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Autore: Himenoshirotsuki    07/06/2016    3 recensioni
[Fantasy Steampunk]
La Dogma e la Chiesa, le colonne portanti di questo mondo. L'una che agisce con il favore dell'ombra, chiamando a raccolta i suoi cacciatori, gli Slayers, per combattere i mostri; l'altra che muove le sue armate di luce contro le vessazioni e i miscredenti in nome di un dio forte e misericordioso.
Luce e ombra, ying e yang che si alleano e si scontrano continuamente da più di cinquant'anni.
Ma è davvero tutto così semplice? La realtà non ha mai avuto dei confini netti e questo Alan lo sa. In un mondo dove nulla è come sembra e dove il male cammina tranquillo per le strade, il cacciatore alla ricerca della sua amata si ritroverà coinvolto in un qualcosa di molto più grande, un orrore che se non verrà fermato trascinerà l'umanità intera nel caos degli anni precedenti l'industrializzazione. Perchè, se è vero che la Dogma e la Chiesa difendono gli umani dai mostri, non è detto che non sarebbero disposte a crearne per difendere i loro segreti.
Genere: Dark, Horror, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Slayers '
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Slayers
Act. 3 - A Promise to Remember

 
 
Una voce familiare squarciò il velo di incoscienza che gli obnubilava il cervello.
- Fai attenzione, piano… alzalo con delicatezza, Qayin. -
- Lo sto facendo, ma non è facile! -
Avvertì delle mani su di sé, una che gli sorreggeva la testa, l’altra che gli sollevava le ginocchia. Alan aprì gli occhi, ma non vide nulla se non due facce indistinte.
- Per Shamar, Maxwell si sta dissanguando… Temarie, il sangue non si ferma, cola attraverso la fasciatura! -
Gabriel, questo poteva essere solo Gabriel. Che stava succedendo? Tentò di mettere a fuoco, ma un forte dolore alla testa gli mozzò il fiato, togliendogli la forza e la lucidità per chiedere come stesse il suo maestro.
- Zitto, maledizione! Invece di stare lì impalato, prendi una cazzo di coperta e coprilo! -
- Tem, calmati. -
- Come, Sam? Come dovrei riuscire a calmarmi?! La ferita si è infettata e se Ludwik non arriva in tempo, questo qua ci lascia le penne! -
- Dove metto Alan? -
- Lì, posalo sul divano. Gli altri come stanno? -
Silenzio.
- Dio, no… -
- Non è ancora detta l’ultima parola, Tem. Sono tutti vampiri, sono più resistenti di quello che pensiamo. -
La voce di Samuelle era fin troppo gelida, Alan dubitò stesse dicendo la verità.
- Dammi dell’alcol, Gab. È la bottiglietta bianca col liquido incolore, non puoi sbagliare. Poi vai a vedere come sta Rachel. Qayin, sai già cosa fare? -
- A-ah. -
Si sentì appoggiare su qualcosa di morbido e innaturalmente liscio e avvolgere dal profumo di nuovo e di pelle trattata. Mosse le dita e cercò di tirarsi su, ma tutto il suo corpo gli spedì delle fitte lancinanti, mozzandogli il fiato. La presa ferrea di Qayin non fece altro che acuire il dolore. Forse gli disse qualcos'altro, ma il cacciatore era troppo confuso per capire, ragionare. Nella sua mente regnava il caos: i ricordi, le sensazioni, persino i suoi pensieri erano avvolti dalla nebbia, una nebbia soporifera che ne storpiava i contorni come un cristallo sporco e scheggiato.
Percepì un tocco delicato e il solletico di alcune ciocche di capelli. Quando aprì gli occhi, intravide il profilo delicato di una donna e il contorno di un paio di occhiali da aviatore sulla testa.
- Elly… - rantolò.
Come in un sogno, allungò la mano per accarezzarle la guancia. In quel momento la stanchezza lo morse con rabbia, trascinandolo nel sonno senza che lui riuscisse a opporsi.
 
Faceva caldo quella sera e, nel cielo estivo, le stelle sfavillavano come diamanti, vicine come mai lo erano state. Alan le osservava da una collinetta con aria annoiata, lanciando di tanto in tanto un'occhiata verso il paese, dove si stava svolgendo una festa. Gli abitanti di Eartshire si erano ammassati tutti nella piazza principale, un esagono a malapena sufficiente a contenere le bancarelle durante i giorni del mercato. Guardandoli dalla sua posizione, si domandò come diamine facessero a respirare, stipati com’erano.
Improvvisamente, dalla viuzza a Nord, irruppe un corteo scatenato di uomini e donne urlanti. Si fecero largo a gomitate fino al palchetto dove stava suonando l’orchestra e, dopo aver offerto da bere ai musicisti, si misero a ballare al ritmo della melodia del pianista.
Un Si bemolle un po’ troppo acuto convinse anche gli altri a lanciarsi nelle danze.
Con un sospiro annoiato, Alan si appoggiò al tronco del faggio e prese a masticare un ciuffo d’erba. Aveva accettato i giorni di ferie con gioia, ma se avesse saputo che avrebbe dovuto sorbirsi tutto quell'inutile baccano, avrebbe chiesto al vecchio Wylzmej di tornare ad Eartshire la settimana successiva: odiava le feste e sinceramente non capiva cosa ci trovasse di così divertente Eluaise nel buttarsi in mezzo a quella folla sudata e puzzolente.
Va beh, tanto stasera finisce.”
Sbuffò e, ancora una volta, spostò la sua attenzione sulla piazza. Non lontano dal palco, vicino a una bancarella che vendeva caramelle e dolciumi fritti al momento, c’era Velia. L'elfa stava ordinando un muffin al triplo cioccolato assieme a una ragazza di bassa statura, vestita con un elegante abitino di flanella dello stesso rosa confetto della sua amica. Entrambe si erano acconciate i capelli in una maniera improbabile, Alan non sapeva se fosse uno chignon o una treccia arrotolata per sembrarlo. Ai piedi indossavano dei sandali dorati alla schiava, che si attorcigliavano fino poco sotto il ginocchio. Ma la cosa più bella e appariscente erano gli orecchini della sua amica: le due gocce d’acqua marina che le pendevano dai lobi delle orecchie leggermente a punta catturavano la luce dei lampioni, rilucendo e sfavillando di un bagliore liquido, simile al riflesso del sole sull’ultimo ghiaccio.
Quando un ragazzo, un certo Sel, le si avvicinò, l’amica le fece l’occhiolino e, prima che Velia potesse ribattere, le afferrò il muffin e la sospinse tra le sue braccia. Con un’espressione a metà tra lo scetticismo e il divertimento, Alan la seguì con gli occhi mentre veniva trascinata in mezzo alla folla fino ad arrivare sotto il palco, dove si misero a ballare fianco a fianco. La gonna svolazzava leggera e i fiori nei capelli si disfacevano ad ogni saltello in una pioggia di petali rosa e bianchi. La ragazza rideva così forte, che ad Alan parve di sentirla nella testa.
Nell’ultima fila, appoggiato a un muro, c’era mastro Liam, che con un boccale di birra in mano chiacchierava allegramente con il macellaio e la signora Finnigan, una donna sottile come un giunco, l’espressione arcigna e il naso adunco e butterato. A giudicare dalla scioltezza dei loro gesti, Alan intuì che stessero parlando di cose di poco conto, come la cerimonia di nozze della nipote del notaio o l’instabilità del tempo. Da quando sua moglie era morta, mastro Liam parlava solo di cose futili, anche nei momenti in cui avrebbe dovuto essere serio. Forse era per questo che il rapporto con sua figlia si era logorato.
Qualcuno stappò il vino e la folla rispose con esclamazioni di gioia. Poi, dalla torre campanaria al limitare della città, partirono i primi fuochi, che si aprirono in fiori colorati nel cielo notturno.
Alan sbadigliò e si sistemò a gambe incrociate ad osservare il tripudio di scintille che esplodevano sopra di lui, intessendo l’elegante seta notturna con granati, topazi e zaffiri sfavillanti. Ecco, in quel momento avrebbe volentieri bevuto una buona birra, una di quelle ghiacciate che Maxwell gli aveva fatto assaggiare il mese scorso.
Un fruscio alle sue spalle lo distolse dai suoi pensieri.
- Mi avevi promesso che saresti venuto con me alla festa. -
Un sorrisetto gli arricciò le labbra: - Ci sono venuto, solo non sono rimasto. Non me lo hai chiesto. -
- Pensavo fosse scontato. -
- Non c’è niente di scontato nella vita. -
- Gne, gne, gne! -
- Sei infantile. -
- Mai quanto te. -
Eluaise si sedette vicino a lui. Il mantello di velluto rosso disegnava il profilo delle spalle sottili e, assieme all’ampia gonna dell’abito verde e alla treccia ornata da fiori di campo, le conferiva un’aria quasi principesca. Alan si sarebbe pure fatto scappare un complimento, se non fosse stato per gli occhiali d'aviatore che rovinavano completamente l'effetto.
- Dovevi proprio tenere quei brutti occhiali? -
- Mi sembra ovvio! E poi non sono così male appesi al collo. Potrebbero passare per una collana. -
- Una collana piuttosto stramba. -
- Ma pur sempre una collana. Potrei lanciare una nuova moda, che dici? -
- Continua a sognare. -
Lei rise e gli diede un pugno sulla spalla. Anche Alan scoppiò a ridere e le si avvicinò un po’ di più.
- Comunque, stai davvero bene. Intendo i tuoi vestiti. Sei molto carina. -
Eluaise avvampò e si strinse nelle spalle per celare il rossore che le colorava le guance: - Non è vero, lo dici solo per prendermi in giro. -
- Lo sai che, se ti volessi prendere in giro, avrei detto ben altro. -
- Tipo che sembro uno gnomo in tutù? -
Il ragazzo sghignazzò: - Sì. Oppure ti domanderei se hai avuto un incontro ravvicinato con un cane rabbioso incazzato. -
- Alan! -
Un altro pugno, stavolta sul braccio.
Alan non riuscì a trattenere l’ennesima risata. Da quanto non si sentiva così sereno? Trasse un profondo respiro e le accarezzò i capelli le ciocche sparse sfuggite alla treccia, seriche lingue di fuoco che si attorcigliavano attorno alle sue dita come tanti piccoli serpenti.
Eluaise sbuffò e distese le gambe sull'erba. Il vestito si alzò fin sopra il ginocchio, mettendo in mostra la pelle bianca cosparsa da un delirio di lentiggini.
Bella lo era sempre stata, ma agli occhi di Alan in quell'istante parve ancora più splendida. Fin da quando era entrato in quella casa, aveva desiderato di starle accanto. Adesso che avevano entrambi quindici anni faceva fatica a riconoscere in quella ragazza la sua compagna di giochi di un tempo, quella che indossava i pantaloni giallo limone scoloriti e la maglietta bianca troppo larga e si faceva pettinare i capelli in lunghe code da Vesa nelle torride giornate estive; quella che rimaneva seduta sullo steccato accanto a lui, con le gambe ciondolanti e gli occhi rivolti verso il cielo, stregati dall’avvicendarsi delle nuvole e dal lampeggiare dei fulmini nel cielo; quella che, raggomitolata tra le sue braccia avida di calore, si lasciava bagnare dalla carezza catartica della pioggia.
Si riscosse e si schiarì la gola.
- Allora, come procedono i tuoi studi a Chasterm? - le domandò.
Eluaise tirò un sospiro di sollievo a quel repentino cambio di argomento.
- Bene, direi. Ho ottenuto la borsa di studio e il capo della gilda mi permette di tornare a casa ogni fine settimana. Non sto nella sede centrale, ma spero di andarci presto, anche perché sono proprio curiosa di vedere i progetti a cui stanno lavorando. Dicono che stiano costruendo un motore capace di trasformare l'aria in energia elettrica, così da usarla come combustibile. -
- L’aria? -
- Ehi, non fare quella faccia! Guarda che non è una cavolata! -
- Non lo metto in dubbio, ma permettimi di essere un tantino diffidente. -
Eluaise roteò gli occhi esasperata: - Tu sei sempre diffidente. -
- A parte con te. -
Sorrise e arrossì: - Tu, invece? Come procedono gli addestramenti alla rocca? -
- Procedono. Ho superato la prova delle malattie. Gwynever è morta e anche Jillian l’ha seguita subito dopo. -
- Oh. Mi dispiace… -
- Pure a me, ma alla fine sapevamo che sarebbe finita così. Dei dieci bambini che vengono sottoposti ai riti, uno o al massimo due diventano Slayer. - mormorò e si esibì in una smorfia carica di amarezza.
Eluaise non commentò, sciolse solo il nodo del mantello e lo distese sulle spalle di entrambi, come sempre faceva quando succedeva qualcosa di brutto e si rintanavano insieme sotto la coperta in attesa che la tempesta finisse. Sopra di loro altri tre fuochi d’artificio esplosero in figure iridescenti tra fischi e boati e la folla in piazza si lanciò in sonore esclamazioni di ammirazione.
Alan, teso e impacciato, accarezzava i capelli di Eluaise, aspirando il loro profumo di lillà e fiori d’acacia.
- Papà come sta? -
- Come al solito. Non penso riuscirà mai a superare la morte di mamma. Ormai sono sei anni che non c’è più e si rifiuta ancora di parlarne. - rispose triste la giovane.
Alan annuì, poi l'abbracciò e la cullò dolcemente. Lei appoggiò il viso sul suo petto e lo lasciò fare, nascondendo le lacrime dietro le ciglia.
Per un po’ rimasero così, avvolti nella loro bolla privata che li isolava dalla realtà. Alan non sapeva perché, ma con Eluaise al suo fianco si sentiva al sicuro, protetto. Le sfiorò con le labbra i capelli, l’orecchio e lei si ritrasse appena, senza però fuggire dal suo abbraccio.
- Sogni ancora, Alan? - domandò all’improvviso.
Il ragazzo si irrigidì: - No. -
- Stai mentendo. -
- Elly, per favore… -
- È importante. -
Lui sospirò e levò gli occhi al cielo. Trascorse un lungo, silenzioso minuto, prima che trovasse il coraggio di annuire.
- Sempre la stessa cosa? -
- No. Stavolta in quel laboratorio vedo delle figure, degli scienziati con un camice bianco e uno stemma che non conosco cucito sulla schiena. Accanto a me c’è un’altra persona, un uomo prigioniero in un cristallo bianco, sembra quasi che l’abbiano rinchiuso in un blocco di ghiaccio. Non so come, ma ho la certezza che sia ancora vivo. E soffre, soffre tantissimo, percepisco il suo dolore come se fosse il mio. -
Eluaise gli strinse la mano per dargli forza, per fargli sentire che lei era lì. Quel calore, come ogni volta che Alan veniva in contatto con esso, riuscì ad allentare il nodo alla bocca dello stomaco, quello che gli attorcigliava le viscere come un filo spinato.
- C’è un forte odore di… di disinfettante. Il pavimento è cosparso di cavi che si connettono a dei cristalli per lo più azzurri, anche se ce n’è qualcuno che riluce di tonalità giallastre. All’interno però ci sono sempre delle persone. Anzi, beh, non so quanto si possano definire tali. -
- In che senso? -
- Nel senso che non sono completamente umani. Alcuni hanno le braccia scarnificate come quelle di un’Eferia, altri ancora hanno il corpo ricoperto da scaglie come quelle di un basilisco o di un drago. C’era addirittura una… una donna con le gambe mutate in due lunghe code di serpente. – deglutì e affondò le dita nella terra, - Quando uno degli scienziati ha posato la mano sul cristallo e l’ha sciolto, quella donna ha cominciato a urlare e a dimenarsi come un’ossessa, soprattutto quando le hanno infilato tutti quegli aghi nella pelle. - concluse, tentando di tenere a freno i brividi che rievocare quelle terribili visioni gli avevano provocato.
- Per gli dei… chi potrebbe mai fare una cosa simile? -
- Non ne ho idea, so solo che erano coscienti. Tutti quanti. -
Rimasero in silenzio, senza che nessuno dei due trovasse il coraggio e la voglia di parlare. Entrambi sognavano e spesso si svegliavano di soprassalto, spaventati e boccheggianti, nel cuore della notte, ma nessuno dei due ne aveva mai fatto parola, né con Maxwell né con mastro Liam. Era una cosa che solo loro due potevano capire, un segreto che li legava e li soffocava al tempo stesso.
 - Un giorno scopriremo a cosa sono dovuti. -
- Speriamo. -
- Ce la faremo. Dobbiamo. - la voce di Eluaise tremò appena.
Sempre che io non muoia prima.”
Alan tenne quel pensiero per sé: sapeva quanto la sua scelta di diventare Slayer facesse star male Eluaise, sapeva quante lacrime versava ogni volta che saliva sul treno diretto a Moor, verso la sua rocca piena di fantasmi, dove i sussurri dei morti facevano frusciare l’erba ingrigita dalla cenere dei corpi bruciati.  
- Non sei obbligato a tornare… - mormorò lei.
- Elly… -
- Non mi devi proteggere, non ne ho bisogno. -
Alan inclinò il viso, le sollevò il mento e posò le labbra sulle sue con delicatezza e imbarazzo, il cuore che gli batteva rapido nel petto. Percepì il suo respiro fermarsi, vide gli occhi lucidi spalancarsi per la sorpresa e poi chiudersi, mentre i loro corpi si distendevano sull’erba, talmente stretti da lasciar pensare che le loro ossa si sarebbero rotte per poi rifondersi insieme. Sotto di loro, dalla piazzetta claustrofobica di Eartshire, si alzavano canti, fischi, risate; in alto, nel cielo screziato da fumose pennellate purpuree, una tempesta di fuochi d’artificio sbocciava senza sosta in un turbine di scintille.
 
- Alan, non muoverti. Devo cambiarti le medicazioni o le ferite si infetteranno, va bene? -
La voce di Temarie gli arrivò lontana, distante chilometri. Subito dopo, il rumore di una porta spalancata rimbombò nella sua scatola cranica come il fragore di un tuono.
- Temarie, c’è bisogno di te. Maxwell perde molto sangue e una costola gli ha perforato un polmone. Devi aiutare Ludwik. -
- Sam, non ho il dono dell’ubiquità! Uff, va bene, occupati tu di lui e tieni d’occhio Rachel. -
Presto Alan avvertì solo il tocco bruciante dell’alcol sull’addome, che sgocciolava sul pavimento mescolandosi all’odore di pelle e al miasma soffocante di etere e formalina. Non ricordava di essere stato ferito lì. Sul petto nudo, all’altezza del cuore, qualcosa, come una piccola sfera, emanava un continuo e costante calore.
- Maxwell… Maxwell è… - gemette roco.
Prima di rispondere, Samuelle srotolò le bende intrise di sangue e cominciò a ripulire con calma uno dei tanti tagli che gli sfregiavano la carne. Sentì il suo tocco delicato mentre tamponava, cercando di fargli meno male possibile, ma il suo corpo era un incendio di dolore che gli bruciava le sinapsi, si insinuava tra i suoi pensieri e affondava le zanne velenose nel suo cervello, per poi tirare, strappare e ridurre a una straziante impotenza. Le ombre del mondo avevano assunto una sfumatura rossastra, mentre i contorni della realtà si erano fusi in un’unica vena scarlatta che si attorcigliava in sinuose volute di fumo, disperdendosi nell’aria come coralli di sangue.
- Cosa… cosa ho…? -
- Febbre e tachicardia. La piccola pietra del potere che Ludwik ti ha posizionato sul petto dovrebbero rallentare il battito, ma… -
La frase le morì in gola e, con attenzione, gli alzò un braccio per far passare una benda. Nonostante quel movimento, la sfera rimase immobile.
- Cos’è... successo a... Rachel? -
- Lei sta abbastanza bene. L’abbiamo trovata subito, prima che la magia le procurasse un infarto. -
Il cacciatore annuì, reprimendo a stento un mugolio sofferente. La testa gli pulsava, ben più delle ferite aperte, più del disinfettante sulle braccia, più della gemma che continuava ad irradiare calore.
- Eluaise è la donna che stai cercando? -
- Come fai a saperlo…? -
- Prima, nel sonno, hai gridato spesso il suo nome. -
- Sì… sì, è lei… -
- Pensa a lei, allora, e resisti. Non mollare, Alan. -
C’era qualcosa di strano nella sua voce, ma Alan era troppo stanco per capire a cosa fosse dovuto. Udì i passi di qualcuno avvicinarsi, poi gli sembrò che un ago gli penetrasse nel braccio. Il sonno sopraggiunse subito, accompagnato da un piacevole tepore che sciolse definitivamente ogni suo pensiero.
 
La porta della camera da letto era chiusa, come sempre accadeva quando in casa rimanevano solo loro due. In quei casi Alan non si degnava neanche di bussare prima di entrare.
Frejie se ne stava distesa sul letto, con i gomiti che affondavano nel materasso di morbida piuma e i piedi laccati con uno smalto nero sollevati a mezz’aria. Era nuda, così come l’aveva lasciata qualche minuto prima, con i capelli biondi che catturavano la luce obliqua del tramonto in languide lingue dorate, le gemme del potere che brillavano pallide sulla pelle di porcellana nel loro labirinto di rune e simboli arcani e i fianchi arrossati dai lunghi graffi.
Non si era nemmeno girata a guardarlo, ma Alan sapeva che si era accorta della sua presenza. D’altronde, lui non aveva fatto nulla per celarla.
Si richiuse la porta alle spalle, stando bene attento a non fare rumore, e solo in quel momento la maga si girò. La matita nera le impiastricciava le ciglia lunghe e del rossetto non rimaneva altro che una striscia rosata sulla guancia, eppure Alan non poté che trovarla estremamente sensuale.
Raggiunse il letto, gattonò sopra di lei e le elargì un sorriso stiracchiato. Frejie chiuse il libro che stava leggendo e attese che fosse abbastanza vicino per allungarsi verso la sua bocca e reclamare un bacio.
- Cos’hai intenzione di fare? - bisbigliò.
Alan si umettò le labbra e rimase in silenzio ad osservarla, tenendola prigioniera sotto di sé. Aveva le mani appoggiate sulle coltri, all’altezza del seno, e le ginocchia aperte sfioravano le ossa sporgenti dei suoi fianchi morbidi. Lei lo guardò con un mezzo sorriso, i capelli sparpagliati sulle spalle e sul cuscino come soffici fili dorati.
Quando era tornato in quella villa, circa sei mesi prima, a malapena l’aveva riconosciuta. Tutto era cambiato di lei, in quei cinque lunghi anni, persino il nome. Tutto a parte gli occhi, di un azzurro talmente intenso e limpido da sembrare vetro soffiato.
- Voglio averti ancora. - le sussurrò e cercò di trasmettere il desiderio che provava in quelle tre parole.
- Lo vuoi sempre. - replicò lei e il sorriso si ampliò.
Frejie sorrideva sempre da quando c'era Alan, proprio come Eluaise. Il ricordo del loro ultimo saluto sopraggiunse inaspettato, togliendogli il respiro. La maga dovette accorgersene, perché prese lei il controllo.
Lo afferrò di scatto e, tirandolo per le spalle, lo costrinse a mettersi seduto con le gambe ben divaricate. Poi una specie di corda invisibile gli si attorcigliò saldamente attorno ai polsi e lo sospinse contro la testata del letto.
- Non pensare. Ora ci sono io qui con te. -bisbigliò suadente e, allo stesso tempo, decisa, come quando dava ordini.
- Non mi metterei mai contro di te, mia signora. - scherzò.
- Lo so. -
Si inginocchiò tra le sue gambe e accolse la sua virilità tra le labbra. Una scarica di piacere gli arrivò al cervello, annientando al suo passaggio ogni sua resistenza o esitazione. Con gli occhi socchiusi, il cacciatore aprì di più le gambe, combattendo contro l’impulso di muovere il bacino, mentre il calore lo avvolgeva ad ogni affondo. Strinse le mani a pugno e si morse la lingua trattenendo un gemito, il sudore che gli imperlava il petto e scivolava in stille salate sulla pelle cosparsa di brividi.
Era una giornata afosa ad Eartshire, di quelle che ti costringevano a rimanere in casa per proteggerti dalla luce abbacinante di un sole troppo luminoso e un cielo di un azzurro così intenso da sfociare in un denso color cobalto. Nella stanza la temperatura crebbe vertiginosamente, mescolandosi al penetrante odore di sesso e di fiori di ginepro che si respirava nell’aria.
Alan abbassò appena lo sguardo, osservando con gli occhi offuscati la testa bionda che si muoveva in un lento oscillare che ricordava il mare calmo. No, Frejie non aveva nulla in comune con Eluaise, nemmeno nel sorriso, quel sorriso che adesso sapeva averle arricciato appena le labbra. Annaspò e rovesciò la testa all'indietro. Ondate di piacere gli trafissero il cervello come una scarica elettrica ad ogni sapiente guizzo della sua lingua, una continua e piacevole agonia a cui non poteva a non voleva sottrarsi.
Un gemito più forte degli altri gli sfuggì dalla gabbia dei denti. Inarcò la schiena, allargò ancora di più le gambe e fremette, in balia delle pulsazioni incontrollate che pretendevano di trovare sfogo. Avrebbe desiderato accarezzare con le dita in quei fili d’oro, ma Frejie non glielo avrebbe permesso. Era lei che comandava e solo lei poteva decidere quando concedergli misericordiosamente il premio.
- Fre… Frejie… - la invocò ansimando.
La maga lo fissò dal basso, le pupille dilatate e le guance rosse, per poi accarezzargli l’interno coscia con delicatezza, in un tacito segno di assenso. Alan si irrigidì, le gambe si fecero molli e l'orgasmo esplose nel basso ventre come un incendio. I pensieri si sgretolarono e il corpo si sciolse, abbandonandosi agli ultimi stralci di piacere.
Quando Frejie si tirò su, con le spalle dritte e lo sguardo fiero di una leonessa, vide un rivolo bianco scivolarle lungo il mento e il collo.
- Vuoi sempre comandare tu, eh… -
Lei ghignò e schioccò le dita, poi si stese al suo fianco. La pressione esercitata dalle corde invisibili si allentò e scomparve.
- A me non sembra ti dispiaccia. -
- Ho mai lasciato intendere che non mi piacesse? -
- Ci mancherebbe che non ti piacesse. -
- La modestia è un tuo tratto caratteristico. -
- Sempre. -
Il cacciatore fece passare un braccio attorno ai suoi fianchi e l'attirò a sé.
Si rilassarono e restarono in silenzio, forse perché nessuno aveva nient’altro da dire, forse perché c’era troppo di cui parlare. In quei mesi si erano raccontati un sacco di cose a letto: ricordi, rimpianti, verità, soprattutto bugie. Quelle non erano mai mancate, da entrambe le parti. Eppure, nonostante entrambi fossero consapevoli che prima o poi quell’illusione sarebbe finita, continuavano a fingere per prolungare il più possibile quegli effimeri momenti di pace.
- Alan? -
-Uhm? -
Lo Slayer aprì gli occhi. Nella luce del crepuscolo, la figura di Frejie risaltava come la statua di un’antica divinità pagana, una sensuale driade dei boschi dagli occhi così azzurri da rivaleggiare con le acque cristalline del Belriad.
- Rimarrai qui? -
- Sì. -
- Stai mentendo. -
Alan chiuse gli occhi, affondò il naso nel suo collo e inspirò il suo odore intossicante. Frejie allungò la mano, intrecciando le dita con quelle dell'amante.
Il sole in quel momento tramontò. Le ombre si allungarono e l’oscurità li avvolse in un morbido e fresco velo nero.
- Però posso dirti una cosa. - la voce del giovane si addolcì e l’altra mano, quella libera, le accarezzò la guancia, - Quando avrai bisogno di me, ci sarò. -
- È una promessa? -
Alan si perse per interminabili attimi a contemplare rapito il profilo delicato del suo viso, la bocca carnosa, la curva perfetta delle ciglia e della mandibola. C’era dolcezza in quel volto, adesso, una dolcezza che Frejie aveva sempre nascosto, anche nei momenti d’intimità. Era più unico che raro che si lasciasse andare in quel modo.
- Alan? -
- Sì, è una promessa. - rispose infine e seppellì la faccia in quella profumata chioma dorata.

 


 

Note d'autore, aka I deliri saltuari di Hime

Ciu!

Buongiorno miei prodi, bentornati al 26 esimo capitolo di questa storia che si fa sempre più complicata XD Allora,vi sta piacendo? Avreste mai pensato che le avventure di Alan avrebbero preso questa piega? Bè, io no, pensavo sarebbe stata una mini long di massimo 10 capitoli, invece... *sospira* vabbè, non ho deciso di scrivere questo famigerato angolo autore per tediarvi con le mie seghe mentali. In primis, per quel che riguarda questo capitolo, volevo dirvi che l'ultima scena, è stata resa meno esplicita per rimanere nei limiti del rating arancione. Qualora vi interessasse leggere quella super (?) hot, la trovate QUI.

In secondo luogo, a parte cogliere l'occasione per invitarvi a visitare la pagina Hime-chan dove posto puntualmente deliri/avvisi/foto e coseh di natura non identificata, ci tenevo a dirti che ci avviciniamo a metà della storia ** Eh, già, Slayers conta circa 60 capitoli e... e niente, volevo condividere con voi la gioia di essere quasi arrivata al trentesimo in poco più di un anno. E nulla... poi quando arriveremo al trentesimo capitolo vi scriverò un'altra nota autore u.u

Un bacione e a presto

Hime

  
  
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