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Autore: Agni_InkTears    02/05/2016    2 recensioni
" Dal sangue versato gli eroi sorgeranno,
e i perduti cercar dovranno
fin là dove il carro dorato è solito terminar il suo viaggio,
se la spietata vendetta si vorrà fermar con coraggio.
La sorte decideranno dell'equilibrio rovesciato,
quando l’addio del Crepuscolo sarà ormai realizzato “
Genere: Avventura | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Dei Minori, Eris, Gli Dèi, Nuova generazione di Semidei, Quasi tutti
Note: OOC, What if? | Avvertimenti: Spoiler!, Tematiche delicate, Violenza
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Edith Evans

 

Edith era sicura che non sarebbe sopravvissuta a quella giornata. Ne era certa.

Fin dal suo risveglio, o meglio, non-risveglio.

Erano due giorni che passava tutta la notte con gli occhi spalancati, mentre nel sangue continuava a venirle pompata adrenalina su adrenalina. Non riusciva nemmeno più a stare ferma.

Teneva costantemente il fermaglio a forma di luna incastrato tra i capelli, persino quando andava a dormire, e da una settimana aveva deciso di nascondere dentro allo zaino la piccola borsetta a tracolla con le stelline, nonostante fosse terribilmente infantile per una ragazza di sedici anni come lei.

Fin da quando era una bambina, quella spilla e la borsa, avevano avuto lo straordinario potere di calmarla, dandole forza e protezione. Si sentiva meno sola estrana, con quelli addosso.

Ciò nonostante negli ultimi giorni non erano riusciti a rilassarla. Continuava a provare quella brutta e nuova sensazione sotto pelle, come se stesse per succedere qualcosa. Qualcosa di grosso.

Nemmeno le medicine servivano più. Era impossibile da ignorare e, dopo le prime due ore di quel terribile giorno, decise che non l'avrebbe più voluto fare.

Se l’avesse ascoltata prima magari sarebbe riuscita a scampare almeno uno dei tanti guai che seguirono di lì a poco.

Nel tragitto verso la scuola aveva rischiato di farsi investire più di una volta, troppo impegnata a scacciare quelle strane visioni da schizofrenici che le appestavano la testa. Continuava a vedere ovunque ragazzi in strane armature, combattere tra loro; per non parlare della sua malata mente che trasformava qualsiasi colonna alta più di due metri, in un enorme statua inquietante di stile classico. Stava proprio impazzendo. Aggiungendo poi che quelle immagini le sfilavano tutte davanti agli occhi per la prima volta guardando la Luna, la situazione diventava proprio da camicia di forza.

Ed era solo l’inizio.

Appena entrata in classe aveva realizzato che c’era qualcosa che non andava, giusto in tempo per vedere quello scheletro della Collins sorriderle, spedendola allegramente in presidenza. Come se non la conoscesse già fin troppo bene.

Inizialmente non ne aveva capito il motivo, non le sembrava di aver rotto più niente o litigato con nessuno ed i suoi voti stavano addirittura migliorando!

Cominciava a credere di soffrire anche di amnesia, quando il preside le sventolò davanti alla faccia la sua ultima verifica di grammatica. L’afferrò un po’ incerta, era semi-vuota come al solito. Non si stupì della F sul retro del foglio, era disgrafica e dislessica persino più del normale quindi per lei riuscire a far bene una verifica di quel genere era quasi impossibile. Non che si fosse mai arresa di fronte ai suoi problemi, però ammetteva fosse difficile.

La Collins tossì stizzita indicandole un punto ben preciso del foglio. Proprio in quell’angolo aveva scarabocchiato strani simboli che si era inventata lì per lì mentre aspettava di poter consegnare. O per lo meno lei credeva di averli inventati, ma né la Collins, né il preside, né tanto meno il dizionario di Greco sembravano essere d’accordo.

A quanto pareva non erano affatto semplici simboli ma vere e proprie lettere che nascondevano un mero significato: una serie poco carina di sproloqui verso la professoressa e la sua maledetta insonnia. Edith ne era rimasta spiazzata, non l’aveva fatto apposta, non era sua intenzione scriverle. Non lo sapeva nemmeno il greco!

Eppure doveva ammettere di averle pensate veramente quelle parole, e doveva anche ammettere che guardando quelle strane scritte riusciva quasi istintivamente a tradurle senza problemi. Com’era possibile che avesse tante difficoltà con l’americano e il francese, che erano le sue lingue madri, e trovasse così semplice una lingua morta come il greco? Era semplicemente assurdo.

“Due settimane di sospensione dai corsi scolastici, con applicazione immediata e quasi sicura bocciatura.” Con quella frase Edith aveva appena avuto la certezza che, no, non sarebbe mai arrivata a fine giornata. I suoi genitori avrebbero tentato di ucciderla prima.

Purtroppo non sapeva quanto avesse ragione.


 



 

La porta di casa sua era scardinata. Le viti superiori giacevano a terra, davanti ai suoi occhi increduli.

Edith non aveva idea di che cosa stesse succedendo, sentiva solo il cuore accelerare i battiti e il fiato farsi irregolare. Forse erano entrati i ladri? Suo padre e la sua madrigna sarebbero tornati solo quella sera, era completamente sola, cosa avrebbe dovuto fare? Chiamare la polizia? Tentare di fermare i  rapinatori, se ancora si trovavano dentro? Un’irrefrenabile voglia di scappare e entrare allo stesso tempo, la colse improvvisamente, facendole fremere la pelle.

Aveva la testa affollata di pensieri e il cuore di emozioni.

Fece un primo passo indietro ma poi, senza veramente sapere il perché, portò una alla testa, toccando la sua piccola spilla argentea a forma di spicchio lunare. Poi, con uno scatto si tolse lo zaino e tirò fuori la piccola borsa, mettendosela a tracolla.

Sapeva che c’era qualcosa che non andava, lo sapeva da giorni, se non da una vita intera; e adesso, era il momento, quello in cui ci sarebbe stata la svolta.

Lo sentiva, come una sensazione pungente sotto pelle. Quasi dolorosa, ma non riusciva a capire se si trattasse della paura o della curiosità di conoscere finalmente che cosa l’avesse tormentata fino ad allora.

Magari, varcando quella porta avrebbe trovato le risposte a tutte quelle numerose domande che si era fatta in sedici lunghi anni di vita emarginata.

Prese un profondo respiro, stringendo con una mano la stoffa della borsa e con l’altra il materiale freddo della spilla, e trasse forza da quei piccoli gesti familiari, come se fossero la sua zazzera nella tempesta che sarebbe venuta. Poi infine, fece alcuni passi in avanti spingendo la porta e superando la solia con uno scricchiolio.

La sua casa era sempre la stessa dimora dove era cresciuta, dove aveva imparato ad amare ed essere amata. Fece alcuni passi in avanti furtiva, per cercare di non rompere quell’orribile silenzio che le opprimeva le orecchie. In tutta la sua vita, quell’assenza di suoni così netta, così forte da farle male, non l’aveva mai sentita, non in casa sua. Perché la sua casa era viva, e ogni cosa viva fa dei rumori; gli splendidi rumori della vita.

Percorse il corridoio ed arrivò in salotto. Ed ecco il solito divano, il solito camino –lì in Churchill ce n’era proprio bisogno- e la solita televisione.

In fine, la sua parte preferita: i ripiani pieni di cornici e foto. Foto sue; mentre faceva il bagno per la prima volta, mentre mangiava un lego, mentre completava un puzzle di Winnie the Pooh, mentre si sedeva il primo giorno di scuola e poi ancora: una recita di teatro, la gita a Ottawa e il viaggio nella riserva di orsi polari.

In alcune c’era anche suo padre, come quella della vigilia di Natale precedente, passata in campagna dai nonni. Edith si avvicinò piano alla cornice, improvvisamente sfiorata da uno strano pensiero. La prese delicatamente tra le dita, osservando attentamente i tratti rilassati del padre, le sue labbra piegate in un gran sorriso, gli occhi di entrambi brillanti di quella felicità che solo il calore della famiglia sa dare.

Edith sorrise al ricordo, ma poi corrugò le sopracciglia cerulee, guardando di nuovo la foto lucida. Perché Jessica, la sua matrigna, non compariva nella fotografia? Era sicura che anche lei si fosse messa in posa con loro, ricordava le sue fredde mani accarezzarle i suoi capelli inusuali che amava tanto.

Rigirò la cornice e sfilò lo scatto dal riquadro per controllare che la foto non fosse stata piegata o semplicemente posizionata. Ma anche così Jessica non appariva, come era possibile? Si appoggiò al ripiano, confusa, e cercò con lo sguardo delle altre foto in cui comparisse la sua famiglia al completo.

Niente. In nessuno scatto era presente la sua matrigna, nonostante vivesse con loro da ormai un anno e mezzo; per non parlare di tutto il tempo in cui suo padre l’aveva frequentata.

Perché? Il suo cuore prese a battere ancora più in fretta ed Edith boccheggiò un paio di volte, sopraffatta da quel nuovo carico di emozioni. Cosa diamine stava succedendo?

Non ebbe il tempo di farsi altre domande perché un rumore improvviso dalla cucina accanto la fece distogliere dai propri pensieri. Una scarica di adrenalina incontrollabile la spinse a imboccare decisa la strada verso la stanza, infilando di fretta la foto nella tasca della felpa.

Strinse un po’ più forte la borsa mentre spiava dallo spiraglio della porta semichiusa l’interno della stanza. Tutti i mobili erano al loro posto e come sempre i colori arancioni sgargianti le fecero storcere il naso per un attimo. Poi si accorse della chiazza di sangue appena visibile nell’angolo vicino al frigorifero, che come un fiore appassito nel campo di papaveri spiccava nella sua vita persa.

Spalancò gli occhi, aprendo la porta con un urlo soffocato. Si portò una mano alla bocca e arretrò di qualche passo e finendo a sbattere con la parete dietro di lei.

Jessica, la sua matrigna, se ne stava ricurva in avanti, le spalle tese per lo sforzo di star trascinando un corpo. Il suo corpo.  

Suo padre era steso per terra, pallido e immobile, di quella immobilità che spaventa. Un immobilità non umana, non viva.

Un singulto le lasciò le labbra incontrollabile catturando l’attenzione della donna. Jessica si girò di scatto verso di lei, aveva una strana luce negli occhi e notò con orrore che tra le labbra della donna spuntavano due canini più affilati del normale.

Sorrise. “Tesoro, vedo che sei arrivata in tempo per la festa!” Le sue gambe mutarono, trasformandosi in zoccoli di un asino. I capelli erano di fuoco e la pelle d’avorio. I denti si fecero più affilati, come le unghie delle dita, assumendo l’aspetto di artigli.

Edith strattonò la federa della borsa e sentì come in sottofondo, il fermaglio tra i capelli iniziare a bruciare. Non riusciva a staccare gli occhi da Jessica. Non voleva vedere. Non voleva vedere suo padre.

Non voleva vedere cos’era diventato.

“Ovviamente, come può esserci un party degno di questo nome, senza una prelibata torta?” Jessica si leccò le labbra, deformando il viso in un ghigno spaventoso. Edith vedeva tutto il mondo sottosopra, gli occhi le si ribaltavano e ogni cosa sembrava così irreale, così distante dalla sua semplice vita.

“E tu, piccola mezzosangue, sei decisamente un ottimo dolce!” Jessica le si gettò addosso con un balzo svelto e Edith riuscì a schivarla, lanciandosi verso destra con una repentinità che non sapeva di avere.

Anche se, in quel momento, le sembrava di non sapere nulla.

Jessica provò ad attaccarla ancora, e ancora, ma ogni volta Edith la evitava veloce, come se il suo corpo sapesse come comportarsi ma la sua mente no.

“Sta’ buona!” ringhiò la matrigna, tentando un nuovo affondo che fece cadere Edith a terra sulle mattonelle gialle della cucina.

Il suo respiro era spezzato, ma il cuore le batteva forte e deciso, perché quella orribile sensazione d’attesa che aveva provato fino a poco prima sembrava improvvisamente sparita. Le si appannarono gli occhi e la testa dolse un po’ di più quando Edith vide di striscio il corpo del padre, steso dall’altra parte della stanza.

Voleva correre da lui, assicurarsi che stesse bene e allontanare tutto l’accaduto come se si fosse trattato solo di un brutto sogno. Jessica rise di nuovo, avvicinandosi pian piano a lei con un sorrisino vittorioso in faccia.

Edith non capiva più niente, il cervello sembrava fluttuare tra metri sopra di lei e l’istinto governava il suo corpo ed i suoi movimenti. Senza pensarci, portò una mano alla molletta che sembrò bruciare sotto il suo tocco. Se la tolse velocemente mentre questa cominciava a scottare. Stava… cambiando forma? Si ritrovò a stringere in mano una lunga frusta d’argento.

Sentì la testa girare di nuovo e si chiese tra quanto tempo ancora sarebbe svenuta, mentre quella singola arma sembrava pesare tonnellate sul suo cuore.

Cosa avrebbe dovuto fare adesso? Ebbe solo il buon senso di alzarsi in piedi, barcollante.

Jessica rise sfacciatamente nonostante il viso le fosse diventato un po’ più pallido “Oh-oh, il dolce cupcake si arma? Muoio dalla paura!”

Un fremito impulsivo attraversò Edith e solo grazie ad esso riuscì a schivare l’ennesimo attacco. Strinse di più il manico della frusta, sentendosi completamente persa. Cosa avrebbe dovuto fare?

Qualcosa tra le sue dita luccicò, Edith le tolse velocemente, tenendo al contempo d’occhio i movimenti della matrigna e evitandoli. Incise nel manico della strana frusta vi trovò un’incisione in greco. Subito le lettere presero a ruotare, come le succedeva sempre, questa volta però formarono una frase di senso compiuto.

‘Luna e Stelle ti guideranno nel buio.’

Che voleva dire? Non riuscì a trovar soluzione perché la matrigna le saltò addosso facendola cadere a terra. Aveva l’alito che puzzava di un odore pungente, non era il solito profumo di lavanda che ricordava Jessica utilizzasse per fare il bucato ai suoi vestiti. Sembrava… odore di sangue. Il suo stomaco si rivoltò e sentì un conato salirle su per la gola.

Jessica le si avvicinò di più.

“Umm… devi essere proprio un buon bocconcino semidea. Proprio buono”

‘Luna e stelle ti guideranno nel buio’

Non riusciva a togliersi dalla testa quella frase, era come un mantra che si ripeteva continuamente in un angolo della sua mente e qualcosa le diceva che fosse importante. Molto importante.

Chiuse per un attimo gli occhi, un po’ per la troppo vicinanza della matrigna, un po’ per cercare di scacciare dalla testa la terribile immagine del padre steso a terra, inerme.

Il buio totale la avvolse ed ebbe un ricordo fugace della sua terribile fobia per il buio che aveva da piccola.

“Ci saranno dei momenti in cui questo buio ti sembrerà niente, perché la vita sa essere ben più terribile” le diceva sempre il padre, per poi abbracciarla stretta e sussurrarle "Ricorda però nei momenti bui che basta anche solo il più piccolo degli spiragli di luce, per rischiarare la più profonda delle oscurità”

Cosa voleva dire? Cercò disperatamente una risposta.

“Mi vanterò di te con le altra empuse. Mi invidieranno per anni!” disse Jessica. Em-empusa? N-no, quella era Jessica, solo Jessica.

Jessica le graffiò la guancia, troppo pericolosamente vicina, e cercò di avvicinare una mano al suo viso, ma rimase impigliata nella borsa. Le piccole stelle disegnate sopra luccicarono.

Le Stelle… la borsa… il fermaglio a forma di mezza luna che diventava una frusta…  il suo corpo agì prima della sua mente.

Con uno scatto Edith riuscì ad alzarsi un po’, spingendola via. Passò una mano tremante sulla tracolla e non appena la infilò dentro le sette stelle disegnate brillarono abbaglianti, per poi scomparire. Strinse la mano e si punse un dito con la punta di uno dei sette coltelli che vi erano apparsi magicamente.

‘Uno per ogni stella’ riuscì a pensare lucidamente, nonostante la confusione che regnava nella sua testa. “Sciocca ragazzina!” strillò Jessica, dopo essersi rialzata.

La consapevolezza la colpì all’improvviso. Strinse di più la presa sulle sue armi.

‘Luna e stelle ti guideranno nel buio.’

Doveva lasciarsi guidare, lasciare che fossero i suoi istinti a lavorare per lei.

Alzò il braccio e lanciò la frusta come meglio poté, cercando di bloccare Jessica, che continuava ad attaccarla. Si muoveva veloce ed Edith non lo era abbastanza; colpiva Jessica cercando in tutti i modi un punto dove poter fare presa per riuscire ad intrappolarla, ma era dannatamente difficile.

“Stupida mezzosangue! Ti distruggerò! Ti farò a pezzi con le mie mani!”

Con uno scatto, Jessica si buttò completamente verso di lei.

Edith ebbe solo il tempo di ragionare che -adesso che teneva le braccia alzate per colpirla meglio- Jessica stava lasciando scoperto il tronco del corpo, poiché nemmeno un secondo dopo la frusta si era già avvolta attorno al mostro, impedendone i movimenti. Non aveva idea del perché, ma malgrado i capelli in fiamme l’arma non sembrava bruciare.

Strinse un po’ di più la presa, mentre Jessica si contorceva cercando di liberarsi. Ora che non era più sotto attacco si accorse di star tremando terribilmente. Il cuore le batteva fortissimo e si concesse di fare dei grossi respiri per riprendere fiato.

Ma il fiato le si spezzò di nuovo quando i suoi occhi si posarono sulla figura del padre. Le palpebre sfarfallarono ancora e la testa iniziò a bruciarle terribilmente.

Jessica rise forte, accorgendosi di dove fosse diretto il suo sguardo. Ad Edith non importò perché legò con forza l’altro estremo della frusta ad un gancio in metallo attaccato alla parete, e poi corse dall’altra parte della stanza.

Cadde in ginocchio davanti a suo padre, singhiozzando e allungando una mano tremolante. Era lui, era l’uomo che l’aveva cresciuta, che le era rimasto affianco fin dall’inizio e che sarebbe dovuto restare fino alla fine. Era il disastro pasticcione con i capelli brizzolati e perennemente disordinati, era il proprietario delle labbra sottili che erano solite baciarle la testa premurose ogni mattina, era la persona a cui voleva più bene al mondo.

“Pa-papà?” chiese, la voce distrutta dal terrore più nero “Papà, t-ti p-prego…”supplicò, scuotendolo inutilmente. Non voleva che fosse così immobile, voleva che si muovesse, che respirasse, che vivesse.

Poteva fare qualsiasi cosa ma non poteva restare così fermo perché gli esseri viventi non erano capaci di quella immobilità. E l-lei non- lei n-non… I suoi pensieri si persero insieme al battito mancato del padre.

Guardò i suoi occhi spenti, osservò le sue mani pallide, le strinse forte e cercò il solito tepore rassicurante tra le sue braccia. Il freddo che vi trovò le entrò dentro.

Silenzio. C’era di nuovo quell’orribile silenzio di morte.

Accarezzò il suo volto, singhiozzando e annaspando; sentendosi morire lei stessa. Si chinò su di lui, appoggiando la testa sul suo petto, e lasciò che le lacrime bagnassero la sua maglietta. Sentì un cattivo odore pungerle il naso e con orrore si rese conto che fosse l’odore del sangue rarefatto sulla fronte del padre e per terra. Con uno scatto, quasi istericamente, cercò di lavarlo via e pulirlo. Quel rosso… quel rosso sembrava così vivo. Quel rosso si stava cibando della vita di suo padre, succhiandogliela via come la peggiore delle sanguisughe!

Si alzò in piedi e vide il mondo girarle intorno velocemente, ma non le importò. La testa le stava fluttuando e aveva perso completamente il senno, ma anche questo non le interessò. Il rosso stava portando via la vita a suo padre, doveva allontanarlo. Con passo tremante e barcollando raggiuse il lavandino e confusamente riempì un bicchiere d’acqua, buttandolo per terra e lavando il sangue via.

Sciacquò la fronte del padre, lo accarezzò con dolcezza e poi sussurrò: “Ho tolto il rosso, è andato via. A-adesso muoviti… muoviti p-per fav-favore..!”

Ma non si mosse, gli occhi ancora puntati nel vuoto verso qualcosa che non avrebbe mai più potuto vedere.

“Oh, povera la mia piccola semidea; non ha mai visto un cadavere!” la sbeffeggiò Jessica, ridendo e tirando uno strattone molto forte che fece sradicare completamente il gancio dal muro. Edith rabbrividì, e Jessica ridacchiò ancora più forte.

“Sì, un cadavere, hai sentito bene. Perché è questo che è adesso, solo un inutile carcassa puzzolente. Il ricordo di qualcosa che era ma mai più sarà. E’ meglio che ti abitui semidea, perché da adesso in poi i cadaveri sono tutto ciò di cui ti circonderai”

Edith riuscì quasi a sentire il CRACK del suo cuore, mentre gli occhi le si riempivano di dolore. Ancora, e ancora e ancora.

Non c’erano parole, non c’era rumore, non c’era più NIENTE ormai.

Sentì la terra mancarle sotto i piedi. Le parve di star precipitando in un baratro buio. Sola.

Era sola.

Indescrivibilmente e inesorabilmente sola.

Uno strano gelo si fece spazio a forza nelle sue vene, prepotente, lasciandole soltanto una sensazione di vuoto in cambio. Un buco che non si sarebbe più colmato.

“E’ inutile che lo pulisci e lavi via il sangue” disse Jessica, avvicinandosi a lei di qualche passo “E’ morto. Non c’è più vita in lui, e sono stata proprio io a strappargliela via”

E poi come per magia il freddo si fece pungente, quasi scottante. Il sangue prese a ribollire, inondandole il corpo di rabbia.

Una rabbia irrazionale e infinita. Una rabbia accecante e folle.

Con un fischio il coltello tagliò l’aria, conficcandosi nel fianco di Jessica-no, del mostro. Questa emise un urlo strozzato, portando gli artigli nel punto ferito e estraendo con fatica il coltello.

Edith sentì una strana sensazione, come di dita fredde che scivolano per tutta la colonna vertebrale con lentezza straziante. Dentro la rabbia bruciava più dell’Inferno.

Il mostro provò a parlare, ma Edith non gliene lasciò il tempo. Un secondo coltello le colpì la coscia sinistra, seguito in un batter d’occhio da un altro nella gamba destra. La bestia rantolò, per poi cadere in ginocchio debole.

Questa volta fu proprio Edith ad avvicinarsi per prima, tirando fuori dalla borsetta il coltello più affilato che avesse trovato. Mentre camminava nella sua direzione però, l’aspetto del mostro mutò ancora.

“Edith. Edith, tesoro, per favore aiutami! Non so cosa mi è successo, sono confusa, era come se non avessi più il controllo del mio corpo!” singhiozzò, ed i capelli castani di Jessica le scivolarono sul volto, troppo lunghi esattamente come Edith li ricordava.

Si fermò per un attimo, immobilizzata da quel cambiamento. La rabbia scemò pian piano.

Jess-Jessica era tornata?

“Jessica? ”chiese solo, riponendo un po’ troppa speranza nel tono della voce. La donna alzò di scatto la testa, mostrando gli scuri occhi lucidi dalle lacrime. Erano esattamente della stessa sfumatura che ricordava.

Si sentì ancora più confusa.

“Edith, ti prego, sono io! Sono io! Non so cosa mi sta accadendo, aiutami. Abbassa quel coltello, aiutami ti prego!” gli occhi di Jessica, la matrigna che aveva imparato ad amare col tempo, la guardavano supplicanti. Tentennò. “Tu-tu hai ucciso mio padre…”sussurrò, con la voce tremolante e l’anima che piangeva dentro.

Jessica scosse forte la testa ”No! Non sono stata io, non potrei mai fare una cosa del genere a lui, non potrei. E’ stato il mostro, ha preso il mio corpo e-e…”singhiozzò forte, abbassando di nuovo il capo. Poi tirò su col naso, cercando di ridarsi un contegno “ma adesso se ne è andato, non c’è più, lo hai sconfitto. Sei stata una brava bambina. Proprio una brava bambina”

‘Sei la mia bambina, la mia piccola, dolce e brava bambina’ sentì ripetere dalla voce affettuosa di suo padre.

“Edith, ti sto supplicando. Sono distrutta, so che anche tu lo sei. Da sole non possiamo farcela ma, se ti fidi di me, forse insieme abbiamo ancora una possibilità. Abbassa quel coltello”

“Sono tutto ciò che ti rimane” sussurrò alla fine Jessica, e Edith non avrebbe voluto, non avrebbe voluto veramente, ma in quel momento non c’era frase più vera di quella. ‘E’ tutto ciò che mi rimane’ si disse di nuovo, un attimo prima di lasciarsi andare e abbassare il coltello, facendolo cadere per terra.

Jessica allargò le braccia, e Edith si abbassò un po’ per farsi abbracciare. Non desiderava altro che qualcuno con cui dividere tutto quello. Jessica aveva ragione, non ce l’avrebbe mai fatta da sola. Mai.

Lasciò che Jessica passasse il braccio dietro la sua schiena, accorgendosi un po’ troppo tardi della traiettoria deviata della mano. Le dita fredde della matrigna si strinsero forti attorno al suo collo.

Edith emise un verso sorpreso tentando subito di liberarsi e scalciando a più non posso. Avvolse il polso di Jessica tra le sue dita e cercò di scacciarlo via, affondando le unghie nella carne e strisciando verso il basso.

Jessica guaì di dolore e allentò la presa quel tanto che bastava ad Edith per liberarsi. Le tirò un calcio nel bacino, vicino a dove l’aveva già colpita con il coltello.

Jessica cadde stesa per terra, come suo padre.

Raccolse velocemente il coltello da terra.

“Edith-Edith ti prego. Sono io, sono Jes-” non finì mai la frase. Il coltello colpì esattamente il centro del suo petto, fermandoglielo per sempre.

Jessica si dissolse con un fremito, lasciando dietro di se solo una strana polverina. L’aveva uccisa, aveva ucciso l’unica persona che le rimaneva. Era sola.

‘Da sole non potremo mai farcela’ rimbombarono le parole di Jessica.

Cadde in ginocchio, le mani portate sulla faccia per cercare di soffocare i singhiozzi e cancellare dalla mente l’immagine che aveva davanti agli occhi.

C’era sangue, sangue rosso e vivo. Sui suoi vestiti, nelle sue unghie, tra i capelli, ovunque.

E c’era silenzio, quel silenzio che lei odiava.

Il silenzio della morte.

Perché in effetti, non c’erano altro che resti senza vita lì: le ceneri di Jessica, il cadavere di suo padre ed il suo.

Edith era sicura che non sarebbe sopravvissuta a quella giornata.

Edith aveva ragione.

Edith Evans era morta due volte.

Edith Evans era morta insieme al padre.

Edith Evans era morta insieme a Jessica.

Edith Evans non esisteva più.

Edith Evans non era sopravvissuta. 

 

Angolo delle Lacrime d'inchiostro

Eccomi ritornata con il primo capitolo della storia! Sono terribilmente in ritardo con il personale programma di aggiornamenti che mi era imposta, ma ho avuto alcuni problemi con il computer e alla fine fra tutto non sono riuscita a fare le cose come avrei voluto. 

Comunque questo primo capitolo è abbastanza lungo e conosciamo un'altro personaggio, sempre una ragazza ma non preoccupatevi i maschi arriveranno già dal prossimo aggiornamento. Edith Evans è completamente diversa da Alexis Blake, sia caratterialmente che non, e rappresenta la classica emarginata sociale, che crea tutto il suo nucleo unicamente intorno alla famiglia e che perciò è profondamente restia ai cambiamenti.

Infatti, vorrei far notare come, invece di prendersela con il mostro-Jessica per la morte del padre, dia tutta la colpa al sangue 'quel colore rosso che stava succhiando via la vita a suo padre'. Chiaramente non vuole accettare l'idea che la sua famiglia, l'unico luogo di rifugio per lei, sia ormai irrimediabilmente distrutta. E' rimasta sola e senza punti di riferimento, cosa che per lei equivale addirittura alla sua morte.

Questo capitolo è stato particolarmente difficile per me, perchè tematiche come la perdita di un famigliare non sono mai semplici da trattare, ma spero di esser riuscita a trasmettere le giuste emozioni, o almeno in parte.

Adesso vado, ci vediamo al prossimo capitolo con un personaggio maschile- finalmente!

Agni_InkTears

   
 
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