Anime & Manga > Rocky Joe
Segui la storia  |       
Autore: innominetuo    08/05/2016    10 recensioni
Joe Yabuki ritorna sui suoi passi, dopo un anno di dolore e di rimpianto. La morte di Tooru Rikishi lo ha segnato profondamente. Ma il ring lo sta aspettando ormai da tempo.
E non solo il ring.
…Se le cose fossero andate in un modo un po’ diverso, rispetto alla versione ufficiale?
Storia di pugilato, di amore, di onore: può essere letta e compresa anche se non si conosce il fandom e quindi considerata alla stregua di un'originale.
°°°°§*§°°°°
Questi personaggi non mi appartengono: dichiaro di aver redatto la seguente long fic nel rispetto dei diritti di autore e della proprietà intellettuale, senza scopo di lucro alcuno, in onore ad Asao Takamori ed a Tetsuya Chiba.
Si dichiara che tutte le immagini quivi presenti sono mero frutto di ricerca su Google e che quindi non debba intendersi il compimento di nessuna violazione del copyright.
Si dichiara, altresì, che qualsivoglia riferimento a nomi/cognomi, fatti e luoghi, laddove corrispondenti a realtà, sono puro frutto del Caso.
LCS innominetuo
Genere: Drammatico, Romantico, Sportivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Lime, Missing Moments, What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
 <<    >>
- Questa storia fa parte della serie 'Bianche Ceneri'
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
BANNER-MIO-PER-L-UNICO-DOMANI

Bella, bellissima cosa è il potersene andare a zonzo, senza rendere conto a nessuno: specialmente se sei al volante di una fantastica supercar.

Il rombo del suo motore sa essere una sinfonia che ti esalta, che ti fa sentire potente, unico, un vero re della strada. Ti senti un tutt’uno con l’asfalto, che divori ad una velocità che ti fagocita a sua volta.

Bello pure entrare in curva tagliandola in modo sapiente: non va sprecato neppure un solo secondo. Il tempo diventa, così, un concetto assai relativo.

Si corre, quindi, senza dover arrivare da nessuna parte.

Eppure si corre, per non sentire più niente, neanche l’eco dei propri pensieri.

Non si ha coscienza di nulla e si diventa istinto puro: lo stesso del falco che plana, librandosi, beato, sulle ali del vento. Lo stesso del ghepardo all’apice del suo ultimo scatto, prima di ghermire la preda. Non conta la meta: basta andare… andare oltre.

Ma arriva il momento in cui all’istinto si sovrappone la ragione: quella che ti fa capire che un certo limite non va mai superato e che ti fa prendere decisioni prudenti…

Fin quando i freni possono reggere.

°°°°°°°

“Abbiamo fatto un lavoretto pulito, non deve dubitare.”

“Me lo auguro. Non mi aspetto di meno, quando pago certe somme.”


°°°°°°°

Joe era sconvolto.

Non appena smetteva, anche se solo per pochi secondi, di pensare a Carlos, ecco che nella sua mente si riaffacciava il volto sorridente di Leon. Peccato che l’americano non avrebbe mai più sorriso al mondo… non a questo, almeno.

Le mani gli tremavano leggermente mentre infilava a caso qualche ricambio di vestiti e di biancheria in una capiente sacca sportiva. Il passaporto ed il biglietto aereo attendevano inerti sul tavolo della cucina. Yoko lo avrebbe raggiunto al check-in di Narita. Le ultime ore erano state un vero incubo, per lui: ovunque si girasse pareva proprio che nulla potesse andare per il verso giusto.

Carlos era stato ritrovato, sì. Ora era ricoverato in una clinica di Los Angeles. Yoko avrebbe voluto dargli qualche altra informazione sullo stato di salute di Carlos: ma Joe l’aveva zittita.

“Non mi interessa che mi si faccia la sua diagnosi. Io voglio solo sapere dove si trova e voglio rivederlo. Parto subito, con il primo volo.”

“Partiamo, vorrai dire. Ci vengo pure io. Dammi solo un paio d’ore di tempo per organizzare tutto.


“Yoko…”

“No, Joe. Questo problema va affrontato insieme. E poi ricordati che pure io sono affezionata a Carlos.”

“Non è lo stesso. Senza offesa, ma non sei un pugile e certe cose non puoi comprenderle.”

“Lo so bene, questo. Ma ‘certe cose’, come dici tu, voglio comunque condividerle con te. Non ci andrai, a Los Angeles, senza di me. Rassegnati.”


La sua Yoko sapeva essere assai cocciuta, anche più di lui: suo malgrado sorrise lievemente a quel fugace pensiero.

“Hai preparato tutto?”

Nishi Kanichi posò un involto sul tavolo, proprio al fianco dei documenti. Aveva pensato di fare una scappata in palestra dalla drogheria Hayashi, per portargli un succulento bentō* da gustare in aereo, dato che spesso i pasti offerti dalle compagnie aeree non erano poi questo granché. Joe annuì, senza quasi alzare lo sguardo sull’amico. Non era molto in vena di chiacchiere. Aspettava da un momento all’altro l’arrivo del taxi che lo avrebbe portato in aeroporto. “Quando sarai di ritorno?” gli chiese Nishi, per cercare di farlo sciogliere un po’.

“Non ne ho idea.” replicò l’altro, in tono incolore.

“Joe… cerca di stare su. Per Carlos Rivera, soprattutto. Ma anche per te. Sennò non sarai di aiuto a nessuno.”

Con affetto fraterno, Mammouth gli si avvicinò per dargli una pacca sulla spalla. Joe lo fissò per qualche istante, alzando il capo. A Nishi si strinse il cuore: le ultime ore avevano segnato impietosamente il suo povero amico. Il viso di Joe, già scarno di suo, aveva ora un colorito cereo. Le labbra gli apparvero tirate e senza colore. Ma ciò che più impressionò Nishi furono gli occhi del giovane: erano spenti, privi della fiamma che neppure la morte di Tooru aveva mai saputo affievolire.

Joe appariva stanco. Molto stanco.

Si udì in strada un colpo di clacson.

“Ora devo andare. Grazie Nishi. Ci vediamo.”

°°°°°°°°

La stampa si era scatenata: una notizia così succulenta non capitava tutti i giorni.

Jun Kiyoshi rimase disgustato dal comportamento di certi suoi colleghi reporters: la morte di un giovane di belle speranze non merita un tale sciacallaggio. Non merita titoli strillati sulle prime pagine dei quotidiani sportivi, e questo solo per far guadagnare qualche spicciolo in più alla testata per cui si lavora.

“Il gaijin perde con Yabuki e perde pure in curva.”

“Il campione americano non se ne ritorna in patria sulle sue gambe.”

“Le speranze di vittoria di Smiley si bruciano in un falò… contro un palo.”


Con un gesto di stizza, Jun appallottolò l’ennesimo quotidiano, per poi fargli fare un bel tuffo carpiato nel cestino della carta.

Certe volte provava vergogna per tutta la categoria professionale di cui lui stesso faceva parte: quello non era più giornalismo, proprio per nulla. C’era ben poco da ironizzare sulla morte di un venticinquenne andatosi a schiantare contro un palo, all’uscita da una curva a gomito. Da quel poco che era rimasto del bolide, che si era autocombusto a seguito del violentissimo impatto, difficilmente sarebbe stato possibile ricostruire l’esatta dinamica del sinistro. Forse lo sfortunato giovane aveva avuto un malore, perdendo, così, il controllo della sua auto… oppure i freni avevano smesso improvvisamente di funzionare bene… chi lo sa. Di certo non ci si improvvisa corridori, da un giorno all’altro, se non si è esperti in guida sportiva di mostri meccanici che raggiungono i 100 km all’ora in pochi secondi, con un semplice colpo di acceleratore.

Gran brutta giornata, quella.

Piuttosto che cercare di scriverci qualcosa, riguardo alla morte di Leonard Smiley, Jun avrebbe preferito battere sui tasti della macchina da scrivere per un pezzo sul nuovo flirt dell’attricetta di turno.

°°°°°

Los Angeles. Hotel dello Sheraton Plaza, nella Conference Hall.

Harry Robert si alzò in piedi dal morbido divanetto, non appena vide due figure a lui ben note superare la porta girevole.

“Eccovi arrivati. Avete fatto un buon viaggio?”

Con fare cordiale, strinse la mano a Joe e fece a Yoko un galante baciamano.

“Abbastanza, grazie.” Yoko gli sorrise, mesta. Quante cose erano cambiate, dal loro ultimo incontro…

“Vi ho fatto riservare due belle camere tranquille. Due minuti qui alla hall per le generalità e poi potrete finalmente salire a riposarvi un po’.”

“Preferirei andare subito da Carlos, se non ti dispiace. Per oggi posso anche andarci da solo: basta che tu mi dia l’indirizzo e mi arrangio da me.”

Joe si guardava nervosamente in giro, osservando gli specchi e le dorature di quella magnifica sala: no, decisamente, tutto quel lusso pretenzioso, così… americano, non faceva per lui. I visi rubicondi dall’espressione soddisfatta dei danarosi occidentali che vedeva intorno a sé non facevano per lui. Proprio per niente. E Carlos era ormai vicino, tanto vicino… cosa cavolo ci faceva lì, ancora? Perché non si andava subito in clinica?

Harry sospirò. Gli ultimi mesi lo avevano segnato profondamente. Rughe sottili gli solcavano la fronte e gli angoli degli occhi. Appariva più magro e dimesso del solito, la schiena un po’ curva.

“Non è possibile, Joe. Oggi è lunedi e di lunedi non sono permesse le visite. Ma già domattina potrete andarlo a trovare: verrò io stesso a prendervi, verso le dieci per accompagnarvi alla clinica. Va bene?” propose, conciliante.

Joe annuì, stringendo le labbra.

Dopo qualche minuto, lui e Yoko si ritrovarono da soli, in stanza. La ragazza non ci aveva proprio pensato di lasciarlo da solo e, silenziosa, lo aveva seguito nella camera di lui, ignorando la sontuosa suite che Harry le aveva fatto appositamente riservare. Si distesero sul morbido letto matrimoniale, così… con ancora tutti i vestiti del viaggio addosso, ormai un po’ stazzonati.

Joe taceva, ancora e di nuovo. Neppure in aereo e per tutto il viaggio aveva parlato poi molto, limitandosi a guardare Yoko in viso con dolce malinconia, quando non fissava il cielo fuori dal finestrino. Com’era diverso lo scopo di quel nuovo viaggio via dal Giappone, questa volta.

Niente incontri, niente sfide coraggiose.

Nessun campione del mondo da emulare.

Yoko si stringeva a lui, le mani nelle mani, rimanendo all’erta ed ascoltando il respiro di Joe che, alla fine, divenne più lento e flebile. Si era assopito, finalmente. Durante il viaggio transoceanico Joe non era riuscito a chiudere occhio: ma, alla fine, l’impietoso jet-lag l’aveva avuta vinta pure su di lui. Con un profondo sospiro, Yoko chiuse gli occhi, affidando pure se stessa ad un po’ di riposo.

°°°°°°°

Ci sono situazioni che nella vita non vorresti mai dover affrontare.

Volti che interroghi ansiosamente chiedendo: “Perché? Perché accade questo?”

Non conta se sei in piedi, seduto, appoggiato alla parete.

Ti senti comunque sprofondare in un buco nero e, per quanto tu possa muoverti per cercare di riemergere e di tirartene fuori, cadi sempre più giù… Sei impotente, inutile.

Non vali più di un fantoccio in balia del vento, esattamente come uno stupido spaventapasseri.

La verità è che non servi a niente… assolutamente a niente.

Inutile raccontarsi delle balle pietose.

°°°°°°°

Joe, seduto sulla panchina del parco, teneva tra le mani un orsetto di peluche con un buffo cappellino rosso, che gli era stato affidato. Lo reggeva saldamente, come se si trattasse di un tesoro prezioso.

“Esto es Chico ... y es mi mejor amigo. Yo no se puede mantener un momento, por favor?” (“Questo è Chico...ed è il mio migliore amico. Me lo puoi tenere un momento, per favore?”)

Carlos non aveva smesso un solo momento di sorridere.

Sorrideva a tutto e a tutti, in modo dolce e fiducioso: a Joe, a Yoko, ad Harry… e così pure al medico che gli aveva rivolto poche e pacate domande, e all’infermiera bionda che gli aveva portato la pastiglia da assumere con un bicchiere d’acqua. Carlos non aveva privato del suo sorriso neppure il bel prato verde e le aiuole variopinte. In quel momento la sua attenzione era stata catturata dal volo leggero di una farfalla: proprio per correrle dietro aveva affidato a Joe, in tono complice, il suo piccolo amico.

Joe si sforzava di non ascoltarla la voce del medico che, in tono basso e professionale, spiegava a lui ed a Yoko di cosa fosse affetto Carlos, mentre, un po’ in disparte, Harry si era acceso una sigaretta, senza però mai perdere di vista il suo pupillo, che adesso correva dietro alla farfallina con la semplicità di un bimbo di pochi anni.

Joe non udiva quasi più i paroloni scientifici.

Solo a sprazzi e suo malgrado, gli pervenivano alle orecchie, come un’eco molesta, termini quali: “… forma di Alzheimer… encefalopatia… si regredisce sempre più…”

Yoko annuiva, affranta, ogni tanto rivolgendo qualche timida domanda al dottore, per poi ricevere risposte assai poco rassicuranti.

Joe non volle sentire più nulla. Si alzò dalla panchina e raggiunse Carlos in poche falcate.

“Che ne dici di catturarla insieme, la farfalla? Guarda, ho portato pure Chico. In tre ce la facciamo!”

Carlos scoppiò a ridere, felice: quello sì che era un gioco bellissimo!

Joe si calcò il berretto sulla fronte, fingendo di divertirsi e fingendo di non sentire le lacrime brucianti che gli rigavano, dispettose, il viso.

°°°°°°

“Me la pagherai. Maledetto!”

Labbra diverse, lingue diverse, luoghi diversi.

Ma vennero mormorate le stesse, identiche parole.

Non era servito a nulla, alla fine. Nessuna somma, per quanto ingente, era stata sufficiente ad ottenere un risultato concreto.

Oltre alla vittima sacrificabile - dato che in tutti i giochi di potere che si rispettino ci sono delle persone in più e perfettamente inutili, atte ad essere eliminate senza troppi scrupoli d’ordine morale – avrebbe dovuto essere chiuso per sempre il capitolo di Joe Yabuki. E invece… Joe era vivo, ancora. Su quella dannata macchina, i cui tubi dei freni erano stati bucati di proposito, c’era salito solo lo stupido straniero.

Dannazione.

Nel contempo, con un intero oceano in mezzo, dei pugni furiosi venivano sferrati sul sacco, senza sosta, con un accanimento tale da far credere che il pugile in questione volesse, in realtà, colpire una persona in carne ed ossa, e non un oggetto inerte.

“Gli hai portato jella… fottuto di un muso giallo! Ma non finisce qui!”

_______________________________________

Spigolature dell’Autrice:


*bentō (お弁当): spesso lo si vede nei manga/anime ed incuriosisce da sempre noi Occidentali! Si tratta semplicemente del confezionamento del pasto da consumare fuori casa, a scuola o al lavoro, durante la pausa pranzo. La scatola da bentō è dotata di divisori interni atti a separare cibi differenti e viene avvolta in un pezzo di tessuto oppure anche in borse speciali, insieme alle bacchette. Il bentō viene sempre confezionato in modo da creare un pacchettino esteticamente gradevole ed allettante, studiando le combinazioni di colore dei cibi. Le scatole bentō sono di vari materiali e dimensioni: possono essere di plastica usa e getta, di legno o metallo, semplici, stampate, decorate, oppure addirittura opere artistiche laccate e fatte a mano. Alcuni hanno addirittura uno scompartimento thermos, che contiene riso mantenuto caldo o la zuppa di miso. Il bentō contiene riso e contorni, ovvero diverse specialità di pesce, carne, verdure, onigiri, tempura, verdure cotte o marinate, tōfu e altri cibi varianti a seconda della stagione e, ovviamente, dei gusti personali (fonte: Wikipedia).




 
§§§§§§§

Quello di Carlos Rivera è e resterà sempre un personaggio splendido e tragico, indimenticabile, verso cui provo molto affetto.

Nella mia fanfiction ho voluto però apportare una sostanziale modifica alle modalità di ricomparsa di questo sventurato ragazzo. Nella storia originale, infatti, Joe si ritrova Carlos da solo, malvestito ed in evidente stato confusionale, al Tokyo Taiikukan al termine del suo incontro con Arimau. Solo che una persona affetta da una grave malattia mentale, come nel caso di Rivera, non ce la vedo proprio alle prese con un volo intercontinentale per muoversi in una città straniera. Un pugile suonato, ovvero una persona affetta da una grave forma di encefalopatia, non ricorda (quasi) neppure come si chiama. Per questo motivo nella mia storia ho deciso di far partire Joe e Yoko alla volta della California, per andare a trovare una persona malata ricoverata in una clinica: così mi è parso di rendere la vicenda più verosimile.


Io preferisco ricordarlo così:

  
Leggi le 10 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Rocky Joe / Vai alla pagina dell'autore: innominetuo