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Autore: Francine    07/05/2016    6 recensioni
Al Santuario vige la legge marziale. Saori Kido ha inviato una lettera al Sacerdote, annunciandogli il suo arrivo. Mentre due Gold Saint - due amici - discutono tra loro su quale sia la migliore strategia da adottare contro i traditori che stanno arrivando, il Grande Tempio di Athena si prepara a vivere quello che sarà il suo giorno più lungo.
Genere: Drammatico, Guerra | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Aquarius Camus, Scorpion Milo
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Quando piovono le stelle'
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12.
 


«Questa giornata non finisce più.»
Milo scivola a terra, con fare plateale, un sospiro amplificato dal silenzio irreale che precede l'alba.
Il pavimento è freddo, sotto alle chiappe, ma non importa. L’Undicesima Casa assomiglia un po’ alla vecchia ghiacciaia di zio Kostas, quella in fondo alle scale, dove gli era tassativamente vietato avvicinarsi e dove andava a nascondersi da piccolo.
«Proprio tale e quale. Solo che lui ci teneva il blocco del ghiaccio. Sai quello da grattare? Ecco. Fa sempre comodo avercelo, in una taverna. Per i turisti. Se non hanno quegli stramaledetti cubetti nel bicchiere, non sono contenti…»
Pausa.
«Sai che una volta ci ho rinchiuso il gatto di Dorcas?»
Ride. Di cuore.
«Dorcas. Quella alta e magra, quella che sembra un manico di scopa e che ti aveva puntato, povero te. Ma non l’ho fatto apposta, eh. Lui è entrato mentre io stavo chiudendo la porta. Se n’è accorta zia Effi, se n’è accorta. Miagolava come un pazzo. E meno male, ché altrimenti chi l’avrebbe sentita, poi, Dorcas?»
Milo si libera del diadema, la coda dello Scorpione tra le dita come i grani di un rosario extralarge. Ne lascia scorrere un paio sotto la pelle inspessita dei polpastrelli. Il metallo è liscio, ma opaco. Ne ha prese di botte, oggi. Dovrà chiedere a Mu di ripararlo. Non appena avrà finito con le corazze di bronzo.
«Hyoga? Eh, sta messo male. Sempre meglio di te, certo. Ma sta messo davvero male. Athena l’ha ripreso per i capelli. Sopravvivrà, ma gli ci vorrà un po’ per ristabilirsi. Tu ce lo vedi, a starsene zitto e buono in un letto? Io no. Dopo un po’, dai di matto. E il tuo allievo, tanto sano di mente, non mi pare di suo…»
Tace, come a voler avere del tempo per frugarsi nelle tasche e trovare le parole che gli servono. Quelle giuste.
«Avevano ragione loro. Fin dall’inizio», soffia fuori. «È stato Saga. Ha accoppato il vecchio Sion, ha tentato di ammazzare Athena, Aiolos l’ha scoperto ed è successo quello che è successo. Ah, ovviamente Mu sapeva tutto. Ma ce l’ha detto stasera, mentre Saga pestava Seiqualcosa come fosse uva per farci il vino. Poteva aspettare un altro po’, non credi? A momenti Aiolia lo scanna. E io gliel’avrei tenuto fermo…»
C’è un pizzicore nel naso. La voce trema. La vista si appanna.
No. Non ancora, pensa. Non ancora, cazzo. Non ancora.
«Ho preso la tua pala. Sai quella che tenevi da parte. Perché non si sa mai, dicevi. Solo che l'ho un po' ammaccata...»
Tira su col naso. Prende fiato. Un colpo di tosse a dissimulare altro. Due, tre. Poi butta fuori l’aria in un lungo, lunghissimo sospiro.
«Sei uno stronzo.»
E basta. La voce di Milo rimbalza sulle colonne, scivolando sul ghiaccio che ancora ricopre la Sala principale dell’Undicesima Casa. Si guarda attorno. Me la ricordavo più grande, pensa. Tirando su col naso. Passandosi il pollice sotto gli occhi. Riacquistando un briciolo di dominio su se stesso. Sì, me la ricordavo più grande.
«Quante volte ti ho detto che non lo so, il francese? Eh? Te lo dico io: sempre. Ogni qualvolta attaccavi a infilare più di tre parole che non fossero oui, non, qu’est que c’est. Ma tu, no. Tu, no. Non ho capito un acca di quello che hai detto. Zero. Perché tu l’epitaffio devi dirlo in francese, e come ti sbagli? E devi lasciarmi qui, come uno stronzo, a lambiccarmi su quello che mi hai chiesto.»
Pausa.
«Bell’amico. Bell’amico davvero!»
La pala cade accanto a Milo, con un rumore metallico. C’è terriccio dappertutto. Ne è rimasto un po' attaccato al metallo, ché per scavare una fossa serve che la terra sia morbida. Umida. E come si attacca bene, la terra, al metallo. A presa rapida, quasi. Aiolia bestemmierà in dodici lingue, quando noterà quella scia che passa per la Sala della Quinta Casa e l’attraversa, da un capo all’altro. Un sentiero di terriccio smosso e impronte fangose. Pazienza.
«Darò la colpa a te. Sappilo. Ché se tu non avessi fatto ‘sta stronzata, io non mi sarei dovuto spaccare la schiena.»
Silenzio.
Le ossa di Milo protestano. Sono quasi ventiquattr'ore che indossa la sua corazza. Non è esattamente un pigiama di seta – e lui nemmeno ci dorme, col pigiama – ma lo Scorpione vuole resistere. Ancora un po’. Almeno fino a che non sorge il sole.
L’eco dei festeggiamenti s’è spenta da qualche ora.
Non hanno mai riso, come stanotte.
Non hanno mai pianto, come stanotte.
Tutti hanno perso qualcosa, ieri. Un amico, un compagno, un fratello. Ma ieri era ieri. L’incubo è finito e quella di oggi sarà la prima, vera giornata in cui Athena calpesterà coi suoi divini piedini il marmo del suo Santuario.
E ci benedirà. E l’Euphonia lenirà le nostre ferite.
Ma, per Milo, questo giorno che sta nascendo segnerà l’inizio del suo personale incubo.
«Quando il sole sorgerà, andrò a chiamare il pope. Non me ne frega un cazzo. Puoi essere anche ateo, ma avrai un funerale dignitoso. Altrimenti saresti capace di tornare…» dalla tomba «…indietro e torturarmi a vita. Nossignore. Avrai il tuo bel funerale. Anche se sei uno stronzo. Ma io sono migliore di te, lo so io e lo sai tu. Questo devi concedermelo. E fine delle discussioni.»
Padre Alexis verrà. Verrà, benedirà il corpo e poi se ne tornerà a Rodrio. Poi, e solo poi, Milo lo calerà nella terra, lavato e pettinato e ben avvolto nel suo mantello. E sarà lui a dare il primo colpo di pala.
«Te lo devo.»
L’odore della terra smossa ha un nome. Si chiama Petricore. Gliel’ha detto Camus. Gli ha anche spiegato l’etimologia. «Da petra, pietra, e ichor, linfa. Il sangue della terra, in pratica», gli ha detto, e il suo naso si è sollevato verso l’altro, come succedeva ogni qual volta che lo coglieva in castagna. Cioè sempre.
È umido, il petricore. Come le lacrime, come la sabbia del bagnasciuga. Ti entra nel naso, ti si attacca alla pelle e non se ne va più via. Un po' come il sangue. 
Mi sta venendo la nausea, pensa Milo, il volto sporco di terriccio, una riga nera e densa sotto le unghie. Le rose di Aphrodite sono arrivate fin lì. Ha bisogno di una doccia. Una doccia calda, qualche ora di sonno ed un paio di occhiali scuri. Perché piangerà, Milo. Ha promesso al cadavere di Camus di comportarsi dignitosamente; ma ha cominciato a piangere già stanotte, mentre le ancelle si prendevano cura dei corpi e lui affondava la vanga nel ventre inumidito del Kerameikos, fermandosi ogni tanto per asciugarsi gli occhi e tirare su col naso. E poi è scivolato nella fossa, a contatto con la nuda terra. La luna splendeva. E Milo si diceva che era colpa sua. Sua, e di nessun altro. Che sapeva fin dove si sarebbe spinto Camus. Eppure, lo ha lasciato fare. Eppure, ha lasciato passare Hyoga. Sì, l’Euphonia ha trattenuto i suoi passi, e lo sta intontendo per benino. Sì, hanno salvato Athena e fermato la follia di Saga.
Eppure…
Eppure…
Eppure…
Sei uno stronzo, Camus.
Non riesce a pensare ad altro.
«L’hai fatto apposta. Lo so. Negalo!!»
La voce rimbomba per il soffitto a cupola dell’Undicesima, si disperde in un eco cupa e lo lascia solo, con una pala male in arnese per compagnia e una scia di terra e ghiaccio che si va sciogliendo.
«Fottuto rigirafrittate di un mangiarane!», grida.
Ci sarà fango dappertutto, domani, pensa, abbassando lo sguardo sui suoi piedi mentre la sua voce è un ruggito stanco che si perde nell’aria. Ma quando arriva, domani?, si chiede, voltando la testa in direzione dell’uscita. Il sole dovrebbe sorgere tra poco. Fuori c’è già una luce rosata. E quando il primo, timido raggio di sole bucherà il cielo, la realtà sarà una terra straniera che non offrirà un posto dove andare a rifugiarsi. Dovrà vedere. Vedere per davvero. Ecco perché se ne resta ancora lì, nascosto tra le ombre dell’Undicesima Casa che si vanno, pian piano, diradando. Per non dover affrontare un orrore troppo grande da concepire.
Un momento c’eri. Quello dopo, pff…
«A Hyoga ci penso io.»
La voce di Milo è ferma. Seria. Lo Scorpione serra le dita intrecciate, le nocche che protestano sotto l’armatura.
«Ci penso io», ripete. Come se Camus potesse sentirlo. Come se il residuo del Cosmo dell’Acquario li tenesse ancora in collegamento. E forse è davvero così, ché altrimenti quella traccia non resterebbe così nitida, come un segnale che rimbalza da una parte all’altra della realtà. E forse l’anima di Camus vuole solo sentire quelle parole, prima di incamminarsi verso la sua meta. Qualunque essa sia e qualunque cosa ci sia dall’altra parte. E forse, Milo ha soltanto bisogno di pronunciarle. Per sentirsi meno solo. Meno fragile. Per colmare, almeno in parte, quel vuoto con cui dovrà convivere, da adesso in avanti, ogni giorno della sua vita.
Ci vediamo nella prossima vita, Camus. Ma adesso resto un altro po’ qui, si dice Milo, la schiena appoggiata contro una colonna, le dita che afferrano la pala e scorrono sul bastone scheggiato. Ancora per cinque minuti. Cinque soltanto, pensa, stringendo la pala, nemmeno fosse una lancia, e nascondendo la testa tra le ginocchia per non vedere il sole affacciarsi, timido, a scacciare i brutti sogni dal Santuario di Athena.


Note:

... e siamo arrivati alla fine di questa giornata sfiancante.
Quest'ultimo capitolo non mi è riuscito proprio come volevo, ma pazienza. L'ho girato e rigirato talmente tante volte che mi è venuta la nausea, sicché, va bene così.
Spero che questa storia vi sia piaciuta.
Spero di avervi fatto ridere, piangere ed affezionare, almeno un pochino, a questi due gaglioffi. Mi sarebbe davvero piaciuto salvare Camus. Dico sul serio. Ma, purtroppo, la sua morte è uno dei nodi imprescindibili di Saint Seiya, un po' come tutte le morti che causano una maturazione psicologica del personaggio. Ché se Camus non l'avesse spinto fino all'estremo, non credo proprio che Hyoga avrebbe raggiunto il Settimo Senso. Ma che resti tra me e voi. Gli Acquario sono parecchio permalosetti, sapete?
Se non vi torna qualcosa, fate un fischio.
Grazie per aver letto questa storia e alla prossima.
Ci conto!!
   
 
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