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Autore: Edgewig    04/05/2016    2 recensioni
PRESENTE: Samir è muto, un'ombra che appare solo quando necessario e che caccia tutti coloro che secondo lui hanno perso il diritto di essere trattati da uomini. Estremamente abile, non riesce a provare pietà, spinto dall'insaziabile e distorto desiderio di rettitudine che guida le sue mosse, lungo un cammino che lo porterà a indagare fino in fondo l'essere umano e le sue atrocità. PASSATO: Samir è un bambino di tredici anni, denutrito, ingenuo, sottomesso ai colpi di una giovane orfana quando Adam Selvig e Lianor Sitwell, due rinomate cappe nere, vanno a prelevare entrambi nella casa famiglia di Riverdook. Ciò che attende il ragazzo è un percorso tortuoso, fitto di disciplina, rigidità, una filosofia di vita che gli entrerà fin nelle ossa e lo porterà a mutare radicalmente le sue idee e capacità. Divenendo una delle più temute cappe nere in circolazione.
Genere: Azione, Dark, Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Violenza
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CAPITOLO 10 – I DUE FUOCHI
 
Passato
«Avanti, un altro giro.» Ordinò Adam una volta visto passare davanti a lui Samir. Per la decima volta, quel pomeriggio. I mesi che seguirono il loro primo allenamento mattutino avevano visto enormi cambiamenti svilupparsi all’interno e all’esterno del ragazzo. I suoi muscoli erano certamente maturati più del suo carattere, talvolta ancora un po’ ingenuo, infantile. E al crescere della sua statura cominciava ad affiancarsi anche la crescita di qualche pelo sulle guance e sul mento.«Muoviti.» continuava ad incitarlo Adam, nonostante il giovane stesse mantenendo una buona andatura, senza palesare eccessiva stanchezza. Si trattava di una corsa di riscaldamento che il giovane portava avanti sia prima della sessione mattutina che prima di quella pomeridiana.
Selvig aveva in mente un quadro d’allenamento ben preciso e Samir, come chiunque altro in quel campo, se n’era accorto sin dal principio. I primi giorni d’allenamento vedevano svolte semplici corse intorno al campo, saltelli sulle gambe, qualche esercizio di aerobica per destare un po’ i muscoli immaturi del ragazzino e diverse sedute di stretching che riguardassero tutti e quattro gli arti, e non solo.
A partire dalla terza settimana le cose cominciarono a farsi più pesanti, giacchè Selvig stilò un piano d’allenamento diverso tra mattina e pomeriggio. La mattina, circa due ore dopo la prima colazione di Samir, questi svolgeva esercizi incentrati unicamente sullo sviluppo degli arti inferiori, mentre al pomeriggio allenava tutta la parte superiore del corpo. A giorni alterni: se una mattina allenava le gambe quella dopo avrebbe cominciato con le braccia, e così via. Ogni due giorni d’allenamento incentrato sul potenziamento muscolare ne sosteneva uno che riguardasse il miglioramento della sua resistenza fisica, basato più che altro su corse decisamente più lunghe del solito. Inutile dire che per i primi tre mesi Samir si rivelò una completa delusione: i suoi polmoni non garantivano una buona resistenza allo sforzo, i suoi muscoli erano così deboli che dopo pochi piegamenti sulle gambe, o sulle braccia, era già sfinito.
Forse furono i metodi un po’ bruti di Adam, forse un po’ più di sale in zucca e iniziativa che permisero all’orfano di farsi forza e andare avanti. Al crescere della sua massa muscolare, e al completamento di determinati esercizi con maggiore facilità, sembrava iniziare a farsi più solida anche quell’autostima che arrivato in caserma non aveva per niente dimostrato. Essa scemava soltanto quando Adam si dimostrava scontento o gli affidava sessioni d’allenamento più dure, per le quali il corpo del ragazzo non era ancora del tutto preparato.
«Un altro giro!» Ordinò ancora una volta la cappa, in un ringhio stavolta, una volta visto Samir portare a termine il dodicesimo giro del campo. Il ragazzo aveva il fiatone ma cercava di non darlo troppo a vedere, tenendo le labbra semichiuse, anziché spiegate come un cavallo da soma. Teneva le braccia ripiegate accanto ai fianchi e le muoveva in modo ritmico, avanti e indietro, per cercare di trovare in loro la spinta giusta per andare avanti. Ma le gambe si facevano pesanti, il cuore batteva troppo velocemente e la milza doleva non poco. Non aveva raggiunto il livello di preparazione cui Selvig ambiva e nonostante tutti i progressi compiuti in quei sei mesi nessuno sembrava essere ancora contento delle sue prestazioni. Nessuno, eccetto Abrams, che talvolta assisteva agli addestramenti di alcuni protetti in mezzo al campo, elargendo consigli o mettendosi a chiacchierare con i rispettivi tutori.
«Basta. Hai cinque minuti.» Lo fermò Adam, delineando come sempre, per aria, un taglio netto con la mano destra. Lo osservò ripiegarsi su sé stesso, sfinito, con il sudore che già grondava dalla sua fronte scura, prima di avvicinarsi un po’ e posargli una mano sulla spalla. In quell’attimo Samir non seppe cosa pensare: Selvig voleva colpirlo? Voleva congratularsi, sostenerlo? No. La mano dell’uomo si richiuse più volte intorno alla pelle del giovane, solo per saggiarne la resistenza, per capire quanto ancora si sentissero le ossa sotto quella superficie. «Dovrai impegnarti di più.» sentenziò, allontanandosi.
«Ancora… di più?» chiese senza voce Samir, cercando di respirare il più profondamente possibile per recuperare un po’ di fiato.
«Si.» rispose secco l’altro, leccandosi il labbro e ponendo le mani sui manici di due dei tre pugnali che teneva assicurati alla cintura.
«Sono…» Samir non proseguì, cercando di raddrizzare la schiena e guardare il suo tutore, prima. «Sono sfinito.»
«Non mi importa.» ribattè con calma innaturale Adam, portando per un attimo gli occhi verso il muro di cinta del lato sud del campo, oltre il quale si vedevano diverse strutture cittadine. «Di bastardi pronti a pugnalarti alle spalle, cani rognosi pronti a saltarti addosso e morderti, serpenti ben lieti di avvelenarti ne troverai oltre quel muro. Ne troverai un bel po’.» si accigliò l’uomo, tornando a guardare Samir e dando per implicito il ragazzo avesse capito dove voleva arrivare.
«Quando?» domandò lui in un sussurro.
«Quando sarà il tempo.»
«Ve bene.» Continuò Samir, osservando quel muro che lo circondava da ogni lato. «Io… non faccio altro se non quello che mi dice. Vorrei…» indicò le porte del campo. «uscire, almeno...» cercò di proseguire, sinceramente, iniziando a sentirsi un recluso in quel luogo rude e freddo.
«No.» la risposta di Adam fu molto chiara ma Samir sembrò non digerirla del tutto.
«Perché?» domandò in un sospiro, non riuscendo a tenere gli occhi aperti, per la stanchezza. Quandoli riaprì, pur con sforzo, ebbe un sussulto e si ritrovò la mano destra di Adam intorno al suo collo. Samir si irrigidì, tentò di fare un passo indietro ma la presa era talmente vigorosa che il corpo non si smosse di un millimetro.
«Ti dico cosa c’è là fuori.» sussurrò minaccioso Adam, stringendo appena la presa e sentendo le mani del ragazzo stringersi intorno al suo braccio, nel goffo tentativo di liberarsi. «Tanti uomini che non sanno che farsene della loro vita e che tirano a campare sopportando in silenzio tutto ciò che non gli piace e che striscia intorno a loro. Altrettanti che speculano sulle disgrazie dei primi, giocando con i loro beni, i loro affetti, le loro vite in cerca di emozioni forti. Omuncoli troppo deboli per reagire da un lato, animali presuntuosi e troppo sicuri della loro inesistente superiorità dall’altro. Caos e nient’altro. E il colore della tua pelle, mettitelo in testa, non ti aiuterà, ti colpirà come un calcio nelle palle ogni volta che metterai il muso fuori di qui, nel vano tentativo di farti sentire la disgrazia, la nullità, lo schiavo che non sei.» Le palpebre di Selvig si fessurizzarono, la mano che cingeva il collo di Samir venne ritratta e con lei anche il ragazzo, che si vide costretto ad avanzare di un passo verso l’uomo. «Perché sarà vano il suo tentativo, vero?» domandò retorico, senza neanche attendere risposta. «Vuoi uscire là fuori? Giocare ai dadi con dei poveri ubriachi in una taverna? O forse…» lo guardò storto. «cerchi qualcuno che ti rimbocchi le coperte la notte, che ti faccia una carezza o ti dia un bacio ogni volta che ti svegli la mattina? Uh?» Adam si irrigidì. «Gli affetti.» sbuffò. «A che servono se non a dare agli altri motivo di farti del male? Sei tanto debole quanto le persone che ami! Non ti servono, ne puoi fare a meno ed essere non l’uomo debole, non il cane rognoso, ma la giustizia pronta a tenere al guinzaglio la bestia e ad abbatterla ogni volta che serve. Per dare l’esempio a tutti gli altri topi di fogna e far capire loro che uscire dalla terra, mordere e diffondere malattie sono cose che non possono più permettersi con te in giro.» Serrò la presa sul collo del ragazzo e questi, tra un gemito e l’altro, s’inginocchiò al suolo. «Sei patetico. Non riesci nemmeno a liberarti da una presa del genere. Quanto credi che dureresti là fuori, in mezzo a rozzi e bavosi bastardi con la pelle bianco latte? Basterebbe un pugno per ucciderti, puoi credermi. E il mio tempo chi me lo restituisce? Il tuo cadavere?» ringhiò, spingendo via Samir e mollando la presa, vedendolo stendersi con la schiena al suolo, tossendo di qua e di là come un naufrago con troppa acqua nei polmoni. «Non ti rendi ancora conto del tuo ruolo. Ma lo farai.» annuì Adam. «Oh si, lo farai.» proseguì minaccioso, e soprattutto determinato a strizzare ogni goccia d’ingenuità da quel ragazzo.
«Ho… capito.» biascicò il quindicenne, tastandosi la gola e sentendosi ancora la morsa dell’uomo intorno alla pelle. Faticava a respirare, ma a un gesto di Selvig si fece forza e si risollevò in piedi.
«Si?» chiese sarcastico Adam. «Ho i miei dubbi.»
«Ma non mi ha ancora mostrato come difendermi. Perché?» chiese a denti stretti, ansimante Samir.
«Insegnarti a combattere prima che tu abbia le forze di tirare due pugni di fila? Dopo il primo saresti a corto di fiato, dopo il secondo ti getteresti a terra senza forze.» sorrise Adam, prendendolo volutamente in giro.
«Ma potrebbe andare diversamente.» strinse maggiormente i denti Samir, volendo evidentemente essere messo alla prova. Forse ci credeva davvero, in quel momento.
«E va bene, vieni. Te la sei cercata.» Scosse il capo Adam, afferrando Samir per la maglia e trainandoselo dietro, iniziando a camminare lungo il campo, alla volta dell’angolo nord ovest.
«Che vuole…?»
«Cuciti la bocca adesso. Sono stanco di averti nelle orecchie.» sibilò minaccioso Selvig, quel giorno spazientito dall’arroganza mostrata dal suo giovane protetto. «Avanti!» Alzò la voce, portandosi Samir accanto e spingendolo con forza verso due figure davanti a lui.
«Ah!» Il giovane inciampò e si ritrovò in ginocchio davanti a Elsa e Selma.
«Ma tu guarda chi si vede.» rise Elsa, facendo un cenno alla ragazza per incitarla a interrompere per un momento il loro allenamento. «Il giovanotto pelle e ossa. Qual buon vento?» si domandò la donna, mettendosi le mani ai fianchi e guardando Samir rialzarsi frettolosamente da terra.
«Voglio che combatta contro la ragazza.» Dichiarò semplicemente Adam, portando poi lo sguardo su Selma e facendole un cenno, come a sottolineare non glielo stesse chiedendo.
«Uhm… potrebbe essere interessante. No, Selma?» domandò retoricamente Elsa alla volta della protetta di Lianor.
«Non sarebbe la prima volta che lo stendo. Se proprio ci tenete a vederlo sanguinare vi accontento.» Affermò senza problemi la ragazza, arricciando un po’ il naso e avvicinandosi a Samir. Questi indietreggiò di colpo e ruotò il capo verso Adam, come a chiedergli cosa diavolo volesse fare e perché avesse scelto proprio una ragazza per metterlo alla prova.
«Che fai? Scappi?» si accigliò Adam, vedendolo indietreggiare verso di lui.
«E’ una ragazz…» Samir non ebbe il tempo di parlare. Si ritrovò subito il pugno destro di Selma sullo stomaco, seguito dal sinistro dritto sulla mascella. Il ragazzo fu costretto a ripiegarsi e a indietreggiare nuovamente, mentre Adam cominciava a circondare i due contendenti, in modo da arrivare a porsi accanto ad Elsa.
«Fattela addosso negro. Avanti!» tuonò Selma, scattando verso di lui e provando a dargli un calcio alla tibia sinistra. Samir, più per timore che per reale strategia, fece altri due passi indietro ed evitò un’altra lesione.
«Non credevo che gli avessi già insegnato qualcosa.» sussurrò Elsa alla volta di Selvig, come a sottolineare la sorprendesse il fatto avesse voluto mettere alla prova il ragazzino.
«Non l’ho fatto.» rispose secco Adam, incrociando le braccia al petto e osservando quello che si sarebbe detto uno scontro estremamente breve e noioso.
«Non posso colpirl…» Cercò di giustificarsi Samir, beccandosi però un altro pugno sul muso e inciampando su un sasso. Si trovò ben presto col sedere a terra, con Elsa che sorrideva amareggiata e Selma che continuava ad avvicinarsi come una iena pronta a divorarlo.
«Uomini, donne, non fa differenza! Credi che una donna avrebbe pietà di te? Credi che una donna con un coltello tra le mani e una gran voglia di ucciderti meriti di crepare meno di un uomo!?» si irritò Adam.
«Che discorsi.» disse Elsa, sollevando le sopracciglia e mostrandosi alquanto concorde. Per lei, come per qualsiasi cappa nera del campo, una donna valeva tanto quanto un uomo sia quando combatteva che quando meritava di essere punita o eliminata sul campo. Non c’era alcuna distinzione.
«Non…» Samir ebbe solo il tempo di rialzarsi. Selma gli saltò addosso come una furia, piantò le ginocchia a terra, fece sentire il suo peso sull’addome del ragazzo e cominciò ad assestargli alcuni pugni, anche se un po’ scoordinati. La posizione, il modus operandi, la foga: tutto era uguale alla scena cui Lianor assistette la prima volta che vide Samir e la ragazzina in orfanotrofio.
«Reagisci!» Adam si adirava sempre di più, si vergognava di quel giovane e gli scossoni del suo capo lo mettevano in evidenza.
«Perché non esci fuori le palle, carboncino?» Lo provocò Selma, che al posto degli occhi sembrava avere due fuochi, al posto delle braccia dei bastoni di metallo. Continuava a picchiarlo e di rimando il ragazzo cercava di porre le mani davanti al viso per evitare altra vergogna. Ma tutto fu inutile.
Selma gli afferrò un polso, lo allontanò dal viso e si aprì un varco utile per sferrare un pugno assai violento allo zigomo destro del giovane.
«Aah!» Questi ringhiò, era nervoso, si sentiva impotente e nonostante Selma lo avesse sempre preso di mira, lo avesse messo giù un’infinità di volte, lo stesse quasi uccidendo in quel campo lui non riusciva a reagire, non riusciva a colpirla, vedendo stupidamente in lei non un pericolo, non un animale rabbioso ma una semplice ragazza.
«Forse è il caso di…» Elsa si interruppe, guardando Adam e suggerendo retoricamente fosse meglio fermare la giovane. Ma Selvig non cacciò un fiato, continuò a guardare, storcendo il muso solo quando notò le gambe del ragazzo cominciare a scuotersi, cercare di ripiegarsi, scalciare, dare quantomeno dei segni di vita.
«Basta!» S’innervosì Samir, allungando di scatto ambo le braccia in avanti e colpendo la giovane proprio sul naso, impedendole per un momento di continuare a colpirlo. Sorprendendola, in effetti.
«Negro del…» Selma strinse i denti e proprio quando Samir stava per tirare fuori un po’ di grinta Adam fece un cenno ad Elsa.
«Basta così per oggi, avete giocato abbastanza.» disse la donna, tirando via la ragazza nonostante questa scalciasse furiosa per tornare su Samir e prenderlo a calci.
«Ti è bastato?» chiese seriamente Adam alla volta del suo protetto, vedendolo scattare in piedi e afferrandolo per un braccio. Il ragazzo aveva il viso rigato di lacrime e sangue, i denti stretti, digrignati, e ogni muscolo del suo corpo sembrava fremere per tornare da Selma e restituirle tutto ciò che lei gli aveva regalato, tra tormenti e frustrazioni.
Samir ringhiò, cercando di divincolarsi dalla presa di Adam, che fu costretto a cingerlo per l’addome per tenerlo buono accanto a sé.
«Ringrazia che non ti ho rotto il naso e bacia la terra su cui cammino, come fanno quegli altri negri dei tuoi simili!» si agitò lei, beccandosi però un sonoro ceffone da Elsa, che non esitò a gettarla a terra in malo modo e a guardarla con un’aria tanto minacciosa da emulare quasi quella che assumeva spesso Selvig.
«Abbi rispetto.» sibilò lei, non avendo preso di buon grado quell’insulto.
«Per chi? Per il cioccolatino!?» Si alzò di scatto la ragazza, sfidando quasi apertamente la donna che fino a pochi minuti prima la stava allenando.
«Chiudi quella bocca.» La schiaffeggiò ancora lei. Talmente forte da farla cadere nuovamente a terra e morsicare a sangue la lingua. Selma non disse più niente, guardò la donna e cercò di calmarsi, distogliendo lo sguardo per non contraddire nuovamente la cappa nera.
«Questa rabbia.» sussurrò Adam. «Conservala. Ti farà molto comodo la prossima volta che deciderai di farti pestare a sangue da qualcuno solo perchè ha un bel davanzale.»
«Io devo…» ringhiò Samir, cercando ancora di divincolarsi, inutilmente.
«Tu devi…» riprese Adam, guardandolo seriamente. Il viso di Samir ce l’aveva a un palmo di naso e lo sguardo che i due si scambiarono diceva tutto. Il giovane aveva capito. «ascoltare me. E fare quanto ti dirò di fare.» proseguì l’uomo. «E non dovrai più preoccuparti che rozzi cani affamati ti saltino addosso e facciano di te il loro giocattolino.» sbuffò, adocchiando Selma prima, Elsa poi. «Bisogna insegnarle ad avere un po’ di rispetto. O la rispedisco personalmente in quello schifo di orfanotrofio da dove l’abbiamo pescata. A calci in culo!» specificò alla donna, facendo vergognare, forse per la prima volta, la ragazza seduta al suolo accanto a lei.
«Farò quanto mi dice.» chinò la testa Samir, calmandosi e sentendo la presa di Adam venir meno.
«Senza fare storie.» sottolineò l’uomo, guardandolo seriamente e incitandolo col capo a tornare da dove erano venuti.
«Si.» sussurrò il ragazzo, toccandosi le guance ed evidenziando sulle mani, oltre al suo sudore, alle sue lacrime, anche una buona dose di sangue. «Si.» ripetè tra sé e sé Samir, camminando a capo chino e denti stretti, senza far caso alla figura di Erik Himps ferma a pochi metri e in attenta osservazione di quanto stava accadendo a tre passi da lì.
   
 
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