Storie originali > Romantico
Segui la storia  |       
Autore: dream_more_sleep_less    13/05/2016    2 recensioni
A diciotto anni non si sa mai esattamente cosa si voglia dalla vita, né chi si voglia diventare. Si passa il tempo a porsi domande accompagnate da porte in faccia, e rimaniamo indecisi fino all'ultimo. Leeroy invece è cresciuto con la convinzione di poter diventare esattamente ciò che vuole: un calciatore. Non ha mai voluto altro e non ha mai sognato altro. Gli studi non fanno per lui. La sua presunzione lo porta a distruggere i sogni della squadra del suo liceo proprio alla finale di campionato. Ha deluso soprattutto i compagni che stanno ormai per diplomarsi. Per loro non ci sarà un'altra possibilità, sono arrivati all'ultimo giro di giostra. Alla fine scenderanno da vincitori o da perdenti. Dipenderà tutto da Leeroy, che dovrà riuscire a mettere le redini al suo ego per andare d'accordo con il portiere. Secondo lui, Lance è la vera causa della loro sconfitta.Troppo calmo, troppo sicuro di sé. Ma il loro rapporto dovrà cambiare per permettere ad entrambi e al resto della squadra di guadagnarsi il titolo di campioni. { In corso }
Genere: Commedia, Romantico, Sportivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shonen-ai, Yaoi, Slash
Note: Lemon | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago, Scolastico
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

The last chance
XIX

 

But the film is a saddening bore

'cause I wrote it then times or more

It's about to be writ again

As I ask you to focus on

Sailors fighting in the dance hall

Oh man, look at those cavemen go
 

Anche nel dormiveglia sapeva quelle parole a memoria. Nella sua testa non le ripeteva soltanto, ma era come se stesse recitando una poesia a qualcuno. Forse a se stessa. Il calore delle coperte e quelle note le fecero quasi credere di essere ancora a casa. Per un momento si era aspettata che suo fratello arrivasse a svegliarla togliendole le coperte di dosso. L'odore dei vinili era ancora chiaro e quasi reale nei suoi ricordi; ogni volta che li prendeva in mano rischiava sempre di starnutire.

Ogni domenica mattina suo padre usava una canzone diversa come sveglia. Prima di colazione le raccontava di quando era bambino, di come andava a nuotare nell'oceano, delle giornate grigie dell'Irlanda del Sud e degli elfi. I folletti e le fate non erano sempre buoni, il più delle volte rapivano bambini, rubavano e spaventavano, per questo quelle storie preferiva sentirle di giorno.

Finché non arrivò a sperare di essere rapita da loro.

Si tirò a sedere malvolentieri; doveva ancora finire di studiare per il prossimo esame. Preferiva dare anima e corpo allo studio e dimenticarsi di tutto, così la sera i ricordi non l'avrebbero più spaventata. Staccò la radio sveglia con un'imprecazione. I capelli rossi e mossi avevano quasi vita loro. Cercando di legarli in una crocchia si ripromise che, se avesse passato il prossimo esame con il massimo dei voti, li avrebbe tagliati.

Il cellulare, vicino sopra il suo comodino, vibrò. Sospirò profondamente, non sopportava avere a che fare con le persone appena sveglia. Aveva bisogno di caffè per rimettere i neuroni sull'attenti. Guardò lo schermo, sperando che non fosse quel ragazzo di giurisprudenza che cercava da un mese di portarla fuori. In quel caso sarebbe potuta risultare maleducata, e molto. Il sopracciglio le si inarcò come lesse il nome di Adam sullo schermo. "Sono le sei del mattino, che cazzo vuoi?" chiese.

"Alex, per una volta muovi il culo e vieni a Brighton. Tua madre è in ospedale e Lance non so che abbia," disse Twain senza nemmeno prestare attenzione alle parole della ragazza. Non aveva intenzione di mettersi a sentire le sue scuse campate per aria. Se non fosse venuta, sarebbe andato lui stesso a prenderla per i capelli.

Rimase per un momento interdetta dal tono del ragazzo; non si aspettava quel tipo di chiamata, soprattutto non da lui, ma forse avrebbe dovuto. Si strofinò gli occhi, sapendo già che qualsiasi decisione avesse preso, sarebbe stata quella sbagliata. “D'accordo.”

Questa volta fu il turno di Adam di rimanere di stucco. Non era mai successo che lei gli desse retta. “Ci vediamo domani allora,” disse prima di riagganciare. Non voleva dilungarsi più di tanto; non sarebbe stata una conversazione piacevole. Avrebbero avuto tempo per prendersi a schiaffi e insulti di persona.

Si lasciò cadere sul letto assieme al telefono. Rimase una buona mezz'ora nella semioscurità, fissando il soffitto e canticchiando.

But her friend is nowhere to be seen, now she walks through her sunken dream, to the seat with the clearest view and she's hooked to the silver screen..."

*

Non era ancora sicuro se si trattasse di una buona idea. Forse Jo si sarebbe stancata di Brighton e sarebbe voluta tornare a Londra. Alla fine amava la sua città natale, al contrario di lui. Probabilmente era solo una cosa passeggera, o almeno così sperava. Le donne della sua famiglia erano tutte volubili, nessuno sapeva mai come prenderle. Per questo molte volte si chiedeva per quale assurdo motivo Maurice avesse sposato Amanda e lo stesso valeva per David e sua zia.

“Cosa ti va di mangiare stasera?” domandò sovrappensiero la cugina, mentre metteva nel carrello detergenti per il viso e creme.

Leeroy la guardò perplesso. “Tu non hai mai cucinato, vorrei ricordarti...”

“Cosa ci vorrà mai?! Leggo le ricette su internet,” rispose come se fosse la cosa più normale del mondo mentre si dirigeva verso il reparto delle carni.

A quelle parole il ragazzo capì che sarebbe stato meglio non lasciare Jo e la cucina da soli in alcun caso, o lui sarebbe stato il prossimo ad essere diseredato. Raggiunse la ragazza e l'aiutò a scegliere per la cena di quella sera. Il cellulare gli vibrò in tasca.

Alle 21:30 sono da te.

Rogers si era completamente dimenticato delle ore di studio extra con Lance. Gli scappò un'imprecazione, seguita da un'altra vibrazione del suo iPhone.

E no, non puoi spostarla a domani. I patti sono patti.

Il ragazzo sbirciò l'ora sullo schermo e per poco non morì: erano già le otto e mezza e non avevano ancora finito.

Ok, stasera ceni da me, rispose semplicemente.

"Stasera cucino io, sarà meglio,” disse alla cugina, facendole segno di muoversi.

*

Vide Lance e Adam in lontananza, appoggiati contro l'auto di quest'ultimo. Stavano fumando, anche se faceva freddo. Non avrebbe mai capito i fumatori. Si preparò psicologicamente ai commenti sul suo ritardo. Infatti, tra una cosa e l'altra, erano riusciti ad impiegare più di un'ora per tornare a casa. Il fatto che sua cugina non sapesse fare la spesa l'aveva lasciato leggermente scioccato. Per una volta non si era sentito lui il figlio di papà.

"Leeroy, tutto bene?" chiese Jo, vedendolo un po' agitato. Quella sì che era una bella domanda. Da quando aveva iniziato a preoccuparsi se fosse in ritardo o meno con qualcosa che non fosse la scuola?

“Ora inizierà a rompere le palle,” sbuffò, parlando del compagno di squadra, sul vialetto davanti al cancello.

"Ma siete amici?"

Altra bella domanda. Interessante, pensò, davvero. “No, mi da solo lezioni extra.”

Lo guardò per un attimo, interdetta. Quando l'altro giorno vi ho visti mi avete dato un'altra impressione.”

Leeroy le lanciò un'occhiata sconcertata, non capendo cosa intendesse.

“Lascia perdere,” sbuffò lei, facendogli segno di muoversi. Stava morendo di fame.

Rogers scese dall'auto per andare ad aprire il cancello; sua madre se n'era andata portandosi via il telecomando e quindi era costretto ora a farlo ogni volta manualmente. Non lo entusiasmava l'idea di parlare con il fratello di Abigail. Seppur non conoscendolo bene, giravano voci su di lui e e su i suoi vizi ed abitudini.

“Scusa il ritardo, abbiamo trovato traffico.”

Stark buttò la sigaretta per terra, facendo segno che non c'era problema. “Siamo arrivati da poco, ho ritardato anche io per via del lavoro.”

Mentre Leeroy andava ad aprire il cancello, sentì Adam dire qualcosa per poi scoppiare a ridere come un'idiota.

“Certo che sei un cretino,” disse Lance al collega. In quel momento lo avrebbe preso volentieri a schiaffi.

“Qualche problema?” chiese il difensore. Twain iniziava ad infastidirlo.

“No, no. Lance mi ha solo raccontato di come sei caduto l'altra volta per aprire il cancello,” rispose questi, ridendo in direzione di Stark. Non gli interessava se si fosse arrabbiato; voleva solo vedere la reazione di Rogers. Il quale inarcò un sopracciglio, infastidito. Stava per rispondere quando Lance lo interruppe. “Adam, non dovresti andare da Abigail? Stasera hai ospiti a cena.”

Twain smise subito di ridere e guardò pietrificato l'amico. “il porcospino è di nuovo da me?”

“Sì, mi ha detto oggi che tua sorella l'ha invitato a cena. È meglio se vai.”

Il più grande lanciò uno sguardo di odio profondo all'amico. “Ma perché non lo persuadi dal venire a casa mia?” domandò senza aspettarsi una vera e propria risposta. Non poteva impedire al ragazzo di incontrare la sorella.

“Io vorrei mangiare, e se per voi non è un dispiacere, vorrei entrare in casa,” disse Jo con tono infastidito, fulminando con lo sguardo i due estranei.

“E io dovrei studiare.”

“Va bene, va bene. Lance, chiamami quando hai finito. Vado a rompere le palle a Miles, te lo saluto?”

Stark gli lanciò uno sguardo che, tradotto, significava: “Levati dalle palle.”

*

Nell'ultimo mese aveva già mangiato più di una volta a casa Rogers, ma fino a quel momento il proprietario non aveva mai cucinato. Era troppo strano vederlo intorno ai fornelli. Faceva tutto senza seguire alcuna ricetta, andando a istinto e aggiustando il sapore del sugo ogni tanto. Stava preparando della pasta e poi aveva messo la friggitrice a riscaldare per fare le patatine fritte come secondo. Si rese conto che stava morendo di fame. Dopo scuola era corso subito a lavoro e non aveva mangiato niente. La sua attenzione venne catturata dalla ragazza che stava seduta sul divano nell'altra stanza. Si chiese per quanto sarebbe rimasta lì e cosa ci facesse. Quando era arrivata non aveva capito cosa fosse successo.

"Se hai sete prendi quello che vuoi, per mangiare ci vuole ancora un quarto d'ora,” disse Leeroy, andando ad aprire gli sportelli della cucina per tirare fuori i piatti.

Lance si prese una coca cola dal frigo, e rimase stupito dal vedere che non ci fosse più una cassetta intera di Red Bull nello scompartimento in basso.

"Hai ripassato?" domandò, aprendo la lattina.

"Sì, se vuoi posso farti il punto della situazione,” propose il terzino mentre apparecchiava.

“È già un inizio. Non farmi pentire delle mie scelte,” disse con tono stanco. Più che una coca cola, gli sarebbe servito un caffè. La stanchezza iniziò a farsi sentire, si sarebbe potuto addormentare sullo sgabello dell'isola della cucina. Aveva anche bisogno di una sigaretta.

“Esco un momento a fumare.”

“Aspetta, vengo con te.” Poi si rivolse a Jo. “Appena bolle, butta la pasta e lasciala cuocere al dente. Se è scotta te la mangi te.”

"Sissignore,” rispose infastidita, alzandosi di malavoglia dal divano e andando a sostituire il cugino ai fornelli.

Fuori l'aria era fredda e Leeroy respirò a pieni polmoni. Nella veranda c'era un tavolino in ferro battuto nero con un posacenere e delle sedie, dove si sedettero.

“Credevo non fumasse nessuno da te,” commentò Lance, vedendo l'oggetto.

“In realtà mia madre fuma ogni tanto quando è sotto stress per il lavoro,” replicò, sbadigliando. Si sentiva anche lui stanco. Non aveva lavorato, ma con Jo aveva avuto il suo da fare. Appoggiò un gomito sul tavolo per nasconderci il viso, mentre Stark accendeva la sigaretta.

“Stanco?” domandò il portiere, guardandolo di sbieco. Leeroy si limitò a fare segno di sì con la testa. “Dai, fammi il punto della situazione, se dormi sono venuto per niente.”

Rogers iniziò a raccontare tutto da quella posizione, tra uno sbadiglio e l'altro. Stark non potè lamentarsi: sembrava che avesse capito i concetti più importanti e, malgrado avesse ancora qualche punto debole, sembrava pronto.

“La cena è pronta!” disse Jo dalla finestra; non ci pensava nemmeno ad uscire. “Fa un freddo cane, venite in casa!”

 

Dopo cena, Leeroy buttò tutto nell'acquaio. Avrebbe sistemato tutto il giorno seguente, era troppo stanco anche per mettere tutto in lavastoviglie.

Lance lo guardava di sottecchi mentre il terzino apriva i libri e il quaderno con gli appunti sul tavolo. Si chiese se Lee si fosse accorto delle sue intenzioni l'altra volta. Non aveva notato nulla di strano nei suoi modi, non gli sembrava nemmeno in imbarazzo. Possibile che fosse così ingenuo? Guardò l'orologio alla parete. Le dieci e mezza. Sarebbe già dovuto essere a casa.

“Vuoi un caffè?” domandò il padrone di casa.

“Sì, ma ora continua a ripetermi da dove eri rimasto.”

Ormai le cose le sapeva, si sarebbero dovuti rivedere giusto il giorno prima dell'esame per un ripasso generale e poi sarebbe stato pronto. Dopo aver preso il caffè, continuarono ancora per un'ora buona, finché Lance non disse che per lui era il momento di tornare a casa.

“Chiamo Adam per un passaggio,” disse, tirando fuori il vecchio cellulare dalla tasca.

“No, ti porto io, non stare a rompergli le scatole. E poi era nei patti,” esordì l'altro con un tono stanco ma che non ammetteva repliche, mentre si alzava per riversarsi quello che restava del caffè freddo nella macchinetta. Lo avrebbe riaccompagnato a casa a prescindere dagli accordi; era suo ospite dopo tutto. Lance non replicò, probabilmente era troppo stanco anche solo per aprir bocca.

“Vado a vedere cosa sta facendo mia cugina, torno subito.”

Stark intanto aveva appoggiato la testa sulle braccia sul tavolo. Voleva solo riposare gli occhi per un po'. Il caffè aveva aiutato a malapena per un'ora. Annuì.

Jo stava dormendo in camera sua. Non provò a svegliarla, domani sarebbe dovuta andare a scuola con lui. Era meglio che uno dei due fosse abbastanza riposato per svegliare entrambi la mattina dopo. Chiuse la porta e tornò in cucina. Lance si era addormentato nella posizione in cui lo aveva lasciato. Fantastico, pensò. Non poteva di certo biasimarlo, con la vita che faceva era normale. Si sedette dalla parte opposta alla sua, osservandolo. Si chiese come faceva ad andare avanti così. Non sapeva molto di lui, ma quello che sapeva gli bastava per capire che non era facile. Mantenere una famiglia, anche se composta da due persone, a soli diciotto anni, non doveva essere di certo uno spasso. Con l'altro lavoro che faceva, però, doveva riuscire a guadagnare abbastanza da non avere problemi. Cosa sarebbe successo se quella notte che era scappato lo avesse consegnato alla polizia? Forse non sarebbe lì a dargli lezioni di letteratura. Non avrebbe potuto tradirlo e non lo avrebbe fatto. Quello che faceva erano affari suoi, poteva far finta di non sapere. Non si sarebbe stupito affatto se il suo aggancio per poter fare quello che faceva era Adam. Probabilmente era lui.

Si strofinò gli occhi per la stanchezza, cercando di scrollarsi. Era ora di andare, anche lui voleva il suo letto. Sapeva già che sarebbe arrivato tardi a scuola l'indomani.

"Ci vuoi andare a casa? O vuoi dormire qua di nuovo?" domandò Leero, alzando la voce e scuotendo una spalla del compagno di squadra.

Questi tirò su la testa a fatica, cercando di mettere a fuoco la persona davanti a lui. Si era davvero addormentato. “No, poi mi risbavi addosso come un cane.”

Rogers alzò gli occhi al cielo. "E io che mi aspettavo un po' di gratitudine. Alza il culo, ti porto a casa.”

Stark obbedì senza ribattere. Era davvero stanco.

 

Quando si fermò davanti a casa del portiere, Leeroy pensò che si fosse di nuovo addormentato contro il finestrino, ma si ricredette quando lo vide alzare la testa e rivolgere lo sguardo verso il suo. "Mmmh grazie."

“È il minimo."

“Domani non fare tardi o senti Miles come rompe le palle.”

“Lo so, lo so.”

Lance rimane per un momento a fissarlo come se si fosse imbambolato.

“Mi sa che è meglio se vai, o ti devo accompagnare?” domandò il terzino insicuro.

Il portiere si riscosse, dandosi mentalmente del coglione, e ridacchiò tra sé e sé. "No, no, ce la faccio. Grazie.”

Leeroy aspettò che scendesse dall'auto e che fosse dentro casa prima di ripartire, dopo un cenno di saluto con la mano. Non vedeva l'ora di essere nuovamente a casa sua, nel suo letto. Sapeva già che avrebbe dormito poche ore. Con la mente non del tutto lucida ripensò alla giornata e ad Adam. Vederlo l'aveva leggermente irritato. Soprattutto il suo commento lo aveva innervosito. Come poteva Abigail avere un fratello del genere? Era quel tipo di persona che ti stava sulle scatole a pelle e che aveva un vaffanculo al mondo scritto in faccia. Anche lui lo aveva, ma per quanto riguardava il calcio, non la vita. Si chiese se anche lui fosse come lui nei suoi momenti peggiori. Sperò di no.

Un po' gli era dispiaciuto mandare a casa Lance quando sua cugina era comparsa come un fantasma all'entrata di casa sua. Si era sentito veramente un coglione, senza sapere cosa dover fare. Poi lo sguardo di Lance era stato strano, come quello di pochi attimi fa in auto.

*

Non avrebbe provato nemmeno a guardare se sua madre fosse in casa, non gli interessava in quel momento. Si sarebbe lavato e poi buttato subito a letto. Gli venne quasi da ridere quando i suoi propositi per la serata andarono a puttane, come sempre d'altronde nella sua vita, quando la trovò svenuta in cucina, in una pozza di vomito. Il panico e l'agitazione ormai non li sentiva più da un anno. Sapeva già com'era la prassi. Prenderla, buttarla nella doccia, svegliarla, rivestirla e metterla a letto. Quella routine non gli piaceva, ma sapeva conviverci. Peccato che poi arriva sempre la volta in cui la routine si spezza.

Sua madre non sembrava rispondere e nemmeno emettere alcun suono. Il panico non arrivava ancora, ma doveva essere prima sicuro di cosa le fosse successo. La tirò su e dalle mani di lei scivolarono delle pasticche. Imprecò a gran voce. Fece subito il numero del pronto soccorso. Come diavolo era possibile che una madre doveva essere una croce simile per il figlio? Come diavolo era possibile che fosse da solo ad affrontare tutto? Senza pensarci fece il numero di Adam.

“Ho chiamato l'ambulanza. Credo sia andata in overdose.”

Per un attimo non provenne alcun suono dall'altro capo del telefono. Udì solo un'imprecazione. “Vado in ospedale, ti aspetto lì.”

“Va bene.”

“Stai calmo.”



Adam guardò l'orologio del telefono, maledicendo tutti i santi e cercando di respirare profondamente. Prese le chiavi dell'auto e uscì di casa. Per fortuna Miles era andato via già da un'ora. Non aveva voglia di spiegargli perché il suo migliore amico preferiva chiamare lui per quel tipo di emergenze. L'unica persona che sarebbe dovuta essere lì al momento era a Liverpool e l'istinto di prenderla per i capelli era forte. Come poteva essere stata così stronza? C'è un limite a tutto. Non l'avrebbe chiamata, doveva prima vedere com'era la situazione. Forse il giorno dopo.

   
 
Leggi le 2 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Romantico / Vai alla pagina dell'autore: dream_more_sleep_less