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Autore: TaliaAckerman    12/05/2016    3 recensioni
L'ultimo atto della saga dedicata a Fheriea.
Dubhne e Jel si sono finalmente incontrati, ma presto saranno costretti a separarsi di nuovo. Mentre la minaccia dal Nord si fa sempre più insistente, un nemico che sembrava battuto torna sul campo di battaglia per esigere la sua vendetta. Il destino delle Cinque Terre non è mai stato così incerto.
Dal trentaquattresimo capitolo:
"Dubhne si portò una ciocca di capelli dietro l'orecchio e ricordò quando, al suo arrivo a Città dei Re, l'avevano quasi rasata a zero.
- Quando ero nell'Arena... - mormorò - dovevo contare solo su me stessa. Un Combattente deve imparare a tenere a bada la paura, a fidarsi solo del proprio talento e del proprio istinto. Non c'è spazio per altro.
Jel alzò gli occhi e li posò su di lei - E che cosa ti dice ora il tuo istinto?
- Sopravvivi. "
Se volete sapere come si conclude il II ciclo di Fheriea, leggete!
Genere: Azione, Fantasy, Guerra | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Violenza
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'II ciclo di Fheriea'
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Note dell'autrice: purtroppo, a causa di un improvviso reset nel mio IPad, la pagina contenenti gli appunti che ero solita prendere riguardo questa storia è stata cancellata. Riguardo questo capitolo, avevo scritto una decina di righe, di prova certo, ma di cui ero rimasta molto soddisfatta, e non mi sembra giusto riscrivere da capo quella parte con il rischio di renderla meno "riuscita" di quanto non fosse prima. E per questo che il dialogo tra Dubhne e Jack risulterà probabilmente "incompleto": è provvisorio, diciamo, ne manca una parte, ma appena avrò portato il dispositivo in un centro apposito (sperando che gli appunti siano in qualche modo recuperabili), vedrò di completarlo. Non so però se e quando questo sarà possibile, ma non voglio interrompere un'altra volta la storia. Scusatemi davvero! :'( Spero che il capitolo vi piaccia comunque.








12








Dubhne non si accorse subito di aver aperto gli occhi.
Ombre nere si frapponevano tra lei e il mondo circostante, correlate al pulsare delle sue tempie. Tentò di dire qualcosa, ma tutto ciò che le riuscì fu una sorta di grave gorgoglio. Piano piano, le immagini davanti a lei cominciarono a mettersi al proprio posto e la ragazza riprese coscienza di sé. Era stesa su qualcosa di rigido e stava fissando quello che sembrava il soffitto di un padiglione. Attorno a lei percepiva del brusio, unito al rumore di passi affrettati. Sempre presente, l'odore di ferro aleggiava nell'ambiente circostante.
Nel ricordare gli ultimi avvenimenti antecedenti al suo svenimento, la ragazza avvertì un'ondata di nausea attraversarla. Era come se tutto fosse appena andato in frantumi. Per quanto ne sapeva i suoi compagni d'armi, eccetto Jack, in quel momento potevano essere morti.
Ma dove si trovava in quel momento? Era ancora nel Nord? E soprattutto, dopo la disfatta a Hiexil, che ne era stato delle truppe ariadoriane?
Puntellandosi a fatica con i gomiti sul pavimento, Dubhne si mise a sedere. Dovette ignorare la fitta di mal di testa che la investì nel tirarsi su per non tornare a distendersi immediatamente. Si guardò intorno e comprese all'istante di trovarsi in una specie di infermeria. Accanto a lei, stesi a terra o adagiati su strette brandine, c'erano decine di soldati, disposti a ridosso delle pareti dell'ampio tendaggio. Nel centro scorreva un andirivieni di guaritrici e cerusici dall'aria affannata e preoccupata.
Dubhne non aveva fatto in tempo a scorgere uno di loro avanzare verso di lei che questo l'aveva afferrata per un braccio e fatta alzare.
- Se sei sveglia e non hai problemi alle gambe devi andartene. Non abbiamo abbastanza spazio per tutti, qui dentro - la avvertì con voce roca; aveva il volto segnato da profonde occhiaie. - Avanti, vattene.
Dubhne fu grata di non trovarsi di fronte a uno specchio; non voleva nemmeno pensare a che aspetto dovesse avere in quel momento.
Si divincolò stizzita dalla presa dell'uomo e fece quanto le era stato ordinato. Facendosi strada tra pozze di sangue e violente zaffate di odore di marcio, Dubhne attraversò il padiglione medico, continuando a cercare facce note tra quelle lì presenti. Era troppo debole e confusa per esserne sicura, ma le sembrò di individuare un paio di guerrieri appartenenti al proprio battaglione, apparentemente svenuti e coperti di sangue. Poco distante dall'ingresso della tenda gli occhi le caddero sul corpo martoriato di Neor.
No...
Si chinò su di lui tenendo a freno la tremarella. L'ex Combattente respirava ancora, ma versava in pessime condizioni. Il braccio sinistro gli era stato tagliato di netto, ma Dubhne pensò che probabilmente erano state le stesse guaritrici ad amputarglielo per impedire la cancrena. Il moncherino era avvolto da numerosi strati di bendaggi già impregnati di sangue. L'uomo dormiva con la bocca lievemente aperta, cosa che permise alla ragazza di dedurre che un colpo in volto gli avesse fatto saltare parecchi denti. Anche il resto del suo volto era una maschera gonfia di sangue.
Dubhne dovette far fronte ad un altro conato di vomito, che questa volta la costrinse ad alzarsi e correre fuori dall'infermeria. Piegata in due sull'erba, vi riversò come minimo tutto quanto aveva mangiato il giorno prima.
- Dubhne! - una voce, per metà sollevata, per metà severa, attirò la sua attenzione.
La giovane si pulì la bocca con una manica e, ignorando il disgustoso sapore che il vomito le aveva lasciato in gola, si voltò. Era Caley.
- Che cosa c'è?
- Jack mi ha mandato a controllare in che condizioni ti trovavi. Vuole parlarti.
Dubhne impiegò qualche istante per realizzarne il motivo, poi, con una stretta allo stomaco, comprese. Ignorando i gorgoglii del suo stomaco, rispose:- Arrivo subito. Dove... dove si trova?
- Vai da quella parte - spiegò Caley indicando la propria destra. - È nel padiglione più grande, quello con i colori dell'Ariador.
Dubhne fece per avviarsi, ma l'uomo la bloccò afferrandole una spalla. - Dubhne... - disse con voce impastata. - Sono contento che sia viva, almeno tu.
Lei lo squadrò da capo a piedi. Aveva una gamba percorsa da un taglio sanguinolento. Provò un disperato desiderio di scoppiare in lacrime, ma alla fine disse solo, con voce incrinata:- Anch'io sono contenta di non essere rimasta l'unica.
Faticando più del previsto a staccare gli di dosso all'espressione stravolta di Caley, Dubhne si avviò nella direzione che lui le aveva indicato.
Ripensando a tutto ciò che era successo, era davvero un sollievo che qualcun altro fosse rimasto in vita, oltre a loro. Ogni volta che sbatteva le palpebre la ragazza rivedeva le confuse immagini che le erano scorse davanti mentre Jack la portava via. L'accampamento dove finora erano stati stanziati era stato dato alle fiamme dai Ribelli, dunque dove si trovavano ora?
La ragazza raggiunse una tenda leggermente più spaziosa delle altre e dedusse fosse quella che Caley le aveva ordinato di raggiungere; era probabile che il vecchio padiglione di Jack fosse andato distrutto.
Ancora un po' frastornata, Dubhne trasse un lungo respiro. Non sarebbe stato piacevole, ne era ben consapevole. Jack aveva rischiato tutto per venire a salvarla e, sicuramente, non gliel'avrebbe lasciata passare con tanta facilità. Il fatto che avesse deciso di parlare con lei anche in una situazione di tale urgenza non era affatto incoraggiante.
Fece ancora un paio di passi in avanti e scostò i lembi di stoffa dell'entrata della tenda.
Jack era davanti a lei, seduto su una seggiola di legno, il volto tra le mani. Quando la ragazza entrò, non sollevò subito lo sguardo. Rimase fermo, abbassando le mani, e studiando le ferite che aveva riportato sulle braccia.
Dubhne avrebbe voluto ringraziarlo, chiedergli come si sentiva. Ma non ci riuscì; aveva paura, in parte, ma in parte provava anche uno strano senso di fastidio all'idea di sopportare la probabile sfuriata di Jack.
- Che cosa c'è, Jack? - chiese solamente con voce roca.
L'uomo la guardò con qualcosa di simile al disprezzo negli occhi, ma ancora non parlò.
Sempre più in ansia, Dubhne strinse i denti, prima di proferire:- Senti, a malapena mi reggo in piedi. Se non hai niente di importante da dirmi io faccio che...
- Sei stata un’imprudente, un’impudente.
L'impulso di controbattere fu troppo forte.
- Sono stata l’unica ad avere il coraggio di continuare a combattere.
- No. Tu sei stata stupida. Volevi impressionarmi, far vedere che sei la migliore. Beh, ci sei riuscita, ma ora so anche quanto tu sia limitata.
Dubhne incrociò le braccia, lasciandosi cadere su un secondo sgabello; anche se in quel momento fremeva di una rabbia incredibile ostentò un sorrisetto. – Credi che mi importi di quello che pensi? Per tutta la vita la gente mi ha giudicata, additata, pensando di sapere anche solo qualcosa di me. Beh, tu non sai un bel niente di me!
- Ora invece qualcosa la so!
Il fatto che Jack avesse alzato la voce in quel modo la sorprese a tal punto da indurla a tacere. L’uomo le si accostò, costringendola a rimanere seduta afferrandole i polsi. – Non ti importa nulla di morire, eh? Pensi che se ti farai ammazzare da un maledetto Ribelle importerà a qualcuno?
Dubhne fece per rispondere, ma lui la bloccò.
– Non ti azzardare! – ringhiò a denti stretti. – Non mi importa di quanti assassini tu abbia fatto fuori, non m’interessa se sei la pupilla di Città dei Re. Qui comando io, e se provi a mettere ancora una volta in discussione i miei ordini, giuro che ti sbatto fuori dal mio campo!
Per pochi istanti rimasero a squadrarsi, entrambi furenti, entrambi decisi a non abbassare lo sguardo.
Il petto di Jack si alzava ed abbassava frenetico dopo quello sfogo che probabilmente la ragazza si era meritata. Realizzò solo in quel momento che la presa dell’uomo sui suoi polsi le stava facendo male.
– Jack, non potresti…
- Perché combatti senza risparmiarti?
Quella domanda la colpì come una coltellata.
Il volto dell'uomo era a pochi centimetri dal suo, così vicino che Dubhne poteva avvertire il suo respiro sulla pelle. Una battaglia feroce le infuriava in cuore, aizzata da sentimenti dolorosamente contrastanti: il desiderio di non mostrarsi debole davanti a Jack, la rabbia per il fatto che lui le stesse urlando contro in quel modo, ma anche un incontrollabile desiderio di alzarsi e fuggire da lì, lontano, forse anche dovuto alla strana attrazione che sentiva di provare verso l'uomo che le stava davanti.
- Perché ti importa così poco della tua vita?
- Perché sono già morta - le parole uscirono dalla sua bocca senza che lo volesse veramente. - Sono già morta, e cerco disperatamente un modo per tornare a vivere. Combattere, rischiare la vita, uccidere... è tutto ciò che mi permette di farcela. La violenza è il mio modo e... e... senza di lei io non sono niente! Solo i ricordi del mio passato, e io credo... credo che prima o poi finiranno per uccidermi!
Un terribile quanto gravoso silenzio calò dopo quelle parole.
Poi, finalmente, Jack la lasciò andare e si scostò leggermente da lei.
- È anche il mio mondo - disse alla fine Jack lentamente. La furia pareva aver finalmente abbandonato il suo sguardo. - Abbiamo tutti qualcosa che ci tormenta. Ma tu non puoi lasciarti andare in questo modo.
Le lacrime premevano per sgorgarle dagli occhi, ma non volle cedere.
- Se pensi di non riuscire a reggere, - riprese Jack - se pensi che il tuo passato, il tuo presente o qualunque cosa per esso sia troppo duro da sopportare, allora puoi andartene. Sei ferita, dirò che non saresti più stata in grado di continuare a combattere. Non ti verrà recato alcun disonore. Ma se rimani... - e Dubhne fu colpita dall'improvvisa e spietata freddezza nel suo tono di voce - Se rimani dovrai smettere di comportarti in questo modo. Non dovrai più permetterti di disobbedire a un mio ordine. E se lo farai, io non intendo venire a salvarti una seconda volta. Mi hai capito?
Dubhne non rispose. Era come se la sua anima fosse sul punto di sgretolarsi. Non aveva più certezze, tutto ciò che aveva pensato di essere o di sapere prima di quel momento stava vacillando pericolosamente.
- Mi hai capito? - ripeté Jack sollevandole il mento con una mano.
- Ho capito - mormorò Dubhne senza riuscire a guardarlo negli occhi. Ma non si fermo lì. Non bastava.
Imponendosi di non piangere alzò il capo e fece qualcosa che non faceva da quasi dieci anni. - Perdonami, Jack. Avevi ragione. Sono soltanto un'assassina.
Finalmente, Jack allentò la presa sui suoi polsi fino a lasciarla andare. Si allontanò da lei e si passò una mano sulla fronte, come faceva di continuo in quel periodo.
Dopo averle rivolto ancora una gravosa occhiata, l'uomo fece per congedarsi. Prima di uscire dalla tenda, però, si fermò a guardarla ancora una volta. Dubhne mantenne lo sguardo fermo a terra. Trascorsero diversi istanti, poi...
- Non devi mentire a te stessa. Non sei solo questo.
Jack uscì.
Dubhne tentò di modulare il respiro, ancora affannoso, ma non vi riuscì per molto. Ora che il comandante non era più con lei, la barriera che aveva fino a quel momento contenuto il fiume delle sue emozioni si sgretolò definitivamente e la ragazza scoppiò in lacrime.

                                                                      ***

Impiegò una manciata di minuti per riprendersi.
All'inizio aveva pensato che le lacrime non avrebbero mai più cessato di scorrerle incontrollate sulle guance, ma poi, piano, aveva avvertito il proprio respiro calmarsi. Il caldo rossore sulle sue guance si era affievolito, il suo petto aveva cominciato ad abbassarsi ed alzarsi in modo più regolare.
Quando anche i singhiozzi ebbero smesso di scuoterla, Dubhne si decise a rialzarsi. Si passò una manica sugli occhi per asciugarli alla meglio.
Uscì dalla tenda di Jack con lo sguardo basso: non ci teneva particolarmente ad essere vista da tutti così scossa e con gli occhi arrossati. Jack non sembrava essere nei paraggi, cosa per cui la giovane fu particolarmente grata. Non sarebbe riuscita a incrociare di nuovo il suo sguardo.
Non sapeva che fare. In quel momento provava solo un incredibile desiderio di riposare, ma sapeva che sarebbe stato tempo sprecato. Non era riuscita a dormire nelle settimane immediatamente successive alla finale dei Giochi, in un momento come quello non avrebbe avuto speranza.
Pensò di tornare nella tenda-infermeria per controllare le condizioni di Neor. Anche se fosse morto, Dubhne non era sicura che ne avrebbe patito particolarmente, eppure sentiva che stare vicino a lui era la cosa da fare in quel momento. Glielo doveva, in un certo senso. Era pur sempre un Combattente come lei.
Il puzzo di cadavere si intensificò annunciando alla ragazza che doveva essersi riavvicinata all'infermeria. Si avvicinò al tendone resistendo alla tentazione di tapparsi il naso e, prima di entrare, lasciò passare due guaritrici che reggevano il corpo senza vita di un giovane soldato che non poteva essere molto più grande di lei. Poi entrò.
Neor era ancora steso al suo posto, subito dopo l'ingresso. Su di lui era china una guaritrice. Indossava un cappuccio scuro con un lembo che le copriva la bocca e il naso, ma anche così Dubhne ne distinse i lunghi capelli biondo chiaro. Non riuscì a distinguerne i lineamenti, ma perché avrebbe dovuto importarle?
Facendo attenzione a non calpestare il corpo accanto a quello di Neor, si accovacciò al suo fianco. Guardò le mani della guaritrice muoversi velocemente sul corpo dell'uomo, eppure con una tale delicatezza. La giovane donna gli applicò unguenti, cosparse le sue ferite con alcuni strani miscugli di erbe e gli cambiò le fasciature. Dubhne si limitò a fissare la scena, tenendo una mano appoggiata sulla spalla del guerriero.
Non appena ebbe finito, la guaritrice fece per rialzarsi. Ma poco prima di andarsene, fece qualcosa. Per un attimo sembrò tentata di volgere lo sguardo su di lei, e caso volle che Dubhne facesse lo stesso. Gli occhi castani della Combattente incontrarono quelli della ragazza, che si rivelarono di uno splendido e tenue azzurro. Immediatamente, un'emozione così lontana da parere sconosciuta investì il cuore della ragazza. Un insieme di affetto, agitazione e una terribile nostalgia.
Chiunque fosse quella donna, doveva averla già vista altre volte.
Quasi a disagio sotto il suo sguardo, la guaritrice si affrettò a raccogliere le bende impregnate di sangue e ad alzarsi per uscire.
Ma la parte più recondita e sentimentale dell'animo di Dubhne doveva avere già intuito tutto. Non poteva lasciarla andare via. Poteva essere l'ultima occasione certa che avrebbe avuto di rivederla.
Seguì la ragazza fuori dal padiglione.
Sebbene il dolore per gli avvenimenti del giorno prima fosse ancora vivo dentro di lei, qualcos'altro si era fatto strada nel suo cuore. Speranza, ma anche paura. E se si fosse sbagliata? Temeva nel richiamare l'attenzione della giovane, avvertendo il presentimento che, se si fosse voltata, l'incantesimo avrebbe potuto spezzarsi e quella nuova, meravigliosa aspettativa dissolversi tanto rapidamente quanto si era creata.
Alla fine capì di non poter trattenersi.
- Ehi, tu! - chiamò alle spalle della ragazza.
Lei smise all'istante di pulirsi il grembiule dai grumi di sangue e si voltò verso di lei. All'istante sul suo bel viso comparve un'espressione felicemente rassegnata. Dubhne avrebbe dovuto aspettarselo, ma non riuscì comunque a non trattenere il fiato.
- Non... - balbettò. - Non è possibile...
Era stata sorpresa nel rincontrare Neor, alcuni giorni prima. Ma fu niente in confronto allo sconvolgimento che la travolse in quel momento.
- Ciao Dubhne - disse Alesha con un mezzo sorriso.


Dopo averla tenuta stretta a sé per diversi lunghi istanti, giusto per accertarsi che la sua presenza fosse reale, Dubhne si separò dalla sua amica d'infanzia.
- Sei davvero tu... - continuava a mormorare Dubhne, non riuscendo a non sorridere febbrilmente. - Sei qui... dopo tutti questi anni...
- Ho pensato fino all'ultimo che non potessi essere tu - anche Alesha aveva la voce rotta dall'emozione. - Ho sentito così tanta gente parlare di te... Da quando sei arrivata, ma anche da prima, da quando, da quando... Dio, ma fatti guardare!
Si studiarono entrambe attentamente. Pur essendo decisamente maturata, Alesha non era cambiata molto. I capelli biondi e fini, legati in un'alta coda di cavallo, erano della stessa lunghezza in cui la ragazza era solita portarli alla sartoria del signor Tomson, e Dubhne era sicura che nulla avrebbe mai potuto affievolire la bellezza dei suoi occhi. Seppur indurita dall'esperienza e da tutto il sangue con cui doveva aver avuto a che fare in quella guerra, la sua espressione rimaneva dolce e gentile come quella che ostentava quando aveva solo quattordici anni.
- Sei davvero diventata una donna - sentenziò Alesha dopo qualche secondo. Per un attimo un'ombra incrinò la sua espressione.
Dubhne ebbe l'impressione di sapere a cosa fosse dovuta, ma passò oltre. Circondò le spalle dell'amica con un braccio, ancora incredula di essere davvero lì con lei.
- Andiamo via da qui per un po' - suggerì speranzosa. - Voglio che mi racconti tutto, di te, dell'Ariador...
- Tutto? - ripeté lei con un sorriso, alzando quasi impercettibilmente un sopracciglio. - Non credo di poterlo fare, per ora. Devo tornare dai feriti...
Dubhne pensò fosse meglio non contraddirla. Il suo volto era segnato e stanco, ma era evidente quanto si sentisse responsabile per quella gente. Alesha era così, lo era sempre stata: prodigarsi per gli altri era stata una sua vocazione fin dai tempi di Célia.
- Fai quello che devi - rispose, anche se il suo sorriso si era lievemente affievolito. - Ma stasera vedi di mettere da parte un buon momento per parlare. E se qualcuno tenterà di impedirglielo... beh, gli parlerò io.
Alesha rise in maniera piuttosto nervosa. - Non mancherò, lo giuro. E poi... anche tu hai decisamente qualcosa da raccontarmi.
Dubhne sorrise ancora. Ora che l'istantanea felicità nell'aver rivisto Alesha cominciava ad affievolirsi, la giovane aveva ripreso ad avvertire la stanchezza fisica, unita al dolore e allo smarrimento che l'avevano turbata fino a poco prima. Sentì l'infantile bisogno di accertarsi di una cosa.
- Al... - nel pronunciare, di nuovo dopo tanto tempo, quel nomignolo, il suo cuore fece una capriola - Sei sicura di... di essere contenta di vedermi?
Per tutta risposta, Alesha la abbracciò. E non ci sarebbe potuta essere risposta migliore per rasserenare almeno in parte l'animo di Dubhne.


Parlarono per tutta la serata, fino a notte inoltrata.
Dopo il pasto serale - che fu scarno e annacquato, come Dubhne si era aspettata - le due si erano appartate al limitare sud dell'accampamento, lontano dal fronte settentrionale e dal caos che vigeva anche a quell'ora fra le file di tende.
Stese sull'erba, avvolte in due spessi mantelli che Alesha era riuscita a procurarsi, ignorando il freddo, avevano rievocato tutte le vicissitudini che avevano seguito la loro separazione.
Dubhne ebbe modo dunque di conoscere gli spostamenti dell'amica, dagli anni trascorsi a lavorare nella sartoria nell'Ariador alla sua partenza con il raggiungimento della maggiore età, quando aveva ottenuto dal suo nuovo padrone il permesso di lasciare il lavoro. Venne a sapere dell'apprendistato di Alesha a Tamithia come guaritrice e della sua partenza per il Nord con lo scoppiare della ribellione.
Da parte sua, con lei Dubhne era riuscita a trovare il coraggio di parlare di Archie Farlow, degli anni trascorsi con la sua famiglia e del suo abbandono. Aveva raccontato di Malcom Shist, di Claris, di James, della drastica svolta che il suo carattere aveva subito senza che lei potesse averne controllo. Nominò per la prima volta con qualcuno il nome di Goresh, non nascondendo come ancora in quel momento non fosse del tutto pentita di ciò che aveva fatto.
Nell'apprendere ciò che aveva compiuto, Alesha non smise mai di tenerle stretta la mano. Più volte, nell'ambiente buio rischiarato dai fuochi dell'accampamento, Dubhne aveva visto la sua fronte aggrottarsi, il suo cipiglio indurirsi. Un paio di volte entrambe avevano versato qualche lacrima.
- Ebbene - concluse Dubhne dopo aver esaurito il proprio racconto. - Ora conosci la mia storia. Se... se pensi che quello che ho fatto possa in qualche modo dividerci... io... io non ti costringerò a starmi vicina. Non sono più una bambina. Non hai più nessun dovere verso di me. Non ne hai mai avuti, in realtà.
- Dubhne - ribatté Alesha, la voce ferma e rassicurante esattamente come quando le aveva detto addio circa dieci anni prima. - Io non ti ho vista compiere quelle cose. Io non c'ero. Non posso sapere quello che tu hai passato. Non posso giudicarti. Non voglio giudicarti.
Oh, Alesha...
- So solo che ti voglio bene, Dubhne. Te ne ho sempre voluto. In questi anni mi sei mancata da morire. Ho pensato che non ti avrei più rivista. E in questi ultimi mesi ho sentito parlare così tante volte della Ragazza del Sangue, pensando che fosse coraggiosa ma anche terribile, giusta ma anche crudele. E mai, mai avrei potuto immaginare che fossi proprio tu. - s'interruppe, chinando il capo. - Qui al campo ho sentito il tuo nome aleggiare nell'aria, l'ho sentito associare alla Ragazza del Sangue più volte, ma non ci ho potuto credere fino alla fine. Avevo paura di trovarmi davanti una persona che non aveva più niente in comune con quella che ho conosciuto dieci anni fa. E poi oggi ti ho rivista e ho capito... ho capito che non mi importa di quello che hai fatto. Tu sarai per sempre... sarai per sempre tu. La mia amica.
Nel sentire quelle parole così dolci e sentite, Dubhne ebbe per un istante la sensazione che forse non tutto era perduto, nemmeno in quel momento. Aveva dell'incredibile, ma Alesha era di nuovo al suo fianco. Dubhne era solo una bambina spaurita quando l'aveva incontrata la prima volta, ma già allora la sua presenza e la sua amicizia l'avevano fatto sentire più forte. Ora le cose potevano ripetersi. Ma ora aveva anche lei l'opportunità di restituire ad Alesha qualcosa.
- Alesha - disse d'istinto. - Qualunque cosa accada, sappi che finché rimarrò qui a combattere, tu sarai al sicuro. Non permetterò a nessuno di farti del male.
- Ne sono sicura, Dub. Ne sono sicura.

                                                                      ***

L'indomani, Dubhne si svegliò che non era ancora l'alba. Aveva dormito nella tenda che Alesha e un'altra guaritrice si erano offerte di condividere con lei. Dal momento che nessuno le aveva ancora fatto cenno di un'altra sistemazione, Dubhne aveva acconsentito con piacere.
La ragazza usci all'aria aperta soffocando uno sbadiglio. Nonostante sentisse gli occhi carichi e appesantiti, e le dolesse ancora tutto il corpo, si sentiva francamente sollevata rispetto al giorno prima. Forse non sarebbe durata, ma a discapito di tutto provava una inedita sensazione di ottimismo.
Le truppe ariadoriane avevano perso terreno e riportato una terribile batosta nel momento in cui i Ribelli avevano spezzato l'assedio di Hiexil, ma quello era pur sempre l'andamento comune di una guerra no? Che cosa si era aspettata, che le Cinque Terre potessero vincere nell'arco di un mese?
Attraversò il disordinato accampamento oltrepassando guerrieri ubriachi che dormivano sull'erba e qualche sporadico ferito non abbastanza grave da stare in infermeria che tentava di sistemarsi le fasciature attorno alle gambe o alle braccia.
Procedendo cautamente - si sentiva leggermente malferma sulle game - decise di passare a controllare le condizioni di Neor. Per quanto ne sapeva, poteva essere morto durante la notte.
Dubhne si sorprese della quasi totale apatia che provò nel formulare quel pensiero. Dentro di sé avvertiva solo una sorta di asciutta calma, un'assenza di emozione dovuta più che altro alla necessità e all'assuefazione a quel mondo così crudo che aveva sviluppato nell'ultimo anno.
Dopo essere rimasta nell'infermeria per alcuni minuti ed essersi accertata che l'ex Combattente fosse ancora vivo, per quanto malridotto, la ragazza uscì e riprese a camminare nella fredda luce mattutina.
Le dure parole che Jack le aveva rivolto il giorno prima erano ancora vivide nella sua mente. "Se pensi di non reggere, allora puoi andartene."
No, lei avrebbe retto. Combattere era il suo destino, e ora per una volta aveva la possibilità di farlo per una giusta causa. Il peso per le azioni che aveva patito e compiuto in passato sarebbe rimasto a gravare su di lei, questo non poteva evitarlo; ma se fino a quel momento lo aveva sopportato chiudendosi in se stessa e cercando disperatamente di assecondare il bisogno di provare emozioni travolgenti che la distogliessero dal suo dolore, adesso vedeva la possibilità di farlo in modo diverso.
Si diresse verso il pendio erboso dove aveva trascorso la serata insieme ad Alesha e vi si sedette ancora una volta, inspirando a pieni polmoni la fredda aria mattutina. La brezza gelida era rimasta immutata rispetto ai giorni precedenti, ma finalmente tra le nuvole opache si riusciva a scorgere un sole pallido sorgere all'orizzonte.
Dubhne rivolse lo sguardo ad est, verso Città dei Re, e poi più a sud, tornando con la mente alle colline che circondavano Célia. Era come se un'altra fase della sua vita si fosse appena conclusa, ma d'altra parte si sentiva stranamente vicina alle proprie origini.
- Dubhne.
La voce di Jack suonò stranamente incerta nel pronunciare il suo nome, ma non poteva che trattarsi di lui.
Piuttosto restia all'idea di condurre un'altra discussione, Dubhne si voltò verso di lui.
- Che cosa c'è? - chiese piano.
- Come ti senti?
- Io... - la giovane tentennò. - Meglio. O almeno credo.
Jack si sedette accanto a lei passandosi una mano fra i capelli. Per qualche secondo rimasero entrambi in silenzio, Dubhne aspettando che l'uomo si decidesse a parlare.
- Sei ancora convinta di voler rimanere? - le chiese alla fine.
Dubhne sorrise lievemente, pur sapendo quanto delicato fosse l'argomento.
- Sai - esordì. - Ieri avrei voluto ammazzarti. Ma in realtà... avevi ragione a dirmi quelle cose. - Si morse il labbro. Ammettere di essersi comportata con in modo così dissennato le stava costando parecchio. - Tutto quello che ho fatto finora... Sono stata una stupida.
- Puoi cambiare le cose, se lo vuoi.
- È quello che intendo fare - ribatté lei. - Avevo solo bisogno che qualcuno me lo facesse capire.
- Felice di esserti stato d'aiuto - fece Jack con un pizzico di ilarità. Raccolse da terra un grosso involucro di stoffa che finora Dubhne non aveva ancora notato. - L'ho fatta fare per te dopo il nostro primo combattimento, - disse porgendoglielo - ma non avevo ancora trovato l'occasione giusta per dartela. Non puoi combattere in mezzo alla neve con solo quella casacca addosso. Tu... prendila come un'offerta di pace.
Anche con il volto segnato e stanco, Jack le rivolse una strizzatina d'occhi.
Dubhne prese in mano l'involucro, lo depose a terra e lo aprì per svelarne il contenuto.
- Dio, Jack! - si lasciò sfuggire.
Era una divisa da combattimento. Ma non era spaiata e logora come quella che aveva indossato fino a quel momento, no, era la tenuta adatta per un membro dell'esercito. C'erano un gambeson nero, un paio di brache nuove di zecca e una cotta di maglia, più un surcotto su cui era ricamato lo stemma blu e oro dell'Ariador, un paramento in metallo per la spalla con cui reggeva la scimitarra e dei guanti di cuoio senza le dita.
- Ti piace?
- È stupenda - ammise Dubhne stupefatta. - Ma non... non dovevi...
- È il mio modo per dirti quanto tengo a te.
Quelle parole la colsero completamente alla sprovvista. Lo guardò in volto, e dovette ammettere di non riuscire a rimanere del tutto indifferente al suo sguardo limpido, al suo volto così provato ma anche così affascinante.
- Mi stai prendendo in giro? - domandò sperando di non essere arrossita.
Gli occhi del comandante percorsero in silenzio la sua figura, poi lui scosse la testa.
- Ti ho detto che sei un'impudente e una stupida, nella mia tenda, e forse lo sei davvero, ma sei anche... così autentica. Ti ho detto che a nessuno sarebbe importato se tu fossi morta, ma mentivo. Abbiamo bisogno di persone come te, qui.
Si alzò. Per un attimo Dubhne rimase leggermente spiazzata ma forse, dopotutto, era meglio così. Conosceva le remore che potevano sorgere quando una persona si spingeva "troppo in là". Jack era come lei, aveva un codice nel quale, la ragazza lo intuiva, non poteva esistere troppo spazio per i sentimentalismi.
Anche lei riavvolse la divisa nel suo involucro e, a fatica, si alzò reggendola.
- Non farmi pentire di averti dato una seconda possibilità.
Dubhne avvertì un'ondata di sicurezza avvolgerla, rendendola più solida nelle decisioni che aveva preso quel giorno. - Non lo farò.
Senza che se lo aspettasse, Jack si sporse in avanti e per un attimo Dubhne fu sicura che l'uomo l'avrebbe baciata sulle labbra. Un forte rossore avvolse le guance della Combattente mentre, invece, l'uomo le sfiorava la fronte con le sue.
- Potresti essere mia figlia, Dubhne - commentò lui ironico, allontanandosi.
Non aveva rinunciato a schernirla. Meglio così, dopotutto: erano in guerra e, per quanto Jack le piacesse, Dubhne non poteva permettersi di perdere di vista quello che era il vero obiettivo. Presto avrebbero dovuto rimettersi in marcia; non sapeva se verso nord o verso le città ariadoriane a sud, ma doveva mantenersi pronta per combattere di nuovo.
Tutto si sarebbe fatto più difficile ora.





  
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