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Autore: effe_95    15/06/2016    5 recensioni
Questa è la storia di diciannove ragazzi, i ragazzi della 5 A.
Questa è la storia di diciannove ragazzi e del loro ultimo anno di liceo, del loro affacciarsi a quello che verrà dopo, alla vita. Questa è la storia di Ivan con i suoi tatuaggi , è la storia di Giasone con le sue stelle da contare, è la storia di Italia con se stessa da trovare. E' la storia di Catena e dei fantasmi da affrontare, è la storia di Oscar con mani invisibili da afferrare. E' la storia di Fiorenza e della sua verità, è la storia di Telemaco alla ricerca di un perché, è la storia di Igor e dei suoi silenzi, è la storia di Cristiano e della sua violenza. E' la storia di Zoe, la storia di Zosimo e della sua magia, è la storia di Enea e della sua Roma da costruire. E' la storia di Sonia con la sua indifferenza, è la storia di Romeo, che non ama Giulietta. E' la storia di Aleksej, che non è perfetto, la storia di Miki che non sa ancora vedere, è la storia di Gabriele, la storia di Lisandro, è la storia di Beatrice che deve ancora imparare a conoscersi.
Genere: Generale, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago, Scolastico
Capitoli:
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I ragazzi della 5 A
 
42. Pattinaggio, Rimpianto e Opprimente.

Febbraio

Zosimo stava letteralmente congelando quella sera di fine Febbraio.
Non faceva altro che battere i piedi per terra, tremare, sfregare le mani e cercare di scaldarle con l’alito, che comunque si manifestava solo sotto forma di nuvoletta bianca condensata. Probabilmente non era stata una buona idea indossare solo il giubbotto d’aviatore e una misera sciarpa, sopratutto sapendo che avrebbe dovuto fare una fila chilometrica all’aperto, di sabato sera, dopo che aveva appena nevicato intensamente.
La strada era tutta ricoperta di bianco, e ovunque posasse gli occhi a Zosimo sembrava che qualcuno avesse fatto una sorta di incantesimo spedendolo in un mondo a lui estraneo, un mondo fatto di luci, chiacchiericcio e gelo appartenente ad una dimensione parallela.
Un mondo dove aveva trovato il coraggio di invitare finalmente Alessandra ad uscire.
Era stato probabilmente il gesto più avventato di tutta la sua vita, ma non aveva saputo proprio trattenersi quando era passato davanti a quella pista di pattinaggio sul ghiaccio.
L’avevano appena montata nei pressi di casa sua.
Stava correndo per prendere la metropolitana quando si era imbattuto in un gruppo di ragazzine eccitate delle medie che indicavano l’evento e gli ostruivano il passaggio.
Il suo sguardo era stato catturato inevitabilmente dalla fonte di quel chiacchiericcio eccitato e si era fermato di colpo, aveva piegato leggermente la testa di lato, si era dimenticato del suo appuntamento e aveva chiamato Alessandra per invitarla.
Se ripensava a quel momento a Zosimo venivano i brividi, gli era sembrato come se qualcuno diverso da se stesso avesse preso possesso del suo corpo senza chiedere il permesso, e non sapeva se esserne felice o meno per vari motivi.
Il primo fra tutti, era che non sapeva pattinare.
Non aveva mai più voluto imparare a farlo dopo che all’età di sei anni era scivolato procurandosi una frattura scomposta alla gamba sinistra.
Era stato un vero incubo portare il gesso per tutto quel tempo, con sua madre che non stava bene e doveva occuparsi anche di lui senza far percepire il dolore che provava.
Rabbrividì nuovamente quando la fila si mosse ancora avvicinandoli maggiormente al botteghino dove avrebbero comprato i biglietti, infilò le mani nelle tasche dei jeans, poi estrasse immediatamente la destra e la passò nel groviglio di capelli ricci che aveva sulla testa, pizzicò la radice del naso, ne strofinò la punta e la rinfilò ancora nella tasca.
Alessandra seguì con lo sguardo quei movimenti insensati e infine ridacchiò divertita, portandosi un pugno chiuso sulle labbra per soffocare un po’ la risata cristallina.
Zosimo le rivolse immediatamente uno sguardo accigliato, seppur mantenendo un accenno di sorriso incerto sulle labbra sottili, Alessandra trovò adorabili quelle fossette appena disegnate agli angoli della bocca e quell’espressione da folletto preoccupato.
<< Tu non sai pattinare, vero Zosimo? >>
Alessandra poté notare con piacere che alla sua domanda le guance di Zosimo si imporporarono notevolmente, perfettamente illuminate dalla luce di un lampione che proprio in quel momento, mentre avanzavano, gli aveva incorniciato il viso.
<< Beh … no >> Farfugliò il folletto passandosi di nuovo una mano nei capelli, senza rendersi conto che in quel modo li avrebbe scombinati molto di più << Ma insomma … ho pensato che non sarebbe stato un impedimento troppo grande se tu, al contrario, sei in grado di farlo>> Poi tacque, riflettendo per un momento sulle sue stesse parole, gli occhi sembrarono illuminarsi di una consapevolezza improvvisa, il sorriso sparì dalle sue labbra e si voltò di scatto a guardare Alessandra, che l’aveva osservato tutto il tempo premendosi le dita sulle labbra per non ridere << Perché tu sai pattinare, vero Alessandra? Vero? >>
Alessandra lasciò finalmente libero sfogo alla risata che stava trattenendo con forza e quest’ultima si riversò cristallina nell’aria, come il tintinnio radioso di un richiamo degli angeli. Tutta la preoccupazione di Zosimo sembrò sparire in un sol colpo, il sorriso tornò ad increspargli le labbra nella frazione di pochi secondi, la risata di Alessandra aveva il potere di calmarlo e catturarlo allo stesso tempo come quella di sua madre quando era bambino.
Probabilmente non gliel’avrebbe mai raccontato quel piccolo particolare.
O forse l’avrebbe custodito come un segreto, un segreto che nelle sue fantasticherie di ragazzo, dove immaginava che si sarebbero amati fino ad avere i capelli bianchi, le avrebbe raccontato sotto un portico assolato, stanco, tenendole una mano dopo una vita serene passata insieme a volersi bene.
Sorrise e s’imbarazzò per quei pensieri così poco comuni per un ragazzo.
Troppo spesso fantasticava.
<< Ti è andata bene Zosimo >>
Le parole di Alessandra lo riportarono al presente, quel presente dove la ragazza che aveva davanti non possedeva capelli bianchi e non gli stringeva la mano, ma era bella e giovane, spensierata, talmente piena da vita da far girare la testa.
Proprio come piaceva a lui.
Vivere, vivere e vivere fino a soffocarne.
<< Che poi me lo devi proprio spiegare come ti è venuto in mente di portarmi proprio qui quando non sai nemmeno pattinare! >>
Quello di Alessandra non era stato un vero rimprovero, e quell’espressione severa che aveva messo su incrociando le braccia al petto e guardandolo con un sopracciglio sollevato, era tradita dall’accenno di sorriso mal celato sulle labbra.
<< Beh, non è che me ne fosse importato molto, sai? Ho solo pensato che era un posto perfetto per te e non me ne sono preoccupato … Tanto posso sempre imparare, no? >>
Mentre pronunciava quelle parole, Zosimo ricordò bene a se stesso di evitare di pensare alla  brutta esperienza che aveva vissuto, dopotutto era solo un bambino quando era capitato e i bambini avevano la tendenza ad ingigantire i ricordi spiacevoli trasformandoli in incubi.
Zosimo si domandò se avrebbe provato le stesse sensazioni di allora, la stessa eccitazione mista alla curiosità, l’adrenalina, la voglia di provare, e poi il desiderio ardente di scappare da quel posto che era stato la causa del suo dolore e di una pessima esperienza.
Si domandò quali sentimenti avrebbe provato a dodici anni di distanza.
Venne strappato bruscamente ai suoi pensieri quando Alessandra gli afferrò la mano con naturalezza, intrecciando le sue dita morbide, piccole e pallide alle sue ruvide, grandi e scure. Non lo stava guardando negli occhi ma sorrideva, trascinandolo leggermente ogni volta che la fila avanzava anche solo di un passo.
Quando finalmente raggiunsero il botteghino stavano ridendo senza ritegno, perché nell’avanzare in quel modo bizzarro avevano cominciato un gioco stupido che consisteva nel compiere il passo in avanti esattamente nello stesso momento.
Richiedeva una precisione millimetrica, e siccome Zosimo aveva dei piedi enormi, mentre quelli di Alessandra erano minuscoli, se li erano pestati a vicenda più volte.
Acquistarono i due biglietti ed ebbero in dotazione anche i pattini in prestito con il numero esatto delle loro scarpe, Alessandra afferrò ancora una volta Zosimo per mano e lo trascinò quasi correndo verso il bordo della pista dove potevano cambiarsi.
Zosimo cominciava a provare un po’ di nervosismo mentre allacciava per bene i pattini.
Gli tremavano leggermente le mani, ma cercò di nasconderlo con la scusa di aggrapparsi con tutte le forze che aveva al parapetto di legno che li separava dagli spettatori, le nocche erano bianche per la tensione mentre arrancava lentamente sul ghiaccio, sudando freddo.
<< Così non c’è alcun divertimento! >>
A Zosimo costò una certa dose di concentrazione sollevare lo sguardo dai proprio piedi instabili e posarlo su Alessandra, che era sfrecciata al suo fianco dandogli una pacca sulla spalla. Si muoveva con una leggiadria invidiabile, i capelli biondi erano sferzati dal vento e alcune ciocche le si attaccavano sulle labbra a causa del rossetto, il naso lentigginoso era arrossato a causa del vento e la sciarpa verde era scivolata di lato.
Sembrava una ninfa delle nevi, mentre lui un brutto yeti imbranato.
<< Vieni qui! Buttati nella mischia! >>
Zosimo mise su un sorriso forzato, lanciò un’occhiata leggermente allucinata a tutte le parsone che occupavano la pista e che avrebbero potuto urtalo accidentalmente e … scosse leggermente la testa, stava diventando paranoico come Igor.
<< Non … non credo che sia necessario. Guarda come sono bravo a percorrere il perimetro, lo faccio addirittura con una mano sola! >>
Ribatté con vigore, e per provare le sue parole tolse la mano destra dal parapetto, giusto in tempo per rischiare un bel capitombolo che gli fece balzare il cuore in petto, fu così doloroso che per un momento pensò fosse scappato fuori senza il suo permesso.
Alessandra scoppiò a ridere ancora una volta quella sera, pattinò fino a lui e gli afferrò saldamente le mani, Zosimo sbiancò totalmente ma la lasciò fare, un po’ come se trovasse scortese dirle che non la trovava affatto una buona idea.
<< Visto? Se mi dai le mani va tutto bene … muovi i piedi avanti e indietro … >>
Zosimo lo trovava più facile a parole che a fatti, stringeva le mani di Alessandra con tale forza che aveva paura di farle male, anche se lei non si lamentava e continuava a sorridergli.
Era completamente sudato quando raggiunsero il centro della pista, gli veniva da ridere se ripensava al freddo che aveva provato mentre facevano la fila, e gli sembrava stupido anche aver avuto paura.
Fu per la prima volta quella sera, mentre stringeva le mani di Alessandra, con le gambe instabili come quelle di un bambino, che si rese conto di quanto le cose cambiassero prospettiva con l’avanzare dell’età.
Quando era piccolo le cose che gli facevano paura erano ben altre.
Le paure che aveva in quel momento invece, a diciassette anni compiuti già da un po’, gli sembravano ancora una volta troppo grandi, ma assumevano una prospettiva diversa se pensava che all’età di quarant’anni avrebbero avuto la stessa effimera consistenza di quelle paure che da bambino gli aveva fatto paura.
Era ancora perso nei suoi pensieri quando qualcuno lo urtò violentemente.
Non sentì nemmeno le scuse urlate al vento mentre percepiva il vuoto sotto i piedi, perse la presa dalle mani di Alessandra, una stretta fastidiosa gli strinse lo stomaco e cadde a terra battendo il coccige con tale prepotenza che per un momento trattenne il fiato.
Il dolore arrivò a rallentatore, ma ebbe modo di preoccuparsene poco, Alessandra si buttò su di lui e gli afferrò la mano destra giusto qualche secondo prima che qualcuno avesse la brillante idea di passare con i pattini proprio nello stesso identico punto.
<< Ma che idiota! >> Sbottò Alessandra rivolgendo un’occhiataccia al tipo che si era appena allontanato ignaro di tutto, ma Zosimo non se n’era curato, lei era talmente vicina che poteva vederle ogni centimetro di pelle << Mi dispiace … alla fine siamo caduti >>
Il tono di voce di Alessandra si abbassò impercettibilmente quando voltandosi si accorse della loro vicinanza e del modo in cui lui la stava guardando, con quel sorriso sempre accennato sulle labbra sottili e le fossette ben visibili.
Zosimo profumava di menta, la sciarpa gli era quasi completamente caduta di lato, riusciva a vedergli la vena tesa del collo sotto la pelle scura e aveva un minuscolo neo sul labbro superiore … Alessandra sollevò una mano e glielo toccò senza riuscire a controllarsi.
<< Non fa niente >> Mormorò Zosimo senza muoversi di un millimetro << Ok, non credo di avere più due chiappe, e probabilmente avrei avuto anche qualche dito in meno … >> Alessandra scoppiò a ridere e nascose le labbra tra le dita come se volesse contenersi.
<< Ma non fa niente >> Continuò Zosimo scostandole una ciocca di capelli dagli occhi con affetto << Questa cosa l’ho superata da un pezzo. Non ho paura se cadiamo insieme >>
Alessandra lo baciò con impeto e senza preavviso.
Fu un bacio intenso che durò una vita e quando si separarono scoppiarono entrambi a ridere, si guardarono negli occhi un po’ imbarazzati e tornarono a baciarsi con foga, Alessandra stringendogli le braccia dietro il collo e Zosimo appoggiando una mano dietro la sua schiena e  attirandola a se con trasporto.
A nessuno dei due importò il fatto che si trovassero al centro di una pista artificiale di pattinaggio sotto lo sguardo di tantissime persone.
Importava che ci fossero loro.
Zosimo aveva paura anche in quel momento, ma quella paura non aveva valore per lui.
Non aveva valore finché Alessandra avrebbe continuato a stringerlo in quel modo.
 
Gabriele gettò con malagrazia la cartella sul sedile del passeggero.
Passò una mano sul ciuffo scarmigliato e imprecò contro la professoressa Cattaneo, quella di italiano, in tutte le lingue che conosceva.
Non sopportava proprio quella vecchia arpia.
L’aveva tenuto sotto torchio per tutta l’ultima ora interrogandolo su ogni singolo autore che avevano studiato quell’anno, tutta quella sofferenza per ottenere alla fine un misero cinque e sentirsi dire, per l’ennesima volta, che era un ripetente.
Gabriele era talmente arrabbiato che prese in considerazione l’idea di farsi bocciare anche quell’anno solamente per diventare l’incubo della Cattaneo e tormentarla fino alla pensione. Inoltre, quando aveva cercato solidarietà in suo cugino Aleksej, quest’ultimo l’aveva rimproverato affermando che cinque era un voto anche troppo alto per chi confondeva ancora Foscolo con Leopardi, e che dunque la Cattaneo era stata troppo gentile.
Gabriele era rimasto indignato da quelle parole.
Si era sentito tradito come se Aleksej l’avesse pugnalato alle spalle.
Allora lo aveva mandato a quel paese, aveva farneticato qualcosa sul fatto che Foscolo e Leopardi fossero due noie mortali e l’aveva invitato, con il dito medio sollevato, a tornare a casa con l’autobus perché non aveva nessuna intenzione di fargli da fattorino.
E a conclusione di quella mattinata fantastica, scendendo le scale si era imbattuto in Katerina e Carlo, che ridevano fastidiosamente tenendosi la mano.
Gabriele aveva rischiato di slogarsi una caviglia per la fretta di fuggire prima che si accorgessero di lui, ci era riuscito, ma aveva anche rischiato di travolgere Zosimo, cosa che non gli era affatto dispiaciuta da quando aveva scoperto che usciva con sua sorella.
Sospirò profondamente, ingranò la marcia e uscì sgommando dal parcheggio.
Era soprapensiero e bloccato nel traffico, quando sollevando distrattamente lo sguardo sulla strada affollata dai pedoni, notò un certo trambusto alla fermata dell’ autobus, sembrava che fosse stata soppressa una corsa e la gente si lamentava ad alta voce o imprecava contro il povero tabellone, che aveva avuto lo spiacevole compito di comunicare la brutta notizia.
Contrasse leggermente le sopracciglia e mise su il broncio, combattendo contro la tentazione di andarsene o quella di controllare se Aleksej e Ivan fossero ancora bloccati lì.
Alla fine sospirò pesantemente e rallentò calando di marcia, scrutò tra la folla con occhi attenti, ma invece di imbattersi nelle figure dei due cugini, intravide tra la folla Catena.
Sembrava leggermente preoccupata, guardava convulsamente lo schermo del telefono premendo dei tasti, Gabriele suonò due volte il clacson e Catena sollevò lo sguardo sobbalzando, lo scrutò aggrottando le sopracciglia, come se volesse accertarsi di aver visto bene, e avanzò di qualche passo verso di lui quando Gabriele le fece un cenno di saluto.
<< Ciao Catena, tutto bene? C’è qualche problema? >>
Le domandò mentre dietro di lui qualcuno suonava convulsamente il clacson.
<< Ehi Gabriele … no è che, hanno soppresso la corsa, non so come tornare a casa. E il cellulare è morto >>
Catena agitò timidamente l’oggetto per farglielo vedere e sorrise imbarazzata.
Non aveva mai parlato molto con Gabriele, aveva sempre provato soggezione a restare da sola con lui, perché Gabriele emanava una strana aurea, sembrava un uomo già adulto proiettato verso un futuro che forse ancora non vedeva.
Sembrava triste e stanco, come se un peso troppo grande gli gravasse sulle spalle.
<< Posso darti un passaggio? >>
Catena arrossì quando Gabriele picchiettò leggermente il sedile vuoto alla sua destra e le sorrise gentilmente, era imbarazzata dalla situazione e non sapeva cosa fare.
<< Sei sicuro? Non vorrei crearti … >>
<< Non crei nessun fastidio, stavo tornando a casa anche io >>
Catena sospirò profondamente, poi accennò anche lei un sorriso e si affrettò a salire nell’auto, Gabriele le sorrise incoraggiante a sua volta, ingranò la marcia e riprese a sfrecciare sulla strada infilandosi nel traffico con aria esperta.
<< Me la indichi tu la strada? Non sono mai stato da te >>
Catena sobbalzò leggermente quando Gabriele le prose la domanda, stava ancora allacciando la cintura con la mano destra, mentre con la sinistra stringeva convulsamente il bordo del sediolino, spaventata dalla guida frenetica e spericolata del compagno di classe.
<< Eh? Ah, certo … abito poco prima del ponte che divide la città … >>
Mormorò passandosi distrattamente una mano sulla fronte sudaticcia, Gabriele non sembrò accorgersi minimamente del suo disagio, le rivolse uno sguardo veloce e sollevò in maniera plateale un sopracciglio, facendolo scomparire sotto il ciuffo ribelle.
<< Davvero? Ho sempre pensato che quella fosse proprio una bella zona >>
Commentò allegramente, svoltando a destra con furia e senza inserire la freccia, Catena si premette una mano sul cuore e pregò silenziosamente qualche santo affinché Gabriele la portasse a casa sana e salva, possibilmente senza nessuna ammaccatura.
<< Non vedi l’ora di scendere vero? >>
La domanda improvvisa del ragazzo la fece sobbalzare leggermente, quando si voltò a guardarlo Catena si rese conto che era rimasta in silenzio per troppo tempo con lo sguardo terrorizzato, Gabriele ridacchiò divertito quando incrociò la sua espressione mortificata.
<< No, davvero io … >>
<< Tranquilla, me lo dicono tutti che guido come un matto, ma non ho mai fatto nemmeno un incidente, lo giuro! Ti porterò a casa sana e salva, altrimenti chi lo sente Oscar? >>
Catena sorrise lievemente quando Gabriele le fece l’occhiolino.
Erano appena rimasti bloccati in un ingorgo piuttosto incasinato, si sentivano clacson suonare da tutte le direzioni, ma Gabriele non sembrava minimamente turbato dal problema, aveva la testa completamente da un’altra parte, persa in chissà quali pensieri.
Mentre si azzardava ad osservarlo di sottecchi, Catena si rese conto che tutti quei sorrisi di cortesia che le aveva rivolto erano stati finti, dettati dall’educazione, fu in quel momento che si rese conto che molto probabilmente Gabriele avrebbe preferito restare solo.
Ancora una volta Catena provò la spiacevole sensazione di estraneità ed imbarazzo.
<< A proposito … mi dispiace per oggi, la professoressa è stata proprio tremenda >>
Gabriele si lasciò sfuggire una smorfia quando Catena mormorò quelle parole un po’ buttate lì per caso, probabilmente nel tentativo di fare conversazione, ma cercò immediatamente di correggerla scuotendo le spalle, non aveva un rapporto stretto con la compagna di classe e non voleva spaventarla più di quanto non avesse già fatto con la sua pessima guida da scalmanato. Inoltre Gabriele aveva il terribile presentimento che Catena avesse percepito il suo malumore, e questo non avrebbe fatto altro che aumentare il suo imbarazzo.
<< Non fa nulla, ormai ci sono abituato. Quando hai il marchio del ripetente sulle spalle, va a finire che la gente pensi che uno sia stupido … beh, non che io possa negarlo >>
Ridacchiò leggermente e svoltò a sinistra, riuscendo finalmente a liberarsi dell’ingorgo stradale, gli faceva uno strano effetto trovarsi da solo con Catena, stava provando uno strano disagio e desiderò improvvisamente arrivare a destinazione il prima possibile.
Come se il bisogno di restare da solo lo avesse investito tutto di colpo.
E poi si rese conto che erano state le parole che aveva pronunciato a far nascere quel disagio dentro di lui, il fatto che si stesse confidando con una semplice conoscente gli fece realizzare quanto bisogno avesse di buttare tutto fuori.
Ma non voleva farlo.
Gabriele non voleva farlo in alcun modo e …
<< Non credo che una persona con gli occhi come i tuoi possa essere stupida … >>
<< Come?! >> Gabriele si rese conto troppo tardi di aver alzato leggermente la voce, vide Catena arrossire violentemente per l’imbarazzo e strizzare la maglietta con le mani.
Detestava quel suo caratteraccio impulsivo e malfidente << In che senso? >>
Riformulò velocemente la domanda e le rivolse un sorriso davvero poco convincente.
<< Insomma … volevo dire che … nel senso che hai degli occhi molto espressivi! >>
Catena buttò fuori quelle parole di getto, domandando a se stessa perché le fosse venuto in mente di mettere in mezzo l’argomento, ma quando aveva sentito Gabriele parlare di se stesso in quel modo non aveva potuto fare a meno di dire quello che pensava.
<< Espressivi? Nel senso che sono come un libro aperto o giù di li? >>
<< No, non proprio. Non direi un libro aperto, più che altro … nei tuoi occhi si legge tutto quello che vuoi nascondere >>
Gabriele strinse più forte le mani attorno al volante, aggrottò leggermente le sopracciglia e rivolse a Catena, tutta rossa in faccia, uno strano sguardo.
Aveva sempre saputo che era una brava ragazza, tranquilla e silenziosa, osservatrice, ma non aveva sospettato mai nemmeno una volta che sapesse leggere le persone così a fondo.
Probabilmente era per quello stesso motivo che usciva con uno come Oscar.
<< Davvero? E secondo te cos’è che sto nascondendo adesso? >>
Le domandò, erano quasi arrivati al ponte, aveva iniziato a percorrere il lungo rettifilo che seguiva tutto il fiume fino alla città vicina superando con lentezza un palazzo dietro l’altro. Catena stropicciò ancora un po’ la maglietta, si morse il labbro come per valutare la risposta, Gabriele seguì quella lotta interiore con un sorriso accennato sulle labbra.
<< Rimpianto >>
Catena lo tirò fuori tutto d’un fiato, Gabriele sospirò pesantemente e alzò un po’ le spalle.
Alla fine, tirare tutto fuori gli venne quasi naturale.
<< Sei davvero una brava osservatrice sai? Di rimpianto, qui dentro … >> E si indicò il petto picchiettandolo sonoramente << … ce n’è quanto ne vuoi >>.
Catena rimase in silenzio per un po’ scrutando la strada familiare con le sopracciglia leggermente aggrottate, era sorpresa da quando si potesse capire osservando una persona semplicemente negli occhi. Fu riscossa improvvisamente dal torpore quando intravide il suo palazzo avvicinarsi, lo indicò con un dito a Gabriele e lui accostò frettolosamente, facendosi spazio tra un camion in partenza con il motore acceso e una motocicletta parcheggiata.
<< Hai … hai mai pensato di dare un po’ di questo rimpianto ad Aleksej? >>
Gabriele se l’aspettava quella domanda, spense il motore e sorrise.
<< Io e Alješa ultimamente ... Ecco, non è che andiamo molto d’accordo >>
Catena giocherellò distrattamente con la cerniera della cartella, poi sollevò i limpidi occhi azzurri e li posò in quelli verdi di Gabriele.
<< Sai, io non sapevo cosa fosse il rimpianto prima di conoscere Oscar. Non sapevo cosa fosse fino a quando lui non me ne ha riversato addosso così tanto che ho rischiato quasi di soffocare per il peso. All’inizio è stato difficile, ma ora ce la faccio. Sono sicura che anche Aleksej ce la può fare >>
Gabriele sorrise e Catena sospirò profondamente.
Non aveva mai visto un sorriso più triste di quello.
<< Grazie >>
La mora annuì frettolosamente e si apprestò ad aprire lo sportello della macchina riversandosi sul marciapiede con fretta, richiuse la portiera con tatto e si voltò immediatamente verso Gabriele facendo un breve inchino di ringraziamento.
<< Grazie mille per il passaggio >>
Gabriele sollevò una mano e fece un cenno.
<< Mi ha fatto piacere scambiare due chiacchiere con te … sei proprio una bella persona >>
Catena accennò un sorriso e rimase sul marciapiede ad osservarlo mentre accendeva la macchina e si apprestava a fare retromarcia. Avrebbe voluto fare molto di più.
Era piuttosto sicura che gli occhi di Gabriele l’avrebbero tormentata per tutta la serata.
Aveva la mente altrove quando se ne accorse.
Spalancò orridamente gli occhi e tese il braccio in avanti …
<< Attento! >>
Gabriele sentì l’urlo di Catena un attimo prima di uscire in retromarcia.
Un attimo prima che una macchina gli spuntasse davanti dal nulla.
Il camion in partenza gli aveva bloccato la visuale e lui non l’aveva proprio vista.
L’ultimo pensiero che gli risuonò in testa prima dello schianto fu una eco delle sue parole.
 “… non ho mai fatto nemmeno un incidente …”
E gli dispiacque che dovesse essere proprio Catena a dover assistere ad uno spettacolo del genere.
 
<< Quell’idiota deficiente! Venti minuti a piedi mi ha fatto fare! >>
Miki non poteva proprio fare a meno di pensare che quella sera Aleksej fosse uscito un po’ troppo fuori dai gangheri. Non faceva altro che camminare avanti e indietro percorrendo l’intero perimetro della stanza, incrociando le braccia al petto, gesticolando follemente contro il cugino assente e rivolgendole ogni tanto qualche occhiataccia, come se la colpa dell’atteggiamento scontroso di Gabriele fosse tutta sua.
<< Beh Alješa … avresti potuto evitare di rimproverarlo in quel modo. Dopotutto si era impegnato sul serio, e lo sai quanto è svogliato tuo cugino >>
Aleksej interrupe la marcia forsennata e fulminò Miki con lo sguardo assottigliando ancora di più i taglienti occhi azzurri, alla luce tenue della lampada le lentiggini sul suo viso erano accentuate in maniera sorprendente.
Se non fosse stato così di malumore Miki le avrebbe baciate una ad una.
<< Sei dalla sua parte allora? Beh, fai come vuoi! Se vuole farsi bocciare un’altra volta sono solo fatti suoi! >>
Miki sospirò pesantemente in seguito all’invettiva furiosa del fidanzato, era andata a trovarlo per passare il pomeriggio con lui e si era ritrovata a dover sopportare il suo malumore.
Erano state rare le volte in cui Miki aveva assistito ad un litigio tra Aleksej e Gabriele, ma ultimamente non sembravano fare altro, e quello della mattina era stato piuttosto feroce.
<< Aleksej, oggi hai esagerato con Gabriele >> Sbottò Miki incrociando le braccia al petto a sua volta, Aleksej fece per aprire immediatamente la bocca ma lei non glielo permise << N0n devi attaccarlo ogni volta che fa qualcosa che non va! Non è così che lo invoglierai a parlare con te di qualsiasi cosa lo affligga! >>
Aleksej rimase per alcuni istanti a bocca aperta, combattendo con se stesso contro la tentazione di replicare ancora una volta con acidità, alla fine sbuffò sonoramente e si arrese.
Sciolse la stretta delle braccia e con passo stanco percorse quei pochi metri che lo separavano da Miki e si lasciò cadere di schiena sul letto, spossato.
<< Gabriele sta soffrendo Aleksej, sta male >>
<< Lo so! Ed è proprio questo che mi fa incavolare! Se sta male … perché non si affida a me? E’ stato lui a dirmi che dovevo sempre dirgli tutto, perché non fa lo stesso quell’idiota?! >>
La voce di Aleksej salì nuovamente di tono sulle ultime parole, ma la rabbia si sgonfiò immediatamente, sbuffò infastidito e si sfregò con forza gli occhi arrossati.
 << Ehi Alješa, hai mai pensato che Gabriele non possa parlarne con te? >>
Aleksej aggrottò le sopracciglia quando sentì quelle parole, smise di strofinarsi gli occhi e li puntò sulla fidanzata, che con uno sbuffo sonoro si lasciò cadere al suo fianco.
<< Cosa intendi dire? >>
<< Magari è qualcosa di cui non riesce a parlare. Qualcosa di cui si vergogna, qualcosa che non riesce a dire nemmeno a te >>
Aleksej sembrò rifletterci su per un attimo, poi sospirò sonoramente e si girò su un fianco, prendendo la mano della fidanzata tra le sue e cominciando a giocare sul suo palmo con le dita, Miki sospirò sonoramente e con la mano libera accarezzò i capelli ribelli del fidanzato.
<< Anche io mi vergognavo di quello che ti avevo fatto … ma gliene ho parlato lo stesso >>
Bisbigliò Aleksej avvicinandosi maggiormente al viso di Miki, le cose erano andate sempre peggio da quando aveva cominciato a litigare con Gabriele per ogni sciocchezza.
La cosa che più lo destabilizzava, era il non sapere affatto come comportarsi.
Accarezzò distrattamente il viso morbido e caldo di Miki e sentì in lontananza lo squillare del telefono di casa, immediatamente interrotto dalla risposta di qualcuno, fece per avvicinarsi e dare finalmente un bacio alla sua fidanzata quando il cellulare gli vibrò in tasca.
Sbuffando sonoramente, lui e Miki si tirarono a sedere sul letto e guardarono accigliati lo schermo.
<< Catena? Perché hai il numero di Catena? >>
Domandò immediatamente Miki, Aleksej aggrottò ancora di più le sopracciglia.
<< Me lo diede l’anno scorso per una ricerca … >>
Replicò distrattamente il biondo, accettando la chiamata e portandosi il cellulare all’orecchio. Miki lo osservò attentamente per tutto il tempo, perché Aleksej non produsse una sola parola per tutto il tempo della conversazione al telefono, il suo volto sembrava primo di espressione, non muoveva nemmeno un muscolo.
Quando mise giù senza dare alcuna risposta, Miki gli afferrò un braccio e aprì bocca per dire qualcosa, ma quasi contemporaneamente la porta della camera si spalancò in un botto tremendo e Yulian, il padre di Aleksej, entrò dentro con la faccia pallida e ancora il telefono di casa in mano.
<< Dobbiamo immediatamente correre all’ospedale Aleksej! Gabriele ha …>>
<< … fatto un incidente stradale >>
La voce di Aleksej uscì quasi come un rantolo strozzato mentre pronunciava quelle parole guardando il padre, Miki si portò automaticamente entrambe le mani sulle labbra.
Aleksej era così atterrito che non sapeva se fosse reale o tutto solamente un terribile incubo che non gli dava tregua, in quel momento non riusciva proprio a distinguere tra le due cose, ma una cosa certa la sapeva.
Avrebbe preferito litigare con Gabriele mille volte al giorno, piuttosto che provare l’angoscia che gli stava attanagliando lo stomaco in quel momento.
Non lo faceva respirare dalla paura.
Era insistente, opprimente.

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Effe_95

Buona sera a tutti :)
Lo so che ultimamente comincio le note dicendo sempre la stessa cosa, ma è doveroso che io mi scusi per il terribile ritardo. Questa volta mi sembra proprio di avere esagerato.
Comunque sono in piena sessione estiva e ho appena dato due esami e dovrò darne altrettanti, quindi il tempo per scrivere è un po' diminuto. Inoltre, il mio problema, il "blocco" che mi è venuto non sembra volere andarsene, tuttavia io non mi arrendo e continuo imperterrita.
Spero solo questo non rovini la qualità del lavoro :S
Lo so che torno dopo così tanto tempo, con un capitolo del genere tra l'altro!
Nella prima parte troviamo uno Zosimo leggermente diverso, più imbarazzato e confuso, mentre Alessandra sembra essere più sicura di se stessa. Spero vi sia piaciuta questa caratterizzazione.,
Nella seconda parte non è stato un caso che io abbia voluto far incontrare proprio Gabriele e Caterina, sebbeno siano molto diversi, hanno parecchie cose in comune secondo me.
Ora lo so che sono stata tremenda a finire il capitolo così, e che vorrete eliminarmi dopo quello che ho combinato al povero Gabriele, ma vi prego di non farlo!
Fidatevi di me ;)
L'ultima cosa e poi smetto di infastidirvi con la mia logorroicità.
Nella terza parte Catena chiama Aleksej con il cellulare, mentre io nella seconda parte avevo scritto che era scarico, NON è un errore! E' una cosa voluta, perchè nel frattempo Catena è salita a casa e ha avuto tutto il tempo di metterlo a caricare.
Allora, grazie mille davvero di cuore come sempre alle fantastiche ragazze che recensiscono e mi danno sempre la carica, anche nei momenti "no" della scrittura.
Siete il mio motore :)
Grazie mille ancora davvero e alla prossima.
Cercando di essere un po' più veloce. 

 
 
 
 

 
  
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