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Autore: Mayth    29/05/2016    1 recensioni
Erik Magnus Lehnsherr è assolutamente certo di essere il miglior incidente che possa accadere a qualunque essere umano sulla faccia della terra. Charles ha un ego tanto grande da poter rivaleggiare, ma la sua esasperazione non ha eguali.
Genere: Demenziale, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Charles Xavier/Professor X, Dottor Henry 'Hank' McCoy/Bestia, Erik Lehnsherr/Magneto, Raven Darkholme/Mystica, Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Level 2: what the fuck am I doing.
 
Charles si sveglia in uno di quei giorni post milionesima litigata con quel fenomeno di Lehnsherr e la prima cosa che vede nell’aprire un occhio al suono della sveglia è una bottiglia di scotch ai piedi del letto. La consapevolezza che sia vuota è rafforzata dall’opprimente martello che gli pressa le tempie. Sono passate circa due settimane dall’ultima volta che ha visto Erik — e il fatto che ci pensi di primo mattino non significa che ne percepisca la mancanza, tutt’altro, è in realtà la spiegazione del come sia riuscito a concludere in tempo un lavoro di università, a ritagliarsi un momento per una corsa in biblioteca e a isolare un po’ di ore al fine di aprire l’armadietto degli alcolici e festeggiare una nuova puntata di Game of Thrones.
 
Se Erik fosse stato presente negli ultimi quattordici giorni, probabilmente avrebbero trascorso ore a discutere ­— o a designare il vincitore della disputa giocando a carte o a scacchi o, in assenza di questi, a qualsivoglia gioco motociclistico per piattaforma digitale, malgrado l’idea di amalgamarsi con le abitudini di un qualunque adolescente sulla faccia del pianeta provochi ad entrambi un lieve senso di nausea.
 
Fate attenzione, però, non c’è nulla di amichevole nel cercare di porre fine ad un litigio coi metodi sopracitati, non quando a praticarli sono Charles ed Erik. Non quando a praticarli sono quelli stessi Charles ed Erik che a causa di una partita a poker, con la quale si sarebbe dovuto enunciare chi avesse ragione in relazione all’utilizzo di soppressori per ragazzi mutanti incapaci di controllare il loro potere, una volta finirono al pronto soccorso con un occhio nero e un naso rotto. In conclusione, se volete saperlo, avevano dichiarato parità, sicuri che prima o poi — molto prima che poi — avrebbero riportato a galla il problema e la partita a poker inconclusa.
 
In virtù di ciò, Charles è felice che Erik non si sia fatto vivo a seguito di quanto accaduto, o non è accaduto, con Raven, e che abbia preferito rinchiudersi in uno sdegnato mutismo, sicuro di sé e delle proprie ragioni, permettendo a Charles di godersi la pace della calma e del silenzio.
 
Oltretutto, non è come se questa sia la prima volta in cui Charles ed Erik non si parlano per settimane — che ben presto saranno mesi — e nel silenzio abbiano entrambi deciso che la loro non amicizia si sia definitivamente conclusa. Fine. Stop. Charles, all’alba dei suoi diciannove anni e qualche mese, è decisamente grande abbastanza per chiudere una relazione a beneficio del proprio benessere psicofisico.
 
Una volta sua madre gli aveva detto, un giorno in cui Charles era particolarmente infastidito a seguito di un diverbio con Raven: “Le persone ti abbandonano e ti tradiscono,” con un tono di voce sfumato in parte dal vino, in parte da un dolore profondo. “Puoi solo alzare il mento e tenere il passo.”
 
Charles, forse perché nato in una famiglia in cui aveva sempre avuto tutto e allo stesso tempo niente, aveva sollevato un sopracciglio e detto: “O affogare nell’alcol e cercare di dimenticare i problemi. Come sta andando per te, madre?” Sua madre aveva alzato un braccio e gli aveva piantato uno schiaffo su una guancia. Lui si era voltato con gli occhi colmi di lacrime più per la vergogna che per altro, e lei aveva aggiunto: “Si va avanti, Charles. Tutti noi lo facciamo.”
 
Eccetto che Charles ha sempre avuto problemi con l’andare avanti.
 
Eccetto che Charles ha sempre avuto problemi con l’essere solo.
 
In particolare, Charles ha sempre avuto problemi con l’andare avanti in solitudine, e potrebbe sembrare un paradosso, certo, in quanto una grande porzione della sua vita è composta da lui soltanto e una pila di libri filosofici.
 
E per quanto disprezzi, nonostante lo trovi comprensibile, il metodo di sua madre, tutto quel che può fare per non piangersi addosso in questo momento, con un non-amico del cazzo e una sorella scomparsa, è catapultarsi sul lavoro, e in mancanza di esso sull’alcol.  
 
Il suono della sveglia si ripete. Perché le sveglie sono invenzioni orribili, che competono con l’esistenza delle zanzare, e se non pigi immediatamente il pulsante o non scorri il dito sullo schermo, allora queste continuano a trillare fra una pausa di dieci minuti e l’altra. Invenzioni davvero, davvero tremende. Charles si allunga e pianta una mano sul suo cellulare, spegnendo il suono con meno grazia possibile. Si trascina giù dal letto come un cadavere, raggiunge la macchinetta del caffè e osserva il liquido pece calare nella propria tazza. Il primo sorso è vera e pura salvezza disciolta. Si lancia sul divano coi piedi che penzolano oltre al bracciolo, la testa ben incastonata fra due cuscini che non ricorda di aver comprato, sennonché, mettendoci un po’ di buona volontà, rammenterebbe che è stato Erik, diversi anni prima, a procurarseli e ad abbandonarli là per comodità personale.
 
Accende la televisione con l’intenzione di passare un buon pomeriggio di ozio. Un sorriso gli decora la faccia.
 
*
 
Ovviamente, nulla va secondo i piani.
 
Perché nulla va mai secondo i piani, se di nome fai Charles Xavier.
 
E nulla va mai secondo i piani, se il tuo non migliore amico di nome fa Erik Lehnsherr.
 
*
 
“Per l’amor del cielo, accendi il telefono e richiamami!”
— Voicemail sent to Erik Lehnsherr, Tuesday, April 4, 2016, 02:13 P.M.
_
 
CFX: Pronto?
 
EML: (Incomprensibile)
 
CFX: Erik? Puoi sentirmi?
 
EML: Charles?
 
CFX: Finalmente ti sei degnato di accendere il telefono.
 
EML: Non è il momento, Charles.
 
CFX: Non è mai il momento. Non so neanche perché mi sono preso la briga di chiamarti, quando evidentemente non serve a nulla parlare con te. Che cosa stai facendo?  
 
EML: Aspetto che si calmino le acque.
 
CFX: Per un problema come te non si calmeranno mai le acque.
 
EML: Adesso è questo che sono, un problema?
 
CFX: Voglio dire, sei su tutti i telegiornali, Erik.
 
EML: Quanto credi che ci vorrà prima che questa storia diventi solo una barzelletta?
 
CFX: Non so, non credo ti abbiano preso seriamente. Dove sei, comunque?
 
EML: (Incomprensibile) – in fondo ci sono miliardi di mutanti. Perché dovrei essere sospettato proprio io? (Incomprensibile).
 
CFX: Cosa sono tutti questi rumori di sottofondo?
 
EML: Ho bisogno di un posto dove stare. (Incomprensibile).
 
CFX: Erik?
 
EML: Ah, sai dove trovarmi.
 
(FINE CHIAMATA)
_
 
Edizione straordinaria del telegiornale. Trascrizione di una chiamata al 911 da parte di Julie Smith, 4 Aprile 2016.
 
911: 911, qual è l’emergenza?
 
Smith: C’è una macchina volante.
 
911: Come, scusi?
 
Smith: C’è una macchina volante. Una macchina che vola in cielo, le dico!
 
911: Una macchina — volante?
 
Smith: Sì, una macchina. In cielo.
 
911: Signora, è cosciente del fatto che gli scherzi telefonici al 911 sono punibili per legge?
 
Smith: Non è uno scherzo telefonico! Per chi mi ha preso, non mi permetterei mai. Una macchina che vola, le dico. Sono uscita a prendere la crostata che avevo lasciato a raffreddare sul davanzale della finestra e poi l’ho vista, proprio lì, sulla mia testa, qualche metro più in alto del tetto di casa mia. Una macchina!
 
911: Signora, qualcuno è ferito? Lei sta bene?
 
Smith: Ferito? No, no.
 
911: Sta chiamando per denunciare un incendio? Il fumo causato da un incendio potrebbe originare delle allucinazioni— oppure… che cosa ha ingerito nelle ultime ventiquattro ore?
 
Smith: Cosa? No, non sto chiamando per un incendio! Sto chiamando perché c’è una stramaledetta macchina volante. E, per l’amor di Dio, non sono fatta!
 
911: Mi scusi signora, a questo punto non saprei come aiutarla. Le consiglio di chiamare il dipartimento di polizia locale e denunciare l’accaduto se necessita dell’assistenza della polizia.
 
Smith: Oddio, ma cosa possono fare? Non bisognerebbe chiamare l’FBI, la CIA? No, io-
 
911: Signora?
 
Smith: No, guardi, non si preoccupi, devo essermi sbagliata. Sarà stato un aeroplano!
 
(FINE CHIAMATA)[1]
_
 
(02.43 PM)
Una macchina volante! CFX
 
(02:51 PM)
Cosa posso dire? Sono abile con la fantasia. EML
 
(02:51 PM)
Ti odio ancora di più di quanto già non facessi prima. CFX
 
(03:03 PM)
Ed io che pensavo ti piacesse Harry Potter. EML
 
*
 
A Charles ci vogliono complessivamente otto secondi e una manciata di millesimi per decidere di raccattare un borsone, infilarci dentro qualche maglione, dei jeans e l’intimo, per poi chiudersi la porta di casa alle spalle e dirigersi a chiamare un taxi.
 
Come fa a sapere dove si trova Erik? Semplice: Erik non ha nessun posto dove andare se non casa sua, ovviamente fuori opzione, casa di Charles, che a quanto pare è troppo distante da ovunque lui sia al momento, e la villa di Charles — 1407 Graymalkin Lane, Salem Center, Westchester County, New York, — che per ora è sicuramente divenuta il suo luogo di nascondiglio.
 
Inoltre, l’immensità della villa permetterebbe a Charles d’ignorare molto più facilmente Erik, ora non solo per la questione “hai sempre saputo dove si trovasse mia sorella, ma non me lo hai mai detto”, bensì anche per essersi ubriacato e aver deciso di svolazzare con un’Audi Q5 sui tetti della gente comune, con un cartellone attaccato dietro che recitasse: humans suck. The master of magnetism rules.
 
Interiormente, Charles ride come un isterico. Se lo poteste vedere al momento, con le labbra tormentate dai morsi autoinflitti e il viso corrugato dall’esasperazione, ecco, se lo poteste vedere, lo credereste l’uomo più infuriato del pianeta. Non tanto perché Erik si sia messo nei guai, quelli, in fondo, sono affari suoi, quanto per il fatto che ad andarci di mezzo sono sempre le case di Charles ed il suo buon cuore.
 
*
 
Villa Westchester appare immacolata come lo è sempre stata durante le estati che Charles vi trascorreva con la famiglia. Il grosso cancello all’entrata, nonostante le intemperie di quell’inverno e la costante pioggia, risplende come nuovo sotto i raggi del tardo sole pomeridiano. Charles scende dal taxi e ringrazia l’autista con una generosa mancia, e percorre la via lungo l’entrata principale a grandi falconate.
 
Nel tirar fuori le chiavi dalla borsa e aprire l’imponente portone in legno, qualcosa nel suo stomaco fa uno strano balzo. Sono passati poco più di sei mesi dall’ultima volta che era stato lì, prima di iniziare il suo ultimo anno di università, e nello spazio di quei pochi giorni che lui e Raven avevano trascorso fra le vecchie mura della villa, sua sorella aveva deciso di partire e non farsi più sentire — o per lo meno, di non farsi sentire da Charles. L’ultimo ricordo che ha della casa è di lui, occhi lucidi e mani tremanti, dritto sullo stipite della porta, intendo ad ascoltare due agenti della polizia che con una scrollata di spalle dicevano: “Proveremo a fare il possibile, ma se come dice lei, signor Xavier, il mutante in questione-”
 
“Raven. Il suo nome è Raven.”
 
“Sì, ecco, la signorina Raven è un mutaforma, sarà per noi difficile rintracciarla.”
 
Charles fa un profondo respiro prima di spingere il pomello ed entrare in casa. A salutarlo c’è l’ordine ineccepibile sfoggiato grazie al lavoro della servitù. Senza troppi preamboli Charles sale le scale due a due, raggiungendo nell’ala est inizialmente la sua camera (e lì abbandonandovi il borsone), per poi attraversare il corridoio e di seguito giungere al vecchio studio di suo padre.
 
È lì che trova Erik, abbandonato su una delle due poltrone di fronte al camino spento, con una pedina degli scacchi (la regina nera, nota più tardi) che gli scorre fra le dita.
 
“Nessuno ti ha mai detto che entrare in casa di altri senza il loro permesso è illegale?” dice Charles alle sue spalle.
 
“Io sono al di sopra della legge, amico mio.” Risponde Erik con tono canzonatorio.
 
“Oh, certo, perché in virtù del tuo DNA mutante puoi compiere qualunque azione ti aggrada.”
 
“In caso di necessità.”
 
Charles raggira il tavolino in legno e si siede dirimpetto all’amico. Non alza lo sguardo per incontrare i suoi occhi, né tantomeno si preoccupa di essere ospitale e offrire qualcosa. Sua madre, nel vederlo, ne sarebbe inorridita. “Anche al tuo peggior nemico offri sempre un bicchiere di vino, Charles. L’alcol e i soldi sono i nostri migliori amici in ogni conversazione.” Diceva.
 
“E dimmi, quale necessità in particolare richiedeva le tue mirabolanti acrobazie con una macchina,” continua imperterrito Charles, per poi ripensarci e sventolare una mano. “No, lasciamo perdere.”
 
“Quello è stato-” chiarisce ugualmente Erik, e malgrado Charles non voglia vederlo, è sicuro che stia sorridendo. “Non mi trovavo nelle facoltà appropriate per rendermi conto di ciò che stavo facendo.”
 
“Ci scommetto.” Charles ruota gli occhi.
 
Un lungo silenzio satura la stanza. Charles nota un braccio di Erik entrare nel suo campo visivo e con delicatezza riappoggiare la pedina sulla scacchiera. Decide allora di alzare il mento e con lo sguardo incontrare a metà strada gli occhi di Erik. Prolungano la quiete per alcuni secondi, dopodiché, d’improvviso, come se non aspettasse altro sin dall’inizio, Erik si fa sfuggire un rantolo e scoppia a ridere. Charles si pressa una mano sul volto nel tentativo di nascondere il proprio sorriso.
 
“Dio mio, Erik. Una macchina volante.
 
“Dovevi vedere le loro facce, Charles,” continua a ghignare Erik. “Sconcertate è dir poco.”
 
“Ma come hai fatto,” chiede, una nota di ammirazione del tutto non voluta gli decora la voce. “Non pensavo ne fossi capace. Dev’essere stato un grande sforzo.”
 
Erik alza le spalle e corruccia la fronte.
 
“Non saprei,” risponde. “Non ricordo molto di quello che è successo. Non credo che in questo momento riuscirei a rifarlo.”
 
Charles esita giusto un istante prima di domandare: “Dov’è la macchina che hai rubato?”
 
Erik lo guarda.
 
Charles ricambia lo sguardo.
 
Passa ancora una manciata di secondi prima che Charles apra le braccia così da mostrare la propria esasperazione e dire infine: “Qui, Erik, davvero? E se la trovasse la polizia? È questo che vuoi, che io sia tuo complice?”
 
“Non pretendo niente da te, Charles.” Scuote la testa Erik.
 
“E faresti bene,” sbuffa lui. “Dopo tutto quel che hai fatto.”
 
Il nome di Raven è una presenza che aleggia silenziosamente fra di loro. Charles decide di alzarsi e senza dire altro si congeda.
 
Avrà bisogno di una buona distrazione per superare quest’altra cavolata.
 
*
 
Quella sera salta la cena, incapace di buttar giù nello stomaco anche solo un minuscolo pezzo di pane. Invece decide di sedersi alla propria scrivania in camera sua, deliberatamente ignorando l’idea di Erik seduto in qualche altra stanza ad architettare solo lui sa che cosa, e tira fuori il vecchio taccuino di suo padre. Era da anni che non gli dava un’occhiata. Le pagine sono tutte macchiate d’inchiostro, alcune così colme di appunti che il bianco del foglio pare essere scomparso, le parole che più si ripetono, come “mutazioni geniche”, “mutazione germinale”, “DNA” e “Charles”, sono sottolineate più e più volte. Charles non ricorda quale sia stata la sua prima reazione nello scoprire, all’età di tredici anni, di essere stato l’esperimento più importante per suo padre. Dovrebbe odiarlo, si dice sempre quando ripensa a lui, ciononostante si ritrova incapace di poterlo fare. Nella sua mente, suo padre ricopre il ruolo di figura pressoché perfetta. Austero, ma pur sempre disposto a condividere un sorriso caldo, con gli occhiali appoggiati sulla punta del naso e le forti braccia capaci di sollevare Charles fino a fargli cogliere le mele da uno degli alberi in giardino.
 
Vicino a suo padre, Sharon Xavier sorrideva. Vicino a suo padre, persino i pensieri di Kurt Marko potevano essere ignorati. Vicino a suo padre, Charles era stato certo che non sarebbe mai rimasto solo.
 
Ora sfiora il rivestimento in pelle sgualcito dal tempo e si chiede come sarebbe stata la sua vita se Brian Xavier non fosse morto. Se Marko lo avesse salvato dalle fiamme invece di guardarlo bruciare. Se sua madre avesse rinnegato le avances di quest’ultimo e si fosse salvata dal dolore delle percosse e degli errori. Se Cain Marko non fosse entrato nella sua vita, e Charles non avesse dovuto utilizzare i propri poteri per convincere tutti che Raven era sempre stata presente al suo fianco.
 
“Raven,” spiegava. “È mia sorella.” E tutti gli credevano in un istante.
 
Tutti credevano alla maschera di una bella bambina bionda con le guance rosee e i capelli biondi.
 
Tutti credevano alla maschera di un ragazzino modesto con gli occhi azzurri e il peso di un potere divino sulle spalle.
 

[1] Mi sono ispirata a SELECTED DOCUMENTS – CIA FILE MM34519865-2D di listerinezero ( x )
  
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