato che era diventato, così annebbiato da quella sensazione di potere che provava, che aveva preferito un demone a suo fratello. Aveva preferito un demone al sangue del suo sangue, alla famiglia.  Era stato all’inferno ancora prima che si gettasse nella Gabbia. Potrebbe dire di averlo biblicamente vissuto nel momento in cui aveva ceduto alla tentazione, alla lussuria, alla sete di potere, prima di saltarci letteralmente dentro. Non pensava più a tutto questo, o meglio, ci pensava ma la sensazione di rimorso non affiorava più. La sua coscienza non esisteva più e lui stava bene. Ed erano anni che lui non stava così bene. Per questo non ha la minima intenzione di rifarsi mettere dentro l’anima. Ha la sensazione che ritornerebbe a soffrire, a pensare, a provare rimorso. E lui non vuole.
L’assenza dell’anima, fin’ora, ha portato solo vantaggi, per lui. È un cacciatore migliore, riesce a fare cose che prima non si sarebbe mai nemmeno sognato e trarne solo benefici, senza provare sensi di colpa. Non vuole rinunciare a tutto questo.
Per questo ha deciso che, se Dean non vuole sentire ragioni sull’andare a recuperare la sua anima dannata e lacerata, lui rimarrà della sua idea di lasciare quella specie di palla luminosa di energia, ormai mezza scarica, esattamente dov’è. Che Lucifero e Michele la usino pure, tanto a lui non serve più. Lui non la vuole più.
Così,  dopo aver ascoltato il resoconto della lite tra Dean e Nat, e mentre osserva suo fratello che racconta il suo incontro con Morte, lui ripensa al proprio incontro clandestino con Balthazar, che ha deciso di aiutarlo in questa sua impresa.
Ripensa a tutti gli elementi necessari affinché il suo rito per lasciare l’anima all’inferno si compia alla perfezione. Può procurarsi tutto con estrema facilità, tranne un’unica cosa, ma può riuscirci benissimo.
“..A patto che faccia una cosa per lui.”
Ha gli occhi fissi su Dean e cerca di essere il più convincente possibile, anche senza parlare. Non vuole che sospetti niente del suo piano. E per fare in modo che tutto fili liscio, deve abbandonare il sarcasmo e la sfrontatezza che ultimamente gli vengono fuori dalla bocca in modo fin troppo naturale. Deve comportarsi come qualcuno che, al contrario dei suoi veri desideri, sente la mancanza di un’anima e vuole riaverla con se.
Se ci pensa, gli sembra una cosa stupida.
Desiderare di avere l’anima indietro, dopo aver assaggiato i vantaggi che porta invece il non averla, è un po’ come desiderare di andare al patibolo e legarsi il cappio intorno al collo da soli.
Chi mai vorrebbe tornare a soffrire? O ad angosciarsi? O ad essere consumato dai sensi di colpa, dal rimorso, dal ricordo delle atroci azioni commesse?
Solo uno stupido.
“Hai intenzione di parlare o dobbiamo indovinarlo?” lo sprona Bobby, le braccia incrociate al petto e l’espressione concentrata.
Dean si passa una mano sul viso e getta un’occhiata a Natalie, come se volesse avere la conferma che quello che sta per dire sia la cosa giusta.
Sam trattiene l’impulso di alzare gli occhi al cielo. Il loro rapporto è così morboso, dipendono in modo viscerale l’uno dall’altra. Distoglie lo sguardo per non essere tentato di sputare un commento poco appropriato. Ma prima, vede Natalie fare un cenno d’assenso con la testa, così Dean torna a parlare.
Il minore dei Winchester si concentra di nuovo solo su suo fratello.
“Devo indossare il suo anello per ventiquattro ore. Fondamentalmente, Morte vuole che lo sostituisca e che obbedisca ai suoi ordini senza battere ciglio. Se supero la prova, avremo indietro l’anima di Sam.”
“E tu che gli hai risposto?” chiede Bobby.
“Che lo farò.”
“Quando hai intenzione di andare?”
“Subito. Prima comincio, prima finisco. Ci pensi tu a lui?”
Sam vorrebbe intromettersi e dire che non è un bambino e tanto meno che non è sordo ed essere trattato come se fosse qualcuno di fragile che ha bisogno di protezione o di qualcuno che si occupi di lui, lo irrita terribilmente, ma tace.
“Certo. Natalie, tu cosa fai?”
“Lei rimane qui.” È Dean a rispondere, perentorio, e a Natalie quel tono non piace. Sam lo nota dal modo in cui i suoi occhi lo inceneriscono. Dean interrompe il contatto visivo non appena nota quel particolare nello sguardo di Natalie.
“Posso ancora parlare, sai?” sibila. Poi si rivolge a Bobby: “Rimarrò qui, comunque. Sono sicuramente più utile.”
Per un attimo, Bobby si trova a riflettere sulla piega che ha subito il rapporto tra Nat e Dean. È come se fossero in contatto solo quando devono lavorare, come se loro due ormai avessero accantonato le loro identità di esseri umani per far affiorare solo quelle da cacciatori. Se cacciano, o si occupano di un caso, come in questa occasione, sono tranquilli, riescono addirittura a scambiarsi occhiate d’assenso e conversazioni fatte di sguardi complici, ma se devono mettere da parte la loro natura da cacciatori e far emergere quella di individui, allora le cose si complicano: il loro umore cambia, bisticciano, i loro occhi si riempiono di tutte le cose che non si sono detti, tenute nascoste dietro ad una tenda che sembra impenetrabile. Una teca di vetro che permette di vedere il disagio, ma che non permette di percepirlo perché nessuno dei due vuole farlo uscire.
“D’accordo. Allora, bene così. Dean, sta’ attento e cerca di tornare intero, intesi?”
“Intesi.”
Adesso, Sam deve trovare un modo per procurarsi l’ultimo ingrediente.


Sam sa che non sarà facile fare quello che deve fare, non con Natalie nelle vicinanze. La osserva: si è seduta sul divano a gambe incrociate con un libro in grembo. Chissà cosa sta leggendo, si domanda, ma poi si risponde che non gli interessa.
Lui è in cucina, appoggiato al piano cottura, a bere una birra e riflettere su come poter mettere in atto il suo piano. Non sarà per nulla semplice. Deve prima di tutto trovare un modo per togliersi Natalie dalle scatole.
Continua a guardarla, bevendo la birra. La guarda leggere con l’unghia del pollice tra i denti, i capelli lunghi che ricadono sul libro sfiorando le pagine con le punte, l’espressione concentrata. Poco dopo, la vede alzare lo sguardo e lanciare un’occhiata nervosa all’orologio. Allora, capisce che la sua espressione concentrata e pensierosa non era rivolta a quello che stava leggendo. Leggere è solo una distrazione per non pensare a Dean e a quello che sta per fare. Peccato che non riesca a rimanere concentrata, peccato che il suo pensiero vada sempre a Dean.
Alza gli occhi al cielo.
È così tipico di Natalie che potrebbe risultare quasi scontato.
“Sei preoccupata?”
Natalie si volta a guardarlo, sorpresa.
“Tu no?” assottiglia lo sguardo, studiandolo. “Non mi stupirei se non lo fossi, sai?”
Sam si stacca dal piano cottura per andarle in contro. Natalie, istintivamente si irrigidisce e scioglie le gambe per portare i piedi per terra, pronta ad alzarsi nel caso la situazione prenda una piega che non le piace. È come se fosse sulla difensiva.
“Per carità Natalie, rilassati. Non ti mangio mica! Non che mi dispiacerebbe, chiariamo, ma non c’è gusto se non ti diverti anche te!” È una mossa azzardata, questa, visto che si era promesso di non comportarsi più così per essere convincente, ma tanto ormai Dean se n’è andato, quindi, visto che la recita andava avanti esclusivamente per lui, non ci sono più problemi, non è più necessario trattenersi.
Natalie abbassa lo sguardo, si mette i capelli dietro alle orecchie e deglutisce, a disagio. Sente i muscoli della schiena e delle gambe irrigidirsi. La vicinanza di Sam la rende nervosa, ma non in modo piacevole. La fa sentire in trappola. Un animale braccato, un cervo ferito che altro non aspetta che il colpo in fronte del cacciatore perché sa che è arrivata la sua ora.
Improvvisamente, le sudano le mani.
Le passa sui jeans.
Sam sbuffa.
“Se ti rendo così nervosa, me ne vado.” Afferma, scocciato. Così, si volta e si dirige verso la porta.
In quell’istante, qualcosa scatta in lei. Il nervosismo che le dava la sua vicinanza sparisce per lasciare il posto ad una necessità febbrile di tenerlo sotto controllo. C’è qualcosa che non la convince nel suo comportamento, che definirebbe bipolare. Ha già accantonato quella sensazione strana che gridava nella sua testa di approfondire, e non le ha portato molto bene. Questa volta deve darle ascolto.
“Dove hai intenzione di andare??” La sua voce esce ferma e decisa. Si dirige verso di lui e Sam si volta per guardarla, leggendo dentro ai suoi tutta la determinazione a non perderlo di vista che è esplosa dentro di lei.
“Non posso fare due passi?”
“No.”
“Perché? Perché Dean ha detto che dovete tenermi d’occhio? E siccome tu fai sempre ciò che ti dice, vuoi obbedire da brava bambina fedele?” la deride, allargando le braccia e senza interrompere il contatto visivo.
Vuole solo provocarti, pensa Natalie cercando di mantenere la calma. Fa un respiro profondo per ingoiare quel rospo amaro che le si è formato in gola, la rabbia le monta dentro e l’unica cosa che vorrebbe è tirargli un pugno, ma sa che non porterebbe a niente di buono, quindi si prende qualche istante per calmarsi e ribattere, con il tono più morbido che riesca ad usare:  “Non hai bisogno di qualcuno che ti tenga d’occhio, Sam. Sei un adulto. Preferirei solo che rimanessi qui.”
“Perché?” le chiede, diffidente.
“Deve esserci per forza un motivo?”
Sam non fa in tempo a rispondere che Bobby irrompe nella stanza.
“Eccovi.” Ha un libro in mano e sta sfogliando delle pagine, “Nat, mi ha chiamato la signora Elwood, la bibliotecaria, e ha detto che ha trovato un libro che le avevo chiesto. Potresti andare tu a prenderlo?”
A Natalie quella richiesta non piace, proprio per niente. C’è qualcosa in tutta questa situazione che non la convince, il suo istinto le urla di non uscire da quella casa, di tenere d’occhio Sam e i suoi comportamenti alla Dottor Jekyll e Mr. Hyde.
Sam, invece, non potrebbe essere più felice di questa cosa: è l’occasione che aspettava e gli è stata servita su un piatto d’argento. Sicuramente, persino il destino è convinto che non debba riavere con se la sua anima.
“Non posso andarci domani?” chiede Natalie, manifestando la sua contrarietà a quella richiesta.
“No, mi serve urgentemente. Quindi, vai. Ci vediamo più tardi.”
“Bobby, posso parlarti un attimo?”
Il vecchio cacciatore osserva la donna, pensieroso. C’è qualcosa nel suo tono di voce che lo spiazza: sembra agitata.
“Di cosa si tratta?”
“Dean.” Mente Natalie. Sa che facendo la misteriosa, Sam potrebbe insospettirsi, mentre è del tutto normale che lei sia preoccupata per il maggiore dei Winchester. Lo è sempre stata. E non è mai stato un segreto.
Bobby fa un cenno con la testa e Nat si avvicina a lui. I due si allontanano un poco da Sam, che comunque, non è interessato a sentire le preoccupazioni di Natalie riguardo a Dean.
“Credo che non sia una buona idea che ti lasci solo con lui.” Inizia Natalie, bisbigliando. “Ha un comportamento così strano: prima è un automa senza sentimenti, poi quando arriva Castiel sembra un cucciolo ferito, poi ancora davanti a Dean si comporta come se fosse un bambino spaesato e adesso, che Dean non c’è, è tornato una specie di robot. Non mi convince.”
Bobby aggrotta le sopracciglia e sembra.. offeso? Forse risentito sarebbe più appropriato: “Dimmi, Nat. Pensi sia stupido?”
Nat alza le sopracciglia, sorpresa: “N-no, certo che no. Che domande sono?”
“Credi davvero non me ne sia accorto? Certo che l’ho notato e credo anche che stia tramando qualcosa, ma fidati, lo so gestire. Quindi, va’ dalla signora Elwood, ho davvero bisogno di quel libro.”
“Bobby, io non cred..”
Il vecchio cacciatore alza l’indice, interrompendola: “Non mi piace ripetermi. Per favore, vai.”
Natalie, rassegnata, obbedisce ed esce di casa. La prossima volta che Bobby l’accuserà di essere cocciuta, gli ricorderà questo momento, e probabilmente gli rinfaccerà che è tutta colpa sua, che se è testarda è perché ha preso da lui!
La cacciatrice, mentre rimugina su questo pensiero, sale in macchina, mette in moto e parte.  
Sam, in casa, rimane ad ascoltare il rombo del motore e poi si incammina verso lo studio di Bobby dove il vecchio cacciatore si è rintanato.
È il momento d’agire.

Si sono spostati in cucina con la scusa di aver bisogno di una pausa, dopo così tanto tempo passato sui libri.
Bobby e Sam, seduti al tavolo, stanno giocando a poker e uno studia l’altro.
Sam, aspetta il momento giusto per agire.
Bobby, cerca di interpretare quello sguardo indagatore negli occhi del ragazzo che ha di fronte, che non riesce a nascondere fino in fondo di avere un piano in mente.
Il vecchio cacciatore non sa cosa aspettarsi. È teso e preoccupato, ma pronto a reagire, qualsiasi siano le intenzioni di Sam.
“Ehi, la birra è finita. Ne vuoi un’altra?” chiede, sollevando la bottiglia di fronte a se, ormai vuota.
“Certo, perché no.”
Bobby si alza e si dirige verso il frigo, con le orecchie tese pronte a cogliere il minimo movimento. È proprio quando si china all’altezza delle birre, riposte sull’ultimo scaffale del frigo, che percepisce la presenza di Sam in piedi dietro di se. Anni di esperienza come cacciatore, hanno sviluppato in lui istinti che i normali esseri umani non hanno. E sentirsi preda di un agguato è tra questi. Afferra prontamente un bastone di legno, situato ai piedi del frigo – non sa nemmeno il motivo per cui lo tiene lì – e voltandosi velocemente, colpisce Sam in faccia. Il ragazzo, colto di sorpresa, barcolla e cade all’indietro, perdendo i sensi.
“Sarai anche furbo, ragazzo, ma non sono nato ieri.”
Bobby si volta, lasciando Sam sdraiato a terra, e cerca in una piccola montagna di cose accumulate sopra ad una panca, proprio lì in cucina, una corda abbastanza spessa e lunga per legare Sam.
Ma quando si volta, il giovane cacciatore è sparito.
“Dannazione!” sbotta Bobby. Inizia a camminare per casa – questa volta armato del suo fucile – e tiene le orecchie tese. Si incammina verso l’ingresso e chiude a chiave la porta, poi si intrufola dentro al ripostiglio in attesa.
Ci vogliono pochi istanti, prima che Sam lo raggiunga e inizi a sfondare la porta dello sgabuzzino, chiusa a chiave, con un’ascia.
Per qualche secondo, Bobby altro non vede che la lama dell’ascia che si conficca nel legno, spargendo schegge dappertutto, ma poi, dopo qualche altro colpo, il viso di Sam compare nella fessura scavata nel legno. I suoi occhi determinati, bruciano di una follia estranea al vecchio Sam, la forza con cui colpisce quella porta fa intuire solo ed esclusivamente una cosa: Sam vuole ucciderlo. E lo farà, se nessuno lo fermerà.
“Non dire Sono il lupo cattivo!
“Mi dispiace, Bobby. Devo farlo!” La voce affannata per lo sforzo, gli occhi arrossati.
“Sono piuttosto sicuro che non te lo lascerò fare!” Ribatte il vecchio cacciatore, spingendo una leva al lato della porta. Sotto ai piedi di Sam si apre una botola e il giovane finisce nel sotterraneo della casa. Assi di legno lo circondano e un dolore bruciante alla gamba gli fa notare che si è tagliato e perde sangue. Poco importa. Deve portare a termine il suo piano. Si alza velocemente e sale le scale dello scantinato, ma trova la porta chiusa. Le scende nuovamente afferrando una lunga asta di ferro che inizia a battere contro la serratura della porta.
“Anima d’acciaio rinforzato, telaio ricoperto di titanio. Mettiti comodo.”  La voce di Bobby proviene dall’altro lato della porta.
Sam, per la frustrazione, picchia un pugno contro la porta, ma poi si accascia appoggiando la schiena ad essa.
“In cosa ti sei cacciato, Sam? Un patto demoniaco?”
“Un incantesimo. Ho bisogno di alcuni ingredienti e il tuo sangue è uno di questi. Devo eliminarti. Non vorrei farlo, ma devo.”
La sua voce è così glaciale che, anche se percepita ovattata attraverso la porta, Bobby si sente percorrere da un brivido freddo. Una fitta al cuore lo invade, facendogli pensare che ha perso il suo ragazzo. Sam non avrebbe mai nemmeno pensato di schiacciargli un dito, e adesso, l’ha inseguito in casa sua con un’ascia. Accantona quella sensazione per tornare concentrato.
“Dean non capisce. Io non la rivoglio l’anima. Hai sentito quali potrebbero essere le conseguenze, perché dovrei accettarle, eh? Solo perché Dean vuole indietro il suo fratellino, il suo Sammy? No, non ci sto.”
“Sam, ascolta..” comincia Bobby, ma l’assenza di risposta gli fa sospettare che Sam non sia più presente. Quando apre la porta, infatti, trova la stanza vuota. Si incammina giù per le scale lentamente con il fucile carico, pronto a sparare.
“Non esiste che qualcuno mi uccida in casa mia.” Afferma, più a se stesso che a qualcuno in particolare.
Prosegue fino ad arrivare alla panic room: trova del sangue sulla maniglia e al suo interno una scala al centro del pavimento, situata proprio sotto la grata con la trappola del diavolo. Sam ha scardinato la grata ed è uscito da lì.
“Che palle!” impreca, frustrato.
Procede a ritroso, guardandosi le spalle di tanto in tanto. Esce di casa e segue le tracce di sangue fino al garage che è chiuso. Ma quando nota una macchia di sangue sulla porta, decide di aprirla con una spinta. Purtroppo però non trova niente. Un attimo dopo, un dolore acuto alla base della nuca gli annebbia la vista e lo catapulta nel nero più totale. Bobby ha perso i sensi.

                                                                                                      ***

Guidare verso la biblioteca in un momento del genere le sembra alquanto ridicolo. È vero che Bobby sa gestire qualsiasi cosa, ma la sensazione strana che la divora dentro non è diminuita nemmeno un po’ da quando è partita e inizia a pensare che debba darle ascolto.
Già una volta non l’hai fatto e ti sei pentita, pensa, immagina se adesso succedesse qualcosa di grave e avresti potuto fare qualcosa per impedirlo, ma non l’hai fatto perché la signora Elwood ti stava aspettando.
La voce nella sua testa ha ragione. È impossibile che questa sensazione impellente di aver sbagliato a lasciare casa sia solo una semplice sensazione e non una specie di avvertimento dall’alto. Perché deve essere restia a credere a queste cose, quando passa la vita ad uccidere creature che dovrebbero esistere solo nelle leggende narrate nel folklore?
Al diavolo la signora Elwood e il suo dannatissimo libro!
Frena bruscamente e fa inversione di marcia.
Non lascerà che succeda qualcosa a Bobby solo perché ha voluto obbedirgli anzi che ascoltare una sua sensazione. Non è mancanza di fiducia verso il cacciatore, è voler essere sicuri che vada tutto bene. E se quando arriverà a casa Singer, troverà Bobby e Sam che sorseggiano the e discutono del tempo, allora sarà felice di tornare verso la biblioteca. Ma finché avrà questa sensazione di pericolo che alberga dentro di lei, la cosa migliore che può fare è andare a controllare.  


È sera quando imbocca il vialetto passando sotto l’insegna Singer Auto, i rottami ammassati nello spiazzo polveroso della proprietà di Bobby sembrano delle carcasse di grossi animali rimasti al sole per troppo tempo, essiccati e con le ossa sporgenti. Trova l’immagine un po’ inquietante. O forse, è l’inquietudine che sente dentro che le fa vedere inquietante ciò che la circonda.
Parcheggia e, dopo aver preso la pistola dal vano portaoggetti, scende dall’auto, ma nota che la porta del garage è aperta. È strano, visto che a quest’ora Bobby la tiene chiusa. Quando si avvicina, nota che la porta è macchiata di sangue.
In quell’istante il suo, di sangue, è diventato così gelido che sentirlo nelle vene le provoca quasi dolore. È pesante e sembra che scorra male, come se incontrasse degli ostacoli nelle vene che gli impediscono di scorrere correttamente. Impugna la pistola con fermezza e si dirige a passo svelto verso la casa. Entra facendo il minor rumore possibile, facendo attenzione che i suoi passi siano felpati e leggeri. Perlustra tutte le stanze e le trova vuote. L’ansia continua a salire, potente come un’onda, ma cerca di tenerla a bada. Se lasciasse scatenare il maremoto dentro di se, non caverebbe un ragno da buco.
Inspira.
Espira.
Continua la perlustrazione, fino a quando non nota la porta dello sgabuzzino spaccata e la botola davanti ad essa aperta.
Non è un buon segno. Per niente.
Si dirige verso l’unica parte della casa che non ha ancora controllato: il seminterrato.
Mentre scende le scale, sente il sudore colarle lungo la schiena, i capelli le si appiccicano sulle guance, le braccia tese che terminano con la pistola serrata nelle mani, come se l’arma fosse un prolungamento naturale di se stessa.
Striscia vicino ai muri per non farsi vedere e rimanere il più nascosta possibile da eventuali attacchi. Il cuore le batte all’impazzata, il panico l’assale, la paura che sia successo qualcosa di irrimediabile a Bobby le annebbia la mente e le paralizza le gambe.
Deve assolutamente calmarsi.
Inspira.
Espira.
Riprende a camminare, il tamburellare del cuore, adesso, suona meno invasivo.
Quando arriva alla fine del corridoio, proprio davanti alla panic room, sente delle voci.
“Perché lo fai? Sono stato come un padre per te!”
La voce di Bobby è come un sorso d’acqua dopo aver passato settimane nel deserto: è ancora vivo. Si sporge per vedere la situazione: Bobby è legato ad una sedia dentro ad un cerchio con dei simboli, simili a quelli che si usano per intrappolare i demoni, ma più complicati. Nat non li riconosce.
La voce di Bobby è amara, ma spaesata. Non comprende come Sam possa essere capace di tanto e rimanere indifferente davanti ad un’esecuzione. Perché è di questo che si tratta: Sam sta per ammazzare la sua figura paterna con un coltello, come se stesse sacrificando un animale.
Una rabbia cieca monta dentro Natalie, che si sente come se le avessero toccato un nervo scoperto.
Esce dal suo nascondiglio proprio quando Sam solleva il coltello che ha in mano.
“Fermo. O giuro che ti sparo.” Lo tiene sotto tiro. E sanno tutti che lei non sbaglia mai.
“Non lo farai.”
“Non provocarmi, Sam.” Afferma decisa. “Perché lo fai?” Continua, “Quando sei tornato hai detto che avevi nostalgia di casa! Se siamo come casa per te, perché lo vuoi uccidere??”
“Tu non capisci!”
“Spiegami.” Dichiara glaciale, le braccia tese e gli occhi puntati su Sam, pronta a sparare.
“Dean. Lui vuole indietro il suo Sammy, ma indovina un po’? Il suo fratellino sta bruciando all’inferno! Io non la voglio quella cosa dentro di me. E mi dispiace per tutto questo, ma devo farlo!”
“No, non lo farai.” Per un attimo, le trema la voce. Osserva Sam: un rivolo di sangue secco gli parte dalla fronte e segna il suo viso fino alla guancia, la camicia scomposta, strappata su un braccio, la gamba scoperta che sanguina. La follia nel suo sguardo, la determinazione nel voler uccidere l’uomo che è come un padre per entrambi. Quello non è Sam. O almeno, non è il Sam che conosceva lei.
Il suo Sam, il vero Sam, sta bruciando all’inferno da più di un anno. Quello che ha davanti è solo un involucro di carne con l’aspetto del ragazzo che è cresciuto con lei, con il quale rideva, parlava di libri e scambiava aneddoti imbarazzanti sulle figuracce che faceva Dean da ragazzino, credendosi un grande uomo.
L’uomo che ha davanti, è un mostro che è disposto ad uccidere l’uomo che lei considera suo padre. Bobby l’ha cresciuta, l’ha educata, si è occupato di lei. Bobby non è suo zio.
Bobby è suo padre, e non importa se non lo è biologicamente.
E lei non è disposta a perderlo. Non vuole perderlo.
Non quando ha già perso  (il vero) Sam.
Non quando ha già perso Dean.
Non quando la guerra che hanno combattuto le ha portato via molte delle persone che amava.
“Mi dispiace, Sam.” Deglutisce. Le lacrime le solcano il viso, calde e silenziose: “Vorrei andasse diversamente.”
A questo punto, fa ciò che ritiene giusto: prende la mira e spara.





(*) L'episodio preso in considerazione è l'undicesimo della sesta stagione "Appuntamento a Samarra" di cui l'ultimo dialogo tra Sam e Bobby è ripreso letteralmente, così come la descrizione della scena. 
Sicuramente l'avrete notato, ma mi sembrava giusto comunque specificarlo, visto che non è farina del mio sacco! 
Spero comunque che il capitolo vi sia piaciuto! (: 



 
   
 
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