Anime & Manga > Rocky Joe
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Autore: innominetuo    11/06/2016    10 recensioni
Joe Yabuki ritorna sui suoi passi, dopo un anno di dolore e di rimpianto. La morte di Tooru Rikishi lo ha segnato profondamente. Ma il ring lo sta aspettando ormai da tempo.
E non solo il ring.
…Se le cose fossero andate in un modo un po’ diverso, rispetto alla versione ufficiale?
Storia di pugilato, di amore, di onore: può essere letta e compresa anche se non si conosce il fandom e quindi considerata alla stregua di un'originale.
°°°°§*§°°°°
Questi personaggi non mi appartengono: dichiaro di aver redatto la seguente long fic nel rispetto dei diritti di autore e della proprietà intellettuale, senza scopo di lucro alcuno, in onore ad Asao Takamori ed a Tetsuya Chiba.
Si dichiara che tutte le immagini quivi presenti sono mero frutto di ricerca su Google e che quindi non debba intendersi il compimento di nessuna violazione del copyright.
Si dichiara, altresì, che qualsivoglia riferimento a nomi/cognomi, fatti e luoghi, laddove corrispondenti a realtà, sono puro frutto del Caso.
LCS innominetuo
Genere: Drammatico, Romantico, Sportivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Lime, Missing Moments, What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Bianche Ceneri'
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“Vecchio, ma è proprio necessario?”

Joe stava finendo di vestirsi: di lì ad un’ora circa si sarebbe tenuta una conferenza stampa nientemeno che alla Tele Kappa, in presenza del presidente Iwao Fujita, dei giornalisti sportivi… e del team Lewis. Pochi giorni addietro, infatti, Dudley Walker era arrivato a Tokyo, pretendendo a viva voce un incontro televisivo in diretta con il suo prossimo sfidante. Il Giappone non era ancora molto avvezzo a certe consuetudini proprie degli incontri sportivi statunitensi: seppur con riluttanza iniziale, alla fine Fujita-san aveva dovuto acconsentire. Del resto, ad un po’ di pubblicità gratuita non si può dir di no a cuor leggero: e di certo un incontro intermedio di Joe con un altro pugile straniero, in attesa di poter assistere a quello clou dell’anno contro Mendoza, poteva pur sempre suscitare un discreto interesse da parte del pubblico appassionato di boxe!

“Ormai non possiamo più tirarci indietro. E se tu non partecipassi, Dudley Walker sarebbe capace di andarsene in giro dicendo che hai paura di lui o stronzate del genere … l’hai letto il biglietto che ti ha mandato, no? Non esiterebbe a diffamarti, quel tizio. Su,” Tange gli porse il giaccone, “datti una mossa, o arriviamo in ritardo. La sede della Tele Kappa non è propriamente dietro l’angolo.”

In quel mentre, udirono il colpo di clacson del taxi prenotato, che li aspettava parcheggiato fuori dalla palestra.

“Bah… piuttosto è questo quartiere che si trova in culo al mondo!” bofonchiò Joe, visibilmente scocciato. Avrebbe preferito milioni di volte potersene stare tranquillo a continuare il suo allenamento, anziché perdere del tempo prezioso a fare la star televisiva! Dopo un cenno di saluto agli altri ragazzi del club, Joe fece calare sul viso la sua consueta maschera di ironica indifferenza, fischiettando un motivetto leggero.

Una volta giunti alla sede televisiva, Joe e Tange trovarono una discreta folla di giornalisti e di curiosi: onde evitare di essere “amorevolmente” assediati, pensarono di filarsela per un’entrata secondaria, così da poter entrare nel palazzo indisturbati.

La sala delle conferenze era già gremita: oltre ai cameraman ed ai telecronisti, non vi prendevano parte solo i reporter giapponesi, ma anche quelli di New York, inviati dalle principali testate giornalistiche sportive statunitensi. Fujita aveva saputo fare le cose in grande, seppur con pochi giorni di preavviso: aveva pure fatto allestire un sontuoso buffet di cucina internazionale ed aveva assunto, per l’occasione, pure delle premurose hostess e dei bravi barman: nessuno avrebbe avuto così da ridire sull’arcinoto spirito di accoglienza del paese del Sol Levante!

Joe venne accolto dai flash, che quasi lo accecarono, facendolo innervosire: inutile, non si sarebbe mai abituato allo star system! Quella roba proprio non faceva per lui!

“Un momento di attenzione, prego. Innanzitutto grazie a tutti voi per aver accettato il nostro invito,” cominciò Fujita, facendo abbassare il brusio delle voci ed invitando tutti gli astanti a prendere posto: “nonostante un invito dell’ultima ora. Dopo la conferenza, nel salone attiguo sarete tutti graditi ospiti della Tele Kappa, con un catering allestito appositamente per voi. Adesso diamo il benvenuto ai nostri beniamini: Yabuki Joe e Mr. Dudley Walker! Un bell’applauso, per favore!”

La graziosa interprete traduceva in tempo reale il discorso del presidente, man mano che veniva snocciolato. Uno scroscio entusiasta di battimani sottolineò l’ingresso dei due protagonisti della giornata, ognuno dei quali affiancato dal proprio procuratore. Presero posto specularmente alle due ali del tavolo, al di qua ed al di là di Fujita-san e dell’interprete.

Joe teneva lo sguardo fisso di fronte a sé, come se, a bella posta, ostentasse di voler ignorare l’americano. Nonostante tale atteggiamento, si sentiva però addosso gli occhi di Walker tenacemente fissi, quasi come se volessero trapassarlo da parte a parte. Strinse le labbra e calcò ancora di più il berretto fin sugli occhi, con fare strafottente. I giornalisti cominciarono con le loro domande, cui i due pugili risposero pressoché a monosillabi: il lavoro ingrato di soddisfare esaurientemente la curiosità delle testate sportive venne quindi affibbiato a Lewis ed a Tange, i quali si dimostrarono ben più educati e disponibili dei loro rispettivi pupilli.

Ad un certo punto, Dude si alzò in piedi e, con due balzi, raggiunse Joe dall’altra parte del lungo tavolo: non lo prese alla sprovvista, però, perché per tutto il corso della conferenza, i muscoli di Joe erano stati percorsi dai tremori dell’eccitazione e dell’adrenalina. Il suo corpo, a differenza del viso mantenuto volutamente nella più totale inespressività, era sempre rimasto vigile e teso, pronto a scattare. E scattò, infatti, con un movimento talmente rapido da essere quasi impossibile da visualizzare. Dude si ritrovò così il suo avversario in piedi, a pochi centimetri di distanza. Ora i due ragazzi si fronteggiavano, furibondi: due paia di intensi occhi neri, di diverso taglio ma dalla medesima espressione di cupo furore, parevano essere il comun denominatore di un muto messaggio di confronto, di desiderio di rivalsa.

Di odio.

I loro corpi erano rigidi e tesi, come due blocchi di marmo e le mani strette a pugno, con le nocche bianche. Lievi stille di sudore percorsero i loro volti, dalle mascelle contratte sino al parossismo.

I giornalisti non si fecero scappare il ghiotto boccone: flasharono i due pugili, ben contenti di riempire le rispettive testate con le fotografie ritraenti quella silenziosa ed inequivocabile sfida. Tange e Lewis si scambiarono, ansiosi, un fugace sguardo ed accorsero subito dai loro rispettivi pugili, per tenerli lontani l’uno dall’altro, temendo che potessero scatenare il finimondo!

“Vieni Joe… ti prego, lascialo perdere! Tra pochi giorni te la vedrai con lui su un ring! Vieni via!”

Intanto Dude sorrideva a Joe, tentennando leggermente il capo a mo’ di dileggio: un sorriso carico di aperto disprezzo, il suo. Nulla a che vedere con la sincera bonarietà del povero Leon Smiley, dimostrata a Joe sia durante il loro incontro che fuori dal ring. Com’era diverso questo Walker… amico di Leon, a quanto pare, anch’esso pugile assai promettente della scuderia di Lewis: ma con un’aura distruttiva che coinvolgeva tutto ciò che andava a toccare. Una pura fiamma di odio: odio cieco e pazzo, financo stupido. Ma senza freni. Joe si divincolò con uno strattone dalla stretta di Tange e stavolta fu lui ad incombere su Walker: con un gesto fulmineo, estrasse dalla tasca una pallottola di carta.

“Eccoti qua la mia risposta alla tua lettera!” gli sibilò, lanciandogliela addosso.

L’altro non smise di sorridere, sputando in terra in direzione di Joe. Al che si voltò e se ne andò, con Morgan Lewis che gli trotterellò dietro, dopo essersi scusato con Joe e Tange, profondamente costernato. Fujita-san rimase impietrito, incapace di dire o di fare alcunché, per arginare lo scandalo, mentre i cameraman continuavano meccanicamente a riprendere la scena ed i giornalisti, eccitatissimi per lo scoop, non smettevano di vociare e di scattar foto.

°°°°°°°°

Tokyo, stazione di Iidabashi, al tempio di Daijingu, nel tardo pomeriggio.



Da tempo immemore amava immergersi nell’atmosfera tranquilla del tempio.

Fuori dal torii*, la città continuava con i suoi ritmi convulsi, senza fermarsi mai. Ma era sufficiente oltrepassare il portale per sentirsi lievemente trasportati in un altro luogo… in un’altra vita.

Quanti anni erano passati, dalla prima volta?

Più di cinquanta. Ora come allora, indossava sempre lo stesso kimono, per fare visita ai suoi kami**, almeno con il pensiero e con la preghiera. Di tutto il proprio folto guardaroba, composto da kimono dal valore inestimabile - dato che ognuno di essi era di pura seta di gelso***, e spesso era stato dipinto a mano anziché semplicemente stampato: quindi ognuno dal valore di milioni di yen – Hatsuyo Shiraki custodiva gelosamente proprio quello più semplice e disadorno. Per lei quello era il kimono in cui racchiudeva le sue lacrime: asciutte sugli occhi da mezzo secolo, ma mai prosciugate nel suo cuore. Le tinte blu scuro della seta un tempo si erano perfettamente accordate ai riflessi argentei dei suoi capelli. Ora si rispecchiavano nelle ombre che le si agitavano dentro, sin nel profondo.

I gesti rituali si ripeterono, sempre uguali, una volta di più.

Alla fontanella del drago, muto custode di pietra, Hatsuyo si purificò le mani, prima di pregare: si lavò prima la mano sinistra, poi la destra. Poi si lavò la bocca e il mento, ancora con la sinistra. Non avrebbe scritto nessun omikuji: sin troppi ne aveva vergati, tanti anni prima… chiedendo invano che i suoi desideri venissero esauditi. Ora non ne aveva più. Si limitò a lasciare un’offerta, dopo aver tirato la corda al battente della campana, facendo risuonare dei cupi rintocchi. Prima di allontanarsi, si concesse il lusso di osservare alcune giovani donne che, sorridendo tra loro con gli occhi e con le labbra, lanciavano le monetine da cinque yen, di buon auspicio. Chissà… magari credevano ancora di poter trovare l’amore e la felicità… Del resto, il tempio di Daijingu era devoto ad Amaterasu, la dea dell’amore: per questo, seppur piccolo e seminascosto, esso era frequentato soprattutto da ragazze e da giovani coppie.

Una figura si stagliò sullo sfondo, al limitare del piccolo parco. Essa non faceva parte dei devoti: stonava, anzi. Hatsuyo batté le palpebre: quell’uomo aveva un’aria vagamente familiare, anche se era ben sicura di non averlo mai incontrato prima d’ora. Lo sconosciuto le si avvicinò, con passo tranquillo.

“Buongiorno. Avrei bisogno di parlarLe.”

“Non La conosco.” replicò l’anziana donna. Nonostante il tono freddo ostentato, sentì un vago stato di malessere crescerle dentro.

“Io invece sì.” replicò l’altro, atono. Le indicò una panchina di pietra, poco distante, in un angolo ombroso e tranquillo, racchiuso in un grazioso pergolato. “Sediamoci un momento, prego.”

“Preferirei restare in piedi.”

Preferirei che si sedesse. Scusi se insisto.” La pazienza di Nakamura stava cominciando a scemare. Respirò a fondo, imponendosi di mantenere la calma: in certi frangenti, una fredda rabbia è la migliore consigliera. Le osservò il collo sottile, ancora candido ed abbastanza liscio, nonostante l’età: era inconfutabile la bellezza dell’anziana donna, perfettamente trasfusa nella nipote. Gli sarebbe bastato premere su quel collo con la forza di una sola mano, per spezzare il respiro di quella fragile creatura.

Tanto fragile nell’aspetto, tanto delicata...

Ma capace di commettere empietà.

Si sedette per primo, ad un’estremità della panchina. Finalmente, Hatsuyo si accomodò a sua volta, tenendo la schiena ben eretta e lo sguardo fisso davanti a sé, senza però vedere nulla.

“Le è andata male.” cominciò Nakamura, senza tergiversare troppo. Si accese una sigaretta, soffiando poi lievi sbuffi di fumo fuori dalle labbra con espressione assorta. “Le consiglio, tuttavia, di darci un taglio, con gli agguati notturni e con le auto manomesse. Una dama d’élite come Lei dovrebbe occuparsi solo di ikebana e di teatro Nō.”

“Non capisco di cosa stia parlando.” mormorò Hatusyo, mentre sudava freddo, nonostante il viso incipriato perfettamente composto.

“Invece lo sa benissimo. Vede,” al che Nakamura spense la sigaretta tra due dita, con sussiego “a quelli come me non sfugge mai nulla. E nel raro caso in cui sfugga qualcosa, sappiamo bene a chi rivolgerci per farci spiegare certi… accadimenti. Sappiamo pure come fare per farci raccontare i fatti altrui. Agguati notturni ed auto manomesse compresi.”

“Non intendo continuare ad ascoltare le basse insinuazioni di un delinquente.” Hatsuyo si alzò, ma Nakamura, con un gesto fulmineo, le prese una mano e gliela strinse leggermente, senza esercitare una pressione eccessiva, o la donna avrebbe gridato di dolore, attirando gli astanti.

“Mi ascolti bene, Shiraki-sama, anche perché la prossima volta che dovesse rivedermi non mi limiterò a parlarle. Stia alla larga da Joe. E stia alla larga dalle ikka****: o Le assicuro che con una mia mezza parola le farò conoscere l’inferno su questa terra. Lei non conosce le famiglie e non sa come ci si debba muovere: si ritenga fortunata che, dopo i suoi piccoli intrighi e pure con un morto in mezzo, finora nessuno sia venuto a farle regolare ulteriori conti… mi intende?” le intimò in tono duro, seppur a bassa voce.

“Cosa… cosa è per Lei quel ragazzo?” balbettò lei, trasecolata. Batté le palpebre, fissandolo con attenzione. “No… la mia è una domanda inutile, ora che La osservo bene.” sorrise, gelida. “Credo di aver capito. E sa una cosa? Da oggi in poi me ne laverò le mani, può tranquillizzarsi. Non ci sarà più bisogno di nessun mio intervento, per il futuro.”

Nakamura aggrottò le sopracciglia, con fare interrogativo.

“Joe Yabuki sarà ben capace di distruggersi da solo. Dovrò solo starmene ad aspettare. Buona sera.”

Con un grazioso inchino, Shiraki-sama si voltò e se ne andò.

Hiro, rimasto da solo, si accasciò sulla panchina, sentendosi sconfitto per la prima volta in vita sua.

°°°°°°°°

“Joe, dimmi… è proprio necessario?” sussurrò Yoko, il viso adagiatogli nell’incavo del collo, le labbra di lei sulla sua spalla.

Joe sorrise: l’ignara Yoko aveva ripetuto le sue stesse parole, pronunciate a Danpei alcune ore prima. Pur intuendo a cosa si riferisse, fece orecchi da mercante.

“Cosa intendi dire?”

Yoko sollevò un po’ il viso, per poterlo guardare negli occhi. Vide una luce divertita nello sguardo di Joe, cosa che la indispettì. “Va bene, va bene… lasciamo perdere. Tanto hai capito a cosa alludo!” Si alzò in piedi, per indossare, con pochi gesti febbrili, la leggera vestaglia di raso nero.

“Se ti riferisci a Walker… sì. Lasciamo perdere. Non intendo tirarmi indietro.” replicò lui, secco. Con passo leggero, raggiunse Yoko, che, dandogli le spalle, si era accostata alla finestra, per guardare le mille luci di Tokyo. La villetta ereditata dalla madre, ove ormai viveva da quasi un anno, era stata eretta su una collina, consentendo così una bellissima vista dall’alto. Joe la cinse alla vita da dietro, stringendola a sé.

“Il fatto è che quel pugile mi spaventa.” Yoko, in preda all’agitazione, si sciolse subito dalla stretta, per potersi voltare e guardarlo in viso. “Non credo di aver mai visto nessuno tanto brutale in vita mia! Kiyoshi mi ha parlato di lui e mi ha pure prestato delle diapositive da vedere… Joe: non è un avversario normale! Walker è una belva furiosa, assetata di sangue! Durante un incontro ha persino dato un morso al collo del suo avversario, tanto da esser stato squalificato dal match e sospeso per diversi mesi*****!” al che Yoko racchiuse il viso di Joe tra le sue mani “Ho paura. Joe, io ho paura che ti possa fare del male! E non potrei sopportarlo! Ti prego, annulla l’incontro!” gridò, in preda all'angoscia, che sentiva pulsare sempre più forte dentro di lei, come una corrente inarrestabile.

“Calmati, Yoko… non mi accadrà nulla.” Joe la abbracciò, accarezzandole la schiena per darle conforto. “Ho la pellaccia dura, ormai dovresti saperlo!”

“Il mio intuito mi dice che dovresti stare alla larga da Walker...” sussurrò lei, con un filo di voce, mentre le lacrime le scorrevano sul viso. “Ti prego… fallo per me…” lo supplicò, singhiozzando.

“Lacrime non ne voglio.” mormorò lui.

Joe le prese con dolcezza il viso tra le mani e le sfiorò le palpebre con le labbra, bevendo le sue lacrime: la sua Yoko stava ad occhi chiusi, piangendo sommessamente. Percorse il viso di lei, fino a catturarle la bocca. In silenzio, la sollevò tra le braccia, per ridistenderla sul letto.

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Spigolature dell’Autrice:


*torii (鳥居): trattasi delle porte di ingresso ai templi, formate da due colonne ed una trave orizzontale sulla cima (fonte: www.daisuki.it) Mi sono innamorata del tempio di Daijingu, piccolo, intimo e raccolto… con un’aura romantica, dato che è noto come il “tempio dell’amore”. L’enorme e mastodontico tempio di Yakusuni per esempio, non si accordava alle mie esigenze narrative, pur essendo molto famoso. Avevo bisogno di farvi conoscere un aspetto meno noto della Tokyo turistica e spero di esservi riuscita!

daijingu


(fonte: www. raccontidiunagaijin.wordpress.com)

**i kami sono un po’ come i Lari degli antichi Romani: gli antenati, per il culto shintoista, sono entità benefiche che proteggono il focolare domestico. Ai kami sono spesso dedicati gli omikuji, dei messaggi scritti su biglietti che vengono appesi, sperando in un buon auspicio…

***seta di gelso: la più pregiata e costosa (v. supra capitolo III – Trappole)

****ikka: il termine per definire i clan degli Yakuza (v. supra capitolo VI – Strani accadimenti)

*****indovinate a chi mi sono ispirata per il “caratterino” di Dudley Walker? Vediamo chi ci arriva per primo!

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Ci rivediamo al prossimo capitolo, miei cari, perché i guantoni si incroceranno… eccome!

A presto!
  
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