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Autore: Slytherin_Eve    10/05/2016    3 recensioni
PRE CIVIL WAR
Steve Rogers prende il comando dei nuovi Avengers. L'Hydra si sta ricomponendo sotto la guida di nuovi, misteriosi individui. Rumlow è tornato, e con lui anche James Barnes. Elle Selvig, figlia del famoso astrofisico, si ritrova implicata in una storia più grande di lei quando accetta un lavoro come consulente presso la nuova base Avengers, spinta anche dalla sua amicizia con Natasha Romanoff. Ma non è detto che i guai ti trovino sempre per primi.
"Non tutto andrà come deve andare, ma certe cose seguono esattamente il filo nefasto del destino."
Genere: Azione, Commedia, Drammatico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: James 'Bucky' Barnes, Natasha Romanoff/Vedova Nera, Nuovo personaggio, Steve Rogers/Captain America, Un po' tutti
Note: Movieverse | Avvertimenti: Violenza
Capitoli:
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Ciao a tutti!
Si, sono VIVA! Sono dispiaciuta per l'attesa eterna. Purtroppo, questa volta oltre all'uscita di Civil War si sono messe in mezzo cause di forza maggiore.
Non voglio farvi attendere oltre, ma ci tengo a mostrarvi innanzi tutto il lavoro di due compagne di letture.
Prima di tutto, la bellissima copertina di Giulietta_Beccaccina, ormai compagna inseparabile di fandom, ispirata allo scorso capitolo.

Attenzione! Immagine a contenuto esplicito.
http://i.imgur.com/Ttu1c3R.jpg

E a seguire l'altra immagine, fatta dalla gentilissima Janeisa!

http://i.imgur.com/weTO5Fp.png

E ora, vi lascio al capitolo. Non è stato riletto molto bene, nè betato, quindi mi scuso per eventuali orrori ortografici - nel caso, non trattenetevi dal segnalarmelo in modo esplicito. Per esempio, lanciandomi contro un mattone. Altro commento: E' un capitolo lungo, ma pieno di avvenimenti. Rating direi giallo, a parte qualche scena forse leggermente cruda ma non è nulla rispetto a cosa ho in serbo per voi. Nel prossimo capitolo vedremo scene decisamente ROSSE e di tutti i tipi e generi. Restate sintonizzati! ;)

Atto ventiduesimo: Memoria

prima parte


"And I don't want the world to see me
'Cause I don't think that they'd understand.
When everything's made to be broken,
I just want you to know who I am."

GOO GOO DOLLS

Aprile 2016


Entrò nella stanza con le mani sprofondate mollemente nelle tasche della felpa scura, senza nessuna espressione sul volto leggermente scavato, la barba sfatta da più di una settimana.

Al suo ingresso, il passo leggermente strascicato e gli occhi arrossati dalla stanchezza, nessuno si voltò nella sua direzione. Non ci fù nemmeno un minimo vuoto d'aria, un movimento intangibile che mostrasse che qualcuno si era accotto del suo arrivo. Natasha si avvolgeva nervosamente un ricciolo scuro sull'indice della mano destra, la schiena dritta contro lo schienale della sedia da ufficio, una gamba appoggiata alla sedia di fronte e lo sguardo perso sulla schermata del portatile, appoggiato al tavolo di vetro.

Samuel, i movimenti rallentati dall'ingombrate fasciatura al petto, alzò appena il capo, una scintilla che illuminava gli occhi scuri. Era seduto su una sedia uguale, davanti allo stesso tavolo, le braccia che dodolavano oltre i braccioli in una posa priva di energia.

"Notizie?" Chiese con voce appena udibile. Lo sguardo saettò subito contro la parete alla sua sinistra, dove Visione stava in piedi, il viso rivolto contro il muro, le mani giunte dietro la schiena in una posa quasi rilassata.

Tony Stark non entrasse le mani dalle tasche. Alzò appena lo sguardo, prima su Falcon e poi verso l'andoide che lui stesso aveva creato, le labbra strette in qualcosa di simile ad una smorfia.

"Non ho ancora rintracciato il segnale." Ammise a bassa voce, i pugni che si chiudevano sotto il tessuto scuro. "Non ho trovato nemmeno una briciola di pane."

Visione emise un sospiro intangibile, senza voltarsi. "Non usano un sistema che si aggancia al loro IP... Semplicemente, il segnale video rimbalza sui server di mezzo mondo, prima di arrivare qui. Potrebbero essere in uno a caso di quei possibili indirizzi."

"Non possono essere andati lontano, nei due giorni prima dell'arrivo del video!" Esclamò una voce profonda, mentre Barton entrava nella stanza a passo di carica, lanciando la giacca sul tavolo. Stark estrasse una mano, grattandosi la testa con un gesto nervoso.

"Ho tracciato una mappa di dove sarebbero potuti arrivare. E l'ho incrociata con la localizzazione dei Server." Commentò con voce leggermente roca. "Arriviamo a qualcosa come diecimila possibili indirizzi. Solo a portata di strada."

"Ed io ho controllato gli edifici abbandonati nel raggio di dieci chilometri... Fabbriche, centri commerciali, ville..." Commentò Barton, annuendo al discorso di Stark. "Non c'era niente."

"Non possono essere spariti." Commentò piatto Samuel, abbassando lo sguardo sulla cartina, aperta sul tavolo davanti a tutti loro. C'erano un paio di punti segnati in rosso.

"Fino a quando non avremo altre informazioni, sono bloccato. Devo aspettare la prossima trasmissione, sperando che si tradiscano in qualche modo." Stark mormorò le fase, come se temesse la reazione delle persone accanto a lui. Natasha, infatti, lasciò cadere le braccia, calciando la sedia di fronte a lei, che si mosse con un cigolio sulle sue ruote.

"Davvero vuoi aspettare la prossima trasmissione, Stark?" Biascicò, gli occhi strizzati in un'espressione sconvolta. Barton, ancora affiancato a Stark, alzò un braccio verso l'altro, temendo la reazione della russa. "Nat, stiamo facendo tutto il possibile. Stark sta facendo il possibile. E' ovvio che non voglia vedere di nuovo..." Si interruppe, mentre Stark abbassava appena il capo. "Mi dispiace di non poter fare di più."

Barton lanciò uno sguardo emblematico a Natasha, che abbassò appena il capo, stringendosi le mani in grembo. "Scusa, Tony..." Sussurrò, le labbra che si muovevano appena.

Anthony annuì rigidamente, quasi più per se stesso che per rispondere all'amica. Alzò di nuovo lo sguardo su Samuel, che aveva assistito allo scambio con espressione tesa. Cercò di fare una smorfia simile ad un sorriso, con risultati scadenti. Stark schioccò le labbra, infilando nuovamente le mani nelle tasche. "E lui, come sta?"

Samuel si strinse nelle spalle, con una smorfia. Si passò una mano sul fianco ferito, lisciando con le dita la maglietta, lo sguardo basso.

Stark annuì appena, intuendo il sentimento dietro al silenzio dell'amico. "Non penso sia il caso di passare a salutarlo..."

Natasha si alzò, puntellando le mani sul tavolo. "Lascialo stare, Stark." Barton annuì. "Non penso che tu sia nella lista delle persone che vuole vedere. Non dopo martedì scorso."

Stark incassò in silenzio, voltandosi appena verso l'uscita, lo sguardo contratto sul viso amimico. Alzò appena il capo, incontrando con le pupille dilatate dalla penombra la figura di Visione, ancora voltato contro la parete. Fece un passo verso la porta, un debole eco di risolutezza. "Per quello che vale, mi dispiace." Esclamò prima di uscire, le parole leggermente strascicate, e dirette verso la sua creazione migliore.



~


Aprile 2016...una settimana prima


"Sei ancora qui."

Steve stiracchiò le gambe sotto al letto dell'infermeria, rialzando il capo con un mugugno. Non avrebbe saputo dire quante ore aveva passato sotto le luci al neon di quella stanza, cullato dal rumore dei macchinari, mentre Samuel restava in un profondo sonno causato dall'anestesia. "Nat."

La rossa si avvicinò al letto in un paio di passi veloci, gli stivali marroni che tacchettavano sul pavimento lucido. "Sono venuta appena ho potuto."

Steve annuì fra sé e sé, sistemandosi meglio le maniche arrotolate della maglia. "Avevi il week-end libero."

Natasha sospirò, avvicinandosi all'amico sdraiato e prendendo fra le sue una delle mani, appoggiate sul materasso, lungo i fianchi. "L'operazione?"

Steve si rilassò contro la scomodissima sedia della stanza, studiando con lo sguardo l'amica. "Hanno tolto due pallottole, una da una costola e una dal fegato. Nulla di irreparabile, la dottoressa Chang l'ha messo nella culla della vita dopo venti minuti di sala operatoria." La rossa annuì appena, senza distogliere lo sguardo dall'uomo. "Per fortuna..." Sussurrò, quasi fra sè e sé. Si sedette sul ciglio del materasso, tenendo ancora una mano su quella dell'altro. "Ho incontrato Rhodey, fuori..." Cominciò con calma la rossa, lanciandogli un'occhiata oltre le spalle coperte da un maglioncino beige.

"...Mi ha detto che vi è quasi caduta la montagna addosso. Hydra?"

Steve sogghignò, appoggiando i gomiti al materasso, senza alzare lo sguardo. "Elle."

Natasha ebbe un singulto, portandosi una mano davanti alle labbra. Steve alzò appena lo sguardo. "Non saprei ancora decidere quale dei due sia più distruttivo." Commentò, alzando le sopracciglia. Natasha gli lanciò un'altra occhiata divertita.

"Non sarebbe stata un buon capo... Se non ci avesse fatto cadere addosso una montagna... Mi sembra ovvio..."

I due si alzarono di scatto, avvicinandosi al viso dell'amico, che sussurrava a bassa voce. Lanciò uno sguardo ad entrambi, il collo ancora rigido e delle grosse occhiaie attorno alle orbite. "Chi ve lo fa fare di restare qui anche oggi?"

Nat, ancora seduta sul materasso, leggermente piegata su di lui con il busto, fece un'espressione perplessa. "E' un giorno di lavoro."

Samuel stirò appena le labbra in un sorriso. "Non è un giorno di lavoro, Natasha." Alzò lo sguardo in quello verde della donna, che rimaneva saldamente ancorata alla sua mano, gli occhi fissi nel vuoto. L'uomo sorrise fra sé e sé.

"Ho un sesto senso per i giorni festivi."

Steve ridacchiò, allontanandosi verso la porta. Nat rimase con il sopracciglio sollevato, le labbra che si piegavano lentamente in un sorriso. Sam le fece un occhiolino. "Scherzo, c'è scritto sull'orologio sopra alla porta che è il ventisette. E io mi ricordo tutte le domeniche."

"Ho avvisato io tua moglie, che non potevi andare a prendere tua figlia, oggi." Commentò Steve, sfregandosi le mani fra loro. Natasha gli lanciò un'occhiata ancora più confusa. "Ex moglie." Si corresse l'uomo a bassa voce, il busto già praticamente fuori dalla stanza. "Vado... Ad avvisare i medici." Lanciò uno sguardo ai due, che ancora si guardavano in silenzio, Nat con una ruga di preoccupazione in mezzo alle sopracciglia e Sam che ancora si sentiva confuso e dolorante. "Vado ad avvisarli che sei sveglio."


~


Aveva chiesto ad un poliziotto di aiutarla con il disegno.

L'identikit era pronto. Lo aveva inserito nel programma, ed effettuato una ricerca sul database dell'FBI, senza essere troppo convinta. Poi, aveva risposto a Maria Hill, che voleva chiederle come stava dopo Denali. Elle aveva accennato con l'amica alla sua ricerca, e l'altra le aveva chiesto incuriosita di mandarle il disegno.

La seconda chiamata di Maria non si era fatta attendere, ma la risposta che ricevette non era confortante. Non poteva dire di non esserselo aspettato. Ma saperlo per certo, esserne consapevoli, era sempre peggio.

Cercava di distrarsi dalle parole del generale Hydra. Parole che aveva accuratamente appuntato appena aveva avuto un secondo di pace, dopo essere tornata a casa quel sabato.

Ma l'idea di non presentarsi a quell'appuntamento, quel lunedì pomeriggio, non l'aveva sfiorata per nessun motivo. Se avesse voluto ucciderla, se avesse voluto ucciderli tutti, quell'uomo - o qualsiasi cosa fosse - avrebbe potuto farlo in svariate occasioni.

Elle si accomodò meglio sullo sgabello, sistemandosi il colletto della camicia con un gesto nervoso.

Il locale era pieno di persone, tutte radunate a chiaccherare davanti ad un drink dopo una giornata di lavoro. Un gruppo di uomini, probabilmente usciti da Wall Street - vista la divisa ingessata e le cravatte leggermente allentate - occupava il tavolo alle sue spalle. Poteva sentirli parlare di indici e rialzo anche da quella distanza, mentre i suoi occhi vagavano pensierosi fuori dal vetro dell'ingresso, verso le persone che passeggiavano sul marciapiede. Fuori stava smettendo di piovere, e i primi ombrelli comiciavano a chiudersi. Dietro ad uno di questi, un uomo si sistemò meglio la sciarpa ed avanzò a passo sicuro dentro a quel marasma confuso, dirigendosi verso lo sgabello sulla quale Elle aveva appoggiato il cappotto.

"Selvig." Commentò soltanto l'uomo, levandosi il soprabito con un gesto elegante. Elle si voltò verso la barista, che le appoggiò davanti il suo drink senza degnarla di uno sguardo, troppo presa a rimirare l'uomo che si stava accomodando con nonchalance accanto a lei. Questi fece un sorriso malizioso, indicando con due dita il bicchiere colmo di ghiaccio ed un liquido ambrato. "Quello che ha preso lei."

La ragazza annuì, sparendo dietro al bancone. Elle fece una smorfia divertita. "Nari."

L'uomo rise, aprendo le braccia. Era veramente alto, anche appoggiato sullo sgabello con fare annoiato. "Direi che possiamo smettere questi formalismi, Selvig."

"Loki." Ripetè lei, fingendo di salutarlo per la prima volta. Il ghigno dell'uomo si distese ancora sul volto sottile, mentre una scintilla di follia si rianimava sul fondo degli occhi chiari, come se si fosse riaccesa, sentendosi chiamare per nome.

"Adesso, prima che decida di chiamare anche solo uno dei nomi che vantano il privilegio di avere la tua morte violenta nella loro Bucket list, posso avere l'onore di sapere solo perchè."

L'uomo allentò appena la cravatta scura sul completo, allontanandosi dal bancone con il busto. Gli occhi saettarono attraverso la stanza, come per osservare dall'esterno una biosfera di scimmie in pieno caos. "Volevo verificare l'investimento di Vali."

Elle prese un ampio sorso dal suo bicchiere, sentendo l'alcool bruciarle la gola. "Vali..."

"Abbiamo interessi in comune." Commentò solo l'asgardiano, mentre prendeva fra le lunghe dita il suo bicchiere. "Potevi aspettarmi, comunque." Lo alzò un poco, il ghigno ancora sul volto. "Salute."

"Che tipo di interessi?" Commentò semplicemente Elle. L'uomo perse un attimo la sua scintilla di malizia, abbassando lo sguardo sul suo bicchiere.

"Hai degli incubi. Ma non ricordi nulla a parte-"

"-un dolore straziante. Si. Ma non penso che tu ti sia scomodato per farmi una terapia del sonno. A meno che..." L'altro si portò il bicchiere alle labbra, senza commentare nè alzare lo sguardo, mentre Elle aggrottava le sopracciglia, una mano appoggiata al mento. "A meno che anche tu non abbia questi incubi."

L'uomo si strinse nelle spalle. "Forse."

"Solo che tu ricordi." Proseguì imperterrita lei. Lui bevve un'altra sorsata.

"Forse io ricordo perchè ho già visto."

Elle si rilassò contro lo schienale dello sgabello, giocherellando con la condensa ghiacciata sul bicchiere. "Posso sapere qualcosa in più, o è una partita fra voi due e io sono finita in mezzo per sbaglio?"

"Fra noi due?!" L'uomo quasi non si strozzò, alzando uno sguardo incredulo su di lei. "Questa cosa investirà l'intera galassia."

Elle chiuse appena gli occhi, grattandosi una tempia. La follia si era impossessata di nuovo degli occhi di Loki, mentre questi tornava ad appoggiarsi, quasi afflosciato, su un fianco. "In realtà, si potrebbe quasi dire che io ci sia finito in mezzo."

"Oh, povero Loki..." Commentò Elle, senza sentimento. "Hai solo ammazzato centinaia di persone, ma che valore hanno le vite umane agli occhi di un immortale?"

"Non sono qui per farmi compatire." Commentò asciutto l'altro, tornando sulle sue.

"Tra quelle persone che hai ammazzato c'erano i genitori di mia figlia." Sbottò Elle, senza riuscire a richiamare la sua attenzione. L'altro non si scompose, fissandola senza nessuna incertezza negli occhi. "Se loro non fossero morti, lei non sarebbe tua figlia."

Commentò, logico, alzando appena le spalle, le labbra quasi piegate in un ghigno. Elle rimase atona, gli occhi sgranati, non riuscendo a credere alla sua totale mancanza di sentimenti. Quell'uomo era completamente folle, un sociopatico pronto ad esplodere in qualsiasi momento.

L'oggetto delle sue riflessioni lasciava vagare lo sguardo per il locale, ragionando, come se stesse valutando la mossa successiva. "Sono qui solo perchè avevo bisogno del posto più sicuro dell'universo, e si dà il caso che sia nelle tue vicinanze."

Elle quasi non si strozzò con il drink, alzando uno sguardo tra l'impietosito e l'allucinato. "Al mio fianco?"

"C'è un motivo per il quale Vali ha posato gli occhi sugli studi di tua madre, trent'anni fa."

"Ventisei." Commentò Elle piccata. L'uomo alzò gli occhi al cielo. "Ventisei."

"Beh, Dio mio, hai sbagliato i tuoi calcoli. In questo momento, c'è mezza divisione scientifica nazista alle mie spalle e mezza davanti che vuole uccidermi o comunque menomarmi pesantemente." Scosse il capo, la treccia bionda che ondeggiava pigramente oltre la spalla. L'uomo la osservò un secondo, come perplesso, le labbra strette in una smorfia scontenta. "Non mi preoccupo di questi vostri problemi terrestri."

"Dovresti." Elle si portò il bicchiere alle labbra, finendo anche gli ultimi rimasugli di drink. "Uno dei miei si è preso due pallottole non meno di due giorni fa."

"Pallottole..." Ripetè lui, con tono annoiato. "Io non devo preoccuparmi delle vostre misere armi mortali. E, come ti sarai accorta, nemmeno tu..."

Elle allungò una mano, prendendogli il bicchiere da davanti al naso. "Essersene accorti un minuto prima..." Tracannò con un paio di sorsate anche il contenuto del suo bicchiere.

"Per essere l'arma tanto decantata da Vali, mi sembri ancora un po' troppo umana." Commentò l'altro, osservandola con aria interessata. Elle non si scompose, la schiena rigida e una smorfia sul viso.

"Per essere il dio degli inganni, sei un pessimo bugiardo."

L'uomo sorrise appena, richiamando con un gesto scortese la cameriera, che portò via i bicchieri vuoti con un sorriso. Elle era rimasta ferma, le braccia appoggiate al marmo freddo del banco, e lo sguardo perso a studiarne le nervature. Loki avvicinò appena il capo, come per voler provare a vedere cosa trovava di tanto interessante la giovane in quella vista. "Anche la maschera più perfetta dopo millenni inizia a pesare."

"Dopo millenni, dovresti essere in grado di crearti nuove maschere." Commentò immediatamente Elle.

"Iniziamo a capirci." Concluse lui, afferrando i due drink che la cameriera aveva portato. Ne mise uno fra le mani della sua accompagnatrice. "Alla nostra neonata... Comprensione."

Elle afferrò il bicchiere e lo guardò un secondo, cercando di autoconvincersi, per un secondo, della sanità mentale dell'individuo che aveva di fronte. Loki era una maschera di atteggiamenti fastidiosi e sarcasmo, con un fuoco di follia in fondo al tunnel della sua mente contorta. Non avrebbe mai potuto fidarsi di quell'uomo decisamente instabile che le stava di fronte.

"Pensavo che dopo quanto successo qui tre anni fa... Beh, che tu non avessi particolare desiderio di tornare." Esclamò Elle, cercando di fare conversazione. Se quel pazzo le doveva girare intorno ancora a lungo, era meglio cercare di farselo amico.

"La nostalgia non è nella mia natura." Commentò appena lui, senza alzare lo sguardo dal contenuto del suo bicchiere. 'Bugiardo.' Pensò Elle, trattenendosi dal dirlo ad alta voce. Il suo tentacolo mentale cercava di raggiungere la coscenza di quell'uomo, ma trovava solo un baratro scuro. Un pozzo senza fondo.

"E comunque..." La bassa voce dell'altro interruppe i suoi tentativi. "...Questo è solo al terzo posto nell'indice dei posti che odio."

Elle alzò entrambe le sopracciglia, in un'espressione esasperata. "Che onore. Chissà cosa ha meritato il primo posto."

L'uomo ghignò appena, riprendendo il bicchiere dal banco davanti a sé, la testa leggermente voltata nella sua direzione. "In realtà, sai già cosa ha meritato il primo posto. E' un luogo che frequenti tutte le notti, Elle Selvig."


~


Lasciò cadere il bilancere a terra, accompagnandolo fin quasi al suolo, prima che il rumore metallico riempisse momentaneamente la stanza.

Si passò una mano sul viso, respirando con un sospiro dovuto alla stanchezza. Con un gesto goffo, era riuscito a legarsi i capelli troppo lunghi dietro la nuca. Poi aveva iniziato ad allenarsi, i vestiti presi in prestito da Ethan, così come gli attrezzi e l'intera camera. Il ragazzo non era sembrato particolarmente dispiaciuto da quel prestito, anzi, era stato fin troppo disponibile. Non era abituato a tutta quella gentilezza.


Riacquistare pian piano i ricordi non era piacevole. Valentina gli aveva spiegato che la memoria era ricostruttiva, che andava a formarsi pian piano, in maniera interconnessa con le sue sensazioni ed il contesto che lo circondava. Ed ecco come era rimasto chiuso nell'appartamento nei giorni seguenti alla seduta, senza possibilità di uscire nemmeno per una passeggiata. Il mondo era troppo diverso, troppo nuovo, e lui sarebbe stato bombardato dai ricordi degli ultimi decenni. E non erano bei ricordi.

Dormiva ancora male la notte, e questa in particolare non stava andando meglio delle altre. Si era svegliato in preda al terrore, la sensazione del ghiaccio che gli riempiva i polmoni mentre veniva spinto dentro un grosso contenitore. Criogenesi.

Aveva lavato via dal viso con l'acqua gelida quella sensazione di soffocamento, cercando di non svegliare Val con tutta la confusione che un grosso uomo con un braccio meccanico poteva creare incespicando per il minuscolo appartamento di notte. Aveva staccato dal muro la sbarra di ferro alla quale erano appesi gli asciugamani, impregnati di un odore dolciastro. Aveva cercato di appoggiarla a terra, facendo meno rumore possibile. La verità era che svegliare Val poteva essere più pericoloso di una missione in mezzo agli appalachi, circondati da soldati nemici ed armati solo di un cucchiaio da minestra sbeccato.


Aveva atteso le sei del mattino, orario del tutto ragionevole per cominciare una routine di allenamento, dato che era costretto in quelle quattro stanze. Dopo aver insistito in modo piuttosto debole per uscire, era giunto alla conclusione che non voleva. Nonostante le frecciatine di Val sul fatto che era costretta a mantenerlo, e la voglia di sentire di nuovo l'aria fresca addosso, il calore del sole sulla faccia o rivedere con occhi consapevoli il colore del cielo. Tutte quelle piccole cose che avevano significato brevi sprazzi di lucidità, fra un orrore e l'altro, fra un congelamento e l'altro.

Tra quelle semplici mura, tra i mobili di recupero e le pareti dai colori improbabili, iniziava a sentirsi abbastanza a casa.


Si passò una mano sul viso madido, osservando seccato la canottiera nera del ragazzo che gli risultava decisamente troppo attillata. E fastidiosa.

Se la sfilò con un'altra imprecazione, a malapena trattenuta fra i denti quando tirò con troppa forza la spallina con il braccio argentato. Un rumore di strappo confermò la sua sensazione. "Maledizione..."

"Ma ti pare l'ora di entrare qui dentro e metterti a fare ginnastica?!" Val, i pantaloni del pigiama a fantasia di facce di Kermit la rana e una grossa maglietta dell'università di Culver, entrò a passo di marcia, gli occhi strizzati dal disapputo e le labbra strette in un'espressione assassina.

James abbassò il capo, stringendo leggermente le spalle. "Sono le sei. E' un orario più che ragionevole per-"

"Forse in un campo militare, brutto imbe-" La ragazza si morse il labbro, trattenendo una serie di improperi irripetibili. "...Io mi devo svegliare tra tre ore, pezzo di-" Si portò un pugno alla bocca, le nocche bianche da quanto le stringeva.


Era buffa, Velentina. Il fisico minuto, leggermente abbondante, il caschetto nero che, se non fosse stato per i fianchi decisamente femminili, l'avrebbe fatta confondere per un ragazzo fra la folla. James cercò di distrarsi dallo sguardo inquietante delle rane che lo fissavano dai pantaloni del pigiama. "Scusa, Val."

"Perchè sei sveglio?"

"C'è un pensiero... Un ricordo... Qualcosa che è successo e che continua a tornarmi quasi alla mente. Ma poi, appena cerco di definire cosa può essere, mi sfugge."

La donna gli lanciò un'altra occhiata, un po' meno infervorata, soffermandosi un attimo sul suo petto. "Cosa ci fai mezzo nudo?"

James si diede un'occhiata veloce, maledicendosi mentalmente. Era sudato come un bracciante, alle sei del mattino, con un bilancere da chissà quanti chili appoggiato ai lati dei piedi scalzi. Alzò appena lo sguardo, sorridendo appena. Imbrazzato.


Era difficile etichettare tutti i sentimenti che iniziava a provare da quando era libero. Poeticamente, la parte Bucky della sua mente sosteneva che fosse impossibile etichettare con dei nomi tutte le emozioni che sembrava capace di provare di nuovo. Cercava di godersele tutte, anche le più negative, conoscendo bene il manto freddo e scomodo dell'indifferenza. Un lato che non faceva parte nemmeno del Soldato d'Inverno.

Una sola cosa era certa, in James: non era mai stato una persona senza emozioni, nemmeno quando lo avevano costretto. Aveva provato affetto, anche quando non c'era nessuno per cui provarne. Aveva trovato sprazzi di felicità nelle cose più impensate, come un bicchiere di qualcosa di caldo dopo il freddo della steppa russa, oppure lo sguardo triste di qualche medico del quale ricordava appena il colore chiaro, cristallino.

"James!" Val lo riscosse dai suoi pensieri, tirandogli un leggero colpo al viso con la mano, le sopracciglia corrugate in una smorfia perplessa.

"Val..." James, guidato da un sentimento primordiale di gratitudine, si abbassò appena, sfiorando le labbra carnose della donna con le proprie, con delicatezza, senza nessun fervore. Si allontanò appena, dopo un paio di secondi. Lei lo fissava con sguardo basito e le labbra dischiuse, una mano appoggiata sul suo petto. James sorrise appena, facendole un buffetto sulla guancia con la mano che considerava sana. "Grazie, Val."


La donna rimase ancora un secondo immobile, ghiacciata sul posto da quel gesto del tutto inaspettato. Prese un respiro, cercando di posare lo sguardo su qualcosa che non fosse il petto dell'altro, i suoi occhi o le sue labbra. Qualcosa di innocuo.

"Di niente, James..." Commentò appena, con voce ancora scossa. "Anche se ho il sospetto che questo sia più Bucky, dai tuoi racconti."

Fece un passo indietro, scostandosi i capelli scuri dalla fronte con un gesto nervoso. Fece una mezza smorfia. "Torniamo a dormire, ora, per favore. Che io domani devo andare al lavoro, oppure..."

"Oppure non avremo più da mangiare." Proseguì divertito James. "Spero di poterti restituire tutto, un giorno."

"Non importa." Commentò spiccia Val, ancora in subbuglio, le guance che si arrossavano ogni volta che voltava il capo verso l'altro. "Solo, James..."

L'uomo alzò lo sguardo su di lei, che si era voltata sul ciglio della porta. "Cerca di ricordarti di non ringraziare chiunque ti faccia un favore così, okay?" Esclamò, indicandosi le labbra. James la fissò un attimo, ammutolito, mentre Val gli dava le spalle, proseguendo per la sua camera, gongolando fra sè per essere riuscita ad avere l'ultima parola, anche questa volta.

"Non vorrei doverti pagare anche la cauzione per molestie..."


~


"Le persone spesso ricordano cose che non sono mai successe, trasformano cose che non hanno mai davvero vissuto in fatti, convertono intimi pensieri impliciti in commenti espliciti..."

Elle scosse il capo, alzando lo sguardo dal libro che teneva davanti a sè, le ginocchia alzate a sostenerlo e un braccio appoggiato allo schienale del divano. La vecchia tuta che aveva infilato le stava grande, ma non tanto quanto sei mesi prima. Nonostante il gran casino che regnava nella sua vita, e del quale cercava di comprendere almeno un particolare, rimirando uno ad uno i vari pezzi del puzzle, Elle si sentiva finalmente a casa. In un posto dove poteva nascondersi dal resto del mondo.

"Walter Lippman sosteneva che noi non vediamo, per poi definire cosa abbiamo visto. Bensì, definiamo prima di comprendere cosa abbiamo davanti agli occhi. Questo influenza il nostro modo di ricordare."

Strizzò gli occhi, cercando di concentrarsi meglio sulle piccole scritte sulla pagina. Erano le otto della sera, e la sua giornata stava volgendo al termine. Dopo quel folle appuntamento che aveva sconvolto il suo pomeriggio, Elle voleva solo rintanarsi nel suo divano, un bel libro a farle compagnia, che la distraesse da vecchi e nuovi pensieri.

Sugli scalini dell'ingresso aveva trovato Steve e River che mangiavano un gelato, mentre lui le raccontava aneddoti di quando era piccolo. Era incredibile quante cose Steve ricordasse con precisione di quel periodo: Elle aveva solo ricordi piuttosto fumosi di gran parte della sua infanzia, e della sua adolescenza. Ricordava quando se ne era andato suo padre, e quando era morta sua madre. Gli eventi fondamentali. Ma, dopo due minuti ad origliare Steve che raccontava il suo settimo compleanno, soffermandosi sul vestito che portava sua madre o sul tipo di colori a pastello che la donna gli aveva faticosamente regalato, Elle si era sorpresa a cercare di ricordare qualcosa del genere, qualche particolare che aveva messo in un piccolo angolo della sua mente, un'immagine che in qualsiasi altro momento le era sembrata privo di importanza.

"Come va la lettura?" Chiese Steve, richiamandola dai suoi pensieri. Elle alzò lo sguardo, di scatto, incontrando la sua figura appoggiata allo stipite del salotto. Sorrise appena, stirando le braccia verso l'alto, cercando di scioglere le scapole doloranti per colpa della posizione che aveva mantenuto per lungo tempo. "Non riesco a concentrarmi." Ammise, appoggiando la nuca sul divano. "Troppo computer, oggi al lavoro. Mi fanno male gli occhi."

'Anche il colloquio con l'alieno isterico, o la paura di veder spuntare quel tizio in divisa inquietante di Denali, non aiutano.' Pensò appena, cercando di scacciare subito quell'idea. Era a casa.

"Tony mi ha consegnato una cosa." Riprese Steve, avvicinandosi con calma.

"Missione? Dove?" Chiese appena Elle, mentre l'altro si sedeva sul divano, oltre le sue ginocchia ripiegate. La svedese non si fece attendere, allungando le gambe in braccio all'altro, che sorrise appena, appoggiandosi con la schiena al divano. "Intanto, stiamo cercando di rintracciare..."

"...Quelli che sono sopravvissuti." Commentò asciutta Elle. "Sopravvissuti a Denali."

Steve annuì appena, lo sguardo fisso sul libro che lei teneva aperto, in grambo.

Elle sospirò. "Vorrei venire con voi quando andrete a prenderli." L'altro alzò lo sguardo calmo, convinto che avrebbe ricevuto questa richiesta. "No. Sarai fuori da questa missione."

"Lui conosceva mia madre." Commentò lei, a bassa voce. "Conosceva anche me. Non so come..." Scosse appena il capo. "L'ho capito da come mi guardava."

Steve non rispose, guardandola negli occhi, cercando di non tradire nessuna espressione. Elle però lo conosceva abbastanza da capire che ricordava.

"Per questo preferisco tenerti fuori, questa volta. Preferiamo."

Elle emise un sospiro. "Rhodes ha registrato tutto." Steve annuì.

"Se è te e Wanda che vuole, di certo non vi manderemo da lui con un simpatico biglietto di scuse. Ci dispiace per aver distrutto la vostra base." Continuò l'uomo, a voce bassa. Si guardarono intorno, in silenzio.

"Lo sai che quello che hai detto era da Stark, vero?" Commentò appena la svedese. Steve fece un mezzo sorriso, senza rispondere.

"A questo proposito..." Estrasse dalla tasca una busta, passandogliela con un gesto veloce. Elle la aprì senza proferire parola, prima di emettere un sibilo infastidito.

"In pratica mi stai dicendo che, mentre io cerco in tutti i modi di nascondermi nel mio buco di casa, Stark pensa bene di buttarmi dentro il suo maledettissimo circo?"

Elle abbassò il foglio di carta pregiata, l'inchiostro elegante nero che si stagliava sullo sfondo avorio. Steve sospirò appena, mentre Elle ritirava le gambe e si metteva seduta, le mani intrecciate fra loro, la busta fra le dita.

"Pensa che sia una buona idea. Mostrarci come... persone normali. Vuole fare un'ultimo tentativo prima che i fogli di Ross inizino a girare per i governi di mezzo mondo..."

La svedese scosse appena il capo, cercando di prendere aria, rovesciando poi la testa contro il divano. "E' più importante che venga Natasha."

"Lei verrà sicuramente." Steve annuì appena. "Natasha è il nostro asso nella manica, in queste situazioni."

"La Potts?" L'uomo alzò un sopracciglio. "Non pervenuta."

Elle si strofinò gli occhi arrossati dalla stanchezza con i pugni chiusi, piegando appena le spalle contro quelle dell'altro. "Non ho voglia distringere altre mille mani..."

"Ellie..." Steve le passò un braccio sulle spalle sottili, sentendo il suo capo che si appoggiava sotto il suo mento. "...Dobbiamo fare almeno un tentativo."

"Non servirà a nulla." Commentò Elle, sospirando. "Non voglio che tutti sappiano di me... Non voglio che le persone si nascondano al mio passaggio, come Wanda, o Visione..."

"Per non temere qualcosa bisogna conoscerlo." Steve sorrise appena contro i suoi capelli. "E comunque facevi paura anche prima di iniziare a sparare fiammelle azzurre."

Scoppiarono a ridere, mentre Elle fingeva di tirargli dei pugni al costato.

"Io ho veramente bisogno di averti con me..." Commentò piano lui, quando si furono entrambi calmati. "Le cose non stanno andando molto bene alla base... Io e Stark non parliamo molto..."

"So che me ne pentirò." Esclamò solo Elle, guardandosi attorno.

"Non dovrebbero darmi problemi al lavoro se ci sono di mezzo gli Avengers..." Calcolò piano la svedese, allontanandosi appena dall'altro, un braccio che si allungava verso la borsa, abbandonata sul tavolino del soggiorno.

"Elle, se tu non volessi venire come rappresentante dei mutanti..." Steve rimase un attimo a fissarsi le mani, mentre Elle estraeva l'agenda e iniziava a scorrere le pagine sui giorni successivi, annotando gli impegni da cancellare. "...Potresti venire con me."

La svedese alzò un sopracciglio, confusa. "Pensavo andassimo già insieme."

"Intendo..." L'altro si passò una mano sul viso arrossato. "...Non posso dire di essere io il tuo accompagnatore, perchè tutti sanno chi sono... Ma se tu venissi senza specificare cosa sei, come mia accompagnatrice?"

Elle assottigliò lo sguardo. "Odio i compromessi."

"Lo so. Ma River e Loretta sarebbero al sicuro."

Elle richiuse con un gesto veloce l'agenda, appoggiandola accanto a sé sul divano. "Dovrei essere la tua assistente? Per caso, l'unica agente dell'FBI a non avere la cittadinanza americana? Quella che si occupa del caso Rumlow?"

"Anche Wanda non ha la cittadinanza ma..." Steve scosse il capo, imbarazzato. "Potresti venire come la mia ragazza."

Elle alzò appena lo sguardo, lo sopracciglia sollevate in modo comico. "Quindi sarei la tua ragazza? Hai cent'anni, fra poco. Giusto per ricordartelo."

Steve scoppiò a ridere ancora, senza riuscire a trattenersi. "Elle, puoi essere quello che vuoi, basta che stiamo assieme."

Elle ridacchiò, coprendosi appena le labbra con la mano. "Finalmente vedo l'arte del compromesso, Steve. Sei pronto per il gala di Stark." Si morse un labbro, cercando di trattenenere le risate. "Odio questi trucchetti, ma va bene." Steve sorrise appena, prendendole con leggerezza la mano.

"Allora, verrai al ballo con me?"

Elle alzò gli occhi al cielo per l'ennesima volta. "Pensavo che questa sciagura finisse al liceo."

"Io non ho mai avuto un'accompagnatrice." Commentò casualmente lui, lasciandosi andare sul divano. Elle si appoggiò al suo petto, sorridendo appena. "Non sapevano cosa si perdevano."

Steve arrossì appena, aggrottando la fronte. "Comunque, volevo chiederti se Wanda se domani può passare la giornata qui. Non voglio che resti da sola alla base." Elle annuì, sorridendo. "E' un piacere. Lasciale pure le tue chiavi, ci sarà Loretta a casa."

"Le mie chiavi?" Chiese Steve, aggrottando le sopracciglia. "Loretta oggi mi ha imprestato le sue e-"

Elle si sporse dal divano, raggiungendo con le dita la borsa, vicino al tavolino. Se la tirò vicina, iniziando a rovistare con un ghigno, spostando il cellulare spento, l'identikit ripiegato di Loki, l'agenda piena di post-it riguardanti Jimmy e il tizio impomatato che ora dirigeva l'Hydra. Estrasse con il sorriso una piccola scatola azzurra, porgendogliela senza dire nulla. Steve la tenne fra le mani qualche secondo, rigirandola appena, come per soppesarne il contenuto. Elle aspettò con calma, a braccia conserte, che Steve aprisse il pacchetto, estraendo un mazzo di chiavi, alla quale era appeso un ridicolo pupazzo a forma di alce svedese. Steve rimase in silenzio un secondo, tenendole in una mano.

"Sono per te. Finchè non avrai tempo di iniziare la tua ricerca, ovviamente, e non vorrai stare alla base. Non puoi sempre rubare le chiavi agli altri."

Steve si piegò sul busto, accarezzandole il viso con una mano. "Sei sicura?"

Elle annuì, convinta. "Altrimenti, non sarei andata a cercare il portachiavi giusto."

L'uomo si sporse a baciarla con un gesto impaziente, le labbra ancora piegate in un sorriso. Elle gli passò le braccia dietro al collo, rispondendo con eguale foga.

Elle gli prese le chiavi dalle mani, appoggiandole a terra insieme al suo libro, mentre le mani di lui scendevano ad accarezzarle i fianchi sotto alla grossa felpa. Si voltò con un mugugno, stringendosi contro il suo petto, mentre lui la sistemava meglio tra le sue braccia.

"E' bello... Essere a casa." Commentò appena lei, il viso alzato per incontrare i suoi occhi. Steve sorrise, abbassandosi a sfregare il naso contro il suo collo. "Lo è."

Elle gli lanciò un'occhiata divertita, distogliendo il viso da quello dell'altro. Steve si raddrizzò appena, recuperando il libro che rimasto a terra. Lo aprì con una mano, mentre l'altra la teneva per la vita. "Dove eri arrivata?" Chiese, mentre Elle indicava con il dito la riga alla quale era stata interrotta. Steve si appoggiò meglio contro il divano.

"Arriviamo quindi al punto dove definire la memoria non è più funzionale: vengono ricordate cose che non sono avvenute, ed allo stesso modo le persone dimenticano cose che sono successe realmente, e azioni che loro stesse hanno compiuto."


~


Aprì gli occhi di scatto, sentendo qualcosa di viscido colarle sul viso, qualcosa che sembrava scottare, sciogliendo l'epidermide e sprofondando verso gli zigomi, distruggendo con uno sfrigolio tutto ciò che trovava sulla strada del suo percorso lento.

Ci mise qualche secondo a rendersi conto del dolore cieco, teribile, che attanagliava il suo volto contratto. Aveva i denti serrati, gli occhi strizzati dal male sordo che la faceva tremare come una foglia.

Si sfrozò di aprire gli occhi, ancora intatti, sul buio che la circondava. L'unica luce che illuminava i massi sulla quale stava, immobilizzata da catene intangibili, era quasi viola e faceva male allo sguardo. Sapeva che avrebbe dovuto vedere le stelle, invece vedeva solo quel buio angosciante che la opprimeva a terra. Un altro rigolo di quel liquido si infranse contro il suo collo, facendola urlare. Sperò di morire presto, di sfuggire a quel dolore agghiacciante. Scosse il capo, sentendo minuscole gocce macchiarle il petto e le braccia, corrodendo il tessuto della sua tuta scura. I capelli erano sciolti, impigliati in lunghe ciocche nella pietra dura sotto la sua nuca.

Sentiva un mugungo dolorante, un rantolio continuo e sospirato, da diversi metri sopra di lei.

Cercò di alzare il capo, sentendo il dolore dei tendini mentre compiva quel semplice movimento, cercando di trattenere il respiro mozzato. Gli occhi faticarono a mettere a fuoco l'ombra scura, parzialmente piegata in avanti, i vestiti scuri con dei particolari che sembravano scintillare nella luce flebile. Rimase a fissare la figura, riuscendo finalmente a contraddistinguere le braccia, il busto, il capo.

C'era un foro, dietro di lui, nella parete. L'uomo sembrava attaccato alla parete, le braccia contro il busto, e il capo indistinguibile nel buio, completamente corroso dalla sostanza. Il foro, dietro la sua nuca, fece un rumore singhiozzante.

Elle sgranò gli occhi, prima di vedere la sostanza che colava nuovamente fuori dalla fessura, sul capo dell'altro, che emise un verso strozzato, prima di avere la nuca completamente cosparsa, il fluido che colava sulle spalle producendo un rumore sinistro.

Elle rimase immobile, senza fiato, mentre il liquido colava anche su di lei, sul volto, sotto agli occhi sgranati, che fissavano l'uomo sopra di lei, il volto strizzato dal dolore. Sconvolta, il corpo che si contorceva dal dolore, Elle trovò appena il fiato per richiamare l'altro, il viso familiare. Loki la fissava, lo sguardo sconvolto dalla sofferenza, il volto che lentamente si scioglieva sotto l'acido.

All'ennesimo getto, Elle non riuscì a trattenere l'urlo di dolore che le risaliva la gola. Il panico aveva preso possesso di ogni sua cellula, nel momento in cui la sua mente provata si era resa conto che era già stata li, e che ci sarebbe ritornata ancora. Che quel supplizio non sarebbe mai finito. Mai.


~


La scosse per le spalle, sollevandola dal materasso con un gesto secco. Continuava a chiamare il suo nome, ma l'unica cosa che lei riusciva a fare era urlare. Sembrava che il viso le stesse bruciando, le palpebre strizzate, le mani contorte dal dolore.

"Elle!" La chiamò ancora, mentre lei apriva di scatto gli occhi nel buio. Il suo viso era solcato da lacrime bollenti, mentre cercava di muovere il collo e le spalle. Le mani corsero sulle guance, iniziando a sfregare con foga, come se dovesse lavarsi da qualcosa. Steve gliele abbassò, sentendola fare resistenza con forza. "Elle, calmati!"

La donna spostò lo sguardo su di lui, le pupille completamente dilatate, artigliandosi con le dita sottili alla sua maglietta, la bocca aperta dalla sorpresa. Lui alzò un braccio, dandole un leggero colpo. "Elle?"

Alzò il capo, incontrando il suo sguardo sgranato nella penombra. "Steve!"

"Che succede?" Chiese, preoccupato. Lei scosse appena il capo, le mani che si fermavano sul viso, asciugando con delicatezza le lacrime. Abbassò lo sguardo, perplessa. "Sto piangendo?"

La guardò, interdetto. "Stavi urlando." Elle rispose con uno sguardo sconvolto. "Oh."

"Stai bene?" Chiese di nuovo. Lei annuì appena, scostandosi i capelli dalla spalla. Evitando il suo sguardo.

"Ho sete." Rimase immobile ancora un secondo per poi scostarsi, lentamente. Sembrava acciaccata, dolorante. Si mise silenziosamente in piedi, seguendola come un'ombra mentre Elle percorreva il corridoio buio, seguendo la parete con la mano. Entrò nel bagno, accendendo la luce sopra lo specchio del lavandino con un gesto nervoso. Lui entrò lentamente, chiudendo la porta dietro di sé. Elle si scrutava allo specchio, il busto piegato in avanti e le mani che tastavano la pelle diafana.

"Che stai facendo?" Chiese piano, guardandola con attenzione. Elle sembrò riscuotersi in un attimo, tornando a fissarlo, senza parole, come se fosse più confusa di lui.

"Niente..." Commentò piano, lo sguardo che saettava di nuovo verso la superfice riflettente. Aprì l'acqua con un gesto veloce, infilandoci sotto le mani e iniziando a schizzarsi il viso. Doveva essere gelata, visto che rabbrividì visibilmente. Sembrava leggermente agitata, il respiro ancora irregolare ed i movimenti rigidi. La vide portarsi le mani a coppa alla bocca, bevendo avidamente. Lui le passò l'asciugamano in silenzio, mentre i loro sguardi si incrociavano solo un secondo prima che affondasse il viso nel telo. Rialzò lo sguardo poco dopo, riappendendo l'asciugamano.

"Prima che tu me lo chieda... Non ho idea di che cosa sia successo."

Steve non rispose, limitandosi a prenderla per mano. Tornarono alla camera in silenzio, senza avere il coraggio di guardarsi tra loro. Steve si chiuse la porta alle spalle con un sospiro, mentre Elle si inginocchiava sul materasso, tornando a distendersi in posizione fetale sotto al lenzuolo.

"Elle..." Si avvicinò cautamente, straiandosi accanto a lei. Le accarezzò un braccio, delicatamente, cercando il modo di farle tutte quelle domande che gli ronzavano in testa. "Cosa ricordi?"

La svedese scosse il capo. "Faceva male. E c'era qualcuno, con me."

"Chi?"

"Non lo so." Rispose subito lei, raggomitolandosi contro il suo petto. "Non ricordo. Non riesco a ricordare. Avevo paura, paura da impazzire."

Le lasciò un bacio sulla fronte, cercando di confortarla. "Capiremo. Te lo prometto." Commentò piano lui. Elle annuì appena.

Rimasero in silenzio, lei immobile, e lui che la stringeva, sperando di riuscire a calmarla. Sembò passare un'eternità, prima che lei alzasse il capo verso il suo viso.

"Quanto starete via? Dopo la festa, quando partirete tu e Natasha..." Chiese solo. Steve la guardò negli occhi, facendo una smorfia con le labbra. "Tre giorni? Quattro? Chi lo sa..." Sospirò. "Devo trovare quell'uomo. Devo capire chi è, e cosa vuole. Da me, da te, da Buck..."

Elle alzò appena il capo, quasi un singulto. Steve non distolse lo sguardo. "So che sai dov'è James..."

Elle annuì, senza emettere una sillaba. Steve abbassò lo sguardo. "Posso tenerlo al sicuro. Posso aiutarlo. Posso aiutare tutti voi."

La svedese abbassò il mento, stringendo le braccia attorno alla sua vita. "Non puoi tenere tutti al sicuro."

"Posso tenere al sicuro le persone che amo." Esclamò lui, come per convincersi. Elle aveva uno sguardo triste, ma era risoluta. "E' al sicuro."

"Stark ha paura di lui." Steve proseguì, seguendo il suo discorso. "Tutti hanno paura di lui."

"Non tutti..." Sussurrò Elle, appoggiando il capo sul suo petto. "E Stark ha paura anche della sua ombra..."

"Non posso aiutare Tony." Commentò l'altro. "Non posso aiutare qualcuno che non vuole farsi aiutare."

"A volte..." Elle gli mise una mano sul volto, costringendolo a guardarla. "Penso che tu sia troppo duro con Stark. Lui.... Fa quello che può. Come tutti noi."

Non seppe cosa rispondere, e rimase a guardarla, cercando di usare le parole dell'atra per cicatrizzare la ferita che si stava aprendo tra lui e Anthony.

Elle riguadagnò la sua attenzione, alzandosi appena sulle braccia e baciandolo delicatamente. "Devi essere meno duro anche con te stesso. Non puoi salvare tutti."

"E' una parte del nostro lavoro che fatico a digerire."

Lei sospirò appena. "Certe cose succedono, e semplicemente non possiamo fare nulla per impedirle."


~


"Stark, non esiste che io metta quella cosa."

Natasha alzò gli occhi al cielo, voltandosi con un gesto elegante verso l'ingresso. La voce della coinquilina era arrivata forte e chiara come se l'avesse avuta davanti.

Invece, Elle era al piano di sopra, mentre lei era davanti al portone, gli occhi che correvano continuamente all'orologio. Allungò una mano a fermare quelle di Rogers, che non smettevano di tormentare i polsini della camicia. Poi si voltò verso il soggiorno, sorridendo a Wanda che sedeva sul bordo del divano, guardandosi attorno a disagio.

"Ragazza mia dovresti coprirti di più, è pericoloso oggigiorno per una signorina girare per il Queens." Loretta spuntò dal cucinotto, facendola sobbalzare.

Una delle creature più potenti della terra, intimidita da una signora e un vassoio di biscotti. Steve si guardò la punta dei piedi, cercando di non ridere.

"Signora West, non si preoccupi, ero accomp-"

"Chiamami Loretta, cara." La donna appoggiò il grosso piatto sul tavolino davanti al divano. Wanda annuì, le labbra strette in una smorfia preoccupata. Natasha si avvicinò, appoggiando una mano sullo schienale del divano, dietro di lei.

"Tranquilla, passerai una serata tranquilla. Non volevamo lasciarti da sola agli appartamenti, qui sarai al sicuro."

La Sokoviana annuì ancora. Natasha le sorrise appena.

"Dobbiamo andare!" Steve fece un passo avanti, il piede destro appoggiato sul primo gradino. "Arrivare in ritardo non è proprio il modo migliore per farci benvolere."

"Due minuti!" Urlarono in coro Stark e Selvig, dal piano di sopra. Tutti nella zona giorno si guardarono tra loro, la stanza immersa in un silenzio curioso.

Natasha si voltò verso la porta un secondo prima che il campanello suonasse, aprendola con un gesto nervoso. "Usciamo quando siamo pronti-"

Il ragazzo del corriere espresso fece un'espressione sconvolta, facendo due passi indietro. Poi deglutì rumorosamente. Spostò lo sguardo su Steve, che si era affacciato da dietro Nat.

"Ho una consegna per... Selvig."

"Firmo io." Esclamò Natasha, prendendogli dalle mani il tablet. "Lei in questo momento è impegnata. Ad essere in ritardo."

Il ragazzo annuì, lasciando il grosso scatolone nero tra le mani della rossa. Rimase un secondo imbambolato, fissando la scatola, la donna e poi l'uomo dietro.

"Ti devo qualcosa?" Chiese la rossa, insofferente. Il ragazzò negò, augurò a tutti una buona serata e se ne andò.

Natasha si appoggiò al corrimano, aprendo il biglietto incastrato nel fiocco verde. Poi scosse il capo.

"Lo porto su. Aspettami."

Steve annuì, aggrottando le sopracciglia. La osservò salire le scale, una ruga sulla fronte chiara. Poi, con un sospiro, andò verso il divano, rispondendo allo sguardo disperato di Wanda.


"Stark, scannerizzami questo coso." Natasha appoggiò la consegna sul letto di Elle, mentre questa e Stark stavano in piedi davanti alla cabina armadio di lei. Stark si voltò con espressione sconvolta verso la russa.

"E' possibile che una donna con così buon gusto non abbia saputo contagiare la sua compagna di merende in anni di convivenza?" Elle incrociò le braccia, guardandolo con le guance gonfie.

"Stark, io giuro che..."

"Stark, il pacco!" Esclamò Natasha. Tony si voltò. "Dritta al sodo, eh?"

Osservò un secondo la scatola, gli occhiali da sole che brillavano in modo appena diverso. "Niente di sospetto. Possiamo aprirlo." Commentò.

"Anzi... forse ci ha salvato la serata."

Elle si avvicinò, tenendosi sul sedere la grossa maglia grigia che portava come pigiama. Afferrò il bigliettino fra le dita, osservando la calligrafia elegante.

" Se devi conquistare un popolo, almeno fallo con stile."

Elle lesse a bassa voce, le sopracciglia contratte. Scosse appena il capo. "Spero di non trovarci delle corna, qui dentro..." Commentò, in un bisbiglio appena udibile.

Stark intanto aveva scartato il grosso pacco, sollevando il contenuto tra le mani con un fischio ammirato. "Is this the real life? Is this just fantasy?"

Elle alzò gli occhi al cielo. "Zitto, Stark, e dammi una mano ad abbinarci delle scarpe."


~


Il sole del pomeriggio entrava pigramente dalla finestra aperta, quella che dava sulla scala antiincedio e che Val aveva fatto riparare quanto prima.

James stava sdraiato sul divano, scorrendo immagini su internet, la televisione accesa davanti a lui e qualche giornale sul pavimento. Aveva anche un cellulare, sopra la pila di fogli, e un quadernetto nero che Val gli aveva gentilmente prestato per appuntare i suoi ricordi. Ancora non poteva uscire.

"Stasera alla sede delle Nazioni Unite di New York si terrà un Gran Galà pieno di celebrità internazionali. Sarà presente anche Anthony Stark, il celebre inventore e alter-ego di Iron Man. Insieme con il miliardario, saranno presenti anche altri Vendicatori, in quella che sembra una dimostrazione di amicizia verso i paesi della convenzione."

L'uomo alzò il capo, ascoltando con attenzione la speaker del telegiornale. Appoggiò il pc a terra, accanto ad un ritaglio di un articolo su Captain America.

"Pare che all'evento sarà presente anche il comandante dei Vendicatori, Steve Rogers. Indicrezioni dicono anche che abbia comunicato di essere accompagnato. Speriamo di poter confermare quanto prima la notizia: finalmente il nostro eroe nazionale si sarebbe accasato."

Bucky non riuscì a trattenere la risata, osservando con aria convinta la donna mentre proseguiva con le altre notizie del giorno. Riprese il computer, cercando divertito il nome di Elle sul server. Aveva cercato mille volte quello di Steve, ed anche il suo. Ma non aveva mai pensato di googlare l'amica.

Il primo risultato era il profilo Linkedin della donna. Il secondo, la pagina Wikipedia di Erik Selvig, astrofisico.

L'aprì senza troppo interesse. I primi paragrafi parlavano del suo lavoro, dei suoi studi. Poi, vide la foto.

L'uomo, parecchi anni più giovane, stava accanto ad una donna, talmente bionda da non lasciare spazio a dubbi nemmeno in bianco e nero. Annette Selvig.

Il nome lo colpì come un pugno.

Un cartellino su un camice. Fiale. Luci bianche. Due occhi azzurri che lo fissavano. Una voce acuta che gli poneva domande in russo. Una mano sottile che, mentre lo tenevano fermo, lo pungeva con una siringa direttamente nel collo.

Afferrò il cellulare, cercando di mantenere il respiro ritmato, come gli aveva insegnato Valentina. Le mani gli tremavano, mentre vedeva la donna bionda guardarlo, oltre il vetro. Appuntare con grafia elegante su un quaderno rosso. I suoi occhi che, giorno dopo giorno, settimana dopo settimana, si riempivano di rimorso.

Annette Selvig era la donna che era riuscita a replicare il siero.


~


Elle sorrise, mentre Steve le apriva la portiera dell'auto. "Sei bellissima."

"Anche tu non stai male..." Commentò solo lei, abbassando lo sguardo. Allungò una mano a sistemargli il papillon scuro.

"Mi sembra di avere un cappio al collo... Non un farfallino. E' ridicolo."

"Ti prometto che appena entriamo puoi toglierlo." Commentò Stark, voltandosi a guardarli, mentre il motore si accendeva con un rombo sordo. Natasha ridacchiò.

"Piuttosto, non ti chiedi chi sia il misterioso ammiratore?" Commentò Tony. Steve sospirò. "Nalsson."

Elle emise un sospiro strozzato. Steve le sorrise. "Si vede da lontano un miglio che quell'uomo ha un interesse per te."

"Non quel genere di interesse." Elle non sapeva se scoppiare a ridere o a piangere. "Fidati."

Sentì qualcosa muoversi nella pochette, attirando l'attenzione di tutto l'abitacolo.

Estrasse il cellulare con fare nervoso. Solo una persona poteva chiamarla in quel preciso momento.

Sullo schermo, solo l'emoji a forma di diavolo. Jimmy.


xXx

Sono molto in ansia per questo capitolo- per entrambe le parti.
Ringrazio Giulia_Beccaccina per il supporto continuo, per tutti i momenti di fangirling spregiudicato, i messaggi quotidiani e per avermi spronato a scrivere quando pensavo che non sarei riuscita a metter giù nemmeno una riga. Vi consiglio assolutamente la sua nuova storia, nella categoria Captain America, Shameless! Anche solo per vedere quanto è cazzuta un'aspirante avvocatessa. Non ci sarebbe questo capitolo, senza di te.
Ringrazio Janeisa per i messaggi, per aver ripreso a scrivere e perchè voglio che questo capitolo, il mio ritorno, le dimostri che anche dalla crisi più nera può uscire, forse, qualcosa di sensato. Correte tutti a leggere la sua storia su Chris Pine, Per Aspera ad Astra, perchè troverete un esempio di come si scrive una storia su un fandom di un attore rispettando l'attore stesso e chi gli sta intorno. E come si effettuano ricerche spionistiche ;)
Grazie a Bagabu aver riletto praticamente tutto e a GiuliaDirectioner1D per il dolcissimo messaggio. Spero di sapere cosa ne pensate :)
Adesso pubblico, e chi sé visto sé visto. Spero di non aver fatto una brodaglia troppo illeggibile.
Mi spiace se ho dimenticato qualcuno ma qui si naviga nel disagio! ;)
Eve

   
 
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