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Autore: effe_95    14/05/2016    5 recensioni
Questa è la storia di diciannove ragazzi, i ragazzi della 5 A.
Questa è la storia di diciannove ragazzi e del loro ultimo anno di liceo, del loro affacciarsi a quello che verrà dopo, alla vita. Questa è la storia di Ivan con i suoi tatuaggi , è la storia di Giasone con le sue stelle da contare, è la storia di Italia con se stessa da trovare. E' la storia di Catena e dei fantasmi da affrontare, è la storia di Oscar con mani invisibili da afferrare. E' la storia di Fiorenza e della sua verità, è la storia di Telemaco alla ricerca di un perché, è la storia di Igor e dei suoi silenzi, è la storia di Cristiano e della sua violenza. E' la storia di Zoe, la storia di Zosimo e della sua magia, è la storia di Enea e della sua Roma da costruire. E' la storia di Sonia con la sua indifferenza, è la storia di Romeo, che non ama Giulietta. E' la storia di Aleksej, che non è perfetto, la storia di Miki che non sa ancora vedere, è la storia di Gabriele, la storia di Lisandro, è la storia di Beatrice che deve ancora imparare a conoscersi.
Genere: Generale, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago, Scolastico
Capitoli:
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I ragazzi della 5 A
 
41. Bagno, Correre e Finestra.


Febbraio

Beatrice doveva proprio andare in bagno.
Era l’ultima ora di un freddissimo lunedì di metà febbraio, fuori nevicava, nell’aula si congelava e la sua vescica non la smetteva di fare i capricci, lanciò un’occhiataccia ad Enea, che se ne stava stravaccato sulla sedia con lo sguardo perso sulla pagina ancora immacolata del quaderno di greco. Era solo colpa sua se durante la ricreazione non era riuscita a raggiungere il bagno, non aveva fatto altro che trattenerla per ripetere matematica in vista dell’interrogazione della quarta ora.
E quel disgraziato si era anche permesso di prendere quattro!
Incrociò le braccia al petto piuttosto imbronciata, non voleva perdersi la spiegazione del professor Riva sull’Argonautica di Apollonio Rodio, ma non avrebbe resistito ancora per molto, si morse il labbro inferiore e alzò la mano per attirare l’attenzione del docente.
<< Dunque, potremmo considerare l’opera … Beatrice, vuoi aggiungere qualcosa? >>
Beatrice si sentì avvampare nell’osservare la luce piena d’entusiasmo negli occhi del professore, non l’aveva mai deluso prima d’ora, era diventata una delle sue migliori allieve.
Sarebbe stato un colpo duro per lui.
<< Veramente avrei … avrei bisogno di andare al bagno >>
Mormorò con una certa difficoltà mordendosi nuovamente il labbro inferiore, metà dei suoi compagni di classe, quelli che stavano ascoltando la lezione, si voltarono a guardarla, lo stesso Enea sollevò un sopracciglio leggermente sorpreso.
<< Oh, certo, va pure >> Si alzò facendo strisciare la sedia sul pavimento e si avviò alla porta con passo svelto, rischiando di inciampare nella cartella di qualcuno durante il percorso, aveva appena raggiunto la porta quando sentì qualcosa che la fece raggelare.
<< Professore, vorrei fare io un’osservazione sull’opera >>
Quella era la voce di Cristiano.
Com’era possibile che Cristiano facesse una qualche osservazione su qualcosa?
Per non parlare del fatto che stava seguendo la lezione!
Aprendo la porta notò come il volto del professore si fosse illuminato di piacere, scosse frettolosamente la testa e si ritrovò nel corridoio deserto, non poteva cadere in disgrazia con il professore in quel modo, una volta rientrata in classe avrebbe fatto uno dei suoi interventi brillanti e opportuni.
Quando raggiunse il bagno fu immediatamente investita dall’odore acre del fumo di sigaretta, sbuffò spazientita e si affrettò ad aprire tutte le finestre.
Entrò silenziosamente in uno dei bagni, non erano per nulla igienici, ma almeno avevano la carta igienica e il sapone per lavarsi le mani.
Aveva giusto terminato e stava per chiudersi i pantaloni quando sentì entrare qualcuno, due voci di ragazze squillanti e allegre chiacchieravano facendo parecchio chiasso. Probabilmente le avrebbe del tutto ignorate se non avesse sentito quelle parole.
<< Si è fidanzato >> Disse una delle due con voce delusa, Beatrice immaginò che avesse mosso teatralmente un braccio, perché sentì tintinnare moltissimi braccialetti.
<< Davvero? E con chi?! >> La replica dell’altra ragazza fu carica di stupore, aveva una voce nasale piuttosto fastidiosa ed acuta, come quella di un’oca giuliva.
<< Con una sua compagna di classe … quella … come si chiama? Qualcosa tipo Ginevra, Didone? >> Beatrice contrasse leggermente le sopracciglia, finì di abbottonarsi i jeans e rimase in assoluto silenzio, aveva una sensazione piuttosto brutta su quella conversazione.
<< Non era Beatrice? >> Domandò la tipa dalla voce nasale.
<< Si, esatto! >> Replicò quella dei braccialetti facendo schioccare teatralmente le dita.
Beatrice contrasse ancora di più le sopracciglia e una strana stretta le afferrò lo stomaco, voleva tornare in classe a tutti i costi, non poteva restare rinchiusa in quel bagno per troppo tempo, ma non poteva nemmeno uscire in alcun modo con quelle due lì fuori.
Anche se parlavano di lei sarebbe passata per una spiona.
<< Ma che peccato! Che se ne fa di una come quella? >>
La domanda della sconosciuta con il tono nasale la riportò al presente.
<< Ma che ne so! E’ magra come una scopa e non ha tette! >>
Beatrice si coprì il petto indignata, le era sempre piaciuta la sua terza scarsa.
<< Per non parlare di quei baffi che si vedono a chilometri di distanza! >>
Spalancò gli occhi e si portò una mano sulle labbra, erano davvero così visibili?
<< E vogliamo parlare dei suoi capelli? Sembra che un procione vi abbia fatto il nido >>
Beatrice passò a toccare i boccoli ricci e definiti che le incorniciavano il viso, nessuno le aveva mai detto che sembravano tanto scombinati.
Scosse freneticamente la testa, non riusciva a credere che si stesse lasciando condizionare dai commenti di due ragazze solamente invidiose, non poteva avere tutti quei difetti, se fosse stato davvero così Enea non avrebbe avuto modo di trovarla bella o di stare con lei.
<< Dici che se ci provo Enea ci viene di nuovo con me? >>
La domanda della tipa con la voce nasale le fece spalancare talmente tanto la bocca che rischiò di slogarsi la mascella e farsi parecchio male.
<< Nah, l’altro ieri ci ho provato, ma sai cosa mi ha risposto quel disgraziato? >>
<< Cosa? Cosa? >>
<< “ Mi dispiace, ma lo faccio solo con la persona che mi piace” >>
<< E si riferita a quella befana!? >>
<< E a chi sennò?! Hai capito come … >>
Le voci andarono pian piano scemando, una parte del cervello di Beatrice si rese conto del fatto che le due oche giulive se ne fossero andate, che era rinchiusa in quel bagno da più ci cinque minuti e doveva tornare in classe il prima possibile, ma era ancora concentrata su alcune parole che le avevano mandato in tilt il cervello.
Primo, Enea era andato a letto con entrambe chissà quando e dove.
Secondo, aveva detto quella frase bellissima che le aveva fatto tremare il cuore.
Non sapeva se infuriarsi a morte o baciarlo fino a smettere di respirare.
Scosse frettolosamente la testa, si schiaffeggiò più volte le guance, uscì dal bagno, lavò le mani in tutta fretta e le asciugò sui jeans mentre correva verso la classe.
Quando rientrò, solo pochi sguardi si concentrarono su di lei, il professore stava leggendo qualcosa in greco e non sembrava essersi nemmeno reso conto della sua assenza prolungata.
Sgattaiolò fino al suo posto e si lasciò cadere con un sospiro di sollievo.
<< Ehi, perché ci hai messo tutto questo tempo? Dovevi fare cacca? >>
Ci mancò poco le venisse un colpo quando sentì quelle parole e si ritrovò il viso di Enea particolarmente vicino al suo, la guardava con un’espressione talmente seria da farla arrossire fino alla punta dei capelli.
<< Ma che dici?! Ti sembra il caso? >>
Sbottò indignata cacciandolo malamente con una spinta, Enea sospirò teatralmente e si lasciò cadere nuovamente sulla sedia, fissò per un istante l’orologio vecchio e logoro appeso alla parete, e sospirò nuovamente quando si rese conto che mancavano ancora venti minuti.
<< Che male c’è? Cosa, tu sei diversa? Non la fai per caso? >>
<< Smettila subito! >> Lo rimbeccò Beatrice colpendolo sul braccio con un quaderno.
<< Ahi >> Replicò Enea con tono monotono sbadigliando sfacciatamente, lei gli fece una linguaccia, incrociò le braccia al petto e portò lo sguardo sul professore, ma molto presto si rese conto di non riuscire a mantenere la concentrazione in alcun modo.
Aveva la testa piena di domande e non riusciva a smettere di pensare alle due oche.
<< Enea … >> Lo richiamò qualche minuto dopo, continuando a tenere lo sguardo puntato sulla cattedra, le risultava molto più semplice parlare in quel modo.
<< Uhm? >> Beatrice sospirò pesantemente ed Enea si fece più attento, assumendo una posizione che facesse quanto meno capire che la stava ascoltando.
<< Ho … ho i baffi? >>
Ci mancò davvero poco Enea caracollasse dalla sedia, fece un movimento talmente brusco che il quaderno di greco scivolò dal banco schiantandosi sul pavimento, Lisandro sobbalzò svegliandosi dallo stato di dormiveglia in cui era caduto e Igor, seduto proprio davanti a lui, produsse un singulto molto poco maschile.
<< Che cavolo di domande mi fai? Ti sembra che io possa uscire con qualcuno che ha i baffi? Guarda che non sono un così bravo ragazzo! Non mi sono innamorato certo di uno scimpanzé ! >> Sbottò guardandola con aria scioccata, come se l’avesse appena offeso nel suo essere uomo, Beatrice non riuscì a trattenere una risata quando lo vide con quella posa da diva scandalizzata.
<< E secondo te … ho le tette piccole? >>
Enea sollevò moltissimo un sopracciglio, incrociò le braccia al petto e finalmente le dedicò tutta la sua piena attenzione, girando il busto completamente nella sua direzione.
<< Questo non lo so, non le ho viste >> Replicò con una naturalezza sconcertante.
Beatrice pensò di essere andata completamente a fuoco, scostò lo sguardo e lasciò che i capelli cadessero fino a coprirle il viso arrossato e accaldato.
Perché gli aveva fatto proprio quella domanda?
<< Ohi Bea, ma che ti prende? >> Domandò lui scuotendola leggermente per un braccio, Beatrice gli schiaffeggiò la mano e scosse freneticamente le spalle in un gesto di noncuranza.
<< Niente, sono solo stupidaggini … >> Lo liquidò in fretta, Enea produsse uno sbuffo piuttosto comunicativo con la bocca e tornò a mostrare il suo scarso interesse per il professore << Enea … >> Lo richiamò lei dopo alcuni minuti di silenzio.
<< Cosa vuoi? >> Beatrice rintracciò una nota di esasperazione nella voce del fidanzato.
<< Questo vuol dire che faresti l’amore con me? >>
Enea non ebbe la reazione che lei si sarebbe aspettata, non si girò nemmeno a guardarla, rimase seduto composto con lo sguardo puntato sulla cattedra, facendo roteare con maestria la penna tra le dita lunga e affusolate. Porgendogli quella domanda, Beatrice si rese finalmente conto di cosa l’aveva preoccupata per tutto quel tempo, la necessità di scoprire se Enea la trovasse attraente anche da quel punto di vista, anche se era magra, non aveva seno, i capelli erano crespi, non amava truccarsi più del necessario e odiava i vestiti firmati.
<< La tua è una proposta? >>
<< No! >>
<< Peccato … mi sarebbe piaciuto proprio rispondere alla tua domanda sulle tette >>
Beatrice afferrò nuovamente il quaderno e prese a colpirlo ripetute volte, ingaggiando una battaglia scherzosa con lui, Enea rideva soffusamente per non farsi sentire dal professore, lei doveva fingere di essere profondamente arrabbiata, ma mentre lui non la guardava, non poteva evitare di sorridere.
Dopotutto, la sua risposta l’aveva avuta.
 
Oscar si sentiva particolarmente ridicolo.
Starsene rinchiuso in quel bagno sudicio con il pavimento macchiato d’acqua sporca, le impronte delle scarpe ovunque e le cicche di sigaretta che galleggiavano nella tazza del water, non aveva fatto altro che aumentare il senso di ridicolo che provava per se stesso.
Era scappato dalla lezione di teatro come un codardo.
Si era sforzato, ci aveva provato, aveva ripetuto a se stesso di essere stato uno stupido a reagire in quel modo quando aveva ricevuto la notizia di dover recitare nel ruolo di Tancredi, aveva anche parlato con Alessandro Romano per scusarsi, ma quando aveva stretto il copione tra le dita, queste avevano cominciato a tremare senza freno.
Era scappato.
Avrebbe voluto prendersi a schiaffi, sbattere la testa contro le mattonelle imbrattate di stupide scritte fino ad aprirsi il cranio in due e svuotarlo di tutti quei ricordi fastidiosi, dei sentimenti, delle paure.
Si sentiva stupido, ridicolo e patetico.
Avrebbe voluto uscire da se stesso, dimenticare perché aveva provato tutta quella paura quando il personaggio di Tancredi gli aveva sbattuto in faccia la verità che non voleva sentire, che non aveva voluto sentire mai da quando Giulia era morta.
Quei sensi di colpa che continuavano a tormentarlo, i ricordi che continuavano ad esasperarlo, i sentimenti che continuavano ad agitarlo.
Si portò le dita alle tempie e premette con tutta la forza che aveva, tirando la pelle e facendo diventare bianchi i polpastrelli, mollò un calcio al gabinetto sporcando la porcellana bianca di nero e si piegò sulle ginocchia battendo la testa sulla porta.
Avrebbe respirato profondamente, ripreso il controllo di se stesso e sarebbe uscito da quel bagno, era più o meno quella la cantilena che continuava a ripetersi da circa venti minuti.
Ma da quel bagno ancora non era uscito.
<< Maledizione! Maledizione, alzati stupido! Muovi queste gambe ed esci da qui dentro! >>
Mormorò a denti stretti ferendosi il labbro fino a sanguinare e picchiando furiosamente i pugni sulle gambe, indifferenti ed indolenzite da tutti i pizzichi che si era già dato.
Un attacco d’ansia come quello non lo aveva dal giorno del funerale di Giulia, da quando si era rinchiuso nel bagno di casa sua e non era riuscito a muoversi fino a quando non gli avevano detto che la funzione era terminata.
Oscar si rese conto solo in quel momento che probabilmente il problema era proprio lì.
Lui non aveva fatto altro che scappare.
Aveva continuato a correre in avanti inseguito da una paura che non aveva mai guardato negli occhi, aveva continuato a correre senza mai smettere, aveva continuato a farlo anche quando Catena era comparsa con la mano tesa per fermarlo.
Lui si era limitato ad afferrarla e a continuare quella folle corsa trascinandola con lui.
Solo che era arrivato al capolinea, le gambe aveva smesso di funzionare, il respiro era finito del tutto, le ginocchia avevano ceduto e Catena … Catena …
<< Oscar! Ehi, Oscar, va tutto bene? >>
Trasalì quando la voce di Ivan entrò nel suo campo uditivo, si portò una mano sul petto e strinse forte il tessuto pesante del maglione, trasse un respiro profondo e passò il dorso della mano libera sulla fronte madida di sudore.
<< Ohi Oscar! … Va’ a chiamare il professore Ivan, forse sta mal… >>
<< No! >>
Oscar interruppe la voce concitata di Giasone prima che la situazione potesse sfuggirgli ancora di più dalle mani, l’ultima cosa che voleva era essere visto in quelle condizioni pietose dai suoi compagni di teatro.
Stese le gambe e si appoggiò con la schiena sulle mattonelle fredde, aveva tutte le dita sudate e tremanti, ma doveva uscire da quel bagno a tutti i costi.
<< E’ stato solo un capogiro, adesso esco. Credo di essermi preso l’influenza, io … >>
<< Smettila >> Si bloccò con la mano sul pomello quando sentì quella parola uscire dalla bocca di Ivan con una certa severità << Non ti rimprovererò nulla Oscar, non mi sento proprio nelle condizioni di fare una cosa del genere, ma una cosa posso dirtela >> Oscar lasciò cadere nuovamente la mano nel vuoto e rimase in attesa di quelle parole che già sapeva l’avrebbero colpito più forte di uno schiaffo << Non uscire dal quel bagno finché non starai bene, finché non avrai nascosto tutto, perché davvero … Catena non si merita questo, non se lo merita proprio >>.
Fu molto peggio dello schiaffo che si aspettava, fu come un pugno proprio in mezzo agli occhi, il dolore era talmente forte da non riuscire nemmeno a respirare.
Non trovò le parole giuste per replicare nulla, così rimase in silenzio a boccheggiare, ancora chiuso in quel bagno fatiscente con la puzza dello scarico che gli pizzicava le narici.
<< Ivan ha ragione idiota! Sei abbastanza grande per capire da te stesso che tutti quei sensi di colpa, quelle paure, quelle lacrime … non sono altro che il frutto di un’esperienza andata male. Dopotutto non è così che funziona? >> Sbottò Giasone con voce annoiata << Una lunga seria di esperienze andate bene e andate male, un’infinità di persone che incroceranno il tuo stesso cammino solo per pochi istanti … tu sei arrabbiato, vero? >>.
Oscar sobbalzò leggermente e trattenne il respiro per qualche secondo.
<< Sei arrabbiato perché la persona con cui vorresti prendertela non è più qui, perché ti ha lasciato indietro prima che tu potessi darci un taglio, giusto? >>
Quando Giasone smise di parlare cadde un silenzio che sembrò durare ore, un silenzio fatto dei respiri affannosi di Oscar, respiri che andarono mano a mano calmandosi fino a trasformarsi in un sorriso ironico carico di tristezza e rammarico.
<< Non sai quanto >> Confessò.
<< Ascolta Oscar, il professore ha detto che non devi tornare per forza … ha detto che Tancredi lo puoi capire anche così … >>
Le ultime parole pronunciate da Ivan prima che lui e Giasone lo lasciassero solo, aleggiarono per un po’ nell’aria, ma Oscar le sentì solo parzialmente.
Si lasciò andare e scivolò a terra nascondendo la faccia tra le ginocchia.
Non seppe dire quanto tempo rimase chiuso in quel bagno, sapeva solo che quelle parole avrebbe voluto dirle fin dall’inizio, ma non ne aveva mai avuto il coraggio.
A Catena non riusciva proprio a spiegarlo.
<< Oscar … sono le sei passate, andiamo a casa? >>
Non si sorprese nemmeno troppo quando sentì la voce tenue di Catena, che se ne stava proprio dall’altro lato della porta, con una mano poggiata sul legno imbrattato e una pazienza infinita nel cuore.
<< Catena … mi dispiace da morire, mi dispiace davvero tanto, io … >>
<< Oscar, va bene anche così, adesso dammi la mano e andiamo a casa, vuoi? >>
Dammi la mano …
E Catena non aveva mai smesso di stringergliela quella mano, anche quando interrotta quella corsa pericolosa aveva rischiato di morire, di cadere e non rialzarsi mai più.
Avevano cominciato così a camminare.
Oscar fece scattare la serratura e spalancò la porta.
 
Lisandro detestava la sua pigrizia.
La detestava perché spesso gli faceva fare cose stupide, molto stupide, come correre scalzo sulle mattonelle macchiate di bianco del cortile per recuperare gli appunti di filosofia che erano volati fuori dalla finestra …
La finestra.
Era stata proprio la finestra la causa di tutto a ripensarci.
L’aveva lasciata aperta tutto il pomeriggio perché non aveva voglia di alzarsi dal letto per chiuderla, nonostante lasciasse entrare un freddo gelido nella camera.
Lisandro voleva semplicemente restare al caldo e fare i compiti di matematica in santa pace ben nascosto sotto il piumone, ma il karma l’aveva punito.
Una folata di vento troppo forte si era trascinata dietro tutti i suoi appunti di filosofia, gli appunti di Beatrice che aveva ricopiato con tanta fatica e che gli sarebbero serviti per la prova d’esame del giorno successivo.
Aveva imprecato in più lingue ed era saltato già dal letto senza né calzini né ciabatte, in pigiama, e aveva fatto tutte le scale del palazzo fino a ritrovarsi al centro del cortile deserto, scuro e gelido per raccogliere il suo quaderno mezzo incastrato in un cespuglio tutto spruzzato di neve.
Si era reso conto delle condizioni in cui si trovava solamente quando i piedi avevano cominciato a fare talmente male che gli sarebbero sicuramente venuti i geloni.
Lisandro imprecò mordendosi la lingua e saltellò con passo claudicante fino alla porticina sul retro, da cui era uscito correndo solo pochi minuti prima.
Quando i piedi violacei toccarono il pavimento altrettanto gelido del palazzo, ma comunque dalla temperatura più temperata, tirò un sospiro di sollievo, sistemò il quaderno arrotolato tra le ginocchia, appoggiò una spalla sul muro e cominciò a fare il risvolto alla base tutta bagnata del pigiama grigio un po’ consumato, doveva sembrare un matto con quei capelli tirati indietro dal vento, gli appunti tenuti in quel modo precario e quei piedi indecenti.
Sospirò pesantemente quando ebbe terminato l’operazione e riprese il quaderno tra le mani,  aveva appena messo un piede sul primo scalino quando sentì il piccolo portoncino aprirsi con uno schianto rumorosissimo.
<< Cosa ci fa un Hobbit sulle scale?! >>
Lisandro trasalì e voltò la testa di scatto, aveva ancora una gamba sollevata a mezz’aria e la mano libera appoggiata al corrimano di legno scorticato delle scale.
Ad urlare in quel modo era stata una ragazza, una ragazza che indossava un paio di calzamaglie a strisce gialle e nere, dei pantaloncini di jeans stracciati, un paio di stivali marroni tutti slacciati, un pesante giubbotto sbottonato che lasciava intravedere un maglione fucsia, attorno al collo una sciarpa a pois bianca e nera e un cappello con il pon-pon infilato di traverso su dei capelli castani dal taglio asimmetrico.
Era ricoperta di neve e aveva il dito puntato proprio contro di lui.
Le guance spigolose erano arrossate dal freddo, così come il naso all’insù, i grandi occhi scuri, spalancati più di quanto fosse necessario, lo scrutavano attentamente e le labbra screpolate erano spalancate in una piccola “o” di sorpresa.
Si guardarono per un momento restando nel silenzio più assoluto, entrambi in quella posa particolarmente ridicola, fino a quando la sconosciuta non scoppiò a ridere sguaiatamente.
Lisandro sciolse finalmente la posa rigida che aveva assunto e sospirò profondamente.
<< Cosa ci fai fuori a quest’ora Sara? >>
 Sara era la sua vicina di casa da quando ne aveva memoria.
Avevano solo un anno di differenza, lei frequentava il liceo artistico nella città vicina ed era strana, era stata strana fin dalla prima volta che le loro madri li avevano costretti a giocare insieme e Lisandro aveva dovuto interpretare la parte della principessa.
Sara aveva fatto il principe, un principe che indossava una scodella in testa come elmo, brandiva un mattarello come spada, un lenzuolo decisamente troppo lungo come mantello e urlava a squarciagola per tutta la casa.
Lisandro aveva sempre cercato di scappare da lei, ma ci era riuscito raramente.
Ricordava ancora con orrore tutto il tempo trascorso insieme, quei pomeriggi infiniti a cui non aveva potuto sottrarsi un po’ per educazione eccessiva, un po’ per sottomissione.
Sara aveva sempre avuto un carattere forte, dominante, e la prova stava nel fatto che qualsiasi gioco facessero, a Lisandro toccava sempre la parte della donna.
<< E uno conciato in quel modo crede di avere il diritto di pormi una domanda del genere eh? Hai proprio un bel coraggio sai?! >>
Sbottò Sara facendo un balzo un po’ troppo energico verso di lui, Lisandro sollevò le mani  per difendersi e il quaderno gli scappò dalla stretta, atterrando su uno dei gradini e aprendosi su una pagina a caso completamente ricoperta da una calligrafia piccola e precisa.
Lisandro sospirò teatralmente e con pazienza si chinò a raccogliere gli appunti, ma Sara fu più veloce di lui, gli sfilò l’oggetto da sotto le dita e lo scrutò con le sopracciglia aggrottate, probabilmente senza nemmeno rendersi conto di tenere il quaderno al contrario.
<< Potresti ridarmelo cortesemente? >> La voce di Lisandro era carica di una forte pazienza.
<< Questo quaderno è tutto bagnato! >> Replicò in risposta Sara ignorando completamente le parole del vicino di casa, ancora tutta intenta ad osservare le pagine macchiate dalla neve in più punti << Alcune parole non si leggono proprio più! Ha ha! E’ per questo che sei sceso conciato in questo modo, vero? >> Saltò su all’improvviso, puntandogli con troppa forza un dito sul petto, Lisandro pensò che se avesse spinto un po’ più forte avrebbe potuto lasciargli un bel buco a pochi centimetri dal cuore << Avrai lasciato la finestra spalancata come al solito! Ti ho beccato eh? >>.
Lisandro non ricambiò l’occhiata ammiccante di Sara, ne quel sorriso esagerato che le deformava eccessivamente la faccia, si limitò a spostarle gentilmente la mano, massaggiarsi il petto e sospirare ancora una volta, cercando di contenere la stizza.
Era sempre stato così tra di loro, Sara era estenuante, ogni volta che parlava con lei, anche solo per pochi minuti, si sentiva terribilmente stanco, provato come se avesse appena fatto uno sforzo fisico ed intellettuale contemporaneamente.
Probabilmente quello era uno dei motivi per cui aveva cominciato ad allontanarsi, da quando avevano cominciato il liceo Lisandro aveva smesso di passare il pomeriggio da lei.
Era stato un processo un po’ graduale, si erano allontanati progressivamente, non che lui avesse sofferto della separazione, in realtà non ci aveva fatto molto caso, gli era sembrata piuttosto una conseguenza naturale data dalla differenza dei loro caratteri.
Lisandro e Sara non erano fatti per passare il tempo insieme.
Il succo stava tutto lì.
<< Potrei riavere i miei appunti? Tra poco i miei piedi si staccheranno dalle gambe … >>
Sara sembrò ricordarsi solo in quel momento che Lisandro era a piedi nudi, rivolse un’occhiata veloce alle dita quasi violacee del ragazzo, ancora leggermente bagnate dalla neve, e gli restituì il quaderno con una luce pericolosa negli occhi.
<< Sono gli appunti della tua amata Beatrice? E’ per questo che ti sei precipitato a raccoglierli senza riflettere eh? >>
Lisandro arrossì violentemente a quelle parole, arrotolò gli appunti tra le mani senza rendersene conto e spostò il peso del corpo da una gamba all’altra, il rossore sulle gote aveva raggiunto anche le orecchie e messo in mostra tutte le lentiggini.
In realtà non avrebbe mai voluto che Sara venisse a conoscenza di quella storia, lei sarebbe stata davvero l’ultima persona a cui avrebbe raccontato una cosa del genere, ma purtroppo per lui era stata proprio lei a beccarlo in lacrime nascosto nel cortile la vigilia di Natale, quando Enea l’aveva chiamato tutto raggiante per dargli la bella notizia.
E lui non aveva potuto fare altro che raccontarle tutto tra i singhiozzi.
Non sapeva spiegarsi perché fosse stato così debole, perché avesse avuto quello sfogo proprio con lei … ma Sara l’aveva ascoltato per tutto il tempo in silenzio e alla fine se n’era uscita con: “ Ti cola il muco dal naso”, e gli aveva dato la sua sciarpa come fazzoletto.  
E Lisandro aveva smesso di piangere.
<< E non guardarmi con quella faccia! >>
Sara gli sventolò il dito sotto il naso e lo pizzicò su una guancia ancora arrossata.
<< Quale faccia! >> Scattò immediatamente Lisandro scostandola.
Non voleva in nessun modo parlare del perche era andato a recuperare il quaderno a piedi scalzi, non con Sara che sapeva proprio tutto.
Era stato stupido a raccontarle quello che stava provando, sapere che l’avrebbe messo in imbarazzo, che avrebbe sfruttato la cosa a suo vantaggio per mortificarlo e prenderlo in giro come faceva quando erano bambini.
<< Questa è la punizione che ti meriti per avermi ignorata tutti questi anni uhm! >>
Lisandro spalancò leggermente gli occhi nel sentire quelle parole, Sara scostò la faccia e mise su un broncio davvero infantile, poi produsse uno sbuffò strano con le labbra, gli diede le spalle e salì le scale pestando i piedi per terra con troppa violenza.
Lisandro la seguì con lo sguardo finché non scomparve alla vista.
Lui non l’aveva ignorata, non l’aveva fatto … giusto?
Gli era sempre sembrato un allontanamento reciproco il loro.
Scosse freneticamente la testa, ricordò di avere i piedi in stato di ipotermia e doloranti, strinse ancora più forte il quaderno tra le braccia e si decise a sua volta a tornare finalmente nel tepore della sua stanza, sotto le calde coperte.
Tutto questo, non prima di aver chiuso la finestra.

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Effe_95

Salve a tutti :)
Sono proprio una bugiarda, vero? Avevo detto che non avrei fatto più un grande ritardo e invece è stato così anche questa volta, vi chiedo scusa. 
Ultimamente ho avuto un po' di problemi di salute che mi hanno bloccata e la stessa stesura del capitolo si è rivelata piuttosto ostica.
Vi chiedo di avere un po' di pazienza in questo senso, perchè ultimamente ho proprio quello che si chiama il blocco dello scrittore, ma non mi lascerò fermare da questo, ce la metterò tutta.
Allora, nella prima parte del capitolo troviamo una Beatrice un po' diversa dal solito, una Beatrice un po' più spensierata, ma allo stesso tempo insicura, incerta. Volevo che fosse una scena leggera, significativa e ilare allo stesso tempo, soprattutto nella convinzione di Beatrice di essere la cocca del professore xD Spero di esserci riuscita.
La parte di Oscar e Catena è stata la più difficile da scrivere, volevo che dicesse tutto e niente.
So che magari il mio pensiero è un po' contorto ma spero di esserci riuscita, fatemelo sapere.
Nella terza parte invece conosciamo un altro personaggio, la dispotica Sara, per quanto riguarda lei lascio a voi la parola ;)
Volevo infine chiudere questo mio sproloquio eccessivo (perdonatemi sono logorroica) ringraziando davvero di tutto cuore le 7 MERAVIGLIOSE ragazze che hanno recensito il capitolo precedente.
Questo capitolo è assolutamente DEDICATO a voi.
E ovviamente ringrazio anche tutti le altre persone che impiegano il loro tempo a leggere la storia di un'atrice così ingrata come me.
Grazie mille come sempre di cuore a tutti.
Alla prossima spero :)
 
 
 
 
 
 
  
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