Il Marine, il cane e la
bambina
– Mi leggi una storia? –
Puoi avere tutte le cicatrici che vuoi, puoi avere il grado più alto che riesci
a immaginare, puoi aver riempito le celle di Impel Down fino all’inverosimile,
puoi esserti scontrato con i peggiori malviventi del mondo, ma a una bambina
che ti chiede di leggerle una fiaba ti devi solo arrendere.
– Allora? Sì o no? – pigolò più forte la bambina
Smoker aveva guardato quella mocciosa spingere piano la porta, trattenendo il
fiato; quando aveva visto che lui, anche se ancora a letto dopo gli scontri di
Punk Hazard, era sveglio, seduto con un cuscino bianco dietro le spalle, era decollata con un grandissimo sorriso e gli era
atterrata vicino. Puntellando i gomiti sul materasso gli aveva messo sulle
gambe un libro di fiabe.
« Mi leggi una storia? » aveva detto.
Erano diversi giorni che il Viceammiraglio era per mare, di ritorno dalla
missione di Punk Hazard che si era rivelata un fiasco per la Marina, ma almeno
aveva permesso di salvare tutti quei bambini dal loro destino di cavie umane.
Adesso i marmocchi scorrazzavano liberi e felici sul vascello, tenuti a mala
pena a bada da Tashigi, rimossa momentaneamente dai suoi incarichi militari
perché, salvo lei e Smoker, che comunque era ancora convalescente, nessuno
sulla nave era in grado di gestire dei bambini, e un semplice momento di gioco
poteva rivelarsi letale per tutti.
Tashigi era molto inesperta, ma gli uomini dell’equipaggio poterono constatare
quanto miracoloso potesse essere il cosiddetto “istinto materno” anche in una
persona che non aveva mai pensato di allevare dei bambini. A parte qualche
suggerimento del suo superiore, infatti, la ragazza si era rivelata una madre
temporanea piena di buonsenso.
Ma nonostante le sue buone qualità, non era onnisciente, e succedeva spesso che
qualche bambino prendesse l’iniziativa staccandosi dal branco e intraprendesse
una personale avventura tra le stanze della grande nave.
– Una corta! – lo supplicò ancora la bambina, sperando di convincerlo.
Era Marie, una bambina di cinque anni dagli occhioni grandissimi, i capelli
ordinatamente pettinati in un caschetto biondo e un abitino che Tashigi aveva
ricavato da un copriletto, perché i suoi vecchi vestiti, da quando aveva
cominciato a decrescere, le ballavano addosso. Ora era ancora un po’ troppo
grande, per essere una bambina dell’asilo, ma almeno non arrivava alle spalle
degli adulti e oltre, come alcuni dei suoi amici.
Smoker sospirò, si costrinse all’astinenza dai sigari, e aprì il volume.
Pierino e il lupo, I musicanti di Brema, Mignolina, I
vestiti nuovi dell’imperatore, gli anni passavano e le fiabe erano sempre le
stesse, a parte qualche titolo (“Giovannino grullo”? “Strepitolino”? che roba era?) erano
tutte storie che gli pareva di aver sentito, una trentina d’anni prima.
Marie, mentre lui sfogliava l’indice, con un saltino si era accomodata vicino a
lui, ritagliandosi un po’ di spazio sul cuscino che l’uomo aveva dietro le
spalle.
– “L’acciarino”, ti piace? – propose il Marine cercando la
pagina. Gli suonava familiare, come titolo, e se non ricordava male era una
storia corta, senza principesse infiocchettate.
– No! – pigolò Marie coprendosi il viso con le mani e sparendo tra il braccio
di Smoker e il cuscino. – C’è il cane! –
“Il cane”, si ripetè Smoker fra sé.
– Mi fa paura. – continuò la bambina, con la voce attutita dalle piume.
Era un libro illustrato, e le figure non erano affatto terribili; come diavolo
avevano disegnato uno stupido cane, per far spaventare una mocciosa?
Arrivato a pagina 183, Smoker sbuffò: il cane non aveva nulla di strano, ma il
disegnatore gli aveva messo due occhi tondi e spropositati: per una bambina
doveva risultare angosciante.
– Mandalo via… – lo pregò Marie.
Smoker lasciò che il libro cadesse docilmente sul lenzuolo; era stato aperto
così tante volte che rimase aperto alla pagina del cane.
– Rimani così. – disse l’uomo rivolto alla bambina, che ancora cercava
protezione dal cane nascondendo il volto contro il suo braccio.
Si sporse verso il comodino, dove Tashigi gli aveva lasciato acqua, biro, i
sigari e cose che potevano tornargli utili durante la convalescenza, e prese un
cerotto.
– Guarda che facciamo. – ruggì, stringendo la pupetta con il braccio sinistro;
Marie, ancora spaventata, si copriva gli occhi con le mani.
Un attimo dopo, però, vinta dalla curiosità sbirciò tra le dita e guardò Smoker
mentre, con una manata, appiccicava il cerotto dritto sugli occhi del cane.
– Ecco qua. Ti fa ancora paura? –
La bimba guardò la figura tirando su col naso. Poi, cogliendolo di sorpresa,
strinse le braccine attorno al suo collo e gli schioccò un grosso bacio sulla
guancia.
– Adesso me la leggi? È l’unica che non ho mai sentito!
Dietro le quinte...
Così, senza pretese. Scritta per la gioia di vedere
Smoker che ha a che fare con i bambini. E non credo che a lui dispiaccia più di
tanto. La bambina, Marie, è inventata, ma si rifà un po' alla bambina de "Il Mistero della Pietra
Azzurra". Le storie citate esistono davvero, così
come il libro di fiabe che sfogliano i protagonisti: si intitola "Disney
Fiabe", è del 1973, ed era di mia mamma, poi passato a me. A pagina 183
c'è davvero un cane che mette paura.
Spero vivamente che, da descrizione, si capisca
come si va a posizionare Marie vicino a Smoker! Praticamente sono seduti vicini
(uno sotto le lenzuola e l'altra da sopra), appoggiati allo stesso cuscino! Se
non si capisce, per favore, comunicatemelo! Cercherò di spiegarmi
meglio!
Ciao e grazie per aver letto,
Yellow Canadair