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Autore: Water_wolf    16/06/2016    2 recensioni
ATTENZIONE: seguito di "Sangue del Nord", "Venti del Nord" e "Dispersi nel Nord".
Evitare la guerra tra Campo Giove e Campo Nord, impedire il risveglio di Gea, fermare l'avanzata di Ymir: normale routine per i semidei Alex, Astrid ed Einar. Eppure, è davvero così? La posta in gioco è sempre più alta. L'unica soluzione è una triplice allenza tra Greci, Nordici e Romani. Ma il compito è tutt'altro che semplice se braccati da quelli che pensavi alleati. E Roma nasconde molti più segreti di quanto si creda...
«Molto bene. In bocca al lupo, Lars. Mi fido di te. Che gli Dèi siano con te» mi augurò, sorridendomi. «Anche io mi fido di te… ma dubito che gli Dèi saranno con noi, visto quel che dobbiamo fare.» || «Perché sai che cosa succede ai personaggi secondari che provano a diventare degli eroi?» Non attese risposta. «Muoiono, Einar Larsen. Ecco, che cosa succede.»
Genere: Avventura, Azione, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Yaoi | Personaggi: Annabeth Chase, Gli Dèi, Percy Jackson, Quasi tutti
Note: Cross-over, Lime, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Cronache del Nord'
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Pesanti fardelli

∆ Reyna ∆
 
Le mie dita scorsero lentamente sul tatuaggio che portavo sull’avambraccio destro. Tre linee nere poste sotto il simbolo di mia madre a significare gli anni che avevo trascorso a Nuova Roma.
Il Campo Giove era diventato la mia casa, la legione la mia famiglia. Non potevo sopportare l’idea che venissero minacciati e li avrei difesi anche contro il più mostruoso dei nemici, l’avrei fatto al di là dei miei doveri di pretore. Non avrei mai permesso a nessuno di rendere la mia nuova casa una rovina che parlava di anni felici da ormai lungo tempo passati e la mia nuova famiglia un circolo di fantasmi. Non mi sarei lasciata indietro un’altra Porto Rico.
E allora perché le mie mani indugiavano sui pezzi dell’armatura? Perché la fermezza che caratterizzava il mio modo di fare vacillava a quella maniera? Esitavo in modo così palese che me la presi con me stessa, iniziando una discussione interiore dai toni accesi, mentre sbuffando finii di sistemarmi l’armatura.
Controllai allo specchio che fosse tutto in ordine. Alla vista di così tanti ciuffi che sfuggivano alla mia treccia, non riuscii a trattenermi dall’alzare gli occhi al cielo. Sbuffando sonoramente, spostai i capelli sulla mia spalla destra, disfai con gesti decisi i resti della treccia più orribile della storia e impugnai il pettine come se fosse un pugnale.
Se c’era una cosa che odiavo, era avere i capelli in disordine. Non c’era alcuna spiegazione logica, ma se non erano raccolti perfettamente mi sentivo a disagio, impreparata a far fronte alla giornata e incapace di andare avanti come al solito, trovando una soluzione ai problemi che la gente continuava a creare e che io ero costretta a risolvere. In disordine i capelli, in disordine la mente. E poi, per quanto fossi arrabbiata col mondo e con me stessa, pettinarmi mi rilassava come altre poche altre cose.
Con gesti resi svelti dall’abitudine, mi feci una nuova treccia, stringendo bene ogni nodo. Contemplai il lavoro delle mie mani, dopodiché buttai la treccia dietro la nuca e mi voltai.
Quando vidi Octavian, mi prese quasi un colpo.
«Sai» esordì lui, muovendo i primi passi all’interno del padiglione, «mi sono sempre chiesto se ti avrei mai visto senza quella treccia. Per mia sfortuna, sono entrato troppo tardi per riuscirci. Chissà, magari senza di essa sembreresti meno pretore e più Reyna.»
L’incontro inaspettato con una persona che detestavo e le sue parole odiose resero il mio tono più aspro di quanto volessi. «Oh, mio caro augure» lo presi in giro. «Non esiste né un pretore né una Reyna, ma solo Reyna il pretore.»
Sul suo volto si aprì un sorrisetto ambiguo. «È così, dunque? E io che volevo solo risultare gentile prima di una battaglia…»
Per farlo dovresti impiccarti, pensai sfoggiando un sorriso falso. Mi assicurai la daga alla cintura e gli passai accanto prima di uscire dalla tenda.
«Un consiglio: la prossima volta che vuoi farmi un complimento, inizia col dire che ho dei bellissimi capelli, almeno» lo ripresi. «Non che i tuoi complimenti o quelli di un qualsiasi altro ragazzo possano influenzare in qualche modo una delle mie battaglie.»
Godetti della sua espressione a metà tra il ferito e lo stupito per qualche momento, prima di abbandonare il padiglione. «Ora devo proprio andare. La mia legione mi aspetta.»
La sua voce, ritornata un odioso stridio che non mascherava più le sue infide intenzioni, mi raggiunse dopo qualche passo. «Per Jason Grace la tua legione avrebbe aspettato, però. Non è così, Reyna?»
Mi fermai.
«Forse aspetterebbe anche per qualcuno di quei nordici. Magari quello a cui hai risparmiato la vita a Charleston?»
Mi voltai lentamente. Guardai Octavian come si fa con gli insetti particolarmente ripugnanti. Se solo avessi potuto, l’avrei schiacciato tra due dita come si fa con quelle bestioline odiose.
«Sono dalla tua stessa parte, Octavian.» Il mio tono era gelido. «Gradirei che non sminuissi ciò che sto facendo per Nuova Roma sulla base di insensati pregiudizi che hai nei miei confronti.»
Il biondino inarcò un sopracciglio. «Insensati? Davvero?»
«Sì, insensati» ribadii. «Sono più che in grado di separare i miei sentimenti dalle mie azioni. Non che ne provi alcuni, in ogni caso. Ti consiglio di fare lo stesso.»
Mi girai nuovamente e ripresi a camminare. Sperai con tutta me stessa che non riprendesse parola e che, per una volta nella sua vita, stesse zitto. Se non l’avesse fatto, avrei rischiato di perdere l’ultimo briciolo di pazienza che mi era rimasto. Grazie agli Dèi, ebbe il buonsenso di tenere chiuso il becco.
Mentre mi dirigevo dai miei compagni, capii che la mia esitazione era dovuta proprio a questo. La vittoria della legione avrebbe significato la vittoria di Octavian e questo non poteva accadere. Desiderava la mia carica più di ogni altra cosa, più ancora della vendetta sui semidei nordici che l’avevano umiliato, ed era arrivato persino alla seduzione per ottenerlo. Se Octavian fosse mai riuscito a raggiungere una posizione effettiva di comando, ogni possibilità di pace e di giustizia sarebbero scomparse.
Questo era il problema: dovevo vincere ma non potevo vincere. Mi trovavo intrappolata in un assurdo dramma Shakespeariano. Se quel tipo non fosse stato famoso per le sue tragedie, il mio umore non sarebbe stato così pessimo.
 
♣Annabeth♣
 
Era un giorno pessimo per festeggiare un compleanno. Il Sole splendeva alto su Roma – la vera Roma – e illuminava le parti metalliche dell’Argo II che avevamo parcheggiato in un parco alla bell’e meglio, domandandoci come sarebbe apparso lo spettacolo agli occhi dei comuni mortali. Il calore si alzava dall’asfalto e l’afa si appiccicava ai vestiti, ma c’era da aspettarselo: era Luglio ed eravamo in Italia, se non fosse stato così ne saremmo rimasti più delusi che stupiti. Sarebbe stato perfetto e sapere di avere a portata di mano tanta storia, tante possibilità ma essere anche consci di avere un’unica scelta – salvare Nico e sconfiggere i giganti gemelli in meno di ventiquattr’ore – rovinava l’atmosfera completamente.
Eppure, quando Jason ricordò timidamente che era il suo compleanno, quasi sfiorando l’argomento per paura di apparire inopportuno, ci fermammo tutti quanti e di comune accordo indicemmo un pic-nic per festeggiare.
«Nella vita ci sono delle priorità» commentò Einar, «e la torta è una di queste.»
«La priorità è che sia blu» disse Leo, ammiccando nella direzione di Percy. «Non è così, Jackson?»
Risi prima che il mio fidanzato potesse difendersi in qualche modo.
«Un giorno conoscerete tutti mia madre» disse il figlio di Poseidone, alzando la voce per dare una parvenza solenne al suo discorso, «e non riderete più del mio problema…»
«… ossessione…» tossicchiò Leo.
Percy roteò gli occhi. «… la mia ossessione per il cibo blu. È una promessa.»
«Mi piacerebbe molto incontrare tua madre» rispose Hazel. «Dev’essere una donna meravigliosa.»
Il mio ragazzo le rivolse una versione smorzata del suo classico sorriso. «Lo è.» Il suo sorriso si fece più tirato. «Lo è. Una volta, ha attraversato una Manhattan piena di mostri al servizio di Crono per assicurarsi che stessi bene. Non appena prenderemo a calci nel didietro Gea, la prima cosa che farò sarà tornare a casa da lei.»
Avrei cercato di confortarlo, se non avessi temuto che bastasse una semplice stretta di mano a farlo scoppiare a piangere. Osservando la sua espressione contrita, il modo in cui aveva stretto le labbra e lasciato che il ciuffo gli ricadesse davanti agli occhi, mi ricordai all’improvviso dell’altro ragazzo che non era ancora tornato a casa. Che non sarebbe mai tornato a casa. Entrambe le loro madri stavano preparando dolcetti in attesa che il loro unico figlio bussasse alla porta.
«Va bene ragazzi, adesso possiamo tornare a parlare di me?» intervenne Jason. «È il mio compleanno e non sono al centro dei vostri pensieri. Mi ritengo personalmente offeso.»
L’uscita ci distolse tutti e in solo momento dalle riflessioni deprimenti. Piper abbracciò immediatamente il figlio di Giove e gli stampò un bacio di scuse sulla guancia. Astrid optò per un approccio più burbero: gli diede un pugno sulla spalla, lo insultò – «Egocentrico di merda, peggio di tuo padre» – infine gli rivolse un sorriso a trentadue denti.
Alex riacciuffò la sua ragazza e la strinse a sé, impedendole di muoversi. «Stai insultando qualcun altro e non me. Devo incominciare ad essere geloso?»
«Idiota. A chi è che stavo dando dell’egocentrico, prima?»
Ne nacque un battibecco esilarante senza capo né coda. Per un momento, vidi il nostro gruppo come se fossi fuori dal mio corpo e venni sommersa dalla felicità semplice e pura che stavamo provando. Per un momento, le nostre risate e il nostro stare in cerchio mi fecero pensare che fossimo degli adolescenti normali.
Poi le mie dita toccarono la moneta che tenevo in tasca e la fredda superficie metallica spazzò via la spensieratezza che provavo fino a un secondo prima. Mi voltai, cogliendo uno sprazzo della gioia altrui, e mi resi conto che anche Percy non ne faceva parte. Gli sfiorai il viso con una mano e raccolsi la singola lacrima che gli era scesa al pensiero di sua madre.
Decidemmo di andare a fare una passeggiata. La pausa torta era terminata, almeno per noi, e non ci rimaneva più molto tempo. Non ne rimaneva a me. La moneta d’argento pesava sempre di più, esattamente come la responsabilità più grande che mi fosse stata affidata finora. Camminare mano nella mano con Percy sul lungo Tevere non alleggeriva per niente la prospettiva di dovermi separare da lui.
A un certo punto, incapace di sostenere il silenzio teso che si era creato tra noi, dissi: «Devi fidarti di me. Devi credere che tornerò.»
«Io mi fido di te» replicò. «Non è questo il problema. Il problema è che Atena fuori di testa ti ha ordinato di combattere un nemico che generazioni di suoi figli non sono riusciti a sconfiggere.»
Sospirai. «Non è che abbia altra scelta.»
«Sei una dei Dieci. Potresti prima sconfiggere i giganti e poi seguire il cammino di Atena e tutto il resto.» Si fermò e si mise una mano tra i capelli. «Ma niente di quello che sto dicendo ti farà cambiare idea, giusto? Ci sono cose che si devono fare e basta e probabilmente sto peggiorando la situazione cercando di trattenerti.»
Gli rivolsi un sorriso triste ma grato per la sua comprensione. Stavo per dire qualcosa, ma le sue braccia mi strinsero prima che potessi anche solo aprire bocca. Mi ritrovai stretta nel suo abbraccio. Mi abbandonai contro il suo petto e forse fu la mia immaginazione a trasformare i battiti del suo cuore in parole sussurrate al mio orecchio: «Non farti venire a cercare, Sapientona.»
Poi la strombazzata di un motorino a distanza ravvicinata rovinò tutto quanto. Le braccia di Percy erano ancora attorno alla mia vita, quando voltai la testa di scatto per vedere chi aveva rovinato il nostro momento.
Sentii la mia bocca spalancarsi al rallentatore. Su un vecchio modello di Vespa celeste sedevano un uomo e una donna vestiti con abiti rubati agli anni cinquanta. Ma non erano semplicemente due innamorati che si facevano in giro in motorino, erano Gregory Peck e Audrey Hepburn negli outfit del film Vacanze romane.
«Oh miei Dèi» riuscii a sillabare.
Percy guardò prima loro, poi me, poi di nuovo loro. «Voi due avete un’aria familiare» decise.
«Solo familiare?» lo rimbrottai. «Avrò visto quel film milioni di volte con mio padre! È un classico.»
Il figlio di Poseidone non sembrò illuminarsi alle mie parole. Se Audrey non l’avesse preceduto, avrebbe potuto chiedermi se facevano parte del cast di quei lungometraggi parodia su Thor; ma, per fortuna, la sua domanda sarebbe rimasta per sempre inespressa.
«Oh, cara! Temo che tu ci stia confondendo con altri» si scusò la donna, sorridendomi gentile. «Non abbiamo mai girato nessun film. E come avremmo potuto? Io sono Rea Silvia, forse mi conoscete meglio come la madre di Romolo e Remo. Questo qui, invece, è mio marito Tiberino, il dio del Tevere.»
«Ehm… Salve» disse Percy, dopo aver stretto la mano ad entrambi. «Non vorrei sembrare inopportuno, soprattutto nei confronti di due star del… ehm  divinità come voi, ma siete venuti per aiutarci?»
Tiberino annuì, ma il suo sguardo si posò più a lungo su di me. «Le mie naiadi hanno detto che vi avremmo trovato qui. Hai la mappa e la lettera di presentazione, mia cara?»
«Uhm, sì. Sì, ecco.» Gli porsi la lettera e il disco di bronzo che avevo recuperato a Charleston, lievemente in imbarazzo. Trovare qualcuno disposto a darci una mano era una rarità, ormai. «È la prima volta che aiutate un figlio di Atena per questa impresa?»
«Certo che no, Annabeth cara!» rispose Rea Silvia. «Abbiamo aiutato moltissimi che hanno intrapreso il tuo stesso cammino. Tiberino è sempre così disponibile. Ha salvato i miei figli e li ha portati dalla dea Lupa. Poi, quando il vecchio re Numa ha tentato di uccidermi, ha avuto pietà di me e mi ha preso in moglie. Da allora governo il regno del fiume al suo fianco. È un uomo semplicemente fantastico!»
Soprattutto nei panni di Gregory Peck, pensai.
«Grazie, cara» commentò il dio con un sorriso. «È vero, ho aiutato molti tuoi fratelli e sorelle… almeno a intraprendere il viaggio  senza correre rischi. È un peccato che poi siano tutti morti in modo penoso. In ogni caso, meglio darci una mossa. Il marchio di Atena ti attende!»
Da come lo disse, sembrò più “una fine dolorosa è lì dietro l’angolo ad aspettarti!”. Percy doveva aver inteso la frase alla mia stessa maniera, perché mi rivolse uno sguardo da cucciolo di foca sperduto e aveva un’ultima supplica sulle labbra.
«Non ti preoccupare» gli dissi, stringendogli la mano e cercando di assumere un’aria determinata nonostante fossi rosa dalla paura. Accettai l’aiuto di Rea Silvia per salire sulla Vespa. «Andrà bene.»
«Tiberino, permettimi di accompagnarla ancora per un po’» tentò, facendo un passo in avanti. «Ti prego.»
Il dio del Tevere scosse la testa. «Se ti permetto di accompagnarla adesso, vorrai farlo per tutto il cammino. Non è possibile, Percy Jackson. Il tuo destino è altrove.» Si guardò l’orologio che portava al polso sinistro. «Anzi, dovresti affrettarti. La visione comparirà presto sul pugnale della tua amica Piper. Va’, potresti avere meno tempo di quanto pensi per salvare Nico di Angelo.»
«Ma…»
«Percy» lo richiamai. «Devi andare.»
La sua indecisione era resa palese dai piccoli, numerosi movimenti che iniziava e non portava a compimento. Alla fine, in due passi mi raggiunse e mi prese il volto tra le mani prima di baciarmi. «Sta’ attenta» mi disse.
Poi Tiberino diede gas e la Vespa partì sgommando per le vie trafficate di Roma, lasciandosi alle spalle il mio ultimo saluto.
 
► Piper ◄

Dal modo in cui Percy tornò correndo verso di noi, capimmo che o aveva brutte notizie o stava scappando dalle brutte notizie. Grazie agli Dèi, non aveva nessun nemico alle calcagna e potemmo lasciar andare la presa sulle armi.
«Cos’è successo?» chiese Jason, alzandosi in piedi.
Trafelato, Percy si mise a farfugliare parole a caso senza riuscire a ordinarle in una frase di senso compiuto. Quando finalmente si fu calmato, riuscì a dire che Annabeth era stata rapita con un motorino da Gregory Peck e Audrey Hepburn. Non che avesse molto più senso, ovviamente.
«Non proprio rapita» precisò il figlio di Poseidone. «Eppure ho questa brutta sensazione…» Trasse un profondo respiro, come se stesse cercando con tutto se stesso di non esplodere. «In ogni caso, Annabeth è andata. Forse non avrei dovuto permetterle di farlo, ma…»
«Sapevi che doveva continuare da sola» lo interruppi, aggiungendo un pizzico di lingua ammaliatrice alle mie parole per massimizzare l’effetto. Il modo in cui mi fissò, quasi stesse bevendo ogni frase che pronunciavo, fu una conferma sufficiente della mia riuscita. «Annabeth è forte e intelligente. Se c’è un figlio di Atena che può farcela, è lei.»
«Sì, hai ragione. Non dovrei dubitare di lei» concordò, sbattendo le palpebre un paio di volte per capire se stesse pronunciando per davvero quelle parole.
«Bene!» Einar batté le mani e le sfregò una contro l’altra, facendoci sobbalzare. «Oh, scusate. Comunque, non vorrei sembrare impaziente, ma visto che adesso Percy è qui… Possiamo dare inizio alla ricerca di Nico e dei nostri amici giganti, giusto?»
«Cavolo! Stavo per dimenticarmene» saltò su Percy. «Gregory Peck… cioè, Tiberino mi ha rivelato che per salvare Nico abbiamo a disposizione meno tempo di quello che pensavamo.»
Il figlio di Loki si portò una mano alla tempia, cercando di contenere la sua irritazione. «E tu—tu te lo stavi dimenticando
L’altro ragazzo deglutì. «Ha anche detto che Piper sarebbe stata capace di individuare il punto in cui si trova grazie al pugnale» disse molto velocemente.
Un considerevole numero di occhi si posò su di me. Iniziarono a sudarmi le mani per l’agitazione. «Ho già provato questa mattina. Non sempre Katoptris mostra quello che voglio vedere. Anzi, non lo fa quasi mai.» Ma mi bastò scambiare un’occhiata con Einar per desiderare di aver ben altre notizie. Sospirai. «Okay. Proverò un’altra volta.»
Sguainai il pugnale e lo posi davanti a me, in modo che tutti potessero vedere. Ti prego, pensai. Funziona. Per favore. La lama di bronzo si illuminò, e non a causa della luce naturale. Sulla superficie comparvero prima delle tende, poi la visuale si strinse sulle persone che camminavano tra di esse; l’oro imperiale delle armi luccicava alle loro cintole. Katoptris ci mostrò Octavian entrare nel padiglione in cui si trovava Reyna, al cui centro era posto un tavolo con stesa sopra una cartina.
«Quella è una mappa di Long Island» disse Percy. «I Romani sono già arrivati.»
«Stanno esplorando il territorio. Se non l’hanno già fatto» spiegò il figlio di Giove. «Maledizione. Pensavo che Reyna sarebbe stata in grado di regalarci più tempo.»
«I due Campi possono aspettare» li interruppi. «Le nostre priorità sono già qui ad attenderci.»
Strinsi la presa sull’elsa per aiutarmi a concentrarmi. Voglio sapere dove si trova Nico di Angelo. La visione si dissolse, lasciando spazio a una nuova.
Ai nostri occhi si presentarono rovine romane, muri e colonne erose dal tempo e coperte parzialmente dal muschio, addossate al fianco erboso di una collina costellata di pini. Era il Foro antico che avevamo avvistato dall’alto dell’Argo II, prima di atterrare.
La vista si restrinse e zoomò su un particolare lato del pavimento di pietra, dove era stata scavata una rampa di scale che conduceva a un cancello moderno chiuso da un lucchetto. Dopo quest’ultimo, una scala a chiocciola che conduceva a una sala buia e cilindrica che ricordava l’interno di un silo vuoto.
Il polso mi tremò e la visione sparì. Per poco Katoptris non mi sfuggì di mano.
«Piper, tutto bene?» mi chiese Jason, posandomi una mano sulla spalla.
«Non possiamo andare in quel posto» dissi. La sensazione di stare annegando coincideva completamente con l’ambiente che la lama mi aveva appena mostrato. Morire era già stato abbastanza orribile nel sogno. Andare là era come condannarsi con le proprie mani. «Non so come spiegarvelo, ma se entriamo là dentro…»
«Sappiamo che sarà pericoloso» mi interruppe Einar. «Tutte le cose che facciamo lo sono. Le minacce che affrontiamo impresa dopo impresa sono sempre più vicine all’ucciderci. Potremmo morire se entriamo in quel luogo, ma potremmo sopravvivere, come abbiamo sempre fatto. Se non lo facciamo, invece, per Nico non ci sarà speranza.»
«Ha ragione» lo appoggiò Percy, e vidi anche Jason annuire.
La paura di annegare, la sensazione di non avere più aria nei polmoni erano ancora vivide nella mia memoria. Non avrei voluto continuare a guardare nel pugnale, ma come potevo rifiutarmi quando sapevo che le mie azioni erano impedite dal panico e quelle dei miei compagni da sentimenti molto più nobili? Dall’amore, persino? Perché non c’era dubbio che il figlio di Loki fosse innamorato, per quanto cercasse di non darlo a vedere. Al suo posto, mi sarei comportata allo stesso modo.
La lama scintillò di nuovo e riprese la visione là dove si era fermata. Vedemmo i giganti gemelli, entrambi in armatura da gladiatori, seduti su enormi sedie da pretore mentre brindavano in calici d’oro, quasi avessero già vinto. Tra di loro c’era una grossa giara di bronzo, la più grande che avessi mai visto, a dir la verità. Non che lo fosse abbastanza per contenere il corpo di Nico di Angelo, rannicchiato al suo interno più pallido di un morto.
Einar smise di guardare, voltandosi di scatto e allontanandosi di qualche passo con le mani tra i capelli. Rimisi Katoptris nella sua fodera, fissando la schiena del figlio di Loki e desiderando di poterlo aiutare. Mi domandai se anche questo facesse parte del gioco malato tra mia madre e Freyja.
«Non faremo più in tempo» commentò Jason, a bassa voce, temendo di offendere Einar.
Al suo posto, invece, fu Percy a prendere parola. «No!» ribatté. «Non voglio crederci. Forse Nico è entrato è entrato in uno stato di trance più profondo per guadagnare tempo. Dobbiamo solo sbrigarci.»
«Vieni con me, Jackson?» domandò Einar. Si stava sistemando l’arco e frecce in spalla. «Non ho intenzione di aspettare che gli altri tornino per l’orario stabilito.»
«Certo.»
«Un attimo.» I due sembravano pronti a scappare via correndo, diretti nel luogo che avrebbe potuto diventare la nostra tomba. «Come faranno a trovarci, se ce ne andiamo così? Manca poco alle tre, possiamo aspettarli qui e poi andare insieme e saremo più preparati.»
«Tiberino ha detto che non disponiamo di così tanto tempo» sottolineò Percy. «Dobbiamo muoverci.»
«Lasciamo un bigliettino o qualcosa del genere, se ti va» aggiunse Einar. «Leo saprà trovarci grazie all’Argo II. E poi Alex avrà con se dieci rune di rintracciamento come minimo. Ci troveranno.»
Jason alzò le spalle e poi le lasciò cadere con un lungo sospiro. Ci scambiammo un lungo sguardo e, alla fine, io annuii, sebbene riluttante. «Va bene. Qualcuno ha una penna?» chiesi.
 
«Non avevo la minima idea che Vortice funzionasse come una normalissima penna» commentò il figlio di Loki, estasiato.
«Nemmeno io» disse Percy con un sorriso.
«Ragazzi» li chiamò il figlio di Giove. «Siamo arrivati.»
Rimasi a guardare mentre tagliava con la spada il lucchetto che teneva chiuso il cancello e quest’ultimo si apriva cigolando. Sotto, si intravedevano i primi gradini della scala a chiocciola, i seguenti avvolti dall’oscurità.
«Siete davvero sicuri di voler scendere?» chiesi. Il mio cuore stava già iniziando a battere più intensamente.
Einar si voltò e mi rivolse un sorriso da angelo. «Miss Mondo, hai sconfitto un gigante. Capisco che una scala a chiocciola possa essere un nemico temibile per gli anziani, ma tu hai sedici anni, diamine.»
«Ehi» ammonì Jason. «Vacci piano. Piper… questo posto, l’hai già visto, vero?»
Annuii, grata. «Non sapevo come dirvelo. Io… io ho visto che saremmo annegati, là dentro. Capite perché non possiamo andare adesso?»
Percy corrugò la fronte. «Sono il figlio del dio del mare. Io non posso annegare.» Ma non sembrava tanto convinto.
«A me non interessa» chiosò Einar.
«Hai già detto come la pensavi riguardo ai pericoli da correre» replicò il figlio di Giove, cercando di calmare gli animi. «Però è importante tenere a mente quello che ha visto Piper ed essere molto prudenti.»
«Non credo abbia fatto in tempo a sentirti» lo informò Percy, indicando le scale da cui Einar era appena sceso.
Il mio ragazzo borbottò qualcosa sui nordici e l’impulsività in generale, premendosi con due dita la radice del naso. Mi avvicinai a lui e intrecciai le mie dita alla sue, un minimo ringraziamento per aver preso le mie difese nonostante avessi appena dichiarato ad alta voce – e quindi reso vero – una profezia di morte.
«Sono ancora vivo!» La voce del figlio di Loki ci giunse flebile e distorta. «Scendete e venite a dare un’occhiata!»
Ne avrei volentieri fatto a meno, ma non potevamo più tirarci indietro. Scesi tenendo stretta la mano di Jason e controllando ogni due secondi di avere le armi vicine, ma la cornucopia e il pugnale non si muovevano di un centimetro. Scritte recenti cedettero il posto ad antichi graffiti e incisioni, finché le scale non terminarono con un ultimo gradino.
L’ambiente era esattamente come Katoptris l’aveva mostrato: le pareti curve che un tempo erano decorate da affreschi ora sbiaditi e il soffitto a volta a una quindicina di metri d’altezza, il pavimento perfettamente asciutto. Ora potevamo anche vedere delle nicchie, nove in tutto, disposte lungo le pareti e ricavate nel muro stesso. L’aria era fredda e secca e aveva una strana fragranza salmastra. Se una chiesa si fosse trovata nell’oceano, avrebbe avuto lo stesso odore.
«Sentite il profumo dell’oceano?» domandò Percy. Facemmo tutti dei cenni affermativi. «Allora non è decisamente un’illusione. Strano. Ho come la sensazione che ci debba essere dell’acqua, ma non ce n’è nemmeno un goccio.»
Meglio così, pensai tra me e me. Anche se qualcosa mi diceva che c’era ancora tempo per riempire quel posto fino al soffitto.
Jason si era avvicinato a una nicchia e ne stava studiando la superficie. «Ci sono delle conchiglie incastonate nella pietra.» Si alzò e si voltò verso di noi, lasciandosi alle spalle l’incavo nelle parete. «Credo di sapere dove ci troviamo. Questo è un ninfeo, un santuario delle ninfe risalente all’Antica Roma. Era uso comune per i patrizi erigerne uno al di fuori delle ville per assicurarsi che l’acqua fosse sempre fresca e per onorare le ninfe che, quando decidevano di stabilirvisi, erano un segno di buona sorte. Un tempo questo era in superficie, ma negli anni è sprofondato e vi hanno costruito sopra.»
«Peccato che la fortuna non si estendesse alle ninfe» intervenne Percy. «Una volta accettato di vivere in un ninfeo, le ninfe sarebbero state legate alla nuova sorgente d’acqua per sempre.»
«Ma il ninfeo in cui ci troviamo è sepolto da secoli. Non vi è nessuna sorgente d’acqua» fece notare Einar.
«Già.» Mi misi a osservare le nicchie, una ad una, riflettendo su cosa potesse essere accaduto alle legittime proprietarie in tutto questo tempo. «Che fine avranno fatto le ninfe?» ragionai ad alta voce.
Il profumo d’oceano si fece all’improvviso più intenso. La luce che illuminava parzialmente le pareti divenne viola e verde acido, in netto contrasto con i colori chiari di poco fa. Sopra le nostre teste, all’altezza delle nicchie, vedemmo scintillare delle figure.
Erano nove in tutto e si stagliavano in corrispondenza delle cavità. Avevano l’aspetto di mummie: avvizzite, con gli occhi viola che scintillavano malvagi e parevano il riflesso del veleno che portavano dentro, erano vestite con i brandelli degli abiti di seta che un tempo fasciavano i loro corpi e i loro capelli erano secchi e stopposi, per metà tirati su in acconciature da nobildonne romane ormai sciupate.
Una volta ero andata a trovare mio padre ad Hollywood sul set del suo nuovo film e avevo assistito per caso alla registrazione di un episodio di The Walking Dead. Avevo pensato che gli zombie fossero molto più spaventosi sullo schermo che nella realtà, ma dovetti ricredermi non appena posai gli occhi sulle nove creature.
«Che fine avranno fatto le ninfe?» ripeté quella nella nicchia al centro. «Domanda interessante, mia cara. Forse le ninfe sono ancora qui a soffrire in attesa di vendetta.»
Il mio primo pensiero fu quello di scappare ma, quando mi voltai, la porta era scomparsa. C’era soltanto una parete vuota. Ovviamente. Jason e Percy sguainarono le spade, mentre Einar incoccò una freccia e tenne sotto mira la prima ninfa.
«Chi siete? E che cosa volete da noi?» domandò il figlio di Giove.
Fu sempre quella centrale a risponderci. «Ah… i nomi! Un tempo avevamo un nome, prima che venisse sepolto come il nostro ninfeo. Io ero Agno, la prima delle nove ninfe originali!»
«Ninfe originali?» ripeté Jason, corrugando la fronte. «Intendi dire…»
«Sì!» Sulla faccia della ninfa si aprì un sorriso malvagio. «Noi abbiamo assistito alla nascita di tuo padre, quando ancora si chiamava Zeus. Non solo, abbiamo fatto il possibile per nasconderlo in modo che Crono non lo trovasse. Sapeste che polmoni aveva! Non è stata impresa facile, ma ci furono tributati onori eterni per il servizio reso. Tutto questo accadeva nell’antica patria, la Grecia.»
Le altre ninfe gemettero e graffiarono le nicchie, agitandosi al ricordo legato alla loro patria natia.
«Roma ha preso il potere e noi siamo state invitate qui» continuò Agno. «Un semidio figlio di Giove ci ha tentato offrendoci doni. Ci promise una nuova casa, più grande e più bella. Disse che Roma sarebbe durata per sempre.»
«Ma Roma non è durata per sempre» mormorò Jason.
Le ninfe sibilarono, se la loro approvazione o il loro disappunto non avrei saputo dirlo.
Agno si apprestò alla conclusione. «Fu così che abbandonammo le nostre sorgenti e fonti sul Monte Liceo per trasferirci qui. Per secoli la nostra vita è stata meravigliosa! Feste, sacrifici in nostro onore, abiti e gioielli… Poi gli acquedotti sono stati deviati. La villa del nostro padrone è stata abbandonata e demolita. Noi siamo state dimenticate e sepolte sottoterra, ma non potevamo andarcene. La nostre fonte di vita era collegata a questo luogo. Per secoli, siamo appassite e appassite nell’oscurità e adesso abbiamo sete… molta sete.»
Einar abbassò l’arco e allargò le braccia, cercando di apparire amichevole. «Sono tremendamente dispiaciuto per voi» disse. «Io vi capisco. So cosa significa avere sete. Voi la provate da secoli interi, certo, ma a me è bastata qualche settimana per vedere la vendetta anche nei sogni. Quindi vi prego, permettete a me e ai miei amici di andare a dissetarci.»
«Possiamo tornare ad aiutarvi» aggiunsi. «Vivere così dev’essere stato terribile. Ma noi non siamo vostri nemici. Se possiamo fare qualcosa anche adesso…»
Percy si fece avanti. «Il mio padre è Poseidone. Forse posso evocare una nuova sorgente d’acqua per voi.»
Il sorriso di Agno non aveva fatto altro che allargarsi, finendo per assomigliare a uno squarcio nel mezzo della sua faccia. «Certo che potete aiutarmi, semidei. Tutti voi potete dare una mano» rispose. «Efialte e Oto mi avevano promesso che sareste venuti qui.»
«Lavorate… Lavorate per i giganti?» balbettai.
Sentivo che mi stavano venendo meno le gambe. Katoptris, maledetto pugnale buono a nulla, non mi aveva mostrato niente di tutto questo. Ora eravamo qui, in trappola e senza alcuna via di scampo per colpa mia e della mia mancanza di risolutezza.
«Sono i nostri vicini, mia dolce figlia di Afrodite» spiegò Agno. «Hanno detto che avremmo potuto farvi ciò che più avremmo desiderato. Perciò, da te prenderemo la bellezza che il tempo ha fatto scomparire. Da te, figlio di Poseidone, esigeremo una riserva d’acqua, una riserva d’acqua infinita. Tu, discendente di Giove, pagherai per l’orribile tradimento del tuo predecessore che ci ha irretite in questo luogo.» La ninfa girò la testa, dedicando una lunga occhiata all’ultimo rimasto tra noi. «Sono desolata, Einar Larsen, ma la tua sete di vendetta dovrà aspettare. Da te prenderemo la forza e il vigore della gioventù. Il sacrificio non ti sarà gravoso, dal momento che già donasti parte della tua vita a Nico di Angelo, dico bene?»
Il figlio di Loki incurvò lo spalle, celando il viso livido di rabbia. «Drikke av dette, tipse» disse tra i denti. Poi, più forte: «Dissetati con questo, stronza!»
La corda dell’arco vibrò e una lunga freccia nera tagliò l’aria. Non raggiunse mai il bersaglio. Si conficcò nella nicchia centrale, esattamente dove avrebbe dovuto trovarsi Agno un momento prima. Ma le ninfe erano scomparse, svanite nel nulla, lasciandosi dietro acqua. Acqua scura, nera, nauseabonda, acqua che sembrava petrolio.
Ci raggiunse le caviglie, le ginocchia, poi il bacino in una manciata di minuti. Einar lanciò un grido di rabbia e frustrazione. Jason e Percy si scagliarono contro le pareti, cercando disperatamente un’uscita. Rimasi immobile un istante, paralizzata dalla sensazione schiacciante che un incubo fosse appena diventato realtà.

 
koala's corner.
Bentornati da AxXx (che si beve una Sprite) e Water_wolf (che naviga nelle tristi acque dei titoli dei capitoli)! Siamo stati assenti per due mesi e non possiamo esprimere a parole quanto ci dispiaccia aver abbandonato EFP per tutto questo tempo, ma la vita è successa. Comunque, adesso che siamo di nuovo qui, ci impegniamo per riprendere a scrivere con un ritmo quanto meno regolare questa storia.
Sì, vi terremo compagnia d'estate insieme a J-Ax e Fedez lol. Questo non è esattemente il capitolo che avevo in mente, anche perché riprendere a scrivere è stato duro ed è uscito qualcosa di strano, ma è un inizio.
E da qui in poi incominciano le scazzotate, i combattimenti e le cose varie che ci piacciono tanto. Un po' di sana violenza.
Mi sono resa conto che c'è un po' tanta Einico, ma non credo dispiaccia a nessuno, giusto? XD
Speriamo che abbiate ancora voglia di seguirci e recenserci, un abbraccio e alla prossima!

Soon on Vendetta del Nord: andiam, andiam, andiamo a trucidaaar
 
  
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