Biancaneve e i sette nani
« Quei giorni passati a rincorrere il vento,
a chiederci un bacio e volerne altri cento,
un giorno qualunque, li ricorderai,
amore che fuggi da me tornerai »
[ Amore che vieni, amore che vai – Fabrizio De Andrè ]
Biancaneve
Una
luna d'argento, gravida di tutta la sua bellezza, brilla sulla
superficie del Lago Nero. Pennellate di un candore opaco, velato di
nubi leggere dense di ghiaccio, si stendono come filamenti perlacei
su dita maldestre, tra mani intrecciati e brividi leggeri –
non
sapranno mai se è il freddo o la sorpresa di scoprirsi
così, senza
pudori, giocando a fare l'amore.
Il
ghiaccio che come una ragnatela superba ha conquistato la riva
eleggendola a sua preda dell'inverno scricchiola quando il respiro
del vento accompagna le onde per spezzare la gelida agonia della
sponda su cui i due riposano. Lo sciabordio dell'acqua è
delicato
quanto i baci di lui sui seni di lei - sospiri.
Le
stelle sono timide testimoni che si specchiano dentro occhi castani
sfumati di grigio - sguardi.
Le
loro bocche sono troppo vicine per non attrarsi a vicenda – sorrisi
– divorati da baci.
Pelle.
E occhi. Non
esiste altro che questo, al mondo, di vero. Viaggiare sulla pelle di
Draco, e dentro gli occhi di Draco, è un viaggio di
scoperta, e di
ritorno, verità incontrovertibile che non si
sfalderà il mattino
seguente, come quei sogni così vividi che aveva fatto quando
lui
ancora si ostinava ad arroccarsi dentro la sua caparbietà di
ghiaccio.
Alla
fine non è altro che questione di pelle – come
quella di Hermione,
bianca come la neve che li circonda – e di ossa. È
una sorta di
nascondino, il che significa anche che è una questione di
scoperta.
È ancora possibile nascondere qualcosa, così,
nuda sotto di lui, a
tremare al solo contatto con il suo corpo, a fremere al primo sguardo
d'argento che lui le rivolge? È ancora possibile continuare
a
nascondersi? La pelle nasconde qualcosa o non esiste nient'altro che
pelle? Pelle che strofina pelle, pelle, pelle, bocca, mani, sospiri,
pelle.
***
È
una delle estati più torride degli ultimi cinquant'anni
– chissà
perchè, dicono sempre così per giustificare
quell'afa, appiccicosa
come miele, che era scivolata sulle campagne inglesi due giorni prima
e che, da allora, dispettosa e instancabile, non aveva più
abbandonato la sua postazione, costringendo a una forzata reclusione
per ricercare un po' di frescura al sicuro dai raggi di un sole
feroce.
Nel
giardino della Tana, però, si intravedono di tanto in tanto
lampi in
movimento; si sentono sbuffi indispettiti e persino insulti caustici,
e soprattutto, è chiaro che, se anche fosse pieno inverno e
cadesse
una fitta coltre di neve, l'aria sarebbe ugualmente bollente: basta
intercettare il suo sguardo – occhi grigi, bocca tesa in una
linea
sottile per seppellire tutto nel silenzio in cui ha deciso di
arroccarsi.
«
Ti arrendi, Malfoy? » La maglietta di Ron è
diventata una seconda
pelle: è fradicia dello stesso sudore che gli ha appiccicato
i
capelli rossissimi alla fronte lentigginosa, e che continua a
disegnare i suoi lineamenti percorrendo anfratti di pelle nascosti.
La violenza con cui scaglia la Pluffa contro il petto di Draco
lampeggia nei suoi occhi azzurri, prima di essere spedita al
destinatario insieme alla palla rossa.
Se
Draco fosse stato più attento ai dettagli, si sarebbe reso
conto che
avrebbe dovuto ringraziare suo padre, se non aveva lo sterno
fracassato: se Lucius non gli avesse comprato l'ammissione in
squadra, forse non avrebbe sentito addosso tanta pressione, ogni
volta che scendeva in campo – quella che aveva lottato per
mandare
via, quella che affrontava ogni giorno, quando si allenava di
nascosto perchè doveva tenere alto il nome dei Malfoy,
doveva
dimostrare a tutti che non era il suo nome, né il denaro di
suo
padre, a renderlo un bravo Cercatore, dagli ottimi riflessi.
Riflessi. Quello con cui afferra bruscamente la Pluffa è un
lampo
che gli costa uno sbuffo – qualcosa di simile a un ringhio,
mescolato a un « Mai »
masticato tra i denti.
Hermione,
nascosta dietro la cornice della finestra, spia con cipiglio scettico
e diffidente insieme, incerta se intervenire o meno. Ha i capelli
raccolta sulla nuca, e solo un ricciolo le solletica la pelle morbida
e bianca del collo, imperlata di sudore.
«
Per me vince Ron » Ginny è appoggiata al tavolo
della cucina, con
un bicchiere di succo di zucca gelido tra le dita e un sorriso
divertito su quel visetto lentigginoso e impertinente.
«
Non essere sciocca, Ginny. Non vincerà nessuno
perchè... »
«
Mi devi una camicia nuova, Weasley. Sempre che tu
possa
permetterte- »
« …
non si scontrerà nessuno »
«
Questo tonfo secondo te era Malfoy o Ron? » Ginny tende
l'orecchio
verso la finestra, chiudendo gli occhi come se volesse concentrarsi
meglio sull'orchestra di urli, sbuffi, gemiti, rumori sordi e
scricchiolii inquietanti.
Hermione
dà le spalle alla finestra, ora, e potrebbe anche apparire
perfettamente calma e padrona della situazione, se non fosse che
sobbalza ad ogni urlo di Draco.
«
Io non sento niente »
Hermione
si domandò, non per la prima volta, se davvero sarebbe
bastato
semplicemente ignorare, per far finta di niente.
***
«
Non lasciare la mia mano...
»
Le
luci di un albero di Natale scintillanti si riflettono sui vetri
immacolati di un salotto aristocratico. Occhi grigi a spiare di
nascosto tutte le scappatotie di sguardi troppo uguali al suo, tutti
i sentieri che lentamente si disegnano su quei lineamenti di cui
è
custode e che ha ereditato a metà. Una chioma bionda, un
cipiglio
altero, uno sguardo disgustato, un ammonimento che è come
una morte
– morire dentro, perchè lo stanno soffocando, lo
stanno annegando
in un mare gelido, acque scure che gli si chiudono sopra la testa, e
non c'è scampo, non si vede la superficie, guarda in alto ma
non c'è
–
ed è
lì l'errore, perchè deve guardare in basso,
ed
infatti eccola lì, la salvezza, sul fondo della paura
più lacerante
– aveva guardato ma non aveva visto, aveva dimenticato
quant'era
dolce la carezza del sole – eccola lì, la
salvezza. Sotto il
grande tavolo di legno, le dita bianchissime di Hermione sfiorano la
sua mano, di nascosto. Draco capisce in quel momento di essere a
casa.
Dopo
qualche minuto, la carezza della sua pelle si è trasformato
nella
solida arroganza dei Malfoy. Quando Draco lascia la sua mano, non sa
che quel gesto minuscolo, gesto da nulla – le dita
intrecciate che
scivolano le una sulle altre, si stringono, si toccano, si sfiorano,
si lambiscono appena, poi è l'aria gelida della notte a
toccarla, e
allora quel gesto non è più un gesto minuscolo, o
da nulla, è una
preghiera disattesa, una promessa disintegrata da una sciocca
disattenzione; ma basta, a innescare l'ingranaggio di quel che
è a
un passo dal diventare dolore, e che ancora resta sopportazione e
compromesso. L'ingranaggio schiaccia Hermione con ferocia disumana, e
quando Draco, con qualche minuto di ritardo, se ne accorge e le
riprende la mano, non ha più la sensazione di essere a casa.
***
Per
non perderlo veramente, Hermione ha dovuto imparare che in
realtà
nessuna qualità di Draco – o dettaglio, o
meraviglia – è
sufficiente ormai a colmare il baratro della lontananza,
perchè
nessun uomo, per quanto amato, basta da solo a sconfiggere il potere
distruttivo dell'assenza.
Quel
che Hermione, sdraiata sul tappeto, accartocciata sotto quel lenzuolo
impolverato, capisce, è che solo pensando a loro due,
insieme, lei è
in grado di sprofondare dentro se stessa fino a dove, intatta, dimora
la permanenza del suo amore. Risale allora a certi stati d'animo, a
certi modi di percepirsi, che ancora ricorda benissimo. Pensa a loro
due, insieme, e può risentire un certo tepore, o il tono di
certe
sfumature, persino la qualità di un certo silenzio. Una luce
particolare. Allora le è dato di ritrovare quel che cercava,
nella
sensazione certa che esiste un luogo in cui il mondo non è
ammesso,
e che coincide con il perimetro disegnato dai loro due corpi,
suscitato dal loro stare insieme e reso inattaccabile dalla loro
anomalia. Se riesce ad accedere a quella sensazione, tutto torna
inoffensivo. Perchè le vite intorno a lei non sono
più, così,
un'insidia alla sua felicità, ma piuttosto il contraltare
che rende
ancora più necessario e inespugnabile il covo che lei e
Draco hanno
generato amandosi. È la dimostrazione di un teorema che
confuta il
mondo, e quando le riesce di tornare a questa convinzione ogni paura
la abbandona e una nuova sicurezza, dolce, si impossessa di lei.
«
Tornerà... Tornerà... »
***
«
Che bisogno hai di mentirmi? Ti ho chiesto solo sincerità. E
invece
non fai altro che regalarmi bugie! »
Lacrime.
Le vede brillare su quel viso di porcellana che ama tanto baciare, di
cui conosce i particolari più minuscoli – il
piccolo neo che le
macchia la pelle al di sotto dell'angolo dell'occhio sinistro,
nascosto dal modo in cui stringe gli occhi quando sorride,
ombreggiato da quella ciglia che ogni tanto gli precludono la
verità
dei suoi occhi.
Lacrime.
Tremule sull'orlo delle ciglia scurissime, si lanciano nel baratro
dolcissimo del suo viso di seta dopo un'indecisione che sembra durare
un'eternità, e poi scivolano con lascivia sulla sua gota,
lasciando
del loro passaggio una traccia in apparenza invisibile, ma che scava
dentro di lui baratri infuocati di dolore.
È
per non vederle che le volta le spalle e marcia a passi decisi verso
la porta. Ha già la mano sulla porta, il cuore al sicuro,
rinchiuso
in uno scantinato buio e ben protetto; ma ha anche il respiro corto,
e una strana, inspiegabile sensazione di pesantezza gli artiglia ora
le dita, e lo stomaco, e quel cuore che bussa alla porta dello
scantinato.
Lacrime
e urla. Le sente rimbombare nella testa come eco confusamente
assorbite dal disegno di quella lacrima sulla sua pelle –
sarebbe
mai stato capace di amarla così? Con quella forza? Con la
forza di
una lacrima che sa quando lanciarsi nel vuoto, sa quanto rimanere
sospesa, e con quanto calore dovrà riscaldare il gelo del
suo cuore
passando dalla pelle, dagli occhi, dal viso?
Draco
smette di respirare nel momento esatto in cui si accorge che la sua
mano è scivolata dalla maniglia della porta per posarsi
sulla pelle
bianchissima della sua guancia imperlata di lacrime grevi. Con
un’occhiata premurosa, cerca di capire quanto profonda sia la
delusione inflitta. Si sorprende a scoprirsi così desideroso
di
asciugare il suo viso, si terrorizza nel vedere le sue dita che
accarezzano piano i capelli di Hermione, il naso di Hermione, la
fronte di Hermione, il collo di Hermione. D'improvviso, non
c'è
altro che Hermione, e questo rimette a posto il mondo, è
giusto, non
fa paura.
Sono
carezze calde, lente, dolcissime, sono occhi sgranati, enormi,
spaesati, sono occhi che hanno paura.
Lacrime.
Urla. Ferite – ricucite su corpi sudati.
E
così, nel silenzio della notte inglese, impastato di rimorsi
e
parole non dette, spezzato dai singhiozzi argentati di Hermione,
Draco si accorge di amarla di un amore nero e infame, che lo avrebbe
ucciso lentamente e inesorabilmente, senza scampo. Ma mentre guarda
la minuscola crisalide di quella ragazzina tremante che stringe tra
le braccia, non riesce a frenare un sorriso spontaneo.
***
Tutti
Eccezionale. Un posto già pronto al Ministero. Un futuro
roseo. Due
occhi che guardano e vedono solo bellezza.
Soprattutto
Accettabile. Qualche Oltre Ogni Previsione. Nessun Eccezionale.
Intorno, solo pregiudizi. Due occhi che guardano e vedono solo
oscurità.
Poi
però lei gli prende la mano, e il mondo torna a girare nella
direzione giusta. Capita quando intercetta il suo sorriso –
il
sorriso di Hermione, una cosa rara e preziosa di cui ha l'esclusiva,
perchè lei sa quando tirarlo fuori, con quella genuina
semplicità
che lo fa diventare matto – di desiderio, d'amore –
quel
particolare sorriso di Hermione, che significa tutto – tutto
quello
che sa e tutto quello che la curva delle labbra nasconde – e
non
significa niente – perchè è solo un
sorriso d'amore – ma quello
che gli rivolge subito dopo aver ricevuto i suoi M.A.G.O. è
uno di
quei sorrisi che significano tutto, Draco lo sa prima ancora che lei
apra bocca, e pronuncia una semplice frase, fresca come un vento di
primavera; ma tace lo stesso, perchè vuole assaporare quella
pace.
«
Partiamo. Solo noi due »
Un
posto non è niente se non hai qualcuno con cui condividerlo.
È
uno slogan francese che promuove un'offerta di coppia per una
crociera, e che Draco ha trovato sinceramente interessante per la
particolare inquadratura della modella che ha posato per lo scatto.
La pubblicità è squallida e volgare, ma Hermione
non può in tutta
onestà negare la veridicità di quella frase.
Con
Draco, ogni cosa è meraviglia, come se una patina dorata
avesse
avvolto ogni cosa. Anche lui ha una luce diversa, nonostante quella
falsa aria perennemente annoiata che ostenta, dietro cui si nasconde
il velo d'uno stupore che ogni tanto lei riesce a strappare.
Loro
due a Parigi sono una fiaba che lei non avrebbe mai osato nemmeno
immaginare; desiderarlo era permesso solo perchè la fantasia
la
solleticava quando, poco prima di addormentarsi, la
razionalità
perdeva presa sul suo cuore; vederla realizzata, le fa dimenticare di
raccontare a Draco la storia del Gobbo di Notre Dame.
Se
ne ricorda dopo, quando sono sotto la Torre Eiffel, ai piedi di un
albero che li vede consumare l'attimo. Luna crescente. Mormorio di
gente intorno. Un incatesimo sussurrato di nascosto, tra labbra
troppo vicine – denti lingua labbra. Mani timide e incerte
che si
avventurano su curve non più acerbe. Il tremito
dell’emozione e il
baluginio di quegli occhi che dicono solo amore.
Un
viaggio per ricordare che le fiabe non sono solo racconti inventati
dalla fantasia di una ragazzina.
***
«
Non dirmi cazzate! Sta cercando di dividerci, ma sei così
accecata
dall’amicizia che non te ne rendi conto »
«
Solo perchè si preoccupa per me, non significa
che...»
«
Lui è innamorato di te! »
«
Siamo solo amici! »
« O
lui o me. Scegli »
Hermione
sgrana gli occhi come se fosse stata colpita al cuore da un
proiettile invisibile che la squarcia da dentro e le spappola il
cuore. Per un attimo le manca il fiato e ha bisogno di chiudere le
palpebre per metabolizzare l'ondata di nausea che l'ha travolta.
L'orrore acre di quelle parole riecheggia dentro di lei con un'eco
sorda, le rimbalza dentro come una biglia impazzita, e diventa
più
vera e atroce ad ogni rimbombo. Non si affievolisce, cresce
d'intensità, e si accompagna a un'improvvisa spossatezza che
lei non
sa spiegarsi.
«
Non puoi chiedermi... » La sua voce è un pigolio
che fatica ad
uscire dal nodo stretto che è la sua gola, tradotto
malamente dalla
lingua improvvisamente impastata.
«
Te lo sto chiedendo. Lui o io? »
Cicatrici
su cicatrici.
«
Io... non... tu... » La sua esitazione è benzina
sul fuoco, sale
sulle ferite.
«
Lo capisci? Lo capisci che non ne posso più? »
«
Nessuno ti obbliga a rimanere! Puoi andartene quando vuoi, non devi
stare con me per forza! » Hermione sente la sua voce sorda,
lontana,
come dimenticata. Non riesce a riconoscerla e quando accusa il senso
di malessere e nausea che la assale, è già troppo
tardi.
La
mano di Draco, che riposa gelida lungo il fianco, ha un fremito del
tutto simile a quello che agita come una scossa tellurica il corpo di
Hermione. Un attimo dopo, lui è già tra le
preziose lenzuola del
suo letto, nel suo costoso baldacchino, a rigirarsi dentro la
convinzione che c'è qualcosa di drasticamente, dolorosamente
sbagliato in tutto quello che è successo, a partire da
quell'estenuante odore di silenzio cupo. Sotto le palpebre chiuse,
vibra un pensiero, una paura.
Hermione
è rimasta a guardare, muta e immobile, la porta da cui lui
è
uscito. Passano ore, poi si decide anche lei: per sempre. Quando si
richiude la porta alle spalle, serra fuori non solo l’amore,
ma
anche il perdono.