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Autore: mattmary15    16/05/2016    1 recensioni
Charles Xavier sa di non essere il solo con capacità fuori dal normale.
Erik Lehnsherr crede di essere il solo con un potere tanto grande e maledetto.
A Lena Pike hanno detto di essere l'anello mancante.
Una notte, sott'acqua, alla ricerca di un nemico comune, tre ragazzi straordinari s'incontreranno e legheranno il loro destino.
Questo destino li porterà verso la salvezza o l'apocalisse?
Genere: Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Charles Xavier/Professor X, Erik Lehnsherr/Magneto, Nuovo personaggio, Raven Darkholme/Mystica
Note: Missing Moments, Movieverse, What if? | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Triangolo
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'L'eredità di Shaw'
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Capitolo 3: Premonizioni
 

Lena si era addormentata profondamente ed era finita in un luogo buio e angusto. Non fece fatica a riconoscerlo. Era l’armadio in cui sua madre l’aveva rinchiusa un attimo prima che suo padre l’ammazzasse come una bestia. Il sangue le raggiunse i piedi e lei sentì freddo. Provò ad urlare ma la voce era sparita. Si portò entrambe le mani alla gola e allora lo vide. Suo padre che rideva. Suo padre che le diceva che lei era l’anello mancante nella catena dell’evoluzione dell’uomo. Suo padre che le chiedeva di vedere oltre, di scorgere il futuro. Lei, però, non riusciva a vedere niente. Solo il sangue di sua madre che si allargava in una pozza sul pavimento. Gridò e stavolta l’urlo la riportò alla realtà. Il fiato di Shila che l’aveva raggiunta sul letto la rassicurò. Era sudata. Si alzò e raggiunse il bagno. Lo specchio rimandava la sua immagine sconvolta e impaurita. Un istante dopo però, vide una se stessa più pallida. Un rivolo di sangue che le colava dalla bocca, gli occhi che diventavano vitrei.
Si scosse e fece un passo indietro. Sarebbe morta? Era questo che suo padre voleva vedesse? Il suo destino di morte?
Qualcuno bussò alla porta, lei sussultò e Shila ringhiò.
Era convinta che fosse Charles ed esitò ma, quando si decise ad aprire, si ritrovò di fronte un’altra persona.
“Hank?”
“Scusa per l’ora. Volevo solo assicurarmi che stessi bene. La mia stanza è qui di fronte e ti ho sentita urlare.”
“Solo un brutto sogno.”
“In realtà volevo anche scusarmi. Tutto quello che è successo, in fondo è stata colpa mia.”
“Tua?”
“Sì, ti ho spinta io ad usare Cerebro.” Lena rise.
“Cerebro non c’entra nulla. Credimi Hank, io sono nei guai da molto prima di conoscere te.” Hank sorrise.
“Sono certo che Charles troverà un modo per aiutarti. Lui ha un dono per questo.”
“Credo di capire a cosa ti riferisci ma, vedi Hank, non tutti possono essere salvati.”
“Forse gente come Erik non può, ma quelli come te sì.” Lena s’intristì.
“Forse Erik non è come tu pensi dovrebbe essere una brava persona. Sicuramente è diverso da Charles ma Erik non è cattivo. Lui è stato in un campo di concentramento. Se non sei stato reso schiavo, non puoi conoscere quanta forza ci vuole a liberarsi. Quando finalmente le tue catene si spezzano, non è facile smettere di applicare quella forza in ogni cosa che fai, in ogni cosa che sei.” Hank la guardò perplesso.
“Sei stata anche tu in un campo di concentramento oppure sei schiava degli addominali di Magneto?”
Gli occhiali di Hank schizzarono lontano nel corridoio. Hank si voltò di scatto e vide Erik, scalzo con solo i pantaloni della tuta addosso che si guardava la mano destra. Improvvisamente la strinse a pugno e gli occhiali finirono in mille pezzi.
“Erik!” esclamò Lena con disappunto.
“Che c’è? Non lo sai che sono uno stronzo?” chiese mettendo due dita alla tempia imitando Charles e ridendo “Non ho bisogno dei poteri di Charles per sapere che è questo che pensa di me.”
“Non che tu faccia nulla per impressionare positivamente gli altri!” esclamò Hank seccato.
“E perché dovrei farlo? Ho i miei addominali per quello!” Hank strinse un pugno e a Lena sembrò quasi che ringhiasse.
“I tuoi addominali non sono bastati a fermare Shaw!” sputò Hank ma il ragazzo fu attratto per il metallo della cintura dritto di fronte a Erik.
“Ridillo a questa distanza!” fece Erik indossando il suo ghigno peggiore.
“Erik, lascialo andare.” La voce dolce di Charles, come al solito, era solo nella sua testa. Mollò la presa sulla cintura di Hank e alzò entrambe le mani come in segno di resa. Hank lo guardò stranito e Lena parlò.
“Charles, vieni fuori.” Il ragazzo fece capolino dall’angolo del corridoio sorridendo.
“Tieni Hank,” disse porgendo un paio di occhiali al ragazzo “e tu, Erik, per l’amor del cielo, mettiti addosso qualcosa!”
“Scusate i miei modi. Sono abituato a vivere da solo. E poi ero solo andato a prendere un bicchiere d’acqua quando ho sentito Hank che parlava di schiavi e campi di concentramento. Volevo contribuire alla discussioni con fonti di prima mano.”
“Erik, basta”, lo pregò Lena.
“No, lasciagli fare lo stronzo, gli riesce benissimo!” esclamò Hank.
“Ma che diavolo succede qui?” chiese Raven affacciandosi dalla sua camera. Da quella di fronte spuntò fuori la chioma geneticamente mutata di Moira. Lena si mise una mano sugli occhi. Era stanca e sconfortata dalla piega che stava prendendo la questione.
“Senti, ragazzino, datti una calmata o ti faccio male sul serio e non sarà solo l’orgoglio a dolerti!” sputò fuori Erik facendo ondeggiare tutti gli oggetti metallici nel corridoio. Hank strinse i pugni.
“Credi di farmi paura? Coraggio, sottovalutami!”
“Smettetela!” gridò Moira allacciandosi la vestaglia “O chiamo la sicurezza!”
“E adesso che c’entra la sicurezza? Si stanno solo divertendo un po’!” disse Raven tutta entusiasta che i due ragazzi la stessero mettendo sul piano fisico. Lena s’irrigidì.
“Per favore, Raven, non incitarli!”
“E non rovinare sempre tutto, tu!” la rimproverò Raven.
“Non è da persone mature ricorrere alle mani per risolvere le divergenze d’opinione!” fece Lena fronteggiando Raven.
“Vedo che sei andata a scuola dal professore!” fece quest’ultima ridendo.
“Sai Raven, potrei anche finire con l’essere d’accordo con te sull’uso delle mani!” la rimbecco Lena.
In quel momento però accadde una cosa strana. Raven non si muoveva più. Non solo lei. Anche Moira era rimasta immobile a guardare Erik e Hank che si fissavano senza neppure respirare. In quello stesso attimo si voltò e lo vide. Sorrideva con quelle sue splendide labbra che tanto l’avevano colpita la prima volta che l’aveva incontrato. Se ne stava, mani in tasca, appoggiato alla parete del corridoio e sorrideva.
“Sei tu a bloccarli così, vero, Charles?”
“Sì. Credo che fosse il punto di non ritorno per tutti noi.”
“Non per te. Tu sei sempre calmo e sai sempre cosa fare.” Charles rise.
“Sbagli. Io non so sempre cosa fare.  Provo solo a fare del mio meglio.”
“Charles, il mio meglio fa schifo.” Rispose Lena e il professore rise.
“Il tuo meglio andrà benissimo.  E anche quello di Erik!” disse e il tedesco riprese a respirare.
“Ma che diavolo? Charles sei tu a fare questo?”
“E chi altri?” disse l’inglese scuotendo le spalle.
“A quanto pare sei più misterioso di me!”
“Non prendertela amico mio, ci sono cose che neanche io so di poter fare. Credo che Cerebro abbia aperto nuovi spazi della mia mente.”
“E di loro che intendi fare?” chiese Erik indicando Hank e gli altri.
“Avete tutti un sonno tremendo. Andate a dormire”, disse Charles e i presenti sparirono dal corridoio senza dire una parola.
“Incredibile, Charles!” esclamò Lena. Il professore sorrise guardando il pavimento.
“Ed è anche così splendidamente modesto!” rise Erik anche se un istante dopo il silenzio cadde sul terzetto così il tedesco decise di congedarsi “Prima che mandi anche me a letto, ci vado di mia spontanea volontà!”
“Non lo farei mai, Erik, controllarti intendo. Sei mio amico.”
“Per stanotte ne ho abbastanza di amici!” disse Erik svoltando l’angolo. Lena rise.
“Forse ha ragione lui a pensare che sbaglio a preoccuparmi per te, professore!”
“Non anche tu, ti prego! In effetti credo che tu ti sia preoccupata troppo. Andiamo a dormire e domani, se ti va, potremo studiare insieme un modo per integrare le nostre capacità.”
“Ok. Buonanotte.” Charles chiuse la porta per Lena e la ragazza si coricò addormentandosi senza fare altri incubi.

L’indomani mattina la cucina della divisione mutanti della CIA odorava di bacon e uova fritte.
Moira sedeva al tavolo con una tazza di caffè e leggeva l’ordine del giorno delle sue riunioni. Raven ed Hank mangiavano cereali l’uno di fronte all’altro e parlavano del notiziario. Lena entrò assonnata e cercò Charles con lo sguardo.
Il ragazzo sedeva su una sedia vicino alla finestra e leggeva il giornale sorseggiando del tea.
“Buongiorno a tutti.”
“Buongiorno, Lena. Dormito bene?”
“Bene, sì.”
“Vuoi del tea?”
“Caffè grazie ma lo prendo da me.” La ragazza raggiunse la caffettiera ma, mentre stava per afferrarla, questa si sollevò e raggiunse l’altro capo della stanza. Erik, seduto sul divano, leggeva un libro a capo chino. La caffettiera ondeggiò fino al tavolinetto di legno su cui erano posate due tazze e si piegò di lato quel tanto che bastava per riempirle del liquido scuro. Sotto lo sguardo di Lena e Charles che scuoteva il capo sorridendo, la caffettiera tornò sul ripiano cottura. Solo allora Erik alzò lo sguardo e, indicando la tazzina, parlò.
“Scusa, tesoro, ma non controllo la porcellana. Se vuoi il tuo caffè, devi venire a prenderlo!” Lena raggiunse il divano e si accomodò accanto ad Erik.
“Programmi per oggi?” chiese Lena.
“Sì. Partiamo”, rispose Erik e la ragazza rimase un po’ sconcertata.
“Tu e chi altri?”
“Magneto e il professor X andranno in cerca di altri mutanti!” esclamò Raven. Lena si voltò a guardare Charles.
“O noi o la CIA,” chiarì il professore “e penso che Erik abbia ragione sul fatto che tocchi a noi cercare altri rappresentanti della nostra specie.”
“Dovresti venire con noi, Lena”, disse Erik con indifferenza, sorseggiando il caffè.
“Perché lei si e io no?” strillò Raven.
“Perché ci farebbe comodo un mutante che sa entrare in empatia con gli altri. Li convincerebbe più facilmente di noi ad arruolarsi”, le rispose Erik.
“Non dovranno mica decidere di andare in guerra!” lo riprese Charles.
“Puoi mettergliela come ti pare, professore,” lo rimbeccò il tedesco “ma è di fare fronte alle minacce di Shaw che stiamo parlando.”
“Sono certa che potrei essere d’aiuto!” esclamò Lena a cui non andava proprio di rimanere con Raven e Moira. Charles lasciò il giornale e sospirò.
“Allora va bene. Partiamo appena Hank ci darà la lista dei nomi che sono venuti fuori da Cerebro.”
Lena sorrise e tornò nella sua camera per fare lo zaino. Nel riporre alcune cose, le capitò in mano il suo certificato di nascita. Si rattristò. Per la prima volta dopo tanto, tanto tempo, aveva incontrato delle persone con cui sentiva di poter creare un legame, che non pretendevano che i suoi poteri servissero a qualche meschino scopo. Per l’ennesima volta, incapace di liberarsene, rificcò il foglio nella borsa e si chinò ad accarezzare Shila.
“Farai la buona qui con Hank? Ti tratterà bene, vedrai. Io torno presto, promesso.”
Il pastore tedesco si accucciò e chinò il muso tra le zampe provocando un moto di tristezza nella sua padrona. Quando aprì la porta della sua camera per tornare in salotto, il cane la seguì e andò ad accucciarsi ai piedi di Hank.
“Me la guarderai tu?” chiese Lena con fare supplichevole.
“Certo, anche se ho l’impressione che al momento, lei saprebbe badare a me più di quanto io non possa fare con lei.” Lena usò le sue capacità per non fare ascoltare agli altri quello che voleva dirgli.
“Perché lei segue il suo istinto. Perché non ci provi anche tu?” Hank le sorrise provocando di nuovo l’ira di Raven che fingeva d’interessarsi al libro lasciato sul divano da Erik. Lena cambiò argomento.
“Hai la lista?” Hank annuì.
“Diversi nomi. Credo che Charles sappia già chi scegliere.”
“Non esattamente!” esclamò il professore entrando nella stanza con un borsone alla mano “Noi gli diremo che non sono soli. La scelta appartiene a loro.”
“Ma diciamo che non avranno molte alternative!” intervenne Erik con uno zaino in spalla.
“Vedremo!” sbuffò Charles che si soffermò sul fatto che sia Lena che Erik avevano un bagaglio meno ingombrante del suo “Staremo fuori qualche giorno, avete preso tutto?”
“Io viaggio leggera”, disse Lena.
“Che c’è?” chiese Eric scuotendo le spalle “Anche io.”
“So già come finirà questo viaggio!” sospirò Charles.
“Non era Lena che vedeva il futuro?” chiese Eric dandogli una leggera spallata quando Charles lo affiancò per guadagnare l’uscita.
“Infatti, io lo temo solamente.” Lena lo raggiunse e camminò al suo fianco.
“Dove si va, professore?”
“Los Angeles”, rispose Charles uscendo dal palazzo e raggiungendo un’auto. Erik mosse una mano e il portabagagli si aprì.
“Prego,” disse indicando il borsone di Charles “la signorina si può accomodare sui sedili posteriori invece. Guido io.” Charles lanciò il mazzo di chiavi volutamente fuori traiettoria ma esso volò ubbidiente nella mano del tedesco.
Il viaggio fino a Los Angeles prevedeva una sosta e arrivarono in Oklahoma quando era già buio. Charles aveva insistito per dare il cambio a Erik senza fermarsi. Quest’ultimo non volle sentire ragioni e verso le undici di sera parcheggiò in un’area di servizio di un motel della I-40 W.
“Una camera”, disse all’uomo barbuto e trasandato che guardava la tv via cavo della reception.
Charles non aggiunse nulla ma guardò Lena. La ragazza non fece una piega.
“Mi serve un documento”, fece di nuovo il barbuto allungando una chiave enorme sul banco.
“Io non credo”, disse invece Erik allungandogli una banconota da 100 dollari. Questi la ritirò e voltandosi aggiunse solo un mugugno.
Mentre lasciavano la reception e raggiungevano la camera 13 b, Charles sorrise.
“Che hai da ridere?” chiese Erik.
“Non potevi dargli semplicemente la patente?”
“Non ho la patente” rispose candidamente il tedesco. Charles lo bloccò sul posto.
“Non hai la patente?” esclamò e Lena rise.
“Non americana comunque. Non hai viaggiato tranquillo?”
“E se ci avesse fermato la polizia?”
“Gli avresti cortesemente chiesto di lasciarci andare, vero Charles?”
“Dai, Charles! Io sono stanca e affamata. Puoi ipnotizzare qualcuno per portarci del cibo?” chiese Lena divertita mentre Erik faceva scattare la serratura della 13 b senza usare la chiave per cui il portiere aveva fatto tanto il prezioso.
“Per quello basta un telefono e, maledizione Erik, se hai sguanciato un testone per quella cosa che hai in mano, usala. E’ meglio non dare nell’occhio.”
“Non fai onore alla nostra razza, Charles. Dovresti essere fiero di ciò che sei, non nasconderti!” fece Erik buttandosi sul letto sufficiente appena per ospitare due persone.
“So quando usare le mie capacità e mi sento fiero a non farlo per ordinare una pizza!” Lena rise di gusto e si accomodò su una poltrona che sembrava rivestita con una tenda. La ragazza guardò la tenda della finestra e si ricredette. Probabilmente era il tessuto delle poltrone che veniva adoperato come tenda.
“Sono stanca!” disse.
“Ma se hai russato tutto il tempo sul sedile posteriore!” esclamò Erik lanciandole un cuscino.
“Non fate confusione. Potrebbero esserci altri ospiti che dormono!” disse mentre chiamava il numero di un take away trovato sul comodino. “Pronto? Sì, tre hamburger e una porzione di patatine.”
“E una birra!” aggiunse Erik.
“Due birre!” fece Lena rilanciando il cuscino verso Erik.
“Due birre e una bottiglia d’acqua naturale, grazie. Stanza 13 b.”
“Charles! Credevo che gli inglesi fossero grandi consumatori di birra!” lo prese in giro Erik.
“Qualcuno deve rimanere sobrio qui dentro.”
Tutti e tre risero e rimasero a chiacchierare fino alla consegna del cibo. Nonostante le aspettative di Erik che era uscito a prendere altre due birre al distributore automatico, Lena crollò quasi subito. Il tedesco la sollevò dalla poltrona e la mise a letto.
“Stenditi un po’ anche tu, Charles. Sembri a pezzi.”
“Odio stare seduto, non si direbbe vero? Forse perché temo che per il mio lavoro passerò molto tempo costretto su una sedia. Non sono stanco. Tu piuttosto, devi riposare. Hai guidato tutto il giorno.” Erik stappò un’altra bottiglia.
“Non potrei coricarmi su quel letto neanche se stessi svenendo con lei sdraiata lì accanto”, fece indicando il profilo di Lena che si era girata nel sonno. Charles sorrise.
“Ti piace proprio tanto, vero?”
“Non credevo che una simile attrazione esistesse per qualcosa che non fosse di metallo.”
“L’amore è la forma più forte di legame. Più forte di quello tra gli atomi o le cellule, temo,” disse allungando una mano “mi passi una birra?” Erik gliela porse avvicinandosi al divanetto prospicente il letto.
“Ti spaventa?” chiese il tedesco guardando il collo della bottiglia.
“Sì. E a te?”
“Da morire!” confessò Erik lasciando sfuggire una risata nervosa.
“Non dovresti. Non ho mai conosciuto nessuno con una forza d’animo come la tua, Erik. Credo sinceramente che niente potrebbe abbatterti.”
“Allora non mi conosci così bene.”
“O forse ti conosco meglio di quanto tu non immagini.”
“E di lei che idea ti sei fatto? Davvero non riesci a leggere la sua mente?” Charlse scosse il capo e bevve avidamente un sorso di birra.
“Non posso leggerla. E’ uno scudo, ricordi?”
“Ma hai assorbito le sue emozioni.”
“Nel suo caso è difficile sapere se siano realmente sue. Vedi, la sua empatia assorbe i sentimenti altrui e li rilascia. Nel momento in cui vieni in contatto con lei, potrebbe tranquillamente passarti l’emozione dell’ultima persona che ha toccato. Tuttavia credo che si senta molto sola. Non deve essere facile convivere con la sua mutazione. Alla fine, tra i sentimenti degli altri, rischi di perdere le tue.”
“Non ci avevo pensato. Ecco perché tu saresti più adatto di me a stare con una come lei.”
“Amico mio, non ho abbastanza energia per stare con una come lei! Credimi.”
“Ti sottovaluti,” disse Erik alzandosi “Va a letto ora.”
“Tu dove vai?”
“A buttare la spazzatura e prendere un po’ d’aria.”
“Non allontanarti.”
“Sono qua intorno, tranquillo.” Erik lasciò la stanza e Charles permise a se stesso di distendere corpo e nervi accanto a Lena. La fissò per qualche minuto e osò accarezzarle una guancia. Nessun tremito attraversò la donna come le era accaduto quando si erano toccati nella stanza di Cerebro.
Charles sorrise. Forse non era come lui credeva. Forse la sua telepatia e l’empatia di Lena potevano davvero coesistere. Ma il magnetismo di Erik lo avrebbe consentito? Si addormentò prima di trovare la risposta.

Un rumore nel vicolo la svegliò. Quando aprì gli occhi, il suo cuore perse un battito. A pochi centimetri dal suo viso, riposava placidamente quello di Charles. La testa posata su un braccio ripiegato e le labbra socchiuse quasi all’altezza delle sue. Arrossì all’idea di baciarlo senza troppi complimenti poi si ricordò che nella stanza doveva esserci anche Erik. Si sollevò sui gomiti e si voltò a guardare prima verso il divano poi verso la poltrona. Niente. Si ricordò che si era appisolata proprio sulla poltrona e si domandò se fosse stato Charles o portarla di peso sul letto o se magari fosse stato Erik. Si alzò e uscì dalla stanza facendo attenzione a non svegliare il professore.
L’aria della notte era pungente e si strinse nelle spalle.
“Fa freddo qui fuori.” La voce di Erik veniva dalla macchina. L’uomo se ne stava seduto sul tetto della vettura.
“E tu che ci fai lì?”
“Guardo le stelle.” Lena rise. “Non mi credi? Non ti sembro il tipo?”
“In effetti no, Lehnsherr, non mi sembri uno che guarda le stelle!” fece raggiungendo l’auto e scalando il cofano per prendere posto al suo fianco.
“Charles dorme?”
“Come un bambino.”
“Tu invece sei sveglia.”
“Una concatenazione incredibile di concetti acutissimi!” Erik rise. Lena notò che stringeva qualcosa in una mano.
“Cos’hai lì?” Erik aprì il pugno sinistro e mostrò una moneta. Lena riconobbe la svastica sul dorso e il suo sguardo si fece duro. L’uomo se ne accorse.
“Devi davvero odiarli i nazisti.”
“Li odio. E non capisco perché ti porti appresso un oggetto simile se li odi anche tu!” La moneta prese a levitare passando fra le dita della mano aperta di Erik.
“Vedi, Lena, da ragazzo non ero bravo a fare questo gioco. Non sapevo ancora usare i miei poteri. A Scmidth però interessavano. Gli interessavano tanto. Un giorno mi convocò nel suo studio e mi mise davanti questa moneta. La poggiò semplicemente sul tavolo. ‘Sposta la moneta, Erik’ disse. Io sapevo di poterlo fare. Avevo quasi sradicato un cancello intero in un’altra circostanza. Non mi riuscì comunque. Scmidth pensò che mi servisse un incentivo e fece condurre mia madre nella stanza. Poi prese una pistola e mirò alla sua testa. Disse che avrebbe contato fino a tre e che poi le avrebbe sparato se non avessi spostato questa dannata moneta. Provai e riprovai in quei pochi secondi che mi concesse ma la moneta non si mosse neppure di un millimetro.”
“La uccise”, sussurrò Lena.
“Sì. E io impazzito dal dolore scaraventai ovunque ogni singolo oggetto metallico presente nella stanza. Mi premiò con questa moneta. Non me ne separo mai. Quando me lo ritroverò occhi negli occhi, gli dimostrerò che mi ha insegnato bene.”
“Non credo che tu abbia imparato da lui”, disse Lena trovando il coraggio di mettergli una mano sul braccio. La moneta si posò placidamente sul palmo della mano di Erik.
“Più di quanto immagini”, disse l’uomo rattristandosi “ho ucciso molte persone.”
“Probabilmente meritavano di morire.”
“Non lo credi davvero”, disse Erik voltandosi a guardarla negli occhi.
“Se ti hanno ferito, meritavano di morire.” Lena lo disse sinceramente, guardandolo dritto negli occhi. Erik la prese per le spalle e la baciò di scatto.
Lena si ritrovò avvolta dalle sue braccia prima di realizzare l’ondata di emozioni che dal corpo di Erik, dalle sue labbra, fluivano in lei. Gemette nella sua bocca lasciandosi spingere giù sul tettuccio della macchina.
Erik la trovò irresistibilmente arrendevole e osò infilarle una mano sotto la maglietta. In quell’istante però, il potere di Lena lo colpì in pieno. Erik sentì un dolore talmente forte alla testa da costringerlo a staccarsi da lei. La sua mente fu attraversata dall’emozione che Lena aveva provato nello svegliarsi accanto a Charles e dal suo desiderio di baciarlo.
“Erik! Dio mio, Erik, scusami!” fece Lena rialzandosi e cercando di capire quali fossero le condizioni del tedesco.
“Sto bene, Lena, fisicamente almeno. Non so cosa sia peggio. Se scoprire che sei attratta da Charles o sentire il desiderio di baciare lui invece che te!” esclamò l’uomo nervosamente.
“Tu non vuoi davvero baciare Charles. E’ il mio potere a farti provare quella sensazione.”
“Già!” esclamò Erik saltando giù dall’auto “Perché sei tu a provarla!”
“Erik, non so cosa dire, mi dispiace.”
“E’ semplice. Dì che lo ami e facciamola finita.”
“Ti giuro che non è così!”
“Abbiamo detto niente bugie!” gridò Erik. Lena scese dalla macchina e lo rincorse.
“Ti prego, Erik, devi credermi. Sono solo confusa. Non sono abituata ad essere circondata da persone che tengono così tanto a me.” A quelle parole, il tedesco si fermò.
“Hai ragione sul fatto che Charles tiene a te. Forse dovresti stare con lui.” Fece l’uomo stringendo un pugno.
“Non posso stare con nessuno, Erik.” Le parole della donna lo gelarono. Tornò sui suoi passi e la guardò dritto negli occhi. Lei proseguì. “Fino a che non avrò trovato e ucciso Sebastian Shaw io non posso stare con nessuno.”
“Ti ha minacciata?” chiese allora Erik, stavolta con gentilezza.
“Dopo la morte di mia madre, sono scappata da lui e da quelli come lui. Il problema è che non potevo essere accettata neppure da quelli diversi da lui. Sono stata sola per moltissimo tempo. Poi ho capito che non potevo continuare a fuggire, che dovevo essere io a trovarlo e a liberarmi dei miei fantasmi. Ho cominciato ad allenare le mie facoltà, a studiarle e trasformarle in un qualche tipo di arma. Sono diventata più forte, più determinata. Ogni cosa buona della mia vita può venire solo dalla morte di quell’uomo.”
“Io ucciderò Shaw,” disse Erik tendendole la mano con la moneta nel palmo “sono più preparato, ho studiato di più e mi sono allenato di più. Ho trasformato ogni fibra del mio essere in un’arma. Sono più forte di te e più determinato. Controlla tu stessa.” Lena allungò timidamente una mano poi afferrò con decisione quella tesa di Erik. Si aspettava di essere invasa da quella forza fisica e morale di cui Erik aveva parlato ma la vista le si annebbiò e la sua mente slittò velocemente in avanti. La moneta non era più nel palmo di Erik ma si librava nell’aria e velocemente l’attraversava per schizzare nella fronte di Shaw. L’immagine degli occhi sbarrati del carnefice di sua madre le diede un brivido orribile ma ciò che le diede la nausea fu vedere che la persona che ricadeva in terra non era Shaw ma Charles. Si portò entrambe le mani alla bocca per soffocare il grido di disperazione che le era partito dal cuore ma, nel farlo, interruppe il contatto con la mano di Erik e la sua mente fu sbalzata all’indietro nel suo corpo che si afflosciò come un sacco vuoto. La voce allarmata che udì prima di perdere i sensi non fu quella di Erik.

  
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