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Autore: eliseCS    15/06/2016    2 recensioni
Secondo le regole dell’Accademia dei Guardiani un angelo custode è tenuto a seguire il suo protetto senza mai interferire nella sue azioni, rivelandosi ad esso solo in caso di particolare necessità e rigorosamente in un’unica occasione che non dovrà mai ripetersi.
Ma cosa succede se un angelo decide di sfruttare la sua unica Manifestazione per una circostanza che non rientra esattamente nei parametri che definiscono la particolare necessità?
Cosa succede se il protetto in questione non si accontenta e cerca in tutti i modi di incontrare di nuovo il suo angelo?
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Seguito della one-shot "In silenzio, tre passi indietro come un’ombra – Non ne vale la pena"
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Perché Dylan ha deciso che cosa (o chi) ne vale la pena e Aurora non ne è poi così dispiaciuta.
Perché un angelo custode e il rispettivo protetto possono incontrarsi una volta soltanto, ma forse loro sono l’eccezione che conferma la regola.
Genere: Fantasy, Generale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'In silenzio, tre passi indietro come un'ombra'
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6. Nuovo inizio
 
 
 
Dylan scattò fuori dall’aula non appena il docente decretò di aver finito di spiegare.
Non che la lezione fosse stata noiosa, ma era a digiuno da quella mattina per quegli stupidi esami e non vedeva l’ora di toglierseli dai piedi per poter finalmente mettere qualcosa sotto i denti.
 
Abitando al campus aveva felicemente appreso che il tempo libero che gli rimaneva una volta finito di studiare era molto più di quello che aveva inizialmente calcolato, e il fatto che il college avesse la sua squadra di calcio capitava proprio a fagiolo.
Appena aveva potuto, una volta finita la riabilitazione e ricevuto l’ok dal fisioterapista e da suo padre, aveva fatto domanda per poter partecipare agli allenamenti.
Sorprendentemente, nonostante i mesi di fermo, il coach lo aveva notato e gli aveva dato il benvenuto in squadra: magari le prime partite le avrebbe giocate in panchina, ma a lui andava benissimo così.
Gli esami del sangue per i soliti controlli erano l’ultima cosa che gli mancava e poi sarebbe stato a posto.
 
Arrivato in infermeria salutò Roby, una delle infermiere del campus, che già aveva capito per quale motivo fosse lì, per poi storcere il naso all’odore di disinfettante che permeava l’ambiente.
Era più forte di lui, ma quell’odore lo portava ogni volta a ricordare un periodo che avrebbe volentieri dimenticato.
 
 
 
FLASHBACK
Inizialmente avrebbe detto di sentirsi la testa leggera, come un palloncino gonfiato con l’elio pronto a scappare libero verso il cielo alla prima occasione.
Poi aveva iniziato a sentirla pesante, sempre più pesante, finchè non lo era diventata così tanto che il palloncino si era trasformato in una pietra compatta ben ancorata al suolo.
Quella però era pur sempre la sua testa, e a meno che non avesse trovato il modo di staccarsi dal collo per andarsene in giro per conto suo, quella su cui era appoggiata non era terra, ma una superficie più morbida… un cuscino?
Pian piano aveva cominciato a riacquistare sensibilità anche nelle altre parti del corpo: la punta dei piedi, le dita delle mani, polsi, caviglie, braccia, gambe… poteva sentirli tutti.
 
Per primo era arrivato l’odore: forte, di disinfettante e di chiuso, non gli piaceva neanche un po’, gli dava quasi la nausea.
Poi i suoni, prima ovattati poi sempre più chiari e definiti.
Voci confuse che non riconosceva e quel bip-bip che faceva imperterrito da sottofondo qualsiasi cosa succedesse.
Quando alla fine riuscì a riacquistare il controllo dei suoi muscoli facciali la prima cosa che vide aprendo gli occhi e mettendo a fuoco fu suo padre che piangeva.
Di gioia.
Finalmente si era svegliato.
 
 
 
Da subito le sue condizioni sulla scena dell’incidente erano apparse critiche, per non dire disperate.
Inizialmente non erano sicuri di poterlo neanche caricare in ambulanza senza che subisse ulteriori danni.
Quando poi era arrivato in ospedale, ancora inaspettatamente vivo, si era gridato al miracolo.
 
L’incidente era stato violento e i danni c’erano, molti, ma non gravi come ci si sarebbe aspettato.
Il ragazzo era stato tagliato e ricucito, medicato, bendato e gessato e quando avevano finalmente finito con lui il primario del reparto in persona si era preso la responsabilità di parlare con il signor Blake (ovviamente dopo che anche lui si fu ripreso) per rassicurarlo sulle condizioni del figlio che al momento era stato messo in coma farmacologico per permettergli una guarigione migliore.
Quando si sarebbe svegliato, dopo la riabilitazione, avrebbe persino potuto tornare a giocare a calcio se lo avesse voluto.
 
Il ragazzo doveva avere un angelo custode particolarmente bravo per essere riuscito ad uscire così bene da un incidente del genere, aveva detto il medico scherzando.
 
Così, dopo un mese passato in coma, una mattina di inizio agosto Dylan aveva finalmente riaperto gli occhi riprendendo contatto con il mondo esterno.
 
Era stata dura, soprattutto all’inizio, ma alla fine poteva dire di avercela fatta, addirittura in tempo per cominciare a seguire le lezioni al college che sarebbero iniziate a metà ottobre.
FINE FLASHBACK
 
 
 
Una volta che Roby ebbe finito con lui Dylan si fiondò alla caffetteria: un bel panino con un cappuccino e magari anche una brioche al cioccolato erano il minimo.
 
Si era abituato abbastanza in fretta alla vita lì al campus: si era fatto nuovi amici e aveva presto trovato una sua routine.
Il vero motivo per cui era così contento di avere un alloggio lì e di non dover tornare a casa spesso lo sapeva però solo lui.
Non lo sapeva neanche suo padre anche se a dirla tutta era stato proprio il signor Blake, seppur inconsapevolmente, a portare a galla la questione.
 
 
Era venuto a trovarlo un fine settimana di metà novembre per stare un po’ con lui e portarlo a cena fuori come faceva abbastanza regolarmente dall’incidente, e la conversazione di quella serata aveva avuto una novità.
Suo padre era entrato in camera sua, non ricordava neanche per quale motivo, e proprio non aveva potuto fare a meno di notare il ritratto di una ragazza dai capelli corvini, gli occhi azzurri e la pelle candida che spuntava dalla libreria, infilato tra un libro e l’altro.
Ritratto che il signor Blake aveva portato con sé e portato al figlio perché pensava che gli avrebbe fatto piacere.
Al momento Dylan aveva ringraziato e aveva riposto il ritratto, il foglio arrotolato e fermato da un elastico, senza neanche guardarlo.
La verità era che non aveva idea di chi fosse la ragazza che suo padre gli aveva descritto.
Quando però quella sera, seduto sul suo letto con la schiena appoggiata alla testiera, il suo compagno di stanza Rick che già russava, aveva posato gli occhi sul disegno di colpo aveva ricordato tutto.
 
Il vuoto che aveva provato fino a quel momento, che proprio non si sapeva spiegare e di cui non aveva avuto il coraggio di parlarne con nessuno, aveva finalmente un senso.
In quel momento aveva deciso che non sarebbe riuscito a rimettere piede in camera sua tanto presto.
Non se Aurora non era lì ad aspettarlo.
 
 
 
Dylan sospirò scuotendo la testa: ogni volta che lasciava vagare i pensieri quelli in un modo o nell’altro finivano irrimediabilmente per concentrarsi sempre sullo stesso soggetto: Aurora.
In quei mesi si era spesso chiesto che fine avesse fatto, avrebbe dato qualsiasi cosa per poter parlare con lei un’ultima volta.
In effetti ancora non riusciva a spiegarsi come mai fosse ancora vivo dopo l’incidente, e per quanto avesse provato a ignorarlo, sapeva che il fatto che lui fosse vivo e Aurora sparita non poteva essere una coincidenza.
 
Certo, ormai erano a marzo e lui era molto probabilmente l’unico fra i suoi amici a non aver ancora cercato di rimorchiare una ragazza, ma a lui non interessava.
 
 
Lo strusciare dell’altra sedia libera del tavolino al quale si era seduto lo distolse dai suoi pensieri, facendolo tra l’altro rendersi conto che si era bloccato con la tazza del cappuccino a mezz’aria.
Dylan si ritrovò davanti Rick che lo guardava come se fosse un caso perso.
E forse lo era.
 
Dopo qualche istante di attesa sembrò spazientirsi e Dylan ricambiò il suo sguardo, interrogativo, togliendosi le briciole della brioche dalle dita.
Rick alzò platealmente gli occhi al cielo mettendosi le mani tra i ricci biondi: “Allora ti sei proprio dimenticato!” esclamò.
L’espressione sempre più stupita di Dylan fu una risposta affermativa sufficiente.
“Bella ragazza, capelli castani a caschetto, occhi nocciola, bel carattere, primo anno di psicologia qui al campus… ti dice niente?” domandò sbuffando.
“Ehm… no? Dovrebbe?”
“Oh andiamo! Quella con cui ho ballato sabato scorso alla festa di Victor!”
“Ah, sì, adesso ricordo. E allora?”
“Allora… eravamo rimasti d’accordo di prendere un caffè insieme dopo le lezioni, uno di questi giorni”
“Ah-ah. E io che c’entro?” davvero non capiva dove Rick volesse andare a parare.
“Beh, tu vieni con me, ovvio no? Così magari ti trovi una piccola psicologa in erba che sia in grado di analizzarti un po’ per poi rivelarci come mai sembri totalmente disinteressato a qualunque essere che abbia un paio di tette che gira qui al campus” spiegò rapidamente il biondo, molto fine come sempre.
Fu il turno di Dylan ad alzare gli occhi al cielo: “Ti ho già detto che non sono interessato ad uscire con nessuna al momento perché…”
“Perché pensi ancora alla tua ex, certo… tutte storie!” lo interruppe Rick. “Adesso andiamo, chissà che non sia la volta buona che riesci a trovarti un appuntamento con cui uscire” concluse arpionandogli un braccio e trascinandolo via.
Dylan non potè fare altro che seguirlo.
 
Non era mai stato nella zona del campo dedicata alle materie umanistiche.
Sapeva che c’erano lettere e psicologia e forse un altro paio, ma fino a quel momento aveva solo visto gli edifici dal campo da calcio dove faceva allenamento tre volte alla settimana.
 
Gli ambienti all’interno non sembravano essere poi tanto diversi da quelli a cui era abituato a frequentare e non ebbero troppi problemi ad orientarsi per trovare l’aula dove la (forse futura) ragazza di Rick, tale Rebecca, aveva lezione in quel momento.
Lezione che sarebbe dovuta finire nel giro di pochi minuti a giudicare da quello che il suo compagno di stanza stava blaterando: Dylan aveva capito piuttosto in fretta che tendeva a diventare leggermente logorroico quando era agitato.
“Forse ultimamente non sarò uscito con molte ragazze, ma ti consiglierei di chiudere un po’ il becco se non vuoi farla scappare subito” gli consigliò Dylan non appena dall’interno dell’aula cominciarono ad arrivare i rumori inequivocabili di una lezione giunta al termine.
Per fortuna Rebecca fu una delle prime a lasciare l’aula e mentre lei e Rick –miracolosamente ammutolito – si salutavano timidamente lui lasciò vagare il suo sguardo sulla folla di studenti che avevano cominciato ad uscire riempiendo ben presto il corridoio.
 
Fu un attimo e una chioma di capelli corvini catturò inspiegabilmente la sua attenzione.
 
C’era stato un periodo in cui avrebbe detto che avrebbe saputo riconoscere Aurora anche solo guardandola da dietro e di sfuggita… che fosse ancora in grado?
 
L’istante dopo aveva interrotto senza troppi complimenti la conversazione dei due ragazzi guadagnandosi un’occhiataccia da parte di Rick.
“Chi è?” domandò velocemente a Rebecca indicando la ragazza dai capelli neri prima che si allontanasse troppo.
Quella assottigliò gli occhi guardando nella direzione che le era stata indicata.
“Oh, lei” disse alla fine.
Dylan la esortò a continuare.
“È arrivata questa settimana, trasferita da non-so-dove. Suo padre dovrebbe essere uno psicologo molto richiesto, si sono trasferiti qui vicino da poco, ma lei abita comunque qui al campus. Tutti i ragazzi le vanno già dietro… solo per un paio di occhi azzurri…” commentò con forse una punta di gelosia.
Dylan si trattenne dall’alzare gli occhi al cielo, ma solo perché era troppo impegnato a non perdere di vista la ragazza.
Ancora qualche metro e avrebbe svoltato nell’altro corridoio sparendo alla sua vista.
“Sai come si chiama?” domandò ancora.
“So che fa Bright di cognome, il nome non me lo ricordo” rispose lentamente Rebecca pensandoci su. “Qualcosa con la A. Tipo A… Alba?”
“Aurora?” azzardò Dylan
“Sì, ecco, Aurora” confermò la ragazza. “La conosci per caso?”
Ma Dylan non aveva neanche ascoltato l’ultima domanda troppo impegnato a cercare Aurora tra gli studenti.
Peccato che la ragazza fosse sparita.
 
 
 
ↄↄↄ
 
 
 
La sveglia si animò di colpo strappando dal mondo dei sogni la ragazza che occupava il letto accanto al comodino sul quale era appoggiato il suddetto aggeggio infernale.
Una mano si allungò oltre il bordo del letto per mettere a tacere quella sottospecie di gallo elettronico e subito dopo Aurora si tirò su a sedere stropicciandosi gli occhi e sbadigliando.
Soffocò un grido quando mise a fuoco la stanza in cui si trovava: grande cabina armadio con specchio esterno, ampia scrivania, libreria strapiena, letto a due piazze e scatoloni e confusione in giro come se si fosse nel bel mezzo di un trasloco… quella non era la sua camera dell’Accademia. Dov’era finita?
 
Qualcuno bussò alla porta interrompendo le sue riflessioni.
La ragazza si fece attenta quando la maniglia si abbassò e l’uscio si aprì quel tanto che bastava affinchè la testa di un uomo – biondo, capelli lisci, occhi azzurri, labbra sottili, sulla cinquantina – potesse fare capolino.
“Pronta per oggi tesoro? So che il trimestre è già iniziato, ma sono sicura che ti troverai bene comunque. Sei sempre stata brava e se tutto va bene questa è l’ultima volta che abbiamo dovuto trasferirci. Ti aspettiamo giù per fare colazione” disse l’uomo sorridente.
Aurora si ritrovò a rispondere con un “Sì papà” prima che potesse rendersene conto.
 
Papà?
 
L’uomo sorrise e lasciò la stanza richiudendo la porta.
 
PAPÀ?
 
Non si era ancora ripresa che si sentì di nuovo bussare.
Questa volta la porta si aprì del tutto facendo entrare la figura snella di una donna.
Poteva avere un paio di anni in meno dell’uomo che era entrato prima di lei, aveva i capelli corvini (non capiva come, ma Aurora sapeva che se li tingeva regolarmente per coprire la ricrescita ormai da un paio d’anni) elegantemente raccolti e gli occhi scuri. Le labbra piene colorate di rosso, il fisico messo in risalto da un tailleur dal taglio impeccabile.
“Ti ho stirato la tua camicetta preferita” annunciò appendendo il suddetto capo alla maniglia dell’armadio per poi tirare su le persiane delle finestre per far entrare la luce del sole nella stanza.
“Sono sicura che andrà tutto bene, tu non preoccuparti, ok?” disse poi chinandosi verso di lei per accarezzarle i capelli e lasciarle un bacio sulla fronte.
“Ti aspettiamo di sotto, tuo padre ha fatto i pancake come piacciono a te” concluse già mezza fuori dalla stanza.
“Arrivo subito mamma” di nuovo le parole uscirono spontanee prima che lei potesse fermarle.
 
Mamma?
 
C’era decisamente qualcosa che non quadrava.
 
Si alzò rapidamente dal letto per poi compiere un giro su se stessa in modo da avere una panoramica della camera ed eventualmente qualche indizio che le spiegasse ciò che stava succedendo.
Il suo sguardo cadde alla fine sul ripiano ancora sgombro della scrivania su cui erano appoggiati solo un paio di quaderni, diversi fogli ordinatamente impilati e una carta d’identità.
Aurora prese in mano il documento con timore e lo aprì.
Il suo viso le sorrideva allegramente dalla fototessera.
 
Aurora Bright, 5 maggio xxxx
 
come ebbe finito di leggere la sua mente fu invasa da una valanga di immagini.
Dylan, gli spalti del campo da calcio della scuola, Dylan che rischiava di essere investito (due volte), i baci, l’incidente, il colloquio con l’angelo del Consiglio…
Aurora tornò alla realtà boccheggiando: adesso ricordava.
 
Quando l’angelo le aveva chiesto se fosse stata disposta a dare la sua vita per salvare Dylan lei aveva risposto di sì senza alcun indugio.
Se quello era il prezzo da pagare lei era disposta a farlo.
L’Anziano aveva annuito e le aveva ordinato di rimanere lì ad aspettarlo.
Inutile dire che il tempo in cui era rimasta da sola nella sala le era sembrato un’eternità.
Alla fine l’angelo era ricomparso e l’aveva informata che Dylan era fuori pericolo.
Aveva seriamente rischiato di mettersi a piangere dalla gioia e dal sollievo.
 
 
 
FLASHBACK
“Via, via, posso capire che tu sia contenta, ma adesso dobbiamo vedere cosa farne di te…” disse l’angelo districandosi dall’abbraccio in cui Aurora l’aveva stretto in quell’impeto di felicità.
Nonostante l’espressione non esattamente tranquillizzante che l’angelo aveva usato la ragazza non perse il suo sorriso: Dylan era salvo, adesso toccava a lei fare la sua parte.
 
Il membro del Consiglio intanto aveva ripreso a parlare: “Ora, tanto per cambiare questa cosa non rientrerebbe nel Regolamento, ma considerati i fatti il Consiglio ha deciso che, essendo questa una situazione unica del suo genere, per una volta e solo perché sei tu si può chiudere un occhio. E sappi che confidiamo nel vostro buon senso”
Mentre parlava aveva cominciato a camminare facendo segno ad Aurora di stargli dietro, uscendo dalla sala e conducendola attraverso i vari corridoi dell’edificio.
Alla fine si fermò davanti ad un’imponente porta in legno massiccio finemente lavorato.
 
“Già solo il fatto di concedervi di incontrarvi di nuovo è eccezionale, non parliamo quindi del fatto che lasceremo ad entrambi i vostri ricordi…” continuò a spiegare sotto lo sguardo di Aurora che si era improvvisamente fatto curioso: di cosa stava parlando?
“Vedrai comunque che ti troverai bene, i Bright sono persone davvero…”
La ragazza non lo lasciò finire: non ci stava capendo più niente.
Dovevano solo porre fine alla sua esistenza, perché tante storie?
“Scusi, ma di cosa sta parlando?” domandò impaziente.
L’Anziano si bloccò con la bocca ancora aperta: “Della tua futura vita da mortale, mi sembra chiaro” disse infine.
 
Ok, no, non era chiaro per niente.
 
L’espressione sempre più perplessa di Aurora fece capire all’angelo che effettivamente la ragazza non aveva idea di quello che stava per succederle.
“Vedendoti così convinta pensavo che Dave ti avesse spiegato tutto, ma a quanto pare sbagliavo” commentò l’Anziano. “Davvero pensavi che saresti… morta?” le domandò poi.
“Beh, sì” rispose sinceramente Aurora.
“Devi amarlo davvero tanto quel ragazzo allora…” disse l’angelo tra sé e sé mentre armeggiava con la porta.
 
Aveva estratto dalla tasca della giacca una massiccia chiave d’ottone coordinata alla maniglia e alla serratura dell’infisso.
La infilò nella toppa e dopo avergli fatto fare tre giri si sentì uno scatto: le venature del legno brillarono e quando la luce si fu spenta l’Anziano le stava facendo segno di entrare mentre le teneva la porta aperta.
“Gli angeli non possono morire” cominciò a spiegarle mentre procedevano lungo quello che sembrava essere un lungo corridoio.
 
L’ambiente era scarsamente illuminato da delle torce appesa a intervalli regolari alle pareti, non c’erano finestre, e sembrava tutto decisamente più antico rispetto a quanto aveva visto del resto dell’edificio.
Aurora avrebbe potuto giurare che muri e pavimenti fossero interamente in autentica pietra.
 
“Ma ovviamente ad un certo punto quelli più vecchi vengono… mandati in pensione. Anche perché altrimenti non avrebbe senso continuare ad addestrarne di nuovi, no?” proseguì.
“Per cui quando arriva il momento del congedo li rendiamo mortali, cancelliamo loro la memoria e li inseriamo nel mondo di tutti i giorni; ricordi e tutto il resto compresi. Di solito è il Consiglio che tiene conto degli anni di servizio di ogni angelo e comunica quando non sono più richiesti i suoi servigi. Credo sia capitato un paio di volte che un Custode chiedesse di finire prima, ma di certo mai per motivi come questo. Ora, il fatto di non essere più immortale equivale all’aver dato una vita, quindi nel tuo caso diventare mortale è tutto ciò che ci si aspetta da te”.
“Perché tutte queste cose non le sapevo?” domandò Aurora approfittando della pausa del discorso.
“Di solito mettiamo al corrente i Custodi di questa cosa dopo svariati anni. Tu sei ancora giovane sotto questo punto di vista, fidati se ti dico che il Consiglio avrebbe di gran lunga preferito tenerti in servizio ancora per molto tempo. Per questo pensavo che fosse stato Dave a parlartene” rispose quello.
La ragazza annuì.
 
Erano arrivati: la fine del corridoio si allargava in un unico ampio stanzone con una grande vetrata circolare che si apriva sul soffitto lasciando vedere il cielo scuro.
Esattamente al di sotto era posizionato quello che aveva tutta l’aria di essere un altare in pietra con i fianchi scolpiti secondo un motivo che ricreava piante rampicanti e fiori.
Sul piano orizzontale, invece, erano incise un paio di ali.
Per il resto la stanza era vuota.
 
“Quindi cosa dovrei fare adesso?” domandò Aurora con fare indagativo mentre sfiorava con la punta dei polpastrelli la superficie fredda e ruvida dell’altare.
L’Anziano le si avvicinò e con un ampio gesto le indicò l’ara: “Stenditi” le disse.
La ragazza lo guardò dubbiosa – e un po’ diffidente, doveva ammetterlo – ma ubbidì ugualmente.
Si distese sul duro ripiano, rabbrividendo appena al freddo della pietra attraverso i vestiti leggeri, sentendo i rilievi e le rientranze che componevano il disegno delle ali che si trovava esattamente sotto la sua schiena, dove per altro era il posto di quelle vere.
 
“Chiudi gli occhi, rilassati…” le ordinò la voce dell’Anziano.
Aurora eseguì facendo dei respiri profondi, l’ultima cosa che vide fu la luna piena che spiccava nel cielo nero sopra di lei.
Ci fu qualche istante di silenzio, poi l’angelo cominciò a parlare, la voce lenta e suadente: “Ti racconto la storia di Aurora Bright, nata il 5 maggio xxxx da Christian e Alexandra Bright. Una bambina sempre allegra e vivace…”
Prima che potesse rendersene conto la voce dell’Anziano era diventata un indistinto brusio di sottofondo.
 
Aurora perse conoscenza.
 
L’ultima cosa che sentì fu che la sua schiena, là dove ci sarebbe dovuta essere l’attaccatura delle sue ali, sembrava andare a fuoco.
FINE FLASHBACK
 
 
 
Aurora riaprì gli occhi non appena ebbe finito di mettere ordine tra quelli che dovevano essere i suoi ricordi nuovi di zecca.
Ce n’erano davvero tanti e sembravano esserci sempre stati.
Non aveva problemi a ricordare nulla: sua madre era un’insegnante, suo padre invece era uno psicologo, molto bravo e richiesto, tanto che spesso erano costretti a trasferirsi per raggiungere la sede dove lo chiamavano.
E lei come suo padre a suo tempo aveva scelto di fare psicologia al college vista la sua naturale predisposizione a capire ed aiutare le persone.
 
Ma soprattutto, ricordava anche Dylan…
 
Quel pensiero la fece scattare: se i suoi ricordi erano esatti quel giorno avrebbe iniziato a frequentare lo stesso college dove si era iscritto lui, solo in un indirizzo diverso.
Le bastò pensarlo e tutte le nozioni che aveva cominciato a studiare nel college precedente, prima del trasloco, le invasero la mente.
 
Wow, certo che avevano fatto proprio le cose per bene.
 
Si diede una mossa a vestirsi – era così strano per lei doversi infilare i vari capi quando era sempre stata abituata a cambiarsi semplicemente pensandolo – e quasi si mise a ridere quando sentì la sua pancia che brontolava.
Allora era questo che si provava ad avere fame!
 
Prima di uscire dalla camera si diede un’ultima occhiata allo specchio dell’armadio.
Una ragazza dai capelli neri e gli occhi azzurri, vestita con jeans e camicetta e il tatuaggio di una piuma tatuato a linee sottili all’interno del polso destro le sorrise di rimando.
 
 
 
***
 
 
 
Erano già passati alcuni giorni da quando Aurora aveva cominciato la sua avventura al college.
Le lezioni erano tutte molto interessanti e la ragazza era rimasta non poco stupita quando si era resa conto di quanto tutto quello fosse simile a quanto le era stato insegnato per essere un Angelo Custode.
Non aveva ancora stretto chissà quali amicizie, ma al momento la sua priorità era un’altra: aveva i capelli biondi spesso e volentieri spettinati, gli occhi castani sempre gentili e rispondeva al nome di Dylan Blake.
Quello che la faceva arrabbiare era che le lezioni e tutte le altre attività, per quanto avvincenti, le impedivano di cercare il ragazzo, o per lo meno di cercarlo quanto avrebbe voluto.
 
Era solo riuscita a farsi dire quale fosse il blocco del campus dove si tenevano i corsi di architettura ma non era ancora riuscita neanche ad avvicinarsi.
E a suo parere lei aveva già perso abbastanza tempo.
Era rimasta molto più che incredula quando si era svegliata e aveva scoperto che non era giugno (il mese in cui era accaduto l’incidente), bensì metà marzo.
Non aveva la più pallida idea di cosa avesse fatto nel frattempo, sperava solo che Dylan stesse bene.
 
 
 
ↄↄↄ
 
 
 
Dylan uscì da sotto l’acqua dopo una lunga doccia che aveva seguito un altrettanto lungo e impegnativo allenamento, anche se l’allenatore insisteva sempre affinchè non si affaticasse troppo.
Ancora non era riuscito ad abbandonare quel suo rituale.
Quel pomeriggio poi era rimasto sotto l’acqua ancora più a lungo del solito, perso nei suoi pensieri.
 
Aveva fatto compagnia a Rick e Rebecca mentre pranzavano, chiedendosi come mai non era subito corso a cercare quella ragazza dopo averla persa di vista.
Volendo essere sincero con se stesso la risposta era stata che aveva paura di scoprire che tutto ciò fosse solo un’unica grande coincidenza e che quella ragazza non fosse chi si aspettava.
 
Ma alla fine dei conti come avrebbe potuto essere davvero lei?
 
Aurora era un Angelo Custode e molto probabilmente al momento era impegnata con un nuovo protetto che necessitava del suo aiuto.
Non l’avrebbe più rivista, doveva mettersi il cuore in pace e accettarlo.
 
Quando ebbe finito di sistemarsi ed ebbe radunato tutte le sue cose Dylan lasciò l’ambiente umido dello spogliatoio dirigendosi all’esterno verso il campo da calcio, completamente deserto dopo la fine dell’allenamento.
 
Aveva deciso che avrebbe se non altro provato a lasciarsi Aurora alle spalle una volta per tutte: avrebbe chiuso tutti i ricordi legati a lei in un cassetto della sua memoria e buttato via la chiave, avrebbe anche fatto sparire tutti i suoi disegni che l’avevano come soggetto se fosse stato necessario.
Ma prima voleva ricordarla come si deve, per l’ultima volta.
 
Per questo invece di andare direttamente alla sua stanza in dormitorio aveva deciso di fermarsi a temporeggiare al campo: era proprio sugli spalti di un campo da calcio che tutto aveva avuto inizio, ed era lì che sarebbe finita.
 
Dylan prese posto sulla panca fredda e rigida della prima fila, il borsone con le sue cose per terra a poca distanza dai suoi piedi.
 
Chiuse gli occhi rievocando uno ad uno tutti i ricordi dei momenti passati con l’angelo.
Uno sguardo e nulla più: doveva andare avanti, lo aveva promesso a se stesso.
 
Suo malgrado alla fine si ritrovò nella stessa posizione in cui l’aveva trovato Aurora la prima volta che si erano parlati: i gomiti appoggiati alle ginocchia, la schiena incurvata in avanti e la testa tra le mani.
 
Solo che quella volta nessuna voce sarebbe arrivata a coglierlo di sorpresa dicendogli “Non ne vale la pena”.
Come nessuna sarebbe più arrivato a mettergli un braccio intorno alle spalle quando era giù di morale e si chiudeva in se stesso.
Ancora non riusciva a capacitarsi di come con quel semplice gesto Aurora riusciva a farlo sentire compreso e meno solo e, in qualche modo, amato.
 
 
Si era concentrato così tanto su quelle sensazioni che gli sembrava quasi che, ad un certo punto, quel tocco leggero e gentile di una mano che gli accarezzava la schiena fosse reale e non solo frutto della sua immaginazione.
 
Inspirò ed espirò lentamente, più volte, mentre un brivido gli correva lungo la schiena e spalancava gli occhi mettendo a fuoco i suoi piedi e la terra del bordo campo: non se lo stava immaginando, qualcuno si era davvero seduto di fianco a lui e gli stava accarezzando dolcemente le spalle.
 
Si tirò su lentamente e si ritrovò a boccheggiare.
 
Capelli neri, lunghi e lisci.
Espressivi e cristallini occhi azzurri e folte ciglia scure.
Labbra piene incurvate in un leggero sorriso.
 
 
Dopo un lungo istante in cui i due rimasero a fissarsi il sorriso della ragazza si ampliò ulteriormente.
“Davvero pensavi che ti saresti liberato di me così facilmente?” gli domandò.
 
Il cervello di Dylan era in tilt: Aurora era davvero lì, davanti a lui, in carne ed ossa.
Ritrovarsela lì davanti senza alcun preavviso gli fece capire quanto fosse stato stupido a pensare di poterla dimenticare, per quanti sforzi avesse fatto non ci sarebbe mai riuscito.
Imporsi di credere di poterlo fare era stato mentire a se stesso.
 
“Se vuoi ripasso più tardi” aveva commentato nel frattempo la ragazza facendo scorrere su e giù una mano davanti alla faccia di Dylan che sembrava letteralmente incantato.
Dopo un paio di volte il ragazzo sembrò riscuotersi, anche se i suoi occhi dicevano chiaramente che non era ancora del tutto convinto che tutto quello stesse realmente accadendo.
 
Aurora ci pensò un po’ su prima di esclamare: “Sembra che tu abbia appena visto un fantasma…”
A quelle parole Dylan scosse piano la testa: “No, non un fantasma. Un Angelo…” disse.
“Mmm… un angelo, dici? Credo che non esistano creature del genere, e dal momento che questo non è un sogno e che entrambi siamo svegli la vedo un po’ dura” ribattè lei.
“Quindi questo non è un sogno?” domandò Dylan sporgendosi verso la ragazza.
“No, non lo è” sussurrò Aurora in risposta avvicinandosi a lui come se gli avesse appena confidato un segreto.
 
“Bene” disse lui, concedendosi finalmente di sorridere apertamente.
 
Non aveva idea di cosa avesse fatto per meritarsi un miracolo del genere, per meritarsi lei.
Ma le spiegazioni potevano aspettare.
 
Annullò l’ultima breve distanza rimasta tra loro e la baciò.
 
 
 
 
 
 
In silenzio, tre passi indietro come un’ombra, un uomo dalla corporatura massiccia, i capelli scuri lunghi fino alle spalle legati in una coda, gli occhi scuri ma allo stesso tempo caldi e gentili, osservava la scena sorridendo soddisfatto.
 
 
 
 
FINE.













Ed eccoci arrivati alla fine.
Nonostante sia stata breve mi sono comunque affezionata a questa storia, e come ogni volta mi dispiace sempre un po' mettere la crocetta sull'opzione "completa".
Ringrazio tutti coloro che hanno messo la storia tra le preferite/sguite/ricordate e chi ha dedicato qualche minuto del suo tempo facendomi sapere cosa ne pensava: GRAZIE.
Spero che anche questo capitolo vi sia piaciuto e soprattutto che il finale non abbia deluso.
A presto
Elise


 
   
 
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