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Autore: Panenutella    16/05/2016    3 recensioni
Sara Vitali è una che scappa: ha lasciato l'Italia, ha cambiato cognome e numero di telefono pur di sfuggire al suo stalker, e si è nascosta a Belfast nella speranza che lui non la trovi mai. Non si fida di nessuno e sente il disperato bisogno di sentirsi al sicuro, protetta e non più sola. E' in questo stato che una sera in un anonimo bar incontra Kit Harington, appena uscito dalla sua relazione con Rose Leslie e nel pieno delle riprese del Trono di Spade. Sara non pensa che da quell'incontro possa cambiare qualcosa, ma scoprirà presto di sbagliarsi.
Nota: il primo capitolo è identico alla prima parte della mia One-Shot "Two stories in the night". Se siete curiosi di leggere anche la seconda, fateci un salto! Grazie in anticipo a chi leggerà.
Genere: Generale, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Kit Harington, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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4 – Vedi Cara

 Vedi cara, è difficile spiegare
È difficile parlare
dei fantasmi di una mente
[…]
Quando rido senza muovere il mio viso
Quando piango senza un grido
Quando invece vorrei urlare.
- Francesco Guccini

 

*Kit*

 
- Davvero, Kit, mi stai chiedendo di concedere un colloquio a una ragazza solo perché è amica tua? – David mi guarda esalando una nuvoletta di fumo. È tardo pomeriggio, abbiamo appena finito di girare ed è quello strano momento rilassato della giornata in cui alcuni di noi sono ancora in costume di scena, altri si sono già cambiati, lo staff rimette le cose a posto e i registi riguardano le riprese. Lavorano tutti, ma lenti ed esausti, e c’è una sorta di allegorica tranquillità. Per quanto mi riguarda, sono ancora in costume di scena. Rose, vestita da bruta, passa poco lontano da noi parlando e ridendo con Hannah Murray, lasciando dietro di sé una scia di malinconia che punta verso di me come una freccia.
 - Kit? Sei su questo pianeta? – La voce di David mi riporta al momento presente.
- E’ una gran lavoratrice. Te lo chiedo come favore personale, David. Per favore. Ne ha bisogno.
Stringe gli occhi come se dubitasse delle mie parole, poi schiaccia la sigaretta nel posacenere accanto a lui. Io ne ispiro una boccata.
- L’hai già fatta venire qui e sta aspettando, vero? – Insinua. Sorrido nervoso.
- Dopo quattro anni mi conosci fin troppo bene.
Si gratta la barba, tira fuori un’altra sigaretta dal pacchetto e se la infila in bocca squadrandomi come se volesse scavarmi un buco al posto del naso.
- È quella ragazza che Richard ha addocchiato due minuti fa?
Il cuore mi cade nello stomaco. – Aspetta, che?!
Mi giro sulla sedia per guardare dietro di me, le piume sintetiche del mantello che mi volano in bocca. Qualche metro lontani da noi, Sara sta a braccia incrociate con la schiena appoggiata al muro, e fissa con lo sguardo Richard che la osserva accucciato dietro a una scrivania. Lei sembra essere coi sensi allerta per tenerlo d’occhio, oppure concentrata con tutte le sue forze per venire risucchiata all’interno del muro. Non so quale delle due opzioni sia la più probabile.
- Che cos’ha di strano che non mi convince? – Domanda David, in piedi accanto a me, seguendo il mio sguardo. La sigaretta che poco fa teneva in bocca ora sta dietro l’orecchio.
- Si guarda le spalle – rispondo automaticamente.
- Ecco, sì: è guardinga. Sei sicuro che non sia immischiata in qualcosa di illegale? Cosa mi stai nascondendo, Kit?
Sospiro tra i denti. – Sta passando un brutto periodo: è stata sfrattata e non ha i soldi per pagarsi un posto per la notte, e starà da me per un po’. Ha bisogno di guadagnare. Spero solo che tu mi faccia questo favore, Dave.
Mi guarda. – Sta al piano di sopra?
Annuisco.
- Beh, vediamo che posso fare.
Si incammina nella direzione di Sara, che si volta verso di lui non appena entra nel suo campo visivo. Poi, esitante, gli stringe la mano con un sorriso tirato. David la conduce nella mia direzione mentre Rick la segue con lo sguardo da dietro la scrivania, e io le cedo la mia sedia. Mentre lei passa sento un vago odore di lavanda provenire dai suoi capelli.
Mi allontano, fingendo discrezione, e mi ritrovo accanto proprio la Faccia Da Chiappe Richard.
- Credevo che una donna non sarebbe mai stata capace di farmi sentire uno scolaretto col cappello da asino con un solo sguardo, ma mi sono ricreduto.
Ridacchio. – Hai provato a presentarti?
- Le sono arrivato da dietro. Mi stupisce che non sia arrivata ad appendersi al lampadario. Non le hai mai detto di rilassarsi?
- Ci ho solo provato.
- Allora – la voce profonda di Dave, intento a leggere un foglio scritto a metà, interrompe la nostra conversazione. – Sara Vitali, nata a Genova il 21 marzo 1988. Come mai c’è scritto poco più di questo nel tuo C.V.?
Trattengo il respiro: le danze sono cominciate. Sara si torce le mani. – Non sono molto brava a scrivere.
Dave si toglie gli occhiali. – Credi che ti darò un incarico, qualsiasi incarico, in questa crew… solo perché Kit Harington mi ha chiesto di farlo?
- Assolutamente no.
- Che cosa sai fare?
- Ho quasi conseguito una laurea in fisioterapia. Ho lasciato pochi esami prima della fine.
- Che cosa sai fare che potrebbe essere utile?
Incrocia le braccia, assumendo un’aria di sfida. – Posso fare qualsiasi cosa: costumi, trucco, luci, scenografia, segretaria… basta che ci sia qualcuno che mi dica che cosa fare. Imparo in fretta.
Dave prende in mano la sigaretta da dietro l’orecchio. Tra i due si instaura un gioco di sguardi degno di un film western.
- Ci manca solo che estraggano le pistole dalle fondine – mormoro. Richard ridacchia.
- Se tu non fossi nelle grazie di Kit Harington e fossi venuta qui con un curriculum inconcludente a chiedermi di darti un lavoro qualsiasi all’interno della crew del Trono di Spade ti avrei buttato fuori di qui a calci, che questo sia ben chiaro.
Sara non risponde. Dave posa il foglio sul tavolo dietro di lui e si alza dalla sedia. – Devo un favore a Kit: comincerai domani. Assistente costumista.
Sara si alza e sorride apertamente, stringendogli la mano.
- Ti farò trovare un contratto entro la fine della settimana. Ah, Vitali… hai parecchio da dimostrare.
Qualcosa la ferma. Abbassa lo sguardo e comincia a torturarsi una ciocca di capelli. – Posso seguirvi in Islanda?
David la guarda come se fosse pazza. – Questo dipende da quanto ti riterremo indispensabile per la produzione.
Qualche istante di silenzio, poi si stringono di nuovo la mano.
- Allora a domani.
 

- Non ci credo, non ci credo, ho un lavoro! – La voce sorpresa di Sara oltrepassa la porta del mio camerino, mentre all’interno sto togliermi il costume il più velocemente possibile: fuori dalla stanza c’è Richard insieme a lei e ho paura di quello che potrebbe uscirgli dalla bocca. Vedasi “argomento Rose”.
Non credevo che il risultato del colloquio potesse renderla capace di saltellare su e giù per gli Sudio come un pupazzetto a molla, o di ripetere per cinquanta volte di fila sempre la stessa frase. Semplicemente avevo escluso comportamenti simili dal suo carattere.
Questo dimostra il fatto che tutto ciò che conosco di lei è solo la superficie.
Coi vestiti “normali” addosso esco dal camerino trovando Richard sorridente appoggiato al muro e Sara che sta cercando di legarsi i corti capelli in un moccetto in cima alla testa.
- Andiamo? – Propongo. Mi avvicino a Richard dandogli una pacca sulla spalla. Lui mi sorride, affascinante come il Principe Azzurro di Cenerentola.
- Solo un secondo, ho lasciato la giacca sulla sedia! – Sara quasi scompare.
- Ci vediamo domani, amico – dice. – Mi sa che stasera avrai da fare!
- Nulla di quello che stai pensando, Rick.
- Oh, e andiamo! – Ride. – Nemmeno un bacetto?
- La vuoi piantare? Smettila! Tu non sai quello che ha passato.
- Io no – ribatte. – Ma tu neppure.
Ammutolisco, colpito e affondato. Richard mi arruffa i capelli, e sa che lo odio.
- Ti adoro, Kituccio. Ci vediamo domani!
- A domani, Rick.
Sara torna proprio mentre lui se ne va. La raggiungo mantenendo le distanze e ci incamminiamo come due sconosciuti che camminano fianco a fianco per puro caso, senza degnarci di uno sguardo. La sorpresa che riempiva la sua voce fino a un paio di minuti fa sembra completamente svanita, o risucchiata nella sua corazza. Per quel che ne so, potrebbe essere animata da un interruttore ON – OFF.
Io questo interruttore non so dove sia, per cui devo soltanto aspettare che si riaccenda da sola: che mi permetta di conoscerla, di mostrarle che può avere fiducia in me, che posso difenderla da quel suo ex, qualunque cosa le abbia fatto… essere suo amico, il suo amante, qualunque cosa.
Non posso costringerla a fare niente. Posso soltanto aspettare
.

 Siamo a casa adesso. Lei è al piano di sopra, penso a farsi la seconda doccia della giornata. Quando ha salito le scale ho sentito girare la chiave nella toppa. Mi ha chiuso fuori, letteralmente. Che speranze ho di aiutarla?
Dalla padella nella brace, da Rose a Sara. Sono proprio sfigato in amore! Forse dovrei andare a rinchiudermi in un convento, o pensare seriamente di unirmi ai Guardiani della Notte.
Sto cercando di usare decentemente una rotella per tagliare la pizza da asporto in fette, assorto nei miei pensieri.
Sto cominciando a perdere davvero la speranza… di essere felice. Se non posso esserlo con Rose o con qualsiasi altra persona su questo pianeta, come posso sperare di esserlo con me stesso?
- Ciao.
Tiene un piede sospeso fra l’ultimo gradino della scala e il pavimento, tenendosi all’angolo del muro con una mano. I capelli bagnati le circondano il viso ed è avvolta da un maglione sformato rosa pallido. Il silenzio tra noi è quasi pesante.
- Ciao. – Poso la rotella sul bancone. – Come stai?
- Bene. Ancora non ci credo di avere un lavoro.
- Non è stato un colloquio molto felice, però.
- No, non lo è stato – sospira avvicinandosi. Tamburella le dita sul balcone, fermandosi proprio davanti a me e la pizza. Tira un profondo respiro, poi alza lo sguardo su di me.
- Il mio vero nome è Sara Cerbiatto. Questo – prende in mano una ciocca di capelli – non è il mio vero colore. In realtà ce li ho sul ramato. Sono scappata dall’Italia perché il mio ex mi perseguita. Ma questa… persona, quella che non ride e non si fida delle persone… non sono io. Io non sono così.
Senza abbassare lo sguardo, completamente colto di sorpresa, faccio il giro del balcone e mi avvicino a Sara.
- Che cosa ti ha fatto? – Mormoro, quasi temendo la risposta.
Lei cerca di non far scendere le lacrime che le riempiono gli occhi e, quando parla, un nodo alla gola le rende la voce molto più grave del solito.
- Da dove comincio? – Sdrammatizza. – Si chiama Matteo della Francesca. Lui… non è normale.
“Ma va?”.
- Mi trattava male. Mi diceva che senza di lui non ero nessuno e che sarei rimasta sola come un cane. Aveva il brutto vizio di alzare il gomito, e quando lo faceva… beh, lasciamo perdere. Ma quello era il meno.
- In che senso era il meno? – Sto faticando a parlare dal disgusto che provo.
Sara si volta e si allontana, stringendosi nelle spalle. Rispetto la distanza che ha messo tra di noi.
Un dubbio si insinua nella mia mente, un pensiero così meschino che mi fa venire il voltastomaco e mi fa sentire sporco dentro.
- Ti ha violentata?
Sempre di spalle, annuisce più volte.
Vorrei avere quel bastardo fra le mani, levargli per sempre la voglia di riprovarci.
- E tu che hai fatto?
- L’ho lasciato. Ma poi è andata sempre peggio. Ha cominciato a seguirmi dovunque, a chiedermi di tornare assieme a lui e a dirmi di essere cambiato, di dargli un’altra possibilità. Più non lo ascoltavo, più diventava pressante: migliaia di messaggi pieni di insulti al giorno, telefonate notturne, persino foto infilate sotto la porta di me, e della mia famiglia. “Mia o di nessun altro”. Alla fine sono andata alla polizia, a denunciarlo. Ho aspettato due settimane e lui continuava a starmi alle calcagna. La polizia non si è fatta vedere. Sono tornata da loro, e mi hanno liquidata con la scusa che non avevo portato nessuna prova concreta. Stavo per tornare una terza volta con le foto, i messaggi, le registrazioni delle telefonate… quando Matteo si è messo a spaccare le finestre di casa in pieno giorno. Abitiamo al secondo piano, e papà si è quasi preso un macigno in testa. È stato allora che ho deciso di scappare.
Sono a Belfast da qualche mese, mi tengo in contatto coi miei genitori, non ho più un cellulare… ma lui continua a tormentarmi. E io… mi sento sola, troppo sola…
Mi avvicino piano a lei, mettendole le mani sulle spalle e facendola voltare verso di me.
- Se non ha già avuto la buona creanza di sparire all’inferno sarei felice di accompagnarcelo.
Tossisce una risata.
- Da quanto tempo va avanti questa storia?
- Compreso il periodo in cui siamo stati insieme, sono quasi due anni.

- Se c’è qualcosa, qualsiasi cosa, che possa fare per te… devi soltanto chiederlo.
Tira su col naso. – Mi hai già dato un posto dove vivere e un lavoro decente, ma… Oh, Kit, potresti essere mio amico? Ho bisogno di essere me stessa e di abbassare la guardia, per una volta. Potresti… ecco… ti dispiacerebbe abbracciarmi?
La avvolgo subito tra le braccia, nascondendole il volto nel mio petto. Lei mi circonda la vita con le braccia e fa dei respiri profondi frammentati da dei singhiozzi, e io affondo il viso nella sua spalla.
- Non dovresti neanche chiederlo. – Bisbiglio, cullandola.
Non so per quanto tempo rimaniamo così: un secondo, un minuto, un’ora… so solo che quando lei scioglie l’abbraccio e alza lo sguardo, c’è un sorriso dipinto sul suo volto. Un dolce, fragile e bellissimo sorriso.
- Grazie – Sussurra quasi in una scusa.
- Non c’è di che – le sistemo una ciocca bagnata dietro l’orecchio. – Tanto per cominciare, potrei chiamarti Fawny.
- Fawny? Come… tipo… “cerbiattina”? – Non scioglie le mani dalla presa.
- Non solo per quello*.
Sorride, e mi abbraccia di nuovo.
 

* “Fawn” in inglese vuol dire “cerbiatto”, ma anche “mostrare affetto, gioia”, oppure indica il colore ramato dei capelli di Sara.

   
 
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